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800 nuovi Santi in un giorno solo: i Martiri di Otranto che salvarono l'Italia

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2013 23:43
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12/05/2013 23:36
 
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[SM=g1740758] 3. Roma “salvata” da Otranto

Il sacrificio di Otranto non è importante soltanto sul piano della fede. Le due settimane di resistenza della città consentono all’esercito del Re di Napoli di organizzarsi e di avvicinarsi a quei luoghi, così impedendo ai 18 mila ottomani di dilagare per la Puglia.

I cronisti dell’epoca non esagerano nell’affermare che la salvezza dell’Italia Meridionale fu garantita da Otranto: e non solo quella, se è vero che la notizia della presa della città inizialmente aveva indotto il Pontefice allora regnante, Sisto IV (1414-1484), a programmare il trasferimento ad Avignone (Pastor), nel timore che gli ottomani si avvicinassero a Roma. Il Papa recede dall’intento quando il Re Ferrante incarica il figlio Alfonso, duca di Calabria, di trasferirsi in Puglia, e gli affida il compito di riconquistare Otranto: il che accade il 13 settembre 1481, dopo che Agomath era tornato in Turchia e Maometto II era morto.


Ciò che rende questo straordinario episodio pieno di significato, anche per l’europeo di oggi, è che nella storia della cristianità non sono mai mancate testimonianze di fede e di valori civili, né sono mai mancati gruppi di uomini che hanno affrontato con coraggio prove estreme. Mai però è accaduto un episodio di proporzioni così vaste: un’intera città dapprima combatte come può, e tiene testa per più giorni all’assedio; poi risponde con fermezza alla proposta di abiura. [SM=g1740733]
Sul Colle della Minerva, al di fuori del vecchio Primaldo, non emerge alcuna individualità, se è vero che degli altri martiri non si conosce il nome, a riprova del fatto che non sono pochi eroi, bensì è una popolazione intera che affronta la prova.

Il tutto succede anche per l’indifferenza dei responsabili politici dell’Europa dell’epoca di fronte alla minaccia ottomana.
Nel 1459 il papa Pio II (1405-1464) aveva convocato a Mantova un congresso, al quale aveva invitato i capi degli stati cristiani, e nel discorso introduttivo aveva delineato le loro colpe di fronte all’avanzata turca; benché nella circostanza venga decisa la guerra per contenere quest’ultima, poi non segue nulla, a causa dell’opposizione di Venezia e della non curanza della Germania e della Francia. Dopo che i musulmani conquistano l’isola di Negroponte, appartenente a Venezia, una nuova alleanza contro gli ottomani, proposta da Papa Paolo II (1464-1471), viene fatta arenare dai milanesi e dai fiorentini, pronti ad approfittare della situazione critica nella quale si trova la Serenissima.
Il decennio successivo, con Sisto IV che diventa Pontefice nel 1471, fa assistere all’omicidio di Galeazzo Sforza, duca di Milano, all’alleanza antiromana del 1474 fra Milano, Venezia e Firenze, alla Congiura dei Pazzi del 1478, e alla guerra che ne segue, fra il Papa e il re di Napoli da una parte, e dall’altra Firenze, aiutata da Milano, da Venezia e dalla Francia.
«Lorenzo il Magnifico, che aveva ammonito Ferrante di non prestarsi al gioco ed alle aspirazioni degli stranieri, fu proprio lui a sollecitare Venezia perché si accordasse con i turchi e li spingesse ad assalire le sponde adriatiche del Regno di Napoli, al fine di turbare i disegni di Ferdinando e del figlio. (...) La Serenissima, firmata da poco la pace con i turchi (1479), aderì al disegno del Magnifico nella speranza di riversare sulla Puglia l’orda musulmana che da un momento all’altro poteva abbattersi sulla Dalmazia, dove sventolava il vessillo di san Marco. (...) E gli uomini di Lorenzo il Magnifico non esitarono neppure (...) a sollecitare Maometto II a invadere le terre del re di Napoli, ricordandogli i vari torti subiti da questi. Ma il sultano non aveva bisogno di questi consigli: da 21 anni attendeva il momento buono per sbarcare in Italia, e sin allora era stata proprio Venezia, la diretta avversaria sul mare, ad impedirglielo” (Pastor).

4. La “naturalezza” del sacrificio di Otranto

Se la storia non è mai identica a sé stessa, tuttavia non è arbitrario cogliere dai suoi sviluppi analogie e similitudini: esattamente mille anni dopo il 480, anno della nascita di San Benedetto da Norcia, un umile monaco alla cui opera l’Europa deve tanto della sua identità, altri umili interpretano l’Europa meglio e più dei loro capi, pronti a combattersi reciprocamente piuttosto che a fronteggiare il nemico comune.
Quando gli idruntini si trovano di fronte alle scimitarre ottomane, non invocano la distrazione dei re per motivare un proprio disimpegno; forti della cultura nella quale sono cresciuti, pur se la gran parte di loro non ha mai conosciuto l’alfabeto, sono convinti che resistere e non abiurare costituisca la scelta più ovvia, quella in qualche modo naturale.
Si provi a parlare oggi con un nostro connazionale che è tornato dall’Iraq o che torna dall’Afghanistan, dopo aver completato il periodo di missione: ciò che si coglie con maggiore frequenza è la meraviglia per le discussioni e per i contrasti infiniti sulla nostra presenza in quegli scenari. Per loro è naturale che si vada ad aiutare chi ha necessità di sostegno e che si garantisca la sicurezza della ricostruzione contro gli attacchi terroristici.

A Otranto cinque secoli fa nessuno ha esposto drappi arcobaleno, né ha invocato risoluzioni internazionali, o ha chiesto la convocazione del consiglio comunale perché la zona fosse dichiarata demilitarizzata: non esistendo ancora i comboniani, oggi spesso immemori del genuino spirito del loro fondatore, nessuno si è incatenato sotto le mura per “costruire la pace”. Per due settimane 15 mila pacifici idruntini hanno bollito olio e acqua, finché ne hanno avuto, e li hanno rovesciati dalle mura sugli assedianti. Quando sono rimasti in vita soltanto 800 uomini adulti e sono stati catturati, hanno fatto volontariamente la fine che oggi fanno in Iraq e in Afghanistan gli americani, gli inglesi, i pachistani, gli iracheni, gli italiani, e altri ancora, quando vengono sequestrati dai terroristi: ottocento teste sono state tagliate una per una, senza che all’epoca cronisti politically correct ne abbiano censurato i dettagli; se oggi conosciamo bene questa straordinaria vicenda, è perché chi l’ha descritta è stato preciso e rigoroso.

Oggi l’Europa è attaccata non - come nell’episodio storico richiamato - da una realtà islamica istituzionalmente organizzata, bensì dall’equivalente di più organizzazioni non governative di ultrafondamentalisti islamici. Tenuta presente questa differenza strutturale, non è fuori luogo chiedersi quanto c’è oggi in Occidente, in Europa, e in Italia, di quella “naturalezza” che ha portato una intera comunità “a difendere la pace della propria terra” fino al sacrificio estremo.
Il quesito non è fuori luogo, se si riflette che nella lotta al terrorismo un elemento realmente decisivo è la tenuta del corpo sociale, o comunque di gran parte di esso, di fronte alla minaccia e ai modi più efferati di concretizzazione della stessa.
È ovvio che la memoria di Otranto non vale soltanto a sottolineare che vi sono momenti in cui resistere è un dovere, ma prima ancora a ricordare a noi stessi chi siamo e da quali comunità discendiamo.

Vale la pena di ricordare che nel 1571, novant’anni dopo il martirio di Otranto, una flotta di stati cristiani ferma finalmente la minaccia turco-islamica nel Mediterraneo al largo di Lepanto.
Lo scenario europeo non era migliorato: la Francia faceva lega con i principati protestanti per contrapporsi agli Asburgo e si compiaceva della pressione che i turchi esercitavano contro l’Impero nel Mediterraneo; Parigi e Venezia non avevano mosso un dito per difendere i cavalieri di Malta nell’assedio condotto contro di loro da Solimano il Magnifico.
Questo vuol dire che la vittoria di Lepanto non è stata il frutto della convergenza di interessi politici; al contrario, il trionfo - tale è stato - si è realizzato nonostante le divergenze. La straordinarietà di Lepanto sta nel fatto che, nonostante tutto, per una volta príncipi, politici e comandanti militari hanno saputo accantonare le divisioni e unirsi per difendere l’Europa.
Questa unione si è certamente realizzata per l’impegno di uomini che non hanno disdegnato il nobile esercizio della leadership - come si dice oggi -, ma soprattutto perché la politica europea del XVI secolo aveva ancora un residuo di visione del mondo sostanzialmente comune, fondata sul rispetto del cristianesimo e del diritto naturale.
E se oggi tante testoline allegramente agnostiche girano liberamente, senza essere costrette ad avvolgersi nei burqa, accade anche perché qualcuno a suo tempo ha speso tempo, energie, e anche la propria vita, per la buona causa, dal momento che la vittoria degli altri avrebbe fatto cadere in mani musulmane l’Italia, e forse anche la Spagna.

[SM=g1740771]  continua....


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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