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Il Catechismo detto "di san Bellarmino" ossia dal Concilio di Trento

Ultimo Aggiornamento: 02/06/2013 16:51
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02/06/2013 16:36
 
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ANTICHITÀ DELLA CHIESA CATTOLICA

 

 

     Nel santo battesimo, ottimi uditori, abbiamo ricevuto la fede e la religione. La Chiesa cattolica ce le ha insegnate; e fino a questo dì le abbiamo professate. Due cose sopratutto giovano a conservarle, cioè: in primo luogo, il lume interno della fede, che è stato diffuso nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato: e in secondo luogo certi argomenti esterni. Se diligentemente esamineremo e considereremo e pondereremo anche i secondi, non poco di luce ci apporteranno ad illustrare la verità della nostra fede. Del lume della fede, della forza che ha, della gran cura e sollecitudine, con cui bisogna conservarla ci siamo occupati nel discorso passato. Qui non è il caso di ripetere il già detto. Ora sono da proporre e spiegare gli argomenti esterni. con questi armeremo il cattolico, amante della sua salvezza, contro i presenti e i futuri nemici della religione cristiana: e lo stabiliremo sopra quella salda pietra, su cui si trova già collocato per la grazia di Dio. Così non potrà essere smosso da nessuna violenza, da nessun urto di quei venti, che spirano continuamente da Aquilone, eccitati come sono dagli spiriti dell'errore e della seduzione.

     La radice e quasi fonte degli argomenti esterni è l'eccellenza e superiorità della nostra legge. Questa abbraccia molte cose, e per esse senza dubbio è superiore a tutte le sette e le superstizioni dei pagani e degli eretici. Esse sono: l'antichità, l'ampiezza, la saldezza, la verità, il lume profetico, lo splendore dei miracoli, la bontà della vita ed altre cose, che abbiamo enumerate nel discorso precedente. Oggi c'intratterremo solo intorno al primo argomento, cioè intorno alla antichità. Gli altri avranno il loro luogo nei discorsi seguenti.

     Anzi tutto la nostra legge è antichissima; sia che si voglia considerare la Scrittura, nella quale essa è contenuta sia la religione stessa. Come Dio è prima del diavolo, il bene prima del male e la verità prima della bugia; così la Scrittura di Dio, e la città e la religione di Dio sono del tutto prima della scrittura, della città e della superstizione del diavolo. Questo dimostrano ad evidenza Sant'Agostino e Tertulliano. I libri che scrisse il nostro Mosè, vincono di molti secoli non solo i libri dei gentili, ma anche gli stessi loro dèi, e gli oracoli e i templi. Quanto a tutti i filosofi dei Greci, essi non furono in alcun modo più antichi dei nostri profeti: ma solo parte contemporanei, parte posteriori. Orfeo, Museo, Lino, primi inventori delle favole greche, furono sì prima dei nostri profeti, ma non prima di Mosè (Aug. l. 18. de civ. c. 37. Tertull. Apol. c. 19). Dunque la superstizione dei Greci è senza alcun dubbio più recente della nostra religione. E' vero che si trova prima di Mosè una qualche sapienza, che è detta sapienza degli Egiziani. Altrimenti non direbbe Santo Stefano negli Atti degli apostoli, che Mosè fu istruito in tutta la sapienza degli Egiziani (At. 7). Ma i sapienti Egiziani vissero forse prima dei nostri patriarchi? Non attinsero anzi tutta la sapienza da essi, quando quelli venivano nella loro terra? Iside insegnò le lettere agli Egiziani. Ma non si conta che essa (Iside) nacque al tempo dei nipoti di Abramo? Che dire di Enoch, che fu settimo dopo Adamo? Era membro della nostra Chiesa, e profetò dei nostri tempi. Così lasciò scritto S. Giuda apostolo nella sua lettera canonica.

     Ma tralasciamo queste notizie troppo antiche, e non tanto necessarie al tempo presente. Consideriamo la Chiesa non dal principio del mondo, ma dal tempo, in cui il Salvatore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, cominciò a riunire quelli che erano dispersi. Certo la religione cristiana cominciò nella Palestina non ieri, né l'altro ieri, ma millecinquecentosettanta anni fa da Cristo, figlio di Dio e della Vergine Maria: poi fu seminata e propagata per tutto il mondo fino all'estremo della terra. Così avevano predetto i profeti. «Da Sionne verrà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore» (Is 2, 3). «Piccola cosa è, che tu mi presti servigio a risuscitare le tribù di Giacobbe, e a convertire la feccia d'Israele. Io ti ho costituito luce delle genti, affinché tu sia la salute data da me fino agli ultimi confini del mondo (Is. 49, 6).

     Ora chi non sa, che tutte le eresie sono posteriori? Certo gli Ariani non furono prima di Ario, né i Macedoniani prima di Macedonio, né i Nestoriani prima di Nestorio, né i Pelagiani prima di Pelagio, né i Maomettani prima di Maometto, né i Luterani prima di Lutero. Ma chi ignora, che tutti costoro sono venuti su dopo il 300, a il 400, o il 500, a il 1500 dalla venuta di Gesù Cristo in qua? Non è egli un grande argomento della verità, il poter noi far vedere l'origine di ciascuna eresia, così da nominarne l'autore, fissarne l'anno, designare il luogo, far conoscere la causa, o meglio l'occasione delle nuove dottrine? E per venire ad un particolare in Lutero, chi non sa che la setta, o anzi le sette di quelli, che si dicono Luterani, risalgono come a loro  prima autore a Lutero, già monaco agostiniano, nell'anno 1517 dal parto della Vergine, a Vittemberga, città della Sassonia, nella occasione delle indulgenze concesse dal pontefice Leone X? Prima di quell'anno non s'era udito mai neppure per sogno il nome dei Luterani: né Lutero stesso era allora Luterano: anzi si professava nella Chiesa cattolica sacerdote e dottore e manico e figlio ubbidiente del Ramano Pontefice. Poi, da principio, quando si separò dalla Chiesa Romana, non trovò assolutamente nessuna della sua setta, ma, come parla S. Cipriano, «egli per prima, senza succedere ad un altro, cominciò da sé stesso e diè principio a congregare un nuovo ceto di persone». Infatti vi erano al tempo di Lutero varie e moltissime sette, come per esempio quelle dei Giudei, dei pagani, dei Greci, dei Giacobiti, degli Armeni, dei Valdesi e dei Boemi ossia Ussiti, oltre alla vera e cattolica religione, la Romana.

     Ma è certo, e n'è testimonio lo stesso Lutero, che a Lui non piacque nessuna di quelle sette, che esistevano allora, e che si staccò dalla Chiesa Romana di sua volontà. Che resta dunque, se non che fondò egli una nuova eresia? E se non è così, ne mostri l'origine più antica, conti i suoi predecessori, noti i luoghi  e i tempi, dove e quando sussistettero. Sicuramente, se pur egli non avrà trovato maestri e sacerdoti capi della sua setta in qualche ripostissimo guardaraba, ed ivi li avrà tenuti sempre chiusi; non possiamo supporre, che qualcuno lo abbia preceduto in quella eresia.

    Dirà forse, che egli non ne ha trovato nessuno: ma che non per questo egli abbia incominciato una nuova religione: ma che anzi ha rimesso in vigore l'antica, che fioriva al tempo di Cristo e degli Apostoli. Sennonché è più chiaro della luce del sole, che nessuno ha mai più apertamente combattuto contro le dottrine di Cristo e degli apostoli. Od era forse estinta, sicché Lutero la dovesse richiamare per così dire dall'inferno? E se così è, dov'è quell'«Ecco che io sono con voi fino alla consumazione dei secoli?» (Mt. 28, 20). Dove quel «Sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa?; e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa?» (Mt. 16, 18) Dove quell'«Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno?» (Luc. 22, 32). Dove Quel «il suo regno non avrà fine?» (Lc. l, 33). Dove quel di S. Cipriano «alla Chiesa Romana non può aver accesso la mala fede?» (Cipr. lib. l, epist. 5). E quel di S. Girolamo «che la fede Romana non ammette imposture: e che sebbene un angelo annunziasse diversamente da quello che fu predicato, non si potrebbe cambiare, secondo l'autorità dell'apostolo Paolo?» (Hierom Apol, contro Ruffin.). E quel di S. Bernardo «giudico», che sia ben degno di nota, come ivi «principalmente»; cioè nella Chiesa Romana, «si riparano i danni della fede, mentre in essa Chiesa la fede non può venir meno?» (Bern. ep. 190 ad Inn.). E se la Religione di Cristo non era perita, come realmente non era perita; dove si trovava prima che sorgesse Lutero? Forse presso i Giudei od i Maomettani? O presso gli Armeni e i Greci? O presso i Valdesi e gli Ussiti? Ma presso codesti mostruosi portenti non si trovava, come giudica perfino Lutero. Che resta dunque, se non che la vera fede e la Religione di Cristo continuò a durare nella Chiesa Romana, che è quella sola che ma rimane? Quale di queste cose si può negare o privare di autorità?

    Questo dunque io ritengo, uditori: qui mi attacco. O la vera religione era perita, quando uscì Lutero, o non era perita. Se era perita, è perita anche la promessa di Cristo, e ha mentito la verità, che affermò che non sarebbe perita. Se non era perita, si trovava presso qualcuno. Ma non presso i pagani, ad i Giudei, o i Greci, o gli Ussiti. Dunque presso i Romani. Dunque Lutero, allontanandosi dalla Chiesa Romana, si allontanò dalla vera ed antica Religione, e ne fabbricò una falsa e nuova.

    Mostrino ora gli eretici, se se la sentono, in qual tempo, in qual luogo, per autorità di chi ebbe principio quella religione e quella fede, che Lutero ha combattuto, e che noi chiamiamo antica, essi recente, noi vera, essi falsa, noi cattolica, essi papistica. Qual'è l'errore principale dei papisti? Certo, se qualche errore c'è, non è altro che questo; che, cioè, il Papa Romano è il capo di tutto il mondo in nome di Cristo, e che egli è vescovo, padre e dottore non solo dei popoli, ma anche di tutti i vescovi. Infatti da questa eresia, com'essi ritengono, quale prima e principale, ci chiamano papisti, e hanno deciso che dobbiamo essere chiamati così. Vediamo quando ebbe principio questo nostro errore; Dite voi, Luterani: quando fu introdotto il papismo in luogo del Cristianesimo? Forse il regno dei Pontefici ha preso le mosse dal regno dei teologi scolastici, giusto al tempo di Innocenzo III, quando si celebrò il Concilio di Laterano, ed in esso la Chiesa Romana fu chiamata Madre e Maestra di tutte le chiese, e sorsero le famiglie dei Predicatori e dei Minori? Ma io leggo che S. Bernardo, chiarissimo per dottrina, miracoli e santità di vita e più antico di loro tutti, scrisse al Romano Pontefice Eugenio così: «Ci sono al certo anche altri portinai del cielo e pastori di greggi: ma tu hai ereditato sopra gli altri l'uno e l'altro nome, tanto più gloriosamente, quanto anche più differentemente. Hanno essi greggi assegnati, uno per ciascuno: a te sono affidati tutti, come ad un solo pastore un solo gregge. E tu sei non solo pastore delle pecore, ma pastore unico anche di tutti i pastori. Dunque, secondo i tuoi canoni, gli altri sono stati chiamati in parte della sollecitudine, tu nella pienezza della potestà. La potestà degli altri è ristretta entro certi limiti, la tua si estende anche sopra quegli stessi, che hanno ricevuto la potestà sopra altri. Non potresti tu, se ci fosse motivo, chiudere il cielo ad un vescovo, tu deporlo dall'episcopato, ed anche darlo nelle mani di Satana?» (Bern. l. 2. De consid.). Ma forse S. Bernardo adulava Eugenio, monaco del suo ordine; e perciò non furono i teologi scolastici, ma fu S. Bernardo a ideare l'eresia dei papisti. Che diremo di S. Gregorio Magno? Questi, di molti secoli anteriore a Bernardo, scrive all'imperatore Maurizio in questa forma: «E' chiaro per tutti quelli, che sanno il Vangelo, che per la  parola del Signore la cura di tutta la chiesa è stata affidata all'apostolo Pietro principe di tutti gli apostoli·» (Greg. ep. ad Maur. imperat). Che diremo del santissimo Pontefice Leone? Egli nel dì anniversario della sua assunzione al trono pontificio parla così: «Da tutto il mondo viene eletto il solo Pietro, per essere messo a capo della vocazione di tutte le genti, e di tutti gli apostoli, e di tutti i Padri della Chiesa. Sì che, quantunque nel popolo di Dio siano molti i sacerdoti e molti i pastori; tutti però sono retti da Pietro quelli, che principalmente sono retti da Cristo» (Leo serm. D. de anniv. assump. suae). Ma forse e S. Gregorio e S. Leone trattarono la causa della propria sede, e per ciò inventarono essi per la prima volta questa eresia.

Che dunque risponderemo al grandissimo e santissimo concilio di Calcedonia, che chiamò il Pontefice Leone Patriarca universale, e la Chiesa Romana capo di tutte le Chiese»? (Conc. Calced. ep. ad Leo). Che cosa al concilio di Nicea, il primo e il più antico dei concili generali, che stabilì, che tutti i Vescovi da tutta la terra possono appellare al Romano Pontefice, come a giudice supremo, e ricorrere alla sede Romana come a Madre? (Iul. ep. 2, et 3) E ciò fecero più volte, e Atanasio, e Marcello, e Paolo, e Crisostomo; e Teodoreto ed altri Padri, quando erano cacciati dalle loro  sedi. Che risponderemo a San Cirillo, vescovo di Alessandria, che parlando nel «Tesoro» del Romano Pontefice, dice: «Rimaniamo come membra nel nostro capo, il trono dei Romani Pontefici; è nostro dovere il domandare a lui quello che dobbiamo credere» (Cyril. Thesauri). Che risponderemo al grande Atanasio? Chiama egli, nella lettera a Marco, il Romano Pontefice Papa della Chiesa universale, e la Chiesa Romana capo e maestra di tutte1e chiese (Atan. ad Marcunm). Che risponderemo al grande Crisostomo, che dice: «Cristo mise Pietro a capo di tutto l'universo»: (Crysost hom. 55. in Matth.): e ancora: «Padre e capo della Chiesa un uomo pescatore e ignobile». Che cosa a Sant'Ottato vescovo Milevitano, il quale dice: «Non puoi negare, che tu ben sai, che nella città di Roma a Pietro per primo fu posta la cattedra episcopale, su cui sedè Pietro, capo di tutti gli apostoli; onde anche fu chiamata pietra, affinché in una sola cattedra da tutti si conservasse l'unità; così che gli altri apostoli non occupassero una cattedra ciascuna per sé; una volta che sarebbe stato scismatico e peccatore, chi avesse collocato un'altra cattedra contro l'unica» (Opt. Milev. l. 2 contra Parmen). Che risponderemo al Santo Martire Ireneo mentre insegna: «che alla Chiesa Romana, la più grande e la più antica, per la più potente supremazia, è necessario che si unisca ogni chiesa, cioè i fedeli che si trovano dove che sia»? (Iren. l. 1. contra Valent.). Che risponderemo ad Anacleto, santissimo Pontefice e martire, e discepolo degli apostoli, che dice: «Questa sacrosanta Romana ed Apostolica Chiesa, non dagli Apostoli, ma dallo stesso Signore Salvatore nostro ha ottenuto e l'eminenza della potestà sopra tutte le chiese, ed ha conseguito tutto il gregge del popolo cristiano?» (Anacl. ep. 3). Che risponderemo ad altri antichissimi e santissimi Padri Greci e Latini, delle cui gravissime testimonianze abbondiamo tanto, che potremmo seppellire i nostri avversari: e ad una che essi mettano fuori, portarne noi cento ed anche più? 

    Sennonché, soggiungono: molti certo degli antichi dissero questo: ma adularono i Pontefici. Oh sfacciataggine eretica! Dunque Ireneo, Cirillo, Grisostomo, Ottato ed altri Padri giustissimi, sapientissimi ed ottimi, avrebbero adulato i Pontefici? E perché alla fin fine? Per conseguire ricchezze da loro? Ma in quel tempo i Pontefici erano poverissimi di ricchezze temporali: ed erano ricchi delle sole virtù. Per procacciarsi un vescovato? Ma allora il vescovato era porta alla morte. I primi che venivano trascinati alla morte e al martirio erano i vescovi. No, dunque quei santissimi Padri non adulavano i Pontefici, ai quali anzi avrebbero con somma libertà resistito in faccia, se avessero voluto usurpare per sé qualche cosa, oltre il lecito e il giusto. Ma sia, adulavano. Anche Cristo adulava S. Pietro? Che dunque risponderemo a Gesù Cristo? Come ricorda S. Giovanni, egli chiamò Pietro col suo nome proprio, aggiunse il nome del padre, e lo distinse così da un altro Simone. Poi gli fece una interrogazione e lo separò nettamente dagli altri apostoli, con dirgli: «Simone figliuolo di Giovanni, mi ami tu più che questi?» (Gv 21). E subito: «Pasci i miei agnelli». Poi per una seconda volta: «Pasci i miei agnelli». E a una terza domanda: «Pasci le mie pecorelle». A te, disse. Simone figliuolo di Giovanni, che mi ami più degli altri, a te affido da pascolare tutto il mio gregge, cioè gli agnelli e le pecore. Per gli agnelli intendo il Popolo ebreo e per gli agnelli ancora il popolo gentile: per le pecorelle intenda i vescovi, che sono quasi madri e nutrici dei popoli. Ditemi: che cosa si sarebbe potuto dire con più chiarezza? Che cosa con più evidenza? Che cosa con maggiore determinazione? Ricusano pertanto di essere pecore e agnelli di Pietro quelli, i quali non riconoscono Cristo pastore primo e principale, desiderano invece di essere collocati a sinistra coi capretti nel giorno del giudizio. Di certo quelli, che non seguono qui sulla terra quali pecore il Vicario di Cristo, nel dì del giudizio saranno messi a sinistra insieme coi capretti.

     E  non si deve credere, che questo ampissimo potere sia stato conferito da Gesù Cristo al solo Pietro e non ai suoi successori. Cristo non istituiva la Chiesa, che dovesse durare solo venti o trent'anni. E se ai tempi apostolici era necessario un capo, acciocché si togliesse l'occasione di uno scisma, come parla S. Girolamo contro Gioviniano, quando i cristiani erano pochi e buoni, ed erano vescovi gli apostoli, che né potevano errare contro la fede, né peccare mortalmente; certo nei tempi posteriori, la Chiesa abbisognava di un sommo Pontefice non meno che abbisogni un corpo della testa, un esercito del generale, le pecore di un pastore, una nave di un capitano e di un pilota.

     Ne viene dunque, che non il Papismo è nuovo, ma il Luteranismo. E a noi non fa nulla, che gli eretici ci chiamano ora omusiani, ora papisti. Anzi questi stessi vocaboli designano l'antichità e la nobiltà della nostra Chiesa. Infatti che significa che Gesù Cristo è omusios al Padre, se non che ha comune col Padre la natura e la divinità? Dunque, quando siamo detti omusiani. siamo chiamati (tali) dalla sostanza e dalla divinità di Cristo. Per eguale ragione, se noi siamo detti papisti dal Papa, come i Luterani da Lutero; chi non vede, di quanto i papisti sono più antichi dei Luterani e dei Calvinisti? In vero e Clemente e Pietro e perfino Cristo furono Papi, cioè Padri e Sommi Pontefici dei Padri. Ci chiamino gli eretici papisti, ci chiamino omusiani, mai non ci potranno chiamare con ragione da un qualche uomo determinato, come noi chiamiamo essi da Lutero e da Calvino.

     Così è, uditori. Noi stiamo al sicuro nella rocca della Chiesa, e ce la ridiamo di tutti gli eretici, uomini nuovi, e diciamo loro con Tertulliano: «Chi siete voi? Donde e Quando siete venuti? Onde siete sbucati or ora? Dove siete stati rimpiattati tanto tempo? Non abbiamo udito mai parlare di voi fin ora» (Tert. lib. de praescr.), e con Sant'Ottato: «Mostrate voi l'origine della vostra cattedra, voi, che volete attribuirvi la santa Chiesa» (Opt. Milev. contra Parmeniamunu); e col beatissimo Ilario: «Siete venuti troppo tardi, vi siete svegliati con troppa pigrizia. Noi abbiamo già da un pezzo imparato, ciò che abbiamo da credere di Cristo, della Chiesa, dei sacramenti. Non è un buon sospetto, che adesso per la prima volta vi fate vedere? Il buon frumento fu seminato e nacque non dopo, ma prima della zizzania».

     Giustamente altresì con S. Girolamo li ammoniamo: «Chiunque tu sia sostenitore di nuove dottrine, ti prego di usar riguardo alle orecchie Romane: usa riguardo alla fede, che fu riconosciuta con lode della bocca apostolica. Perché tenti d'insegnarci, ciò che prima non abbiamo saputo? Perché metti fuori, ciò che Pietro e Paolo non hanno voluto dar fuori? fino a questo giorno il mondo è stato cristiano, senza codesta vostra dottrina. Quanto a me io terrò da vecchio quella fede, nella quale nacqui da fanciullo» (Himeron ad Pamm et Ocean). E bene udiamo il medesimo Girolamo ammonire paternamente così: «Se udirai in qualche luogo quelli, che si dicono cristiani, chiamarsi non dal Signore Gesù Cristo, ma da qualunque altro, come i Marcioniti, i Valentiniani, i Campesi ossia Montesi, sappi, che non sono la Chiesa di Cristo, ma la sinagoga dell'Anticristo. Da ciò stesso che sono stati istituiti più tardi, si giudicano, di essere quelli,  che l'Apostolo disse chiaro, che sarebbero venuti». Giustamente in fine temiamo l'apostolo Paolo, che terribilmente minaccia: «Ma quando anche noi o un angelo del cielo evangelizzi a voi oltre quello che abbiamo a voi evangelizzato, sia anatema» (Gal. 1, 8).

      Capite insomma, con quanto timore, con quanta cura, con quanta sollecitudine, con quanto zelo si deve fuggire la novità; quando non è libero, non è permesso neppure agli Apostoli né agli angeli stessi di insegnare diversamente da quello che hanno insegnato una volta? «Quand'anche noi», dice. Che intende dire con questo «noi?» Che, sebbene Pietro, sebbene Andrea, sebbene Giovanni, sebbene io, sebbene il coro Apostolico, fosse anzi tutto l’esercito degli angeli, «evangelizzi a voi oltre quello che abbiamo a voi evangelizzato, sia anatema». E affinché non credessimo per caso, che questa parola gli fosse sfuggita incautamente, e che non l'avesse detta a ragion veduta, lo ripete di bel nuovo: «Come dissi per l'innanzi, dico anche adesso: Se alcuno evangelizzerà a voi oltre quello che avete appreso, sia anatema». Perciò una volta che né agli Apostoli, né agli Angeli è lecito fondare una nuova fede; senza dubbio neppure a noi è lecito riceverla senza danno della nostra salvezza, e rovina della nostra anima.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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