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Haurietis Aquas Devozione Sacro Cuore di Gesù

Ultimo Aggiornamento: 09/06/2013 17:47
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07/06/2013 13:18
 
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II

Ma soltanto dai Vangeli veniamo a conoscere con perfetta chiarezza che la nuova Alleanza stipulata tra Dio e l’umanità — di cui si erano avuti la prefigurazione simbolica nell’alleanza sancita tra Dio e il popolo d’Israele per mezzo di Mosè e il preannunzio nel vaticinio di Geremia — è quella stessa che è stata attuata mediante l’opera conciliatrice di grazia del Verbo Incarnato. Questa Alleanza è da stimarsi incomparabilmente più nobile e più solida, perché, a differenza della precedente, non è stata sancita nel sangue di capri e di vitelli, ma nel Sangue sacrosanto di Colui, che quegli stessi pacifici ed irrazionali animali avevano prefigurato come « l’Agnello che toglie il peccato del mondo »(26).

Ebbene, l’Alleanza Messianica, più ancora che l’antica, si manifesta chiaramente come un patto non ispirato da sentimenti di servitù e di timore, ma da quella specie di amicizia, che deve regnare nelle relazioni tra padre e figli, essendo essa alimentata e consolidata da una più munifica elargizione di grazia divina e di verità, conforme alla sentenza dell’Evangelista S. Giovanni: « E della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia. Perché la legge è stata data da Mosè; la grazia e la verità sono venute da Gesù Cristo »(27).

Introdotti con queste parole del «Discepolo prediletto da Gesù, quegli che durante la cena aveva posato il capo sul petto di Gesù »(28), nel mistero stesso dell’infinita carità del Verbo Incarnato, è cosa degna e giusta, equa e salutare, che noi ci soffermiamo alquanto, Venerabili Fratelli, nella contemplazione di così soave mistero, affinché, illuminati dalla luce che su di esso riflettono le pagine del Vangelo, possiamo anche noi esperimentare il felice adempimento del voto che l’Apostolo formulava scrivendo ai fedeli di Efeso: « Cristo dimori nei vostri cuori per mezzo della fede, e voi, radicati e fortificati in amore, siate resi capaci di comprendere con tutti i santi quali siano la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità, e intendere quest’amore di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio »(29).

Il Mistero della Divina Redenzione, infatti, è propriamente e naturalmente un mistero di amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della Croce, offerto con animo amante ed obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante ed infinita per le colpe del genere umano: «Cristo, soffrendo per carità ed ubbidienza, offrì a Dio qualche cosa di maggior valore, che non esigesse la compensazione per tutte le offese a Dio fatte dal genere umano »(30). Inoltre, il Mistero della Redenzione è un mistero di amore misericordioso dell’Augusta Trinità e del Redentore divino verso l’intera umanità, poiché questa, essendo del tutto incapace di offrire a Dio una soddisfazione degna per i propri delitti(31), Cristo, mediante le inscrutabili ricchezze di meriti, che si acquistò con l’effusione del suo preziosissimo Sangue, poté ristabilire e perfezionare quel patto di amicizia tra Dio e gli uomini, ch’era stato una prima volta violato nel Paradiso terrestre per colpa di Adamo, e poi innumerevoli volte per le infedeltà del Popolo Eletto.

Pertanto il Divin Redentore — nella sua qualità di legittimo e perfetto Mediatore nostro — avendo, sotto lo stimolo di una accesissima carità per noi, conciliato perfettamente i doveri e gli impegni del genere umano con i diritti di Dio, è stato indubbiamente l’autore di quella meravigliosa conciliazione tra la divina giustizia e la divina misericordia, che costituisce appunto l’assoluta trascendenza del mistero della nostra salvezza, così sapientemente espressa dall’Angelico Dottore in queste parole: «Giova osservare che la liberazione dell’uomo, mediante la passione di Cristo, fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, poiché, non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna soddisfazione. Perciò sta scritto: “ Dio, ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava pur essendo noi morti per le nostre colpe, ci richiamò a vita in Cristo” »(32).

Ma, affinché possiamo veramente, per quanto è consentito a uomini mortali, « comprendere con tutti i santi, quali siano la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità(33) dell’arcana carità del Verbo Incarnato verso il suo celeste Padre e verso gli uomini macchiati di tante colpe; occorre tener ben presente che il suo amore non fu unicamente spirituale, come si addice a Dio, poiché « Iddio è spirito »(34). Indubbiamente d’indole puramente spirituale fu l’amore nutrito da Dio per i nostri progenitori e per il popolo ebraico; perciò, le espressioni di amore umano, sia coniugale che paterno, che si leggono nei Salmi, negli scritti dei Profeti e nel Cantico dei Cantici, sono indizi e simboli di una dilezione verissima ma del tutto spirituale, con la quale Dio amava il genere umano; al contrario, l’amore che spira dal Vangelo, dalle lettere degli Apostoli e dalle pagine dell’Apocalisse, dov’è descritto altresì l’amore del Cuore di Gesù Cristo, non comprende soltanto la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell’affetto umano. Per chiunque fa professione di fede cattolica è questa una  verità inconcussa. Il Verbo di Dio, infatti, non ha assunto un corpo illusorio e fittizio, come già nel primo secolo dell’era cristiana osarono affermare alcuni eretici, attirandosi la severa condanna dell’apostolo S. Giovanni: «Poiché sono usciti per il mondo molti seduttori, i quali non confessano che Gesù Cristo sia venuto nella carne. Questo è il seduttore e l’anticristo »(35); ma Egli ha unito alla sua divina Persona una natura umana individua, integra e perfetta, concepita nel seno purissimo di Maria Vergine per virtù dello Spirito Santo(36). Niente dunque mancò alla natura umana assunta dal Verbo di Dio; in verità, Egli la possedette senza alcuna diminuzione, senza alcuna alterazione, tanto nei suoi elementi costitutivi spirituali quanto nei corporali, vale a dire: dotata di intelligenza e di volontà, e delle altre facoltà conoscitive interne ed esterne; dotata parimenti delle potenze affettive sensitive e di tutte le loro corrispondenti passioni. È questo l’insegnamento della Chiesa Cattolica, sanzionato e solennemente confermato dai Romani Pontefici e dai Concili Ecumenici: « Integro nelle sue proprietà, integro nelle nostre »(37); « perfetto nella Divinità ed Egli stesso perfetto nell’umanità »(38); « tutto Dio (fatto) uomo, e tutto l’uomo (sussistente in) Dio »(39).

Non essendovi allora alcun dubbio che Gesù Cristo abbia posseduto un vero corpo umano, dotato di tutti i sentimenti che gli sono propri, tra i quali ha chiaramente il primato l’amore, è altresì verissimo che Egli fu provvisto di un cuore fisico, in tutto simile al nostro, non essendo possibile che la vita umana, priva di questo eccellentissimo membro del corpo, abbia la sua connaturale attività affettiva. Pertanto il Cuore di Gesù Cristo, unito ipostaticamente alla Persona divina del Verbo, dovette indubbiamente palpitare d’amore e di ogni altro affetto sensibile; questi sentimenti, però, erano talmente conformi e consonanti con la volontà umana, ricolma di carità divina, e con lo stesso infinito amore, che il Figlio ha comune con il Padre e con lo Spirito Santo, che mai tra questi tre amori s’interpose alcunché di contrario e discorde(40).

Tuttavia, il fatto che il Verbo di Dio abbia assunto una vera e perfetta natura umana, e si sia plasmato e quasi modellato un cuore di carne, che, non meno del nostro, fosse capace di soffrire e di essere trafitto, questo fatto, diciamo, se non è visto e considerato nella luce, la quale emana non solo dall’unione ipostatica e sostanziale, ma anche dalla verità della umana Redenzione, ch’è, per così dire, il complemento di quella, potrebbe ad alcuni apparire « scandalo » e « stoltezza », come infatti tale sembrò « Cristo Crocifisso » ai Giudei e ai Gentili(41). Orbene, i Simboli della fede, perfettamente concordi con le Divine Scritture, ci assicurano che il Figlio Unigenito di Dio ha assunto la natura passibile e mortale in vista principalmente del Sacrificio cruento della croce, che Egli desiderava offrire allo scopo di compiere l’opera dell’umana salute. È questo del resto, l’insegnamento espresso dall’Apostolo delle genti: « Poiché sia chi santifica sia i santificati provengono tutti da uno; è per questo che non ha scrupolo di chiamarli fratelli dicendo: « Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli ». E ancora: « Eccomi, io e i figlioli che Dio mi ha dato ». Poiché dunque i figliuoli partecipano del sangue e della carne, anch’egli ugualmente ne ebbe parte… « Ond’è ch’egli doveva in tutto essere fatto simile ai suoi fratelli, per diventare misericordioso e fedele sacerdote nelle cose divine, affinché fossero espiate le colpe del popolo. Perché appunto per essere stato provato lui e avere sofferto, per questo può venire in aiuto a quelli che sono nella prova »(42).

I Santi Padri, veridici testimoni della divina rivelazione, ben compresero, dietro il chiaro insegnamento dell’Apostolo Paolo, che il mistero dell’amore divino è in pari tempo il fondamento e il culmine sia dell’Incarnazione, sia della Redenzione. Infatti, nei loro scritti sono frequenti e luminosi i passi, nei quali si  legge che lo scopo per cui Gesù Cristo assunse una natura umana integra e un corpo caduco e fragile come il nostro, fu appunto quello di provvedere alla nostra salvezza e di manifestare a noi nel modo più evidente il suo amore infinito, compreso quello sensibile.

San Giustino, quasi facendo eco alle parole dell’Apostolo, scrive: « Noi adoriamo ed amiamo il Verbo, nato dall’ingenito e ineffabile Dio; Egli in verità si è fatto uomo per noi, affinché, resosi partecipe delle nostre umane affezioni, recasse ad esse il rimedio »(43). San Basilio, poi, il primo dei tre Padri Cappadoci, afferma decisamente che gli affetti sensibili di Cristo furono ad un tempo veri e santi: « Benché sia a tutti noto che il Signore ha assunto gli affetti naturali per confermare la realtà dell’Incarnazione, vera e non fantastica; tuttavia Egli respinse da sé gli affetti disordinati, che inquinano la purezza della nostra vita, perché li ritenne indegni della sua incontaminata divinità »(44). Anche per San Giovanni Crisostomo, il più illustre decoro della Chiesa Antiochena, le emozioni sensibili, cui andò soggetto il Redentore divino, cooperarono mirabilmente a comprovare che Egli aveva assunto una natura umana integra sotto ogni aspetto: « Infatti, se Egli non fosse stato composto della nostra natura, non avrebbe pianto per ben due volte »(45).

Fra i Padri Latini meritano di essere ricordati coloro, che la Chiesa onora oggi tra i principali suoi Dottori. Così Sant’Ambrogio vede nell’unione ipostatica la sorgente naturale delle affezioni e commozioni sensibili, cui andò soggetto il Verbo di Dio fatto uomo: « Pertanto, poiché Egli assunse l’anima, ne assunse parimente le passioni; in quanto Dio, infatti, com’Egli era, non avrebbe potuto né turbarsi né morire »(46). Anche San Girolamo dall’esistenza in Cristo di quelle affezioni sensibili trae l’argomento più persuasivo per asserire ch’Egli aveva realmente assunto l’umana natura: Il Signor nostro, per manifestare che aveva veramente unito alla sua Persona la natura dell’uomo, soggiacque veramente alla tristezza(47).

Sant’Agostino poi con particolare insistenza rileva l’intimo nesso che esiste tra le affezioni sensibili del Verbo Incarnato e il fine dell’umana redenzione: « Ora il Signore Gesù assunse questi sentimenti della fragile natura umana, come la carne stessa che fa parte dell’inferma natura dell’uomo, e la morte dell’umana carne, non spinto da bisogno della sua condizione divina, ma stimolato dalla sua libera volontà di usarci misericordia; allo scopo, cioè, di offrire in se stesso il modello da imitare al suo corpo, che è la Chiesa, di cui si degnò di farsi capo, vale a dire, alle sue membra, che sono i suoi santi e i suoi fedeli; in modo che se ad alcuno di loro, sotto l’assalto delle umane tentazioni, accadesse di rattristarsi e soffrire, non per ciò stimasse di essersi sottratto all’influsso della sua grazia; e comprendesse che tali affezioni non sono di per sè peccati, ma solo indizi dell’ umana passibilità. Così il suo Mistico Corpo, simile ad un coro di voci che s’accorda a quella di chi dà l’intonazione, avrebbe imparato dal suo proprio Capo »(48).

Più concisamente, ma non meno efficacemente dei precedenti, manifestano la dottrina della Chiesa i seguenti testi di San Giovanni Damasceno: «Certamente, tutto Dio ha assunto tutto ciò ch’è in me uomo, e tutto si è unito a tutto, affinché arrecasse la salvezza a tutto l’uomo. Poiché, altrimenti, non avrebbe potuto essere sanato ciò che non fosse stato assunto »(49). « Cristo dunque, assunse tutti gli elementi componenti l’umana natura, affinché li santificasse tutti »(50).

È doveroso tuttavia riconoscere che né gli Autori sacri, né i Padri della Chiesa, sia nei testi riferiti che in molti altri simili, pur affermando chiaramente la realtà delle affezioni sensibili, che commovevano l’animo di Gesù Cristo, e pur mettendo in stretto rapporto l’assunzione dell’umana natura con lo scopo della nostra eterna salvezza prefissosi da Cristo, mai pongono in esplicito rilievo il nesso esistente tra quegli stessi affetti e il cuore fisico del Salvatore, così da indicare in esso espressamente il simbolo del suo amore infinito.

Ma, se gli Evangelisti e gli altri scrittori ecclesiastici non ci rivelano direttamente gli effetti vari che nel ritmo pulsante del Cuore del Redentore nostro, non meno vivo e sensibile del nostro, dovettero indubbiamente produrre le passioni del suo animo e il ridondante amore della sua duplice volontà, divina ed umana, essi mettono però in evidenza l’amore e tutti gli altri sentimenti con esso connessi, cioè: il desiderio, la letizia, la tristezza, il timore, l’ira, secondo che si manifestavano attraverso il suo sguardo, le parole, i gesti. E principalmente il Volto adorabile del Salvatore nostro dovette apparire l’indice e quasi lo specchio fedelissimo di quelle affezioni, che, commovendo in vari modi il suo animo, a somiglianza di onde che si ripercuotono sulle opposte rive, raggiungevano il suo Cuore santissimo e ne eccitavano i battiti. In verità, anche a proposito di Cristo vale quanto l’Angelico Dottore, ammaestrato dalla comune esperienza, osserva in materia di psicologia umana e dei fenomeni ad essi connessi: «Il turbamento prodotto dall’ira raggiunge anche le membra esterne; e soprattutto si fa notare in quelle membra, nelle quali più apertamente si riflette l’influsso del cuore, come negli occhi, nel volto e nella lingua »(51).

A buon diritto, dunque, il Cuore del Verbo Incarnato è considerato come il principale simbolo di quel triplice amore, col quale il Divino Redentore ha amato e continuamente ama l’Eterno Padre e l’umanità. Esso, cioè, è anzitutto il simbolo dell’amore, che Egli ha comune col Padre e con lo Spirito Santo, ma che soltanto in Lui, perché Verbo fatto carne, si manifesta attraverso il fragile e caduco velo del corpo umano, « poiché in Esso abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità »(52). Inoltre, il Cuore di Cristo è il simbolo di quell’ardentissima carità, che, infusa nella sua anima, costituisce la preziosa dote della sua volontà umana e i cui atti sono illuminati e diretti da una duplice perfettissima scienza, la beata cioè e l’infusa(53). Finalmente — e ciò in modo ancor più naturale e diretto — il Cuore di Gesù è il simbolo del suo amore sensibile, giacché il corpo del Salvatore divino, plasmato nel seno castissimo della Vergine Maria per influsso prodigioso dello Spirito Santo, supera in perfezione e quindi in capacità percettiva ogni altro organismo umano(54).

Edotti allora dai Sacri Testi e dai simboli di fede della perfetta consonanza ed armonia regnante nell’anima santissima di Gesù Cristo, e dell’aver Egli diretto al fine della nostra Redenzione tutte le manifestazioni del suo triplice amore, noi possiamo con ogni sicurezza contemplare e venerare nel Cuore del Divin Redentore l’immagine eloquente della sua carità e il documento dell’avvenuta nostra redenzione, come pure quasi la mistica scala per salire all’amplesso di « Dio Salvatore nostro »(55). Perciò nelle parole, negli atti, negli insegnamenti, nei miracoli e specialmente nelle opere che più luminosamente testimoniano il suo amore per noi — come l’istituzione della divina Eucaristia, la sua dolorosa Passione e Morte, la donazione della sua Santissima Madre, la fondazione della Chiesa, la missione dello Spirito sugli Apostoli e su tutti i credenti — in tutte queste opere, ripetiamo, noi dobbiamo ammirare altrettante testimonianze del suo triplice amore; e meditare i battiti del suo Cuore, con i quali sembrò che Egli misurasse gli attimi di tempo del suo pellegrinaggio terreno, fino al supremo istante, in cui, come ci attestano gli Evangelisti: « Gesù, dopo aver di nuovo gridato con gran voce, disse: È compiuto. E chinato il capo, rese lo spirito »(56). Fu allora che il battito del suo Cuore si arrestò, e il suo amore sensibile rimase come sospeso fino all’istante della Risurrezione gloriosa. Unitasi quindi nuovamente l’anima del Redentore vittorioso  della morte al suo corpo glorificato, il Cuore suo Sacratissimo riprese il suo battito regolare e da allora non ha mai cessato né cesserà di significare, con ritmo ormai divenuto per sempre calmo e imperturbabile, il triplice amore che vincola il Figlio di Dio al suo celeste Padre e all’intera comunità umana, di cui è, con pieno diritto, il Mistico Capo.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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