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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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SITO DELL'OSSERVATORE ROMANO E RADIO VATICANA

Ultimo Aggiornamento: 28/02/2014 17:39
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Le origini de "L'Osservatore Romano"


[Papa Pio IX] Il primo numero de L'Osservatore Romano uscì nell'Urbe il 1° luglio del 1861, a pochi mesi dalla proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo 1861). Lo scopo della pubblicazione era chiaramente apologetico, in difesa dello Stato Pontificio, e i suoi intenti polemico-propagandistici. Il giornale riprendeva il nome di un precedente foglio privato (5 settembre 1849 - 2 settembre 1852), diretto dall'abate Francesco Battelli e finanziato da un gruppo cattolico legittimista francese.

La nascita de L'Osservatore Romano è strettamente correlata con la sconfitta bellica subita dalle truppe Pontificie a Castelfidardo (8 settembre 1860). Dopo questo evento, infatti, mentre il potere temporale del Pontefice veniva fortemente ridimensionato in termini di estensione territoriale e in tutta Europa non sembrava esserci una potenza disposta a difenderlo, un gran numero di intellettuali cattolici cominciarono a giungere a Roma con il fermo desiderio di mettersi al servizio di Pio IX.

Tra le autorità romane, decise a ripristinare lo status quo ante, cominciò perciò a farsi strada l'idea di una pubblicazione quotidiana di carattere privato, che si facesse vindice dello Stato Pontificio e dei principi di cui esso era portatore.

Già dal 20 luglio 1860 il Sostituto Ministro dell'Interno, Marcantonio Pacelli, voleva porre accanto al bollettino ufficiale il Giornale di Roma, una pubblicazione polemica e battagliera di natura ufficiosa dal nome L'Amico della Verità. L'elaborazione del progetto richiese del tempo ed è probabile che arrivò alle orecchie del Marchese Augusto Baviera, già noto pubblicista, concittadino di Pio IX, che nella stessa estate (il 19 agosto) aveva domandato licenza di pubblicare un periodico bisettimanale - più di cultura che di politica - il quale avrebbe dovuto assumere il vecchio nome de L'Osservatore diretto dal Battelli.

Nei primi mesi del 1861, venne a domandare aiuto al Governo pontificio un famoso polemista forlivese, Nicola Zanchini. A questi e ad un altro esule, il vivacissimo giornalista Giuseppe Bastia giunto da Bologna, fu concessa la direzione del giornale progettato dal Pacelli. Era il 22 giugno 1861 quando il Ministero dell'Interno, competente per la stampa, si vide recapitare un manoscritto firmato dai supplicanti Zanchini e Bastia che chiedevano il permesso di pubblicazione. Due giorni dopo la proposta era già in discussione in Consiglio dei Ministri.

Infine il 26, nell'Udienza Pontificia, Pio IX concedeva l'assenso al "Regolamento" de L'Osservatore.

Eccone alcuni articoli:

Art. 1: Il giornale concesso ai Sigg.i Avvocati Nicola Zanchini e Giuseppe Bastia avrà il titolo - L'Osservatore Romano - e verrà pubblicato con numeri progressivi onde formarne volumi. La sua pubblicazione avrà luogo nei giorni e ore stabilite nel relativo Manifesto di associazione, in cui saranno pure specificati il formato della carta, la qualità dei caratteri, il prezzo e le altre condizioni dell'associazione suddetta.

Art. 2: Il fine cui deve essere diretto tale giornale è quello:
   1 - di smascherare e confutare le calunnie che si scagliano contro di Roma e del Pontificato Romano;
   2 - di far noto quanto di più rimarchevole avviene alla giornata di Roma e fuori;
   3 - di ricordare i principii inconcussi della Religione cattolica, e quelli della giustizia e del diritto, come basi inconcusse d'ogni ordinato vivere sociale;
   4 - d'istruire dei doveri che si hanno verso la patria;
   5 - di eccitare e promuovere la venerazione al Augusto Sovrano e Pontefice;
   6 - di raccogliere e illustrare quanto per arti, lettere e scienze meriti di essere segnalato al pubblico, e specialmente le invenzioni ed applicazioni relative, a cui si dà opera negli Stati Pontificii.

[Prima pagina del numero 1 - 1 luglio 1861   ] Ecco come si presentava al lettore il primo numero del giornale. Sulla testata appariva la scritta "L'Osservatore Romano - giornale politico morale", costo di un numero 5 baj. Erano poi spiegati i "patti dell'associazione" per chi intendeva abbonarsi.

Poco più sotto erano contenuti l'"Avviso" ai potenziali associati e l'articolo di fondo dal titolo "L'Osservatore Romano ai suoi lettori", che era una dura requisitoria contro la politica del Cavour recentemente scomparso.

I primi numeri erano composti di quattro pagine nelle quali erano presenti tutti gli argomenti polemici che avrebbero caratterizzato la "linea editoriale" per molto tempo.

Alla fine del 1861, caduto il sottotitolo "giornale politico-morale", comparvero sotto la testata i motti unicuique suum e non praevalebunt, tuttora presenti.

All'inizio L'Osservatore non ebbe nemmeno una sede: i primi redattori - come Bayard de Volo, Anton Maria Bonetti, Ugo Flandoli, don Nazareno Ignazi, Costantino Pucci, Paolo Pultrini, Telesforo Sarti - si incontravano nella tipografia dei Salviucci, in P.zza de' SS Apostoli n. 56, dove si stampava il giornale. Solo a partire dal 1862 la redazione si insediò al palazzo Petri in piazza de' Crociferi, ove subito dopo sarebbe stata impiantata la tipografia in proprio. Il primo numero vi fu stampato il 31 marzo, data in cui alla testata si aggiunse la dicitura Giornale quotidiano.

Il 30 giugno 1865 i due avvocati Zanchini e Bastia cedettero la proprietà, con decorrenza a partire dall'inizio dell'anno successivo, al Marchese di Baviera. Questi nei primi mesi di direzione fu affiancato dal bolognese Giovan Battista Casoni che, nel 1890, sarebbe diventato direttore unico. Il giornale si presentò subito con un programma di avanguardia e con uno spirito di indipendenza e si impegnò in aspre polemiche con altre pubblicazioni italiane e straniere, difendendo la Chiesa ed i principi del diritto umano.

Nel primo decennio di vita L'Osservatore Romano dedicò molto spazio agli argomenti di politica internazionale compresa la "Questione romana". Quasi mai si discutevano problemi puramente politici; piuttosto si rilevavano la giustizia o l'ingiustizia di atti pubblici e le loro conseguenze per la religione cattolica e per la morale della società. Anche le tematiche di carattere religioso, ecclesiastico ed economico-sociale trovavano spazio nella prima pagina. Così ben presto il giornale si qualificò come "specchio leale ed abbastanza completo non solo delle opinioni e dei desideri della maggioranza dei cattolici romani, ma anche di quelli - almeno nelle sue forme esteriori e pubbliche - del medesimo Governo del Papa".

Con la Breccia di Porta Pia (20 settembre 1870), L'Osservatore Romano da organo "semi ufficiale" dello Stato Pontificio divenne un giornale di opposizione all'interno del giovane ed ampliato Regno d'Italia. Dopo circa un mese di sospensione, il giornale riprese le pubblicazioni il 17 ottobre. In quell'occasione riportò in prima pagina una dichiarazione di obbedienza al Papa e di totale adesione alle sue direttive, ribadendo che esso sarebbe rimasto fedele "a quell'immutabile principio di religione e di morale di cui riconosce solo depositario e vindice il vicario di Gesù Cristo in terra".

Nel clima particolarmente acceso di quegli anni, il giornale fu più volte sequestrato. Ma nulla impedì ai redattori di riprendere la loro battaglia di fede e di idee. Ed anzi ben presto L'Osservatore Romano cominciò a sostituirsi al Giornale di Roma, l'organo ufficiale dello Stato Pontificio, nella comunicazione di notizie ufficiali riguardanti la Chiesa. Ciò avvenne in maniera più evidente sotto il Pontificato di Leone XIII, che acquistò la proprietà del giornale e, a partire dal 1885, ne fece l'organo d'informazione della Santa Sede.

Fedele alle sue origini, in questi 146 anni di vita, L'Osservatore Romano ha continuato la sua opera al servizio della Verità. Con passione e senza timore di farsi voce fuori dal coro ha documentato la storia di popoli e nazioni. E soprattutto ha continuato il suo servizio privilegiato per la diffusione del Magistero del Successore di Pietro.

In occasione del centenario di fondazione del giornale Giovanni XXIII scrisse:

I cento anni trascorsi hanno reso questo giornale non soltanto testimone, ma anche artefice di storia: poiché, strettamente congiunto, per la stessa vicinanza del luogo, alla Sede Apostolica e seguendo diligentemente il suo magistero, ha continuamente apportato, nel promuovere il Regno di Cristo sulla terra, ciò che è in grande stima presso i fedeli cattolici e tutti gli onesti: ha asserito la verità, difeso la giustizia, promosso la causa della vera libertà, tutelato l'onestà e l'onore della condizione e dignità umana. Nei tempi tranquilli e in quelli tempestosi, fra le mutevoli vicende degli avvenimenti, esso ha sempre mantenuto la medesima costanza, la stessa moderazione ed equità, il medesimo sentimento di pietà verso il genere umano, alimentato dalla carità cristiana, poiché fondava il suo modo di pensare e di agire non nelle passioni dei miseri mortali, ma nella verità e giustizia divina. In tal modo diveniva esempio eccelso di ogni analoga pubblicazione. Giacché disprezzare la religione, storcere il vero a false interpretazioni, irridere la virtù, esaltare i vizi e i delitti, è somma vergogna, che diviene ancor più nefasta, quando in nome della libertà si attua la licenza sfrenata e si prepara così la rovina della società umana.
E trent'anni dopo, in occasione dell'introduzione delle nuove tecnologie informatiche nella produzione del giornale, Giovanni Paolo II ha indirizzato al Direttore Responsabile la seguente lettera:
Oggi, 1° luglio 1991, in coincidenza col 130° anniversario di fondazione, "L'Osservatore Romano" apre un nuovo capitolo della sua storia, avviando l'utilizzo delle tecnologie fotocompositive. La nuova fase consente di sperare frutti ancora migliori nel servizio che codesto Giornale autorevolmente rende, nel solco del Magistero Pontificio, alla comunione ecclesiale ed alla moderna comunicazione sociale.

Volentieri invoco la divina assistenza su redattori e tecnici, collaboratori e lettori, chiamati, con doni diversi, a rendere presente nel mondo, mediante le nuove tecniche editoriali, la Parola di Dio e l'insegnamento della Chiesa. É un servizio all'umanità tutta, desiderosa di trovare "canali di speranza", da cui si possano attingere fiducia e coraggio evangelici.

Nell'augurare che la quotidiana fatica, ispirata dalla fede e confortata dall'amore, allarghi gli spazi della comprensione e della solidarietà tra gli uomini ed i popoli, riflettendo costantemente quella "luce delle genti", Cristo, che risplende sul volto della Chiesa universale e delle Chiese locali, a tutti imparto di cuore con stima ed affetto la mia Benedizione.

[Benedetto XVI]

I Papi de L'Osservatore Romano

  • Pio IX (1846-1878)
  • Leone XIII (1878-1903)
  • Pio X (1903-1914)
  • Benedetto XV (1914-1922)
  • Pio XI (1922-1939)
  • Pio XII (1939-1958)
  • Giovanni XXIII (1958-1963)
  • Paolo VI (1963-1978)
  • Giovanni Paolo I (1978-1978)
  • Giovanni Paolo II (1978-2005)
  • Benedetto XVI

I Direttori

  • Nicola Zanchini e Giuseppe Bastia (1861-1866)
  • Augusto Baviera (1866-1884)
  • Cesare Crispolti (1884-1890)
  • Giovan Battista Casoni (1890-1900)
  • Giuseppe Angelini (1900-1919)
  • Giuseppe Dalla Torre di Sanguinetto (1920-1960)
  • Raimondo Manzini (1960-1978)
  • Valerio Volpini (1978-1984)
  • Mario Agnes (1984-2007)
  • Giovanni Maria Vian

Le Edizioni

  • Settimanale in lingua Francese (1949)
  • Settimanale in lingua Italiana (1950)
  • Settimanale in lingua Inglese (1968)
  • Settimanale in lingua Spagnola (1969)
  • Settimanale in lingua Portoghese (1970)
  • Settimanale in lingua Tedesca (1971)
  • Mensile in lingua Polacca (1980)
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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/06/2011 15:45
 
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Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Direttore de "L’Osservatore Romano", Prof. Giovanni Maria Vian, nella ricorrenza del 150° anniversario di fondazione del Quotidiano:

# MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

All’Illustrissimo Signore

Prof. GIOVANNI MARIA VIAN

Direttore de "L’Osservatore Romano"

Per un giornale quotidiano centocinquant’anni di vita sono un periodo davvero considerevole, un lungo e significativo cammino ricco di gioie, di difficoltà, di impegno, di soddisfazioni, di grazia. Pertanto, questo importante anniversario de "L’Osservatore Romano" – il cui primo numero uscì con la data del 1° luglio 1861 – è innanzitutto motivo di ringraziamento a Dio pro universis beneficiis suis: per tutto quello, cioè, che la sua Provvidenza ha disposto in questo secolo e mezzo, durante il quale il mondo è cambiato profondamente, e per quanto dispone oggi, quando i cambiamenti sono continui e sempre più rapidi, soprattutto nell’ambito della comunicazione e dell’informazione.

Allo stesso tempo, la presente lieta ricorrenza offre anche l’occasione per alcune riflessioni sulla storia e sul ruolo di tale quotidiano, chiamato abitualmente "il giornale del Papa". Siamo invitati, quindi, – come disse Pio XI, di v.m., nel 1936, esattamente settantacinque anni fa –, a dare "una occhiata al cammino percorso e darne un’altra al cammino che resta da percorrere", sottolineando soprattutto la singolarità e la responsabilità di un quotidiano che da un secolo e mezzo fa conoscere il Magistero dei Papi ed è uno degli strumenti privilegiati a servizio della Santa Sede e della Chiesa.

"L’Osservatore Romano" ebbe origine in un contesto difficile e decisivo per il Papato, con la consapevolezza e la volontà di difendere e sostenere le ragioni della Sede Apostolica, che sembrava essere messa in pericolo da forze ostili. Fondato per iniziativa privata con l’appoggio del Governo pontificio, questo foglio serale si definì "politico religioso", proponendosi come obiettivo la difesa del principio di giustizia, nella convinzione, fondata sulla parola di Cristo, che il male non avrà l’ultima parola. Tale obiettivo e tale convinzione furono espressi dai due celebri motti latini – il primo tratto dal diritto romano e il secondo dal testo evangelico – che, sin dal primo numero del 1862, si leggono sotto la sua testata: Unicuique suum e, soprattutto, Non praevalebunt (Mt 16,18)

Nel 1870 la fine del potere temporale – avvertita poi come provvidenziale nonostante soprusi e atti ingiusti subiti dal Papato – non travolse "L’Osservatore Romano", né rese inutili la sua presenza e la sua funzione. Anzi, un quindicennio più tardi, la Santa Sede decise di acquisirne la proprietà. Il controllo diretto del giornale da parte dell’autorità pontificia ne aumentò con il tempo prestigio e autorevolezza, che crebbero ulteriormente in seguito, soprattutto per la linea di imparzialità e di coraggio mantenuta di fronte alle tragedie e agli orrori che segnarono la prima metà del Novecento, eco "fedele di un istituto internazionale e supernazionale", come scrisse il Cardinale Gasparri nel 1922.

Si susseguirono allora avvenimenti tragici: il primo conflitto mondiale, che devastò l’Europa cambiandone il volto; l’affermarsi dei totalitarismi, con ideologie nefaste che hanno negato la verità e oppresso l’uomo; infine, gli orrori della shoah e della seconda guerra mondiale. In quegli anni tremendi, e poi durante il periodo della guerra fredda e della persecuzione anticristiana attuata dai regimi comunisti in molti Paesi, nonostante la ristrettezza dei mezzi e delle forze, il giornale della Santa Sede seppe informare con onestà e libertà, sostenendo l’opera coraggiosa di Benedetto XV, di Pio XI e di Pio XII in difesa della verità e della giustizia, unico fondamento della pace.

Dal secondo conflitto mondiale "L’Osservatore Romano" poté così uscire a testa alta, come subito riconobbero autorevoli voci laiche e come nel 1961, in occasione del centenario del quotidiano, scrisse il Cardinale Montini, che due anni dopo sarebbe diventato Papa con il nome di Paolo VI: "Avvenne come quando in una sala si spengono tutte le luci, e ne rimane accesa una sola: tutti gli sguardi si dirigono verso quella rimasta accesa; e per fortuna questa era la luce vaticana, la luce tranquilla e fiammante, alimentata da quella apostolica di Pietro. «L’Osservatore» apparve allora quello che, in sostanza, è sempre: un faro orientatore".

Nella seconda metà del Novecento il giornale ha iniziato a circolare in tutto il mondo attraverso una corona di edizioni periodiche in diverse lingue, stampate non più soltanto in Vaticano: attualmente otto, tra cui, dal 2008, anche la versione in malayalam pubblicata in India, la prima interamente in caratteri non latini. A partire dallo stesso anno, in una stagione difficile per i media tradizionali, la diffusione è sostenuta da abbinamenti con altre testate in Spagna, in Italia, in Portogallo, e ora anche da una presenza in internet sempre più efficace.

Quotidiano "singolarissimo" per le sue caratteristiche uniche, "L’Osservatore Romano", in questo secolo e mezzo, ha innanzitutto dato conto del servizio reso alla verità e alla comunione cattolica da parte della Sede del Successore di Pietro. Il quotidiano ha così riportato puntualmente gli interventi pontifici, ha seguito i due Concili celebrati in Vaticano e le molte Assemblee sinodali, espressione della vitalità e della ricchezza di doni della Chiesa, ma non ha dimenticato mai di evidenziare anche la presenza, l’opera e la situazione delle comunità cattoliche nel mondo, che vivono talvolta in condizioni drammatiche.

In questo tempo – segnato spesso dalla mancanza di punti di riferimento e dalla rimozione di Dio dall’orizzonte di molte società, anche di antica tradizione cristiana – il quotidiano della Santa Sede si presenta come un "giornale di idee", come un organo di formazione e non solo di informazione. Perciò deve sapere mantenere fedelmente il compito svolto in questo secolo e mezzo, con attenzione anche all’Oriente cristiano, all’irreversibile impegno ecumenico delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, alla ricerca costante di amicizia e collaborazione con l’Ebraismo e con le altre religioni, al dibattito e al confronto culturale, alla voce delle donne, ai temi bioetici che pongono questioni per tutti decisive. Continuando l’apertura a nuove firme – tra cui quelle di un numero crescente di collaboratrici – e accentuando la dimensione e il respiro internazionali presenti sin dalle origini del quotidiano, dopo centocinquant’anni di una storia di cui può andare orgoglioso, "L’Osservatore Romano" sa così esprimere la cordiale amicizia della Santa Sede per l’umanità del nostro tempo, in difesa della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio e redenta da Cristo.

Per tutto questo, desidero rivolgere il mio pensiero riconoscente a tutti coloro che, dal 1861 fino ad oggi, hanno lavorato al giornale della Santa Sede: ai Direttori, ai Redattori e a tutto il Personale. A Lei, Signor Direttore, e a quanti cooperano attualmente in questo entusiasmante, impegnativo e benemerito servizio alla verità e alla giustizia, come pure ai benefattori e ai sostenitori, assicuro la mia costante vicinanza spirituale e invio di cuore una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 24 giugno 2011

BENEDICTUS PP. XVI


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Messa del cardinale Bertone per il centocinquantesimo anniversario del nostro giornale

Lo sguardo del Papa e della Santa Sede sul mondo


Il "rendimento di grazie a Dio per tutto il bene che ha voluto diffondere nella Chiesa e nella società mediante "L'Osservatore Romano"" è stato espresso dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, durante la messa celebrata nella mattina di venerdì 1° luglio, nella Cappella Paolina, in occasione del centocinquantesimo anniversario del nostro giornale.

Cari fratelli e sorelle!

In questa importante ricorrenza liturgica della solennità del Sacro Cuore di Gesù ho la gioia di celebrare stamani l'Eucaristia per voi, che formate la comunità di lavoro dell'"Osservatore Romano". Saluto cordialmente il direttore responsabile, professor Vian, e il vice direttore, dottor Carlo Di Cicco, come pure il direttore generale, il mio confratello don Pietro Migliasso; saluto la redazione, gli incaricati delle edizioni settimanali, tutti i giornalisti, i fotografi, i tecnici, tutta la vostra grande famiglia, che quest'anno è in festa per il centocinquantesimo anniversario del giornale. Pertanto, il sentimento con cui oggi noi celebriamo questa santa messa è proprio il rendimento di grazie a Dio per tutto il bene che ha voluto diffondere nella Chiesa e nella società mediante "L'Osservatore Romano".

E tale riconoscenza profonda dello spirito, naturalmente si estende anche ai tipografi, si rivolge alle persone che, dalle origini fino ad oggi, hanno diretto e realizzato quotidianamente il giornale. Per i defunti offro volentieri questo Sacrificio eucaristico ricordando il loro percorso sulla terra al servizio di questa grande impresa editoriale. Io stesso posso dire di essere stato accompagnato da "L'Osservatore Romano" durante tutta la mia vita. Prima che io nascessi a casa mia, a Romano Canavese, arrivava già "L'Osservatore Romano", un'unica copia intestata a Pietro Bertone, organista, l'unico abbonato del paese. Dopo alcuni anni si aggiunse poi un sacerdote, don Paolo Bellono e "L'Osservatore Romano" mi accompagnò negli anni. In seguito divenni io stesso collaboratore dell'"Osservatore Romano". Potremmo raccogliere i miei articoli, e poi "L'Osservatore Romano" punteggiò un po' le tappe della mia vita fino all'attuale tappa di segretario di Stato di Sua Santità. Quindi ho camminato nella mia storia personale, nella storia della Chiesa accanto a "L'Osservatore Romano".

Considerando le letture bibliche di questa solennità del Sacro Cuore di Gesù , vorrei trarre uno spunto di riflessione per i 150 anni del quotidiano. C'è il grande messaggio del Papa, poi ci sarà la visita durante la quale ancora vi rivolgerà la sua parola. La prima lettura è tratta dal settimo capitolo del Deuteronomio, dove il Signore, per bocca di Mosè, dichiara ad Israele il suo amore preferenziale e spiega anche il motivo di tale elezione. Potremmo dire che i Papi hanno avuto un amore preferenziale per "L'Osservatore Romano" e l'hanno espresso varie volte. Il Signore dice così : "Tu sei un popolo consacrato al Signore, tuo Dio. Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete i più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli (anche dei quotidiani forse il più piccolo, non lo so se proprio il più piccolo dei quotidiani del mondo) - ma perché il Signore vi ama, e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri".

Questa Parola del Signore illumina il mistero della Chiesa. Fatte le debite proporzioni, illumina anche la realtà di un giornale come "L'Osservatore Romano", che è nato e vive all'interno della realtà ecclesiale, anzi, vicino al Successore di Pietro e al suo servizio. È dunque conseguente che questo giornale "singolarissimo", come lo ebbe a definire il servo di Dio Paolo VI, da una parte sia "nel mondo", cioè sia un giornale come gli altri, ma d'altra parte sia diverso da tutti gli altri quotidiani, che sia unico, singolare. Questa singolarità non gli viene da aspetti tecnici o materiali, ma dalla sua missione specifica, di guardare il mondo dal punto di vista della Santa Sede, come dice proprio il suo nome: "L'Osservatore Romano". Chiunque lo legga, dovunque nel mondo, può trovare la prospettiva del Papa e della Sede Apostolica in ogni Paese, in ogni regione, anche la più lontana. Ieri ho ricevuto dei rappresentanti delle isole Maldive, del Malawi e di altri Paesi e allora dovunque ci si trovi si possa avere la prospettiva del Papa e della Sede Apostolica, prospettiva pastorale, che diventa anche culturale, morale, politica in senso alto e ampio.

Questa singolare collocazione esige, da chi lo dirige e da tutti coloro che vi lavorano, una costante vigilanza spirituale e morale, per poter essere - come direbbe Gesù - nel mondo ma non del mondo. Possiamo riferirci, a questo proposito, all'esortazione dell'apostolo Paolo ai cristiani di Roma, e voi siete a Roma, lavorate qui a Roma anche se non tutti siete romani, ma possiamo dirci tutti romani: "Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (Rm 12, 2). Ritengo che questa sia, per i fedeli laici e per tutti, la sfida più entusiasmante, anche se la più impegnativa. Credo infatti che per voi sia una motivazione sempre rinnovata quella che vi viene dal dovere ogni giorno produrre un giornale come "L'Osservatore Romano". E quando dico questo penso a tutti: dal direttore fino a chi scatta una fotografia, a chi scrive un articolo o una cronaca.
"L'Osservatore Romano" non è un giornale grande e potente secondo i criteri del mondo, ma è importante agli occhi di Dio e di tanta opinione pubblica, perché guarda le cose secondo l'ottica del Successore di Pietro. Per questo vi esorto anch'io a rinnovare sempre la vostra mentalità secondo i criteri evangelici ed ecclesiali, a partire da una vita personale intensa, conforme ai criteri evangelici ed ecclesiali. In questo campo, infatti, non bisogna dare mai per scontata la nostra fedeltà alla verità. Anzi, proprio l'essere vicini al centro della cristianità richiede maggiore vigilanza e impegno di coerenza.

Il Santo Padre Benedetto XVI è per tutti noi un modello di che cosa significhi comunicare in modo chiaro e profondo, ragionevole e fedele il mistero, perché anzitutto lo vive questo mistero. Avete sentito e letto qualche stralcio almeno della bellissima omelia che ha fatto il 29 giugno sull'amicizia, amicizia con Dio prima di tutto, amicizia con il Signore, e l'amicizia tra di noi. Per tutti il suo esempio è davvero trainante e preziosissimo.

Cari amici, rimaniamo nel Cuore di Cristo, rimaniamo nel suo amore! Lui ci ha assicurato che se rimaniamo uniti a Lui, possiamo portare molto frutto. Con il costante sostegno della Vergine Maria, vi auguro di vivere il vostro lavoro quotidiano come concreto servizio alla diffusione della verità e della carità di Cristo, con l'umile consapevolezza che così facendo voi lavorate efficacemente per l'avvento del Regno di Dio.



(©L'Osservatore Romano 2 luglio 2011)

             
Pope Benedict XVI (C) and Cardinal Tarcisio Bertone greet Italy's President Giorgio Napolitano (R) before he offered a concert to celebrate the sixth anniversary of his pontificate in the Paul VI hall at the Vatican May 5, 2011.


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Visita di Benedetto XVI alla sede de "L'Osservatore Romano"

Pope Benedict  XVI signs a guestbook as he is flanked by Giovanni Maria Vian (L), editor-in-chief of Osservatore Romano newspaper during his visit, in the Vatican July 5, 2011.


CITTA' DEL VATICANO, 5 LUG. 2011 (VIS). Questa mattina il Santo Padre Benedetto XVI ha compiuto una visita alla sede de "L'Osservatore Romano" in occasione del 150° anniversario di fondazione del quotidiano, il primo numero del quale uscì il 1° luglio 1861.

  Il Santo Padre, nel salutare il Direttore, il Vicedirettore e i redattori del giornale,  ha presentato le sue felicitazioni per questo importante anniversario ed ha detto:  "Mediante la vostra opera quotidiana, nascosta e non priva di fatica, voi date vita a questo singolare mezzo di comunicazione che si pone al servizio del ministero del Successore di Pietro, per portare uno specifico contributo alla diffusione del Vangelo e alla testimonianza alla verità. Infatti, diffondendo gli insegnamenti del Papa, informando sulla sua attività e su quella della Curia Romana, e facendosi eco della vita cattolica nel mondo, 'L'Osservatore Romano' aiuta i fedeli a considerare i problemi del momento alla luce della parola di Cristo e del Magistero della Chiesa e nella costante attenzione  ai  segni  dei tempi. In questa prospettiva, il quotidiano della Santa Sede si presenta come una preziosa risorsa, che chiede di esse­re sempre meglio conosciuta e valorizzata".

  "Continuate, cari amici, ad operare con gioia nel grande 'areopago' della comunicazione moderna, facendo tesoro della lunga storia di questa insigne testata" - ha proseguito il Pontefice - "La memoria del passato è feconda se diventa occasione per attingere a solide radici e guardare con speranza al futuro".

  "Non dimenticate che" - ha concluso il Santo Padre - "per portare a compimento la missione affidatavi, occorre certo un'adeguata formazione tecnica e professionale, ma è necessario soprattutto che coltiviate incessantemente in voi uno spirito di preghiera, di servizio e di fedele adesione agli insegnamenti di Cristo e della sua Chiesa".



Il testo integrale del Papa






Cari fratelli e sorelle, sono lieto di potervi incontrare nella sede del quotidiano "L'Osservatore Romano", dove ogni giorno voi svolgete il vostro lavoro, un lavoro prezioso e qualificato, al servizio della Santa Sede. Vi saluto tutti con affetto. Saluto il Direttore, prof. Giovanni Maria Vian, il Vicedirettore, i redattori e tutta la grande famiglia di questo giornale. Pochi giorni fa, il 1° luglio, "L'Osservatore Romano" ha raggiunto il notevole traguardo dei 150 anni di vita. Vorrei dirvi di vero cuore come si fa in casa: buon compleanno!

Questa ricorrenza suscita sentimenti di gratitudine e di legittima fierezza, ma, accanto alle commemorazioni particolari e solenni ho voluto venire anche qui, in mezzo a voi, per esprimere la mia riconoscenza a ciascuno di coloro che il giornale concretamente lo "fanno", con passione umana e cristiana e con professionalità. Da molto tempo ero realmente curioso di vedere come si fa oggi un giornale, dove nasce il giornale, e conoscere almeno per un momento le persone che fanno questo nostro giornale. Ho avuto adesso la gioia di scoprire il modo moderno, totalmente diverso da quello di cinquant'anni fa, in cui un giornale nasce. Esige molta più, diciamo, creatività umana che lavoro tecnico. E così questa "officina" è certamente dedicata al fare, ma prima, soprattutto, al conoscere, al pensare, al giudicare, al riflettere. Non è nemmeno solo una "officina": è soprattutto un grande osservatorio, come dice il nome. Osservatorio per vedere le realtà di questo mondo e informarci di queste realtà. Mi sembra che da questo osservatorio si vedano sia le cose lontane come quelle vicine. Lontane in un duplice senso: anzitutto lontane in tutte le parti del mondo, come sono le Filippine, l'Australia, l'America Latina; questo per me è uno dei grandi vantaggi dell'"Osservatore Romano", che offre realmente un'informazione universale, che realmente vede il mondo intero e non solo una parte. Per questo sono molto grato, perché normalmente nei giornali si danno informazioni, ma con una preponderanza del proprio mondo e ciò fa dimenticare molte altre parti della terra, che sono non meno importanti. Qui si vede qualcosa della coincidenza di Urbs et Orbis che è caratteristica della cattolicità e, in un certo senso, è anche una eredità romana: veramente vedere il mondo e non solo se stessi.

In secondo luogo, da questo osservatorio si vedono le cose lontane anche in un altro senso: "L'Osservatore" non rimane alla superficie degli avvenimenti, ma va alle radici. Oltre la superficie ci mostra le radici culturali e il fondo delle cose. È per me non solo un giornale, ma anche una rivista culturale. Ammiro come è possibile ogni giorno dare dei grandi contributi che ci aiutano a capire meglio l'essere umano, le radici da cui vengono le cose e come devono essere comprese, realizzate, trasformate. Ma questo giornale vede anche le cose vicine. Qualche volta è proprio difficile vedere vicino, il nostro piccolo mondo, che tuttavia è un mondo grande.

C'è un altro fenomeno che mi fa pensare e del quale sono grato, cioè che nessuno può informare su tutto. Anche i mezzi più universalistici, per così dire, non possono dire tutto: è impossibile. È sempre necessaria una scelta, un discernimento. E perciò è decisivo nella presentazione dei fatti il criterio di scelta: non c'è mai il fatto puro, c'è sempre anche una scelta che determina che cosa appare e che cosa non appare. E sappiamo bene che le scelte delle priorità oggi sono spesso, in molti organi dell'opinione pubblica, molto discutibili. E "L'Osservatore Romano", come ha detto il Direttore, nella sua testata si è dato da sempre due criteri: Unicuique suum e Non praevalebunt.

Questa è una sintesi caratteristica per la cultura del mondo occidentale. Da una parte, il grande diritto romano, il diritto naturale, la cultura naturale dell'uomo concretizzata nella cultura romana, con il suo diritto e il senso di giustizia; e dall'altra parte il Vangelo. Si potrebbe anche dire: con questi due criteri - quello del diritto naturale e quello del Vangelo - abbiamo come criterio la giustizia e, dall'altra parte, la speranza che viene dalla fede. Questi due criteri insieme - la giustizia che rispetta ognuno e la speranza che vede anche le cose negative nella luce di una bontà divina della quale siamo sicuri per la fede - aiutano ad offrire realmente un'informazione umana, umanistica, nel senso di un umanesimo che ha le sue radici nella bontà di Dio. E così non è solo informazione, ma realmente formazione culturale.

Per tutto questo vi sono grato. Di cuore imparto a tutti voi, ai vostri cari la Benedizione Apostolica.



Pope Benedict  XVI (L) is greeted as he arrives for a visit to the Osservatore Romano newspaper office in the Vatican July 5, 2011.

Pope Benedict XVI visits the Osservatore Romano newspaper office in the Vatican July 5, 2011.

[Modificato da Caterina63 05/07/2011 19:20]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La prima donna a firmare articoli su "L'Osservatore Romano"

Fumava il sigaro
e scriveva per il Papa

di SILVI GUIDI

Chissà se Guido Reni riuscirà a liberarsi dal vizio del gioco e Baldo, il suo allievo più giovane e fragile, capirà in tempo le trame di madonna Vittoria e di sua figlia Alberica, prima di restare intrappolato in un matrimonio infelice; le domande che oggi, a 144 anni di distanza, fanno scorrere in fretta le pagine digitali di un file di archivio alla ricerca delle puntate successive sono probabilmente le stesse che portavano i lettori, nel gennaio 1867, a cercare con gli occhi in fondo alla prima pagina de "L'Osservatore Romano" il titolo in grassetto della loro soap opera (ante litteram) preferita, Un episodio della vita di Guido Reni, di Antonietta Klitsche de la Grange.

Non sono poche le sorprese che riserva la lettura del nostro giornale di un secolo e mezzo fa; in mezzo a pubblicità di balsami, cosmetici e tinture per capelli, obbligazioni russe, calessi di seconda mano, navigazioni a vapore sul Nilo nell'Alto Egitto, lotterie organizzate per finanziare missioni e opere di carità, non mancano i romanzi d'appendice, che avevano lo scopo di attirare nuovi lettori e fidelizzarli - come si direbbe oggi - al periodico. Un genere considerato minore, quello del "fogliettone" (da qui il francese feuilleton) a fondo pagina, ma tenuto a battesimo dallo stesso Honoré de Balzac, che già dal 1831 lo ritenne un buon mezzo per creare l'attesa nel pubblico prima dell'uscita del libro completo in forma di volume. Grazie alla consuetudine di giornali e riviste di pubblicare racconti inediti a puntate sono nate opere come I miserabili di Victor Hugo, I misteri di Parigi di Eugène Sue, o I tre moschettieri di Alexandre Dumas padre.

Scorrendo i caratteri minuti - e a volte un po' traballanti - dell'"Osservatore" ottocentesco e la prosa spedita e vivace dell'autrice, emergono storie a tinte forti, in cui i cattivi sono senza pietà nell'attuare i loro piani malvagi e i buoni affrontano le vicessitudini della vita con fermezza, coraggio e spirito di sacrificio, "sublimi nel contento, energici nel dolore"; personaggi a due dimensioni, privi di reale valore artistico, che riescono però a catturare l'attenzione del lettore grazie alla solida architettura dell'intreccio narrativo.

Il sorriso di sufficienza del lettore contemporaneo di fronte all'ingenua prosa ottocentesca lascia il posto ben presto alla curiosità di sapere, semplicemente "come va a finire", se avrà la meglio la scaltra Alberica, un'arrampicatrice sociale senza scrupoli, o Stefania, la giovane e bellissima fidanzata di Baldo, sprovveduta al limite dell'ottusità, protetta dalle oscure trame della famiglia Tibaldi da Renzi, l'allievo più promettente di Guido Reni, da sempre innamorato della ragazza ma pronto a rinunciare a lei per non tradire l'amicizia del giovane collega che lui stesso, qualche anno prima, aveva introdotto nella bottega del maestro bolognese.

Dialoghi e scene d'azione sono arricchiti da lunghe descrizioni di scorci della Roma del Seicento e, in ossequio all'oraziano delectando docere, non mancano i riferimenti a quadri e opere d'arte che i lettori di metà Ottocento potevano vedere nelle chiese della loro città, corredati da precise indicazioni a piè di pagina. Il lessico datato e lo stile desueto non intaccano la capacità di "agganciare" il lettore e calamitarne a lungo l'attenzione; Antonietta Klitsche de la Grange sosteneva di scrivere di getto senza rileggere il testo ("dettava i suoi testi al primo alfabetizzato che gli capitava a tiro o buttava giù i pensieri come venivano, considerando la rilettura una specie di menomazione, un'ammissione di incapacità" conferma con una punta di ironia il pronipote Rodolfo Palieri) e in effetti i dialoghi mantengono spesso la vivacità del parlato.

Dalla sua penna uscirono una quarantina di romanzi, pubblicati a puntate su periodici come "L'amico delle famiglie" e "L'Arcadia" (su cui scrive con lo pseudonimo di Asteria Cidonia) e in seguito raccolti in volume dall'editore Vigoni.

Un episodio della vita di Guido Reni segnò l'inizio della collaborazione con "L'Osservatore Romano", il 2 gennaio 1867; la scrittrice continuerà ancora per molto tempo a inviare racconti a puntate, da Leone il muratore a Un romanzo fatale. Romanzesca è la stessa biografia di Antonietta, nipote di Maria Adelaide de la Grange e di Luigi Federico Cristiano di Hohenzollern (conosciuto dagli storici come Luigi Ferdinando) e figlia di Teodoro Klitsche de la Grange, giunto a Roma dopo la battaglia di Waterloo per prestare servizio sotto Pio IX e, in seguito, divenire comandante di brigata nelle truppe del re di Napoli.

Di Antonietta (che le cronache familiari descrivono come "un'alta valchiria bruna dai lineamenti marcati e dagli occhi scuri") si innamorò, corrisposto, lo zuavo pontificio Emanuel de Fournel, un ufficiale francese che, però, di lì a poco, sarebbe morto in combattimento a Viterbo, insieme al fratello. Da quel momento Antonietta si considerò "idealmente vedova, abbandonando per sempre ogni idea nuziale" e - aggiunge Palieri - "come George Sand, iniziò a fumare il sigaro" passando gran parte della sua vita "fra le miniere e i boschi della Tolfa" ad Allumiere, dove viveva il fratello Adolfo, geologo e archeologo.

"Visse nubile, scrisse molto, soffrì moltissimo, ora felice si riposa in Dio" si legge, in obbedienza alle sue ultime volontà, sulla sua tomba al cimitero del Verano.



(©L'Osservatore Romano 29 luglio 2011)

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Cento editoriali per un "unicum"

Quando scrive "L'Osservatore"


 

Il 19 dicembre viene presentato all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede il libro Uno sguardo cattolico. 100 editoriali dell'Osservatore Romano (2007-2011), Milano, Vita e Pensiero, 2011, pagine XVI + 270, euro 16. Intervengono l'arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, la giornalista Ritanna Armeni, Paolo Mieli, presidente di Rcs Libri, padre Ugo Sartorio, direttore del "Messaggero di sant'Antonio", e Giulio Terzi di Sant'Agata, ministro degli Esteri italiano. Pubblichiamo stralci dell'introduzione al volume scritta dal direttore del nostro giornale.

Aveva ragione Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, quando per definire "L'Osservatore Romano" - in un articolo memorabile e lievemente ironico scritto nel 1961 per il suo centenario - scelse due superlativi: difficilissimo e singolarissimo. Gli aggettivi riflettono infatti la fisionomia particolare del giornale della Santa Sede: non soltanto nella realizzazione quotidiana e nel ruolo davvero unico, ma anche nell'immagine pubblica. Che è quella di una testata tra le più note e influenti al mondo, ma nello stesso tempo anche tra le meno diffuse e conosciute nella sua effettiva realtà.

Il quotidiano costituisce un unicum proprio per il fatto di affiancare un'istituzione religiosa universale, la Chiesa di Roma, con l'ambizione di guardare alla realtà mondiale che è il teatro della vita cristiana oggi. Un giornale, dunque, che non è facile spiegare, a causa di luoghi comuni molto radicati. Nell'immaginario collettivo, anche cattolico, è infatti molto spesso considerato una specie di bollettino ufficiale, o comunque un plumbeo foglio del tutto prevedibile. Insomma, quasi una "Pravda" vaticana, magari scritta in latino perché organo della Curia romana e che per questo si può tranquillamente fare a meno di leggere.

La storia dell'"Osservatore" e la sua attualità sono però ben diverse. Non è molto noto infatti che nel 1861 il quotidiano nacque per iniziativa e con finanziamenti di privati, sia pure appoggiati dal governo di Pio IX, per difendere e spiegare le ragioni del papato, con chiarezza sì ma insieme con moderazione. Ricorrendo ad argomenti da tutti comprensibili e fondandosi sulla fede cristiana, in un "giornale quotidiano politico religioso" che mai è stato, se non parzialmente, organo ufficiale della Santa Sede. Dal 1862 la testata si presenta con due motti, uno per così dire laico e l'altro religioso: Unicuique suum ("A ciascuno il suo", trasparente formulazione del diritto romano) e Non praevalebunt ("Non prevarranno", secondo l'assicurazione evangelica che le forze del male non avranno l'ultima parola).
Poco noto poi è il fatto che laici sono sempre stati i suoi direttori e che la presenza di ecclesiastici è sempre stata piuttosto ridotta, sia pure con firme talvolta eccellenti. Ancora meno noto è che solo dopo il 1885 la Santa Sede ne acquisì direttamente la proprietà, anche per porre fine alla deriva oltranzista del giornale, critico persino di alcune posizioni di Leone XIII, ritenute troppo liberali. E fu molto più tardi, nel 1929, dopo la costituzione del minuscolo Stato vaticano, che "L'Osservatore Romano" entrò nelle sue mura, garantendosi così un'indipendenza anche formale. Da allora l'autorevolezza del quotidiano, già accreditatosi per la linea di sobria imparzialità tenuta soprattutto durante la prima guerra mondiale, s'accrebbe, e questo perché senza alcun dubbio seppe mantenersi libero e critico di fronte ai totalitarismi, davanti alle leggi eugeniste e alle persecuzioni razziali, nelle tenebre del conflitto mondiale. In un momento storico in cui tutto e tutti sembravano piegarsi al fascino e alla prepotenza delle culture che avevano dato origine ai regimi totalitari, la Chiesa di Roma utilizzò il suo giornale come strumento per chiarire le distanze e le condanne, per segnalare pubblicamente la propria diversità.

Furono così gli anni Trenta e Quaranta la stagione più gloriosa del giornale, non a caso avviata durante la vivace temperie impressa anche all'informazione della Santa Sede dal pontificato di Pio XI, ben consapevole dell'importanza della stampa e della radio, al tempo della propaganda totalitaria: al 1931 risalgono infatti le prime trasmissioni dell'emittente vaticana, il cui progetto era stato affidato con preveggenza da Papa Ratti a Marconi già sei anni prima. E in Italia, nel dibattito all'Assemblea Costituente, anche da parte laica venne riconosciuta con gratitudine l'importante funzione svolta dal quotidiano vaticano, sottratto alla soffocante cappa imposta dal fascismo, "quando - ricordò Montini - la stampa italiana era imbavagliata da una spietata censura e imbevuta di materiale artefatto". Venne poi la guerra fredda, con le persecuzioni spietate dei cattolici nei Paesi comunisti non solo europei e l'affermarsi di durissime contrapposizioni politiche. Nemmeno allora mancò di farsi sentire con vigore il giornale, ormai riconosciuto tra le grandi testate internazionali.
A smentire i luoghi comuni che immaginano questo quotidiano come un paludato bollettino ufficiale della Curia romana sta, come si è accennato, la sua storia. "L'Osservatore" ha certo avuto sin dall'inizio, e ovviamente mantiene, caratteristiche del tutto speciali. Unico giornale vaticano non a torto viene considerato espressione autorevole della Santa Sede. Anche se lo stesso Montini sottolineava che si tratta di una realtà "delicata e complessa, per il fatto che i lembi della sacra stola arrivano spesso al di là dei confini ufficiali; o si crede che arrivino; e allora sorge, ad ogni passo, la questione, o il dubbio sul peso da dare alle notizie e agli articoli dell'illustre e venerabile quotidiano".
Su questa singolarità si fonda l'importanza del quotidiano, che non gli deriva ovviamente dalle dimensioni - piccolo agli occhi del mondo lo ha definito senza reticenze, proprio nel giorno del centocinquantesimo anniversario, il segretario di Stato di Benedetto XVI, il cardinale Tarcisio Bertone - né dalla diffusione, peraltro molto aumentata soprattutto grazie alla presenza in Rete e ad alcuni abbinamenti (in Spagna, Italia, Portogallo), ma che da sempre rappresenta il punctum dolens. Il quotidiano interessa dunque in primo luogo per il punto di vista unico che costituisce e rappresenta, ma anche per la larga apertura alle questioni internazionali, che segue con logiche diverse da quelle degli altri media, spesso grazie a fonti privilegiate o addirittura uniche.

Nel centocinquantesimo anniversario del giornale (che uscì per la prima volta con la data del 1° luglio 1861), questa scelta di cento editoriali pubblicati negli ultimi quattro anni - da quando, cioè, con il numero del 28 ottobre 2007 ha avuto inizio l'attuale rinnovamento del quotidiano - ha un solo scopo: presentare "L'Osservatore Romano" e il suo sguardo cattolico, espressione cara a Romano Guardini.
Poco dopo il centenario del quotidiano, fu Montini - nel 1963 divenuto Papa con il nome di Paolo VI - ad avviarne un primo rinnovamento, in qualche modo invocato da un celebre romanzo d'ambiente vaticano di Morris West. Proprio in quell'anno apparve infatti The Shoes of the Fisherman, che un quindicennio prima dell'inizio del pontificato di Giovanni Paolo II racconta la storia dell'elezione di un Papa slavo, Kiril I: "Appena possibile bisogna che io mi occupi dell'Osservatore: se la mia voce dev'essere udita nel mondo, è bene che gli giunga nei suoi toni autentici", scrive in un memoriale il nuovo Pontefice, appena liberato dalla prigionia sovietica ed evidentemente non tanto soddisfatto del suo quotidiano, sul quale dimostra però di avere idee piuttosto chiare.

E se sul giornale il romanzo non aggiunge altro, nel mezzo secolo trascorso da quella efficace annotazione "L'Osservatore Romano", che resta difficilissimo e singolarissimo, si è forse avvicinato al desiderio di quel Papa, immaginario ma non così tanto.



(©L'Osservatore Romano 19-20 dicembre 2011)

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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24/10/2012 23:53
 
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[SM=g1740758] Bui-Chu, Vietnam del Nord. Un soldato comunista penetrò nel Carmelo per una ispezione. Mentre si trovava nella cappella, una suora gli disse: "In questo luogo risiede il buon Dio che bisogna trattare con rispetto".

- "Dov'è il vostro Dio? chiese il soldato".

- "Là, rispose la religiosa indicando il tabernacolo".

Il soldato imbracciò il fucile e sparò sul tabernacolo.
Una pallottola attraversò il ciborio e disperse le ostie.
Ma il soldato restò immobile a terra con il fucile imbracciato, senza poter fare il minimo movimento e con gli occhi sbarrati.
Una paralisi totale l'aveva trasformato in un blocco inanimato, davanti all'altare che aveva profanato.

("L'Osservatore Romano", 16/12/1954).




[SM=g1740771]

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02/04/2013 22:13
 
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[SM=g1740733]Con l'articolo che segue chiediamo all'Osservatore Romano più PRUDENZA.... più attenzione a certi articoli perchè, una volta pubblicati, non è più sufficiente la voce di Padre Lombardi come smentita.....
Vorremmo leggere sul "giornale del Papa" articoli che non confondono le idee, e non offuscano la dottrina della Chiesa.... Grazie!!


Quanti grilli per la testa, professor Becchi

Postato in General il 2 aprile, 2013

becchi

Il professor Paolo Becchi è ormai lo scienziato politico numero uno di Beppe Grillo e del movimento 5 stelle. È sua l’idea bizzarra che l’attuale parlamento può funzionare anche senza un governo nuovo, perché basta e avanza il vecchio, in regime di perenne “prorogatio”.

Ma pochi ricordano che Becchi, professore di filosofia del diritto all’università di Genova, ha avuto cinque anni fa un altro momento di gloria.

Da tutt’altre parti e su tutt’altri argomenti.

Nel 2008 pubblicò un libretto presso l’editrice Morcelliana di Brescia, “Morte cerebrale e trapianto di organi”, che sarebbe passato inosservato se Lucetta Scaraffia non l’avesse rilanciato con grande enfasi in un editoriale sulla prima pagina de “L’Osservatore Romano” del 3 settembre.

In Vaticano fu un terremoto. Perché la tesi di Becchi, condivisa da Scaraffia, faceva a pezzi la convenzione di Harvard del 1968 che individua il segno dell’avvenuta morte non nell’arresto cardiaco ma nell’encefalogramma piatto e quindi legittima i prelievi di organi quando il cuore del donatore ancora batte.

Anche la Santa Sede, come la quasi totalità dei paesi del mondo, era ed è a favore della convenzione di Harvard e della pratica che ne consegue. Dovette quindi intervenire padre Federico Lombardi per precisare che l’articolo di Scaraffia “non è un atto del magistero della Chiesa né un documento di un organo pontificio” e che le riflessioni ivi formulate “sono ascrivibili all’autrice del testo e non impegnano la Santa Sede”.

Ma la controversia non si spense affatto. Già nel 2005, quando in un convegno a porte chiuse della Pontificia Accademia delle Scienze un buon numero di esperti aveva contestato come priva di attendibilità scientifica la convenzione di Harvard, le autorità vaticane erano corse ai ripari non pubblicando gli atti del convegno.

Ma provvide l’editore Rubbettino a stamparli, in italiano e in inglese. Dalla lettura degli atti si poteva vedere che contro la convenzione di Harvard c’erano anche due studiosi molto apprezzati da papa Joseph Ratzinger, i professori Joseph Seifert e Robert Spaemann, oltre a Becchi che al convegno non aveva partecipato ma scrisse il suo contributo al libro, curato da Roberto de Mattei.

E come non bastasse, nel febbraio del 2009, pochi mesi dopo l’articolo di Lucetta Scaraffia, diversi studiosi contrari alla convenzione di Harvard, tra i quali Becchi e de Mattei, tornarono a prendere la parola in un congresso internazionale nell’Hotel Columbus, a pochi passi da piazza San Pietro, alla presenza di cardinali, dirigenti di curia e membri delle accademie pontificie.

Ma a questo congresso “L’Osservatore Romano” non dedicò neppure una riga.



[SM=g1740771]


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28/02/2014 17:39
 
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