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Il Catechismo detto "di san Bellarmino" ossia dal Concilio di Trento

Ultimo Aggiornamento: 02/06/2013 16:51
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02/06/2013 16:40
 
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GLORIA DEI MIRACOLI

 

 

    Dio, ottimo e sapientissimo artefice, ha adornato Questo grande globo che noi vediamo e in cui abitiamo, con due chiarissimi lumi, quasi con due occhi, cioè col sole e con la luna. Ciò serve non solo a magnifico decoro dell'universo, ma altresì per utile comodità dei viventi. Anche in cima del corpo umano, che è come un piccolo mondo, e che gareggia con lo stesso mondo grande per la moltitudine e varietà delle parti, ha posto Dio i due occhi, quasi sole e luna. Parimente, ottimi uditori, Gesù Cristo ha voluto, che la sua Chiesa fosse a guisa di un corpo ottimamente costituito, e come un cielo e un firmamento. Egli quindi l'ha rischiarata con due grandissimi lumi, voglio dire con lo splendore dei miracoli e con la luce profetica. Con ciò l'ha separata da tutte le sinagoghe di Satana. Quelli dunque, che non la vedono, devono essere ciechi davvero: «Sorgi, ricevi la luce, o Gerusalemme.... perché ecco che in tenebre sarà involta la terra, e in oscurità le nazioni: ma sopra di te nascerà il Signore, e la gloria di lui si vedrà in te» (Is 60, 1). Ecco la differenza tra Gerusalemme. che è la Chiesa di Cristo, città del Signore, città santa, città del gran Re, città posta sul monte, e le terre e le nazioni dei pagani e degli eretici. Le tenebre hanno coperto le loro terre e le loro nazioni, e le ha involte l'oscurità. Solo Gerusalemme risplende di luce celeste, solo essa è chiara per i miracoli, solo essa rifulge per il lume delle profezie, solo essa diffonde i suoi raggi in ogni parte dell'orbe terracqueo: rischiara gli occhi sani dei cattolici, acceca gli occhi malati degli eretici.

     Questi sono due di quei dodici argomenti, che abbiamo proposto al principiare dell’Avvento. Essi sono da spiegare nel discorso di oggi e nei due seguenti, a conferma della nostra fede e religione. Diciamo in primo luogo dei miracoli. Mostreremo anzitutto che fino dai tempi apostolici in nessun secolo sono mancati mai alla Chiesa cattolica molti e chiarissimi miracoli. Vedremo poi quello, che gli eretici sogliono obiettare contro i miracoli. In fine per non defraudare neppure gli eretici della loro gloria, ricorderemo brevemente i loro miracoli.

     Percorriamo sedici secoli. Di questi dalla venuta del Salvatore sono già trascorsi quindici; ora siamo nel decimosesto. Del primo secolo non abbiamo nulla da dire. Tutti hanno tra le mani e in tutto il mondo si leggono i volumi degli Evangeli, il libro degli Atti degli Apostoli, le storie di Egesippo, di Eusebio e di altri antichi, dove si contengono i miracoli, o di Gesù Cristo, o dei suoi Apostoli.

    Il secondo secolo, che durò dall'anno cento di Cristo fino al duecento, fu segnalatissimo per il sangue e per i prodigi dei santi martiri e dei personaggi apostolici. Allora era comune a quasi tutti i santi martiri, che il fuoco e i leoni e le altre belve feroci non osassero toccarli. Di questa miracolo fa menzione, come di un miracolo molto comune e quasi volgare anche il Santo martire Ignazio nella sua lettera ai Romani. Di questo secolo riferirò un solo miracolo. Ce lo lasciò scritto Eusebio nel principio del libro quarto delle storie Ecclesiastiche. Fiorì in quel tempo nelle Gallie, tra gli altri celeberrimi martiri di Lione, una donna di nome Blandina. Era essa di una eccessiva delicatezza di corpo. Tutti credevano, che ai primi supplizi essa avrebbe tradito la sua fede. Ma la virtù di Dio la fortificò, con meraviglia di tutti per molti giorni dalla mattina alla sera. Sostenne da forte inauditi e svariatissimi tormenti. Interrogata, onde avesse tanta forza per patire, rispondeva: Tutte le volte che dicevo: «sono cristiana», mi sentivo tornare da capo tutte le forze. E portò all'apice questo miracolo con un altro ancora più chiaro. Più volte fu gettata davanti alle belve ferocissime: e non ne poté mai soffrire alcuna lesione o molestia. Or bene, come ho detto, queste due specie di miracoli furono comunissime in quel tempo alla maggior parte dei martiri. Nel medesimo tempo l'Imperatore Marco Aurelio faceva guerra nella Germania. Da ogni parte era chiusa dai monti. Egli, con tutto il suo meschino esercito, soffriva una grandissima fame e sete. Sentiva di essere stretto e schiacciato da una grande moltitudine di Marcomanni, di Quadi, di Vandali, di Sarmati, di Svevi. Faceva voti agli dèi della sua patria secondo il costume dei pagani. Ma gli dèi pregati e scongiurati erano sordi e non porgevano alcun aiuto a tanti mali. Sapeva egli, che nell'esercito vi erano alcuni cristiani. Li pregò che essi supplicassero Cristo per la salute loro e di tutto l'esercito. Ed ecco che, non appena quei soldati cristiani si furono inginocchiati ed ebbero cominciato a innalzare preghiere al vero Dio, si riversò uno scroscio ingente di pioggia e di strana qualità. I Romani restarono largamente ristorati senza alcun danno.
I barbari ne andarono tutti atterriti pel fuoco, e per la grandine, moltissimi restarono uccisi dalle frequenti scariche di fulmini, e gli altri si voltarono in fuga. I Romani li inseguirono alle spalle e li tagliarono a pezzi fino a strage completa. Con un rozzo e piccolo numero di soldati, ma col potentissimo aiuto di Dio, riportarono una gloriosissima vittoria da eternarsi nei quadri degli antichi. La verità di questo fatto è attestata da Tertulliano a Scapula nell'Apologetico, da Eusebio nel libro quinto della Storia Ecclesiastica al capo quinto, da Paolo Orosio nel libro settimo della sua storia, dallo stesso imperatore M. Aurelio nella lettera d'ufficio mandata al senato, e che poco tempo fa venne alla luce dalla biblioteca Vaticana: da ultimo è attestata dal nuovo nome di quella legione che da allora fu chiamata legione dei cristiani e fulminea o fulminatrice.

     Il terzo secolo produsse molti ed illustri personaggi, chiari per santità e miracoli. Il più famoso di tutti fu quel grande Gregorio, vescovo di Neocesarea. Egli dai Greci fu detto il Grande per le sue opere meravigliose che compì. Trasportò monti, asciugò laghi, trattenne l'impeto di un fiume col ficcare in terra il suo bastone, che poi crebbe in albero; richiamò dalla morte alla vita una donna e quando gli piacque, tolse all'oracolo di Apolline la facoltà di dar risposte. e, quando gli piacque, gliela restituì. Ma queste cose non sono invenzioni di Rufino, come sognano le storie dei Magdeburghesi. Sono provate dalla testimonianza di S. Basilio Magno nel libro dello Spirito Santo, dal Nisseno nella storia che scrisse con buona critica della vita e delle opere del grande Gregorio, di cui stiamo parlando, inoltre da S. Girolamo nel libro degli uomini illustri, e da altri antichi e santi Padri.

     Il quarto secolo, se altro mai, fu feracissimo per meravigliosi miracoli di uomini santissimi e segnalatissimi. Allora in Oriente si segnalarono i Santi: Antonio, Ilarione, Nicolò di Mira, e in Occidente Martino di Tours, Ambrogio di Milano ed altri ancor più. Dei miracoli innumerevoli e grandissimi di costoro lasciarono ricordo: San Girolamo, Gregorio Nisseno. Sulpizio; Palladio, Sozomeno, Socrate, Teodoreto e S. Paolino.

     Nel quinto secolo, come in altri luoghi, così massimamente nell'Africa al tempo della persecuzione dei Vandali risplendettero molti santi uomini per straordinari prodigi. Tra essi ci fu Sant'Eugenio. Di lui scrisse Vittore di Utica, nel libro secondo «Della persecuzione Vaudalica», come all'invocazione dell'Augustissima Trinità, che gli Ariani allora combattevano. restituì la vista, facendo il segno della croce, ad un cieco conosciutissimo in tutta la città. Ma famosissimi sono quei ventidue miracoli, che Sant'Agostino ricorda nel libro ventiduesimo della «Città», e che avvennero al suo tempo, appunto in questo secolo quinto. Aggiunge anche, che egli ha toccato appena una minima parte dei miracoli, e afferma, che sarebbero stati da scrivere molti libri, se si fossero dovuti riferire anche solo i miracoli, che nella sola Africa in soli due anni erano accaduti dinanzi alle sole reliquie del protomartire Santo Stefano.

     Facilmente si può venir a conoscere dai quattro libri dei «Dialoghi» di S. Gregorio Romano, e dalla storia di Gregorio di Turone, per quanto gran numero di grandissimi prodigi fu illustre il secolo sesto. So, che questi libri sono messi in burla dagli eretici. Ma essi piuttosto sono da berteggiare e da compiangere ad un tempo. S. Gregorio scrive di quelle cose, ch'erano avvenute non due o tremila anni prima, ma dei fatti, e dei miracoli operati dai santi del suo secolo e specialmente degli Italiani, dei cui fatti e miracoli aveva conoscenza egli stesso meglio di ogni altro, e che con grande facilità si sarebbero potuti negare da molti come falsi, stante il loro recente ricordo. E propria in questo secolo, a marcio dispetto degli eretici, si rinnovarono tutti i miracoli degli apostoli. Allora S. Giovanni Pontefice Romano a Costantinopoli, spettatore tutto il popolo, restituì la vista ad un cieco. Allora Sant'Agapito, anche egli Pontefice Romano, nel medesimo luogo, alla presenza del medesimo popolo, dopo le solenne funzioni, curò uno zoppo e muto insieme. Allora il monaco Marco col pregare rimosse dal suo luogo una gran rupe. Allora S. Mauro, discepolo di S. Benedetto, camminò sulle acque a piedi asciutti. Allora S. Benedetto, padre di innumerevoli santi, tra gli altri miraceli, di cui ogni dì risplendeva, richiamò alla vita e alla sanità con la preghiera un fanciullo. Notate, che questo povero fanciullo era rimasto sotto un muro, che casualmente gli era caduto addosso. Era il poverino non solo morto, ma tutto rotto e in brandelli, tanto che non fu potuto portare altro che in un sacco. Allora in Africa alcuni vescovi cattolici, parlavano benissimo e molto spiccatamente, benché fosse stata loro dagli Ariani tagliata la lingua fino alle radici. E S. Gregorio nel libro terzo dei Dialoghi al capo terzo afferma di aver visto un Vescovo vecchio, il quale aveva udito a parlare quei santi vescovi senza lingua. Asserisce altresì, che uno di quelli era caduto in peccato di lussuria, e che tosto aveva perduto il dono del parlare, ossia la lingua. E ciò affinché capiscano i fornicatori e gl'impudichi, quanto dispiace a Dio la nostra vita sregolata ed impudica; mentre per causa della fornicazione aveva tolta quel dono, che aveva dato per la buona confessione.

     Nel secolo settimo la Chiesa non perì no, come molti degli eretici mentiscono: anzi ebbe una grande crescita. Ne fa testimonianza l'Inghilterra, che in quel secolo, per la predicazione e i miracoli di Sant'Agostino e dei suoi compagni, ricevé la fede di Cristo. Ne è testimonio il Venerabile Beda, che nella storia del suo popolo ricorda i miracoli del medesimo S. Agostino, di S. Melitto, del gran santo re Osvaldo e di altri.

    Nel secolo ottavo la medesima isola Britannica, allora di fresco convertita alla fede - e tralascio per ora altre parti della Chiesa cattolica - diede molti uomini chiarissimi è principalmente S. Cutberto e S. Giovanni. Il già nominato Ven. Beda lasciò ricordo nella detta storia della loro vita e miracoli, tra cui di aver risuscitato dei morti.

    I tre seguenti secoli furono chiari non tanto per uomini santi e autori di miracoli, quanto per buoni e accurati scrittori. Ha tuttavia il secolo nono, benché sembri molto sterile, con alcuni altri quel grande Tarasio patriarca di Costantinopoli, chiaro per miracoli non piccoli. Combatté egli con estremo vigore in favore della fede contro gli Iconomachi nel settimo concilio, che oggi è impugnato dai seguaci di Calvino. Tanto si può rilevare da Ignazio di Nicea, che ne scrisse la vita. Vide anche questo stesso secolo nono essere guarite prodigiosamente da Dio quasi tutte le specie di malattie nella seconda traslazione del corpo dell'arcivescovo S. Remigio. 

     Il secolo decimo sta male quanto a scarsezza di scrittori: ma in compenso, ha, oltre ad altri, il chiarissimo re dei Boemi S. Venceslao; ha S. Corrado, ha Sant'Udalrico: da ultimo, senza parlare di altri. ha quel celeberrimo S. Romualdo di Ravenna, la cui vita e miracoli furono scritti da S. Pier Damiano.

     L'undicesimo secolo ha in Inghilterra il felicissimo re e vergine Edoardo, e il santissimo e tanto dotto vescovo Anselmo: in Italia San Pier Damiano e S. Giovanni Gualberto. Di questi abbiamo molti e insigni miracoli, scritti da autori riguardevoli e degni di fede, sia pur non eloquenti.

     I cinque ultimi secoli sono singolarmente bistrattati dagli eretici del nostro tempo. A me per contrario sembrano fiorentissimi e felicissimi, se parliamo di miracoli. Ebbe la Chiesa Romana nel secolo dodicesimo, per non toccare d'altri quasi innumerevoli, quei due chiarissimi luminari, S. Bernardo e S. Malachia, ambedue attaccatissimi alla Sede Romana. Ciò non negano neppure gli eretici. Ambedue si illustrarono per innumerevoli prodigi. E anche questo non possono negare gli eretici, ancorché volessero. Di S. Malachia parla così S. Bernardo, dopo aver numerato alcuni suoi miracoli: «Tra i molti ho detto questi pochi, ma molti per la circostanza. Di qui appare, quanto grande fu il mio Malachia in meriti, se fu così grande in miracoli. In quale genere di miracoli antichi non fu chiaro Malachia? Se avvertiamo bene, anche quei pochi, di cui ho parlato, chiaramente lo fanno sapere. Non gli mancò la profezia, non la rivelazione, non il castigo degli empi, non la grazia delle sanità, non il cambiamento delle menti, non infine il risuscitare i morti». E in S. Bernardo stesso fu unita così una eccelsa religiosa bontà con una somma erudizione ed eloquenza, che meritamente fu da alcuni chiamato il decimoterzo apostolo. I suoi miracoli poi furono tanti, tanto vari e tanto ammirabili, che, se si riferissero, come meritano, potrebbero empire molti libri. Certo io in questi giorni m'ero mosso a contare i miracoli fatti da lui, e che si narrano nei cinque libri della sua vita. Ma confesso, che desistetti, vinto dalla loro moltitudine. Come contarli, quando in un sol giorno e in un sol luogo nelle vicinanze di un villaggio della diocesi di Costanza, attestano quelli che li videro, guarì con la sola imposizione delle mani undici ciechi, dieci storpi: diciotto zoppi?

     Nel secolo decimoterzo Dio suscitò nella sua Chiesa due altri chiarissimi luminari, San Domenico e S. Francesco. Questi così da per sé, come per mezzo di altri uomini molto santi delle loro famiglie, illustrarono tutto il mondo con miracolosi prodigi grandi davvero e che non si possono contare. S. Domenico, finché fu in vita, oltre ad altri minori miracoli, risuscitò tre morti. E ancora più ne risuscitò dopo la morte con la sua intercessione presso Dio.  S. Francesco non passava quasi giorno senza molti e straordinari miracoli. E non solo mentre era in vita fra gli uomini, ma anche dopo passato alla dimora celeste, splendé per gloria di prodigi a vantaggio degli uomini. Sopra a novanta ne ricorda S. Bonaventura, che scrisse la sua vita con molta critica: tra essi otto morti risuscitati e sette ciechi curati. Ma miracolo grandissimo e singolare e quasi prodigio dei prodigi furono quelle sacre stimmate. Deh che era mai vedere un uomo, che esprimeva al vivo nel suo corpo Cristo stesso e proprio crocifisso! «Le mani e i piedi - mi servo delle parole di S. Bonaventura - si vedevano trapassate divinamente dai chiodi. Apparivano le capocchie dei chiodi nella parte interiore delle mani, e nella  parte superiore dei piedi. Le punte dei chiodi erano bislunghe, ritorte e come ribadite, e sporgenti dalla stessa carne, uscivano dal resto della carne. Anche il lato destro, quasi ferito dalla lancia, aveva una ferita rossa rimarginata, che spesso lasciava uscire sacro sangue». Davvero, chi non crede, che quest'uomo così umile, così santo, così sapiente, rifulgente per tanta gloria di miracoli, segnato con le stesse stimmate di Gesù crocifisso in prova della sua ardentissima carità fosse un amico e amico singolare di Dio, e professasse e insegnasse la vera fede; si può a buon diritto mettere nel numero dei demoni ostinati. Gli eretici non negano, che la sua fede è la nostra fede: e quando anche negassero, grida il suo testamento. In esso nulla raccomandò ai suoi frati e a noi tutti maggiormente, quanto la fede della Chiesa Romana. Quanto al Santissimo sacramento del corpo del Signore aveva tale sentimento, che diceva, che quelli, i quali vedono la parvenza del pane con gli occhi esterni, e con l'occhio interno non credono, che sotto quella parvenza c'è il corpo di Cristo, non meno sono da condannarsi all'inferno, che gli Scribi e i Farisei, i quali vedevano l'umana natura di Gesù, e non volevano credere, che in essa stesse nascosta la natura divina. 

     Nel secolo decimoquarto oltre ad altri santi, meno illustri, furono chiare due ammirabili donne, S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena. S. Caterina, che io conosco meglio, non solo amò con incredibile fervore fin dalla infanzia Gesù Cristo, sposo dell'anima sua, e fu chiara per molti e grandi miracoli: ma, cosa anche più meravigliosa, fu arricchita da Dio di tanta sapienza infusa, e di tanta efficacia di parola, che convertì più peccatori essa con i privati discorsi, che non ne avrebbero potuto convertire molti predicatori insieme. Ricorderò di lei un fatto solo. C'era in quel tempo un notissimo peccatore, la cui conversione quasi tutti avevano per disperata, S. Caterina si diè un giorno a fargli visita, e a dirgli molte cose della salute dell'anima di Lui. Quello, come un sasso, non si piegava alle parole della santa vergine. Allora essa si raccolse un poco nello spirito, e pregò. Subito il Signore percosse la pietra e ne uscirono acque. Quello infatti tutto bagnato di lagrime cambiò con repentina mutazione il cuore di pietra in cuore di carne, promise penitenza, e l'incominciò. Allora la santa, quasi sorridendo, disse: Impara, quanto ci passa tra la dolcezza del nostro Padre Iddio e la durezza degli uomini. Ho trattato con te in un lungo discorso, e non mi hai voluto ascoltare mai. Ho pregato Dio con una  brevissima preghiera, e subito mi ha ascoltato.

     Nel secolo quindicesimo Dio accese nella sua Chiesa molti lumi. Fra questi ora mi si rappresentano S. Vincenzo dell'ordine dei Predicatori e S. Bernardino dell'ordine dei Minori. La vita di ambedue fu scritta dall'arcivescovo Sant'Antonino, che nel medesimo secolo, rifulse per santità, dottrina e miracoli. Gli eretici non solo non credono tali cose, ma neppure si degnano di saperle; perché secondo essi hanno un autore più recente, ma così sono privi delle testimonianze degli antichi. Quasi che gli antichi avrebbero potuto scrivere delle cose vicine a noi. Ma, in fede vostra, o eretici, perché non dovrei credere a Sant'Antonino intorno ai miracoli dei santi, che fiorirono al suo tempo: e dovrei credere a questi insani, nati ieri e l'altro ieri?

     Finalmente in questo nostro secolo, quasi quando Martin Lutero cominciò a seminare la sua zizzania, fiorì in Italia un altro Francesco, autore e padre di quei Religiosi, che in Francia sono detti Buoni uomini, e in Italia Minimi. Esso brillò per tanti e sì esimi prodigi, che non c'è nessuno degli antichi con cui si possa a ragione paragonare. Ancora oggi sopravvivono alcuni che in persona hanno veduto alcuni di quei miracoli, o ne hanno sentito parlare da quelli che li hanno visti.

    Notate bene, signori, queste discordanze. Quasi nel medesimo tempo sorsero due uomini affatto contrari fra loro. Lutero nella Germania. Francesco di Paola nell'Italia. Lutero gettò alle ortiche la cocolla che aveva: Francesco, che non l'aveva, se la mise. Lutero insegnò, che il digiuno non vale niente, e che la differenza dei cibi è superstiziosa: Francesco ha istituito un Ordine, nel quale chi vuol vivere deve digiunare frequentemente e astenersi sempre dalle carni e dai latticini. Lutero ha detestato il celibato, l'ubbidienza, la povertà volontaria come cose sciocche e invenzioni di uomini: Francesco abbracciò le medesime cose con incredibile divozione, come utilissimi consigli di Cristo. Lutero fece uscire dai monasteri al secolo quanti più ne poté: Francesco attrasse quanti più poté dal secolo ai monasteri. Lutero volle, che Leone decimo paresse e fosse creduto l'anticristo: Francesco predisse il pontificato al medesimo Leone. quando ancora non era Pontefice, e assoggettò il suo Ordine con la devota umiltà e divozione a lui, come a vero Vicario di G. Cristo. Quali di questi due deviò dalla strada diritta? Francesco o Lutero? Senza dubbio non procedevano tutti e due per la diritta via. La loro vita, i loro costumi, le loro tendenze erano del tutto contrarie. Ma perché restare impacciati e indecisi davanti a un fatto manifesto? C'è da confondersi in pieno meriggio? Dio stesso ha sciolta questa questione, dal momento che adornò uno di grandissimi miracoli, e permise che l’altro si coprisse di vizi e scelleraggini.

Guarda un po’. Predica questo S. Francesco, che bisogna stare attaccati alla sede Apostolica, digiunare frequentemente, onorare il celibato, invocare i santi, venerare le loro reliquie ed immagini, ed egli brilla per miracoli: predica Lutero tutto il contrario, e non poté mai risuscitare neanche una pulce. E staremo noi in forse, da che parte stia la verità? Quando Dio confermava dal cielo coi miracoli la dottrina e i costumi di S. Francesco di Paola, non condannava forse tutto insieme la dottrina e i costumi di Lutero assolutamente contrari a quelli del santo? Che dire, che anche al nostro tempo nell'estremo Oriente e nel Settentrione, nelle Indie e nelle isole del Giappone, si sa, che si sono fatti ogni sorta di miracoli dai predicatori cattolici in prova di quella fede, che è combattuta da Lutero e da Calvino?

    Porto un esempio solo in prova: e finisco. Il Beato Francesco Saverio del nostro ordine ha seminato il Vangelo di Cristo dall'India al Giappone per un immenso tratto di mari e di terre. Ha tirato dalle tenebre alla luce della verità molte migliaia di persone. Scrisse egli allo stesso Preposito Generale della nostra Compagnia. A lui non avrebbe certo osato di mentire: e scrisse così: «Sono quasi solo. Non posso soddisfare a tutti quanti domandano la cura del corpo e dell'anima. Ho mandato fanciulli battezzati di fresco, perché recitassero sopra i malati il simbolo degli Apostoli e le preghiere cristiane. In questo modo molti non solo sono rimasti guariti dal corpo, ma anche, mossi da questo benefizio, sono venuti alla fede e al battesimo». Dello stesso Saverio, uomo santo, scrivono quelli che si sono trovati con lui, e che spesso lo hanno veduto e udito, che egli molto raramente recitava il Pater noster sugli infermi senza che restassero sani sull'istante. Che anzi con qualche preghiera e col mettere sopra le mani curava non solo malati ordinari, ma anche muti, sordi, ciechi, paralitici e cacciava demoni, risuscitava morti. E, meraviglia ancor più grande, il suo corpo verginale - perché sì era vergine - ancora al presente perdura intiero, incorrotto, come fosse vivo, e manda un soave profumo; benché dopo morto fosse giaciuto da principio per quindici interi mesi nella calce. Quando mai hanno fatto qualche cosa tale gli eretici? Mettano fuori essi i loro miracoli. Fanno tali cose non Lutero, non Calvino, ma quelli che sono mandati a predicare del Romano Pontefice, e che conducono il nuovo mondo dal culto degli idoli non al Luteranismo o al Calvinismo, ma all'ubbidienza della sede Romana.

    Perciò, ottimi uditori, noi che abbiamo la fede, confermata da tanti miracoli, possiamo dire in verità con Riccardo di S. Vittore: «Se è errore quello che riteniamo, ci avete ingannato voi, o Signore». Abbiamo le Scritture suggellate divinamente col sigillo di Dio gran Re. Deh conserviamole con ogni diligenza. Ah non commettiamo la colpa, che, per inganno degli eretici, ci siano strappate le Scritture di Dio, con le quali sole siamo stati istituiti eredi del regno celeste: ed essi ci facciano prendere per forza le loro scritture non munite di alcun sigillo. Le scritture degli eretici sono scritture di morte e testimonianze infernali, similissime a quella lettera, che portava Uria Eteo, e che non conteneva altro, che la sua condanna alla morte.

 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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