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"Le origini apostolico-patristiche della Messa tridentina" di Suor Maria Francesca Perillo F.I.

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2014 19:30
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12/05/2014 19:30
 
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martedì 29 aprile 2014

Dopo San Pio V, il messale in latino ha un altro Santo "protettore": Giovanni XXIII. Avallato il Messale in latino usato dai Tradizionalisti e liberalizzato da Benedetto XVI

 
Dopo San Pio V, che il 14 luglio del 1570 promulgò la nuova edizione del Messale Romano (riformata in ossequio ai dettami del Concilio Ecumenico di Trento), ora i fedeli "tradizionalisti" che seguono la messa in latino secondo la forma straordinaria del Rito Romano hanno un nuovo santo dalla loro: Giovanni XXIII canonizzato da Papa Francesco la scorsa domenica 27 aprile 2014 insieme con Giovanni Paolo II.
 E' infatti il Messale Romano nell'edizione del 1962, secondo le modifiche volute proprio da Papa Roncalli, quello che viene attualmente (ri)usato, dal 2007, in tutta la Chiesa Universale, grazie e a seguito della liberalizzazione e e riabilitazione decretatane dalla legge universale di Benedetto XVI, il Motu Proprio "Summorum Pontificum"  del 7 luglio 2007 che all'art. 1  così sancisce e asserisce: "Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa."
 Noi non possiamo che esserne orgogliosi e rassicurati! Ulteriore conferma (se mai necessaria) della liceità e legittimità del messale "antico" è stata impressa domenica con il sigillo della canonizzazione di colui che lo volle e lo promulgò solennemente nel 1962 "cura recognitum". 
Ecco il testo dell'articolo.
Roberto
 
 
ps. Grazie all'Amico Luigi. Lui sa perchè. 




*
 
«Papa buono» per modo di dire
 
Quel Giovanni XXIII che piace ai tradizionalisti
 
I devoti della messa in latino in prima fila per la canonizzazione di Angelo Roncalli: 
«Era un conservatore»

di A. Morigi, da Libero del 26.04.2014, p. 12
 



 
Si è ricreduto anche chi, sulla figura di Giovanni XXIII, si era costruito l’immagine del «Papa buono quindi progressista».A ripercorrere la biografia e gli scritti di sant’Angelo Roncalli, c’è chi ora lo proclama «erede di una visione ipertradizionale della fede che custodirà fino alla morte». È Jean Mercier, editorialista del settimanale cattolico La Vie, l’equivalente francese di Famiglia Cristiana, a scrivere sul numero del 22 aprile scorso che «il suo modello era addirittura Pio X, noto per la sua virulenza antimodernista. Nel suoGiornale dell’anima Roncalli si confida secondo i valori del Concilio di Trento, esaltando le mortificazioni e i sacrifici. Ci si può divertire a immaginare le sue reazioni se avesse conosciuto le contestazioni dell’autorità all’interno della Chiesa dopo il 1968 oppure alcuni esperimenti d’avanguardia degli anni ’70 in materia catechetica o liturgica».
 
In realtà sul suo Diario, il 2 dicembre 1951, quando era nunzio in Francia, monsignor Roncalli aveva già annotato il proprio scandalo per le sciatte innovazioni sull’altare: «Assistetti alla Messa a S. Severino [Parigi]. Presi freddo e mi nocque. Musica assai migliorata ma la Messa face au peuple una contraddizione grave alle leggi liturgiche. Tutto il Canone pronunciato a voce alta e non in secreto come prescrive il Messale […] Avvertii in debito modo il parroco Connan della gravità di questo abuso e credo che sarà arrestato. Oh! Che pena con queste teste ardenti e un po’ bislacche».
 
Non avrebbe mai cambiato idea fino alla fine. Lo testimonia la sua costituzione apostolica del 1962 Veterum sapientia, nella quale esalta,contro chi la contesta, «l’antica e mai interrotta consuetudine della lingua latina» disponendo l’istituzione di un’Accademia per il suo studio e la sua diffusione. Tanto che anche i più sensibili al richiamo della tradizione cattolica,ora lo ricordano come «il Papa il cui nome vediamo ogni domenica quando apriamo il messale. Uno dei tanti Papi santi, come Gregorio Magno, Gregorio VII, Pio V e Pio X, che hanno dato continuità alla forma liturgica». Quella che comunemente viene detta «messa in latino», è celebrata infatti secondo i canoni stabiliti da Giovanni XXIII, ricorda Guillaume Ferluc, un quarantenne francese, nato dopo la riforma liturgica,segretario del Coetus Internationalis Summorum Pontificum, l’associazione che ogni anno promuove un pellegrinaggio a Roma dei fedeli e sacerdoti legati al motu proprio di Benedetto XVI che ha consentito la celebrazione della messa in latino. Il suo auspicio è che la prossima canonizzazione sgombri il campo dagli equivoci,«anche se sappiamo che, così come Papa Benedetto XVI aveva spiegato che un certo post-Concilio aveva tradito il Concilio, c’è stata anche una lettura distorta di Papa Giovanni. In realtà fu lui a celebrare il settantesimo anniversario della Rerum Novarum con la Mater et Magistra. In effetti la dottrina sociale della Chiesa è sempre stata sviluppata dai Papi poi considerati più reazionari. Così succederà probabilmente anche con Papa Francesco».
 
Quanto a Papa Roncalli, semmai, con la sua prima enciclica AdPetri cathedram, aveva riaffermato il primato petrino anche in campo liturgico. Tanto che può sembrare che nel 1959 avesse voluto correggere le abbreviazioni e le riduzioni introdotte sotto il suo predecessore Pio XII nella liturgia della Settimana Santa. In ogni caso, non «lo si può ridurre al suo ultimo anno di pontificato,né alle conseguenze del Concilio, che lui ha aperto senza peraltro averlo chiuso»,commenta Ferluc.
 
E non si può attribuire nemmeno, al Papa che indisse il Concilio, l’ambiguità del termine «aggiornamento». Fra tutti i possibili significati, avverte don Pietro Cantoni, moderatore della Fraternità San Filippo Neri, «va eliminato con certezza quello di adattamento alla mentalità del tempo, nel senso soprattutto di una superficiale attenuazione del radicalismo cristiano».
 
Del resto Giovanni XXIII stesso, in un testo immediatamente vicino al programmatico discorso di apertura del Concilio, si rivolge ai direttori spirituali dei seminari ricevuti in udienza il 9 settembre 1962, e raccomanda loro «di avviare i giovani a conoscere il mondo, nel quale sono chiamati a vivere e ad operare, insegnando a santificare tutto ciò che il progresso offre di buono, di sano e di bello. Ma ciò non vuol dire accettare compromessi con lo spirito secolare, e tanto meno attenuare l’importanza della mortificazione e della rinuncia. Un malinteso aggiornamento che si preoccupasse solo di raddolcire la vita seminaristica, o di blandire troppo la natura, creerebbe una personalità antitetica a quella di Gesù Sacerdote e Vittima». In fondo, conclude don Cantoni, «il significato più profondo del termine “aggiornamento”, inteso come una funzione - la principale e radicale -del Magistero, è “rendere presente”; da porre in connessione, analogicamente, all’azione sacramentale che rende presente l’azione salvifica di Cristo e, nel suo culmine eucaristico, laPersona stessa del Salvatore».






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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