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LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA nella Tradizione e Magistero

Ultimo Aggiornamento: 26/10/2017 21:58
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04/07/2013 22:04
 
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XII. - L'ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE

È insegnamento dell'esperienza universale, sancito da un antichissimo proverbio, che l'unione fa la forza. È su tale prin­cipio, precisamente, che si basa la naturale tendenza dell'uomo all'associazione; gli uomini uniti sono, in ogni settore, più ef­ficienti: nella difesa, nel rendimento, nel progresso. Ma, a parte la società generale, che, organizzata, prende il nome di Stato, gli uomini comprendono l'importanza di associarsi per scopi par­ticolari, in modo speciale per rendere migliori le condizioni del loro lavoro. E, giustamente, rivendicano il diritto di costi­tuire tali associazioni.

La professione.

Il mondo, appena giunto ad un certo progresso, ha visto subito la divisione del lavoro e, con essa, la nascita delle diverse professioni, dei differenti mestieri. I benefici di tale impostazione dell'attività delle varie persone sono evidenti. Ciò avviene in modo straordinario nel mondo moderno, quando una tecnica ultra-pro­gredita ha creato specializzazioni su specializzazioni.

I singoli componenti di ogni professione hanno molti interessi comuni, spesso in parziale contrasto, apparente ed immediato al­meno, con quelli di altre professioni: perciò tendono a formare delle associazioni. Un tempo dette consorterie, corporazioni, arti, nel mondo contemporaneo sono detti, più generalmente, sindacati.

 

Diritto e dovere d'associazione.

La dottrina cattolica rivendica all'uomo, essere sociale, il diritto d'associarsi, e nega allo Stato (si veda Leone XIII nella « Re­rum Novarum ») il potere d'impedire la libertà d'associazione. Anzi, quando le circostanze dimostrano che i membri d'una data categoria sociale non possono efficacemente difendere i propri legittimi interessi se non unendosi, essa afferma che il far parte delle associazioni professionali è un dovere. Ciò specialmente, poi, quando, altrimenti, tali associazioni sarebbero create e governate dai nemici della religione e di una società ben ordinata.

Al diritto di associazione si unisce quello di auto-organizzarsi e di auto-governarsi.

 

Dai sindacati alle confederazioni.

Nel mondo moderno, occidentale, i membri della maggior parte delle categorie operaie si sono riuniti in sindacati; così anche, in genere, salvo diversità di nomi, i dirigenti d'azienda e gl'imprenditori. Dall'unione di più sindacati vengono le federa­zioni, e da quelle di più federazioni le confederazioni.

Queste, nelle diverse nazioni, sono una o più a seconda le leggi, gli orientamenti economici, gli indirizzi politici.

 

L'azione sindacale.

Nelle mete e nei metodi d'azione che i sindacati si prefiggo­no e rivendicano, ci sono molte cose che meritano d'essere considerate al lume della religione.

a) Bontà dei sindacati. Avendo già affermato che il costituire un sindacato è un diritto e, in certe circostanze, è un dove­re, s'è già detto, implicitamente, che l'organizzazione sindacale è, in sé, buona.

Quando i cattolici possono dar vita ad efficienti organizzazioni dichiaratamente cristiane, è meglio.

Dove le circostanze fanno prudentemente ritenere meglio la creazione di sindacati neutri - a giudizio che dev'esser dato dai Vescovi del luogo - i cattolici possono entrarvi, purché

1) non si richieda ad essi nulla che sia contro la religione e la morale cattolica;

2) non ci sia rischio, frequentando compagni d'altra religione o di nessuna religione, per la fede ed i costumi;

3) siano istituite per i lavoratori cattolici delle organizza­zioni loro proprie, ai fini di curare la loro formazione e di orien­tarli ad agire secondo i princìpi cristiani nel sindacato.

 

Il principio regolatore base: la collaborazione.

Come già è stato detto parlando degli elementi componenti dell'impresa

- ragioni morali,

- ragioni sociali,

- ragioni economiche,

impongono non la lotta ma la collaborazione tra imprenditori, dirigenti, operai. I motivi di convergenza sono superiori a quelli di divergenza: il bene dei lavoratori tutti di un'azienda, come quello della società e di tutta la comunità mondiale impongono che le divergenze siano superate, con mezzi giuridici o, comun­que, leciti e pacifici, con volontà di cooperazione e spirito soli­daristico. Molto può, a tale proposito, l'importante categoria dei dirigenti d'azienda che vanno assumendo qua e là una pre­ziosa funzione, quasi mediatrice tra imprenditori ed operai.

 

Il contratto collettivo.

Il contratto di lavoro dev'essere, evidentemente, conforme a giustizia: esso deve perciò offrire al lavoratore condizioni di lavoro - orario, ambiente, sicurezza, retribuzione - corrispondenti alla sua dignità di persona umana e giuste.

A raggiungere tali scopi è particolarmente adatto il principio - diffuso ormai nelle nazioni più progredite - del contratto col­lettivo. Esso tende a stabilire una disciplina unitaria nella regola dei rapporti di lavoro tra imprenditori ed operai: ciò per otte­nere a questi le migliori condizioni possibili e per evitare dannose concorrenze tra gli stessi operai o tra gli imprenditori.

Il contratto collettivo può essere su scala aziendale, come su scala regionale o nazionale; esso riguarda, in genere, i lavo­ratori di un determinato settore; ma, se è ben fatto, non manca, per un giusto senso di solidarietà generale, di tener d'occhio anche il bene di tutti i lavoratori, anche d'altre categorie, e quello, totale, di tutti i cittadini. Il contratto collettivo va con­siderato come un'ottima conquista del mondo del lavoro.

 

Lo sciopero.

L'astensione collettiva dal lavoro di un numero rilevante di lavoratori, fatta di comune accordo, ai fini di ottenere migliori condizioni di lavoro, è lo sciopero.

Esso viene considerato lecito nell'attuale stadio d'organizzazione della società, ma solo a determinate condizioni:

1) che si tratti di motivi economici e non d'altro genere, ad es. politici, che non hanno a che vedere con le relazioni di lavoro tra imprenditori e dipendenti;

2) che le condizioni del momento siano profondamente mutate rispetto a quelle nelle quali furono liberamente sotto­scritti i patti di lavoro;

3) che non ci siano motivi specialissimi di non astenersi dal lavoro (ad es. il raccolto delle messi, che altrimenti andreb­bero perdute);

4) che non si tratti di categorie di lavoratori la cui asten­sione dal lavoro danneggerebbe gravemente il corpo sociale: ad es. magistrati, carcerieri, agenti di pubblica sicurezza, soldati, ministri, parlamentari, medici condotti, ecc.;

5) che il ricorso allo sciopero sia l'estremo tentativo, dopo aver esperito tutte le possibilità di soluzione discussa e. con­cordata;

6) che lo sciopero non comporti azioni delittuose, come sabotaggi, danni alle cose, violenze alle persone;

7) che chi intende scioperare non violenti la libertà di coloro che non intendono farlo.

In una società sufficientemente bene organizzata lo sciopero dovrebbe essere permesso solo in casi limiti e chiaramente rego­lato dalle leggi. A molti appare ragionevole - data la pro­fonda interdipendenza che nel nostro tempo si ha tra i vari settori della vita sociale - che per numerose categorie esso non venga ammesso, compresi, magari, tutti gli impiegati dello Stato e gli addetti ai servizi pubblici di prima necessità. È anzi augu­rabile che, in una futura, migliore organizzazione della società, la soluzione delle controversie di lavoro non venga affidata allo sciopero, che è sempre un atto di forza, ma a precise e sagge procedure giuridiche, cioè agli strumenti di legge, scaturiti dalla normale attività parlamentare, la cui applicazione può essere causa della più efficace regolazione delle vertenze di natura eco­nomica.

 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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