A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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LETTURE PER L'ANIMA

Ultimo Aggiornamento: 26/08/2015 21:12
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Sesso: Femminile
15/07/2013 10:31
 
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[SM=g1740758] Cari Amici, siamo in estate.... e ne approfittiamo per donarvi delle sante letture oltre all'immenso materiale che già abbiamo messo a vostra disposizione....

Buona meditazione a tutti e ricordiamo che: come il nostro stomaco NON va mai in vacanza ed ha bisogno di essere nutrito, così è per la nostra anima.... nutriamola con la Parola, con i Sacramenti, con le buone opere, con le sante letture..... ed anche il corpo riceverà immensi benefici.




Lo specchio della peccatrice Benedetta di Firenze
(beato Alano de la Rupe O.P.)



Ci fu una donna nella città di Firenze in Toscana, di nome Benedetta (di cui anche si parla nella vita di San Domenico), nata da Nobili Natali, e dotata di incomparabile bellezza. Sciupò gli anni dell'adolescenza della vita e li consumò in pericolosi comportamenti. Infine divenne lì una pubblica meretrice, nella massima insidia della perdizione delle anime.
Vedendola il Beato Domenico, Sposo insigne della Beata Vergine Maria, si meravigliò molto della sua gran bellezza, e nello stesso tempo, dell’immoralità di costei, ed ebbe un grande dolore per la perdizione della stessa, e di molte anime, redente dal Sangue di Cristo. Per volontà di Dio poi, quella peccatrice, dopo il Sermone di Domenico, ferita da questo Sermone, andò a confessarsi con lui. A lei dopo le altre cose, fatta la confessione: Vuoi, disse Domenico, che io, come suo Sposo, preghi per te nostro Signore Gesù Cristo e la dolcissima Maria Madre sua? Perché ti restituiscano a quello stato, che è più confacente te e alla tua salvezza? E a lui essa: Sì, Padre dolcissimo, umilmente prego e supplico, che così tu faccia. E alzandosi Domenico dal seggio della confessione, subito pregò per lei. E subito una moltitudine di demoni entrò nel corpo della donna, e per un anno intero, rimase così legata e ossessa, non senza il grande stupore di tutto quanto il popolo, e il terrore, sia dei suoi amanti specialmente, sia degli altri molti uomini carnali. Che cosa di più? Dopo un anno, Domenico, ritornando, visitò la sua prigioniera. Allora essa con pianti e con sospiri grandissimi lo scongiurava, che a lei porgesse la mano della pietà, liberandola dai nemici del genere umano.
Egli concesse questo volentieri e, fatto un segno di Croce, per la virtù del Salterio della Vergine Maria (per mezzo del quale era stato sempre solito fare grandi cose) scacciò da lei tutti i demoni, che erano nel numero di quattrocentocinquanta. Perciò a lei ingiunse come penitenza, ogni giorno, di recitare tre Salteri alla Vergine Maria, nei quali ve ne sono tante, cioè quattrocentocinquanta Ave Maria, contro gli altrettanti demoni detti prima. Fatto doloroso! Senti ciò che avviene dopo. Dopo che quella assai infelice peccatrice fu liberata da essi, e abbandonata a sé, in essa cominciarono di nuovo ad eccitarsi gli incendi della carne, a spuntare pensieri carnali e a ribollire nuovi desideri degli accompagnamenti carnali.

I precedenti amanti, ritornando da lei, vedendola restituita alla gloria di prima e alla bellezza del corpo, la spingevano a peccare, tanto che quella assai misera, immemore della Misericordia di Dio e della grazia, ritornò alle precedenti azioni cattive, e, più smisuratamente di prima, vendeva se stessa. Ad essa corrono quasi innumerevoli, e diventa uno spettacolo del diavolo più grave, che mai era stato. Il piissimo Domenico, udendo il nuovo spettacolo, la rovina della detta Benedetta e il danno di moltissimi uomini, va subito da lei spinto dallo Spirito di Dio. Tuttavia allora essendo in luoghi lontani, e trovatala in casa, attorniata dalle consolazioni dei miseri, e allontanati tutti con la luce divina dello sguardo, rivolto ad essa con volto terribile afferma: E’ vero o figlia, dice, che avevi promesso a Cristo e alla Vergine Maria, di condurre una vita immacolata? Ammettendo certamente, già conosci che una grande sventura, per te è imminente da parte di Dio per punizione, se subito non ti penti per essere ricaduta. Essa sentendo ciò, tacendo con tremore, e rimanendo stupefatta, non osava parlare. Allora l’uomo di Dio disse: Seguimi. E la condusse in quella medesima ora, come allora era, vestita con l’abito di meretrice, nella Chiesa maggiore, nella quale era venuta una grandissima moltitudine di popolo, e qui sedendo come in un tribunale, ascoltò la confessione di quella maledetta, mentre tutti quanti guardavano ed erano immensamente stupiti. Una nuova e meravigliosa mano di Dio.
Fatta la Confessione, le dice Domenico: Vuoi, figlia, affidarti per la salvezza tua e degli altri, alla dolcissima Madre di Misericordia? A lui quella poveretta, tremante e stupita, dice: Si, o Signore, avvenga la sua volontà. Avendo dunque Domenico (che in tutte le sue richieste, era esaudito secondo il desiderio) pregato un poco per lei, improvvisamente, mentre vedevano tutti quanti, essa, come prima, è presa da quattrocentocinquanta demoni, e davanti a tutti orribilmente tormentata. Viene presa, incatenata, legata, e, ululando e urlando con grida grandissime, e con l'orrore di tutti quelli che erano presenti, viene portata a casa. Domenico poi, subito scomparendo, fu trovato dopo un’ora a Parigi. Così dunque quella misera per un anno e più, rimase ossessa, e ogni giorno era terribilmente tormentata. Tuttavia qualunque giorno aveva un tempo di quiete, anche libero, nel quale pregava frequentemente tre Salteri della Vergine Maria. Allora in quel tempo non la potevano tormentare, o trattenere, benché si affaticassero di trattenere quella poveretta dal servizio della Madre di Dio, con colpi esterni di tavole, o con il mormorio delle voci, e con il tirare dei suoi vestiti, o dei capelli di lei.
Essendo dunque, la povera prigioniera della Beata Vergine Maria e di Domenico, agitata da tante sofferenze, accadde in una certa Vigilia di Maria Vergine, che essa, attonita, e rapita in spirito (essendo di nuovo Domenico ritornato già improvvisamente da lei, per volere di Dio, e pregando supplichevolmente Dio per essa) si vede presso il tribunale di Dio, che era trascinata terribilmente nell’infinito, mentre le schiere dei Santi, circonfusi di più splendore del sole, e un ingente libro a forma di cella o di camera fu portato, sigillato con i segni della maledizione e dell’Inferno. In esso era perfettamente raffigurata tutta la vita di quella Benedetta, e assieme narrata. Viene ordinato a quella poveretta di esaminare attentamente la descrizione e la scrittura del primo foglio, e di leggere. Quella scrittura era di così gran terrore e peso, che molto più volentieri sarebbe entrata in una fornace infuocata, di centocinquanta stadi, più che avere guardato soltanto il primo foglio.

Allora tremante e stupita, cominciò ad urlare con alte grida, dicendo: Ahimè! Ahimè! Me maledetta, e non benedetta, perché misera sono venuta al mondo? Perché sfortunata, rispetto agli altri figli, e alle figlie di Eva, sono stata riempita di tanti mali? Guai a me, misera figlia della maledizione! Guai ai genitori che mi hanno generato e non mi hanno insegnato, guai di più a quelli che mi ingannarono la prima volta. Ahimè, ahimè! Dove mi volgerò? Dove andrò? Dove mi nasconderò? Dove fuggirò, che dirò o che farò? Ahimè! Ahimè! Me misera! Vedo l’inferno aperto per afferrarmi, vedo per me nell’inferno un giudice molto terribile. Ahimè! Perché non sono morta giovane? Perché non sono morta nella culla? Ma, ahimè!, da una lunga vita malvagia, sono stata condotta a queste estreme miserie. Oh, se avessi presagito codesti così grandi rischi, e li avessi conosciuti bene, perché li avessi vissuti santamente. Oh, se il mondo, e le donne del mondo, codeste cose che io vedo, conoscessero, che cosa penserebbero di siffatta cosa? Che direbbero? Che farebbero? Guai a me, figlia dell’abominazione e della confusione, della miseria e d’ogni sudiciume, abisso dell’orrenda indecenza e d’ogni malvagità. Brevi sono state le mie gioie, ed ecco ahimè! Ahimè! Per esse vedo preparati, davanti a me, i tormenti eterni. E così gridando e cadendo a terra, davanti al sommo Giudice, era sconvolta da un immenso dolore. A lei il Giudice adirato con voce terribile soggiunge: Alzati, dice, alzati, fa’ quello che ho detto, e leggi nel tuo libro, davanti a tutti, le cose che hai fatto.
Ed quella lesse la prima pagina, e vide il margine del primo foglio. E tutte quante le lettere e gli apici a lei che vedeva provocavano con le immagini diversi tormenti, che sarebbe stato molto più facile, più dolce e più mite, sopportare la morte del corpo, che sopportare il dolore della lettera più piccola di quel libro. Cosa orrenda! Volesse, o non volesse, questa misera, lesse la pagina del primo foglio del libro della morte, con tanti urli, sospiri, lamenti e dolori, che priva di forze, quasi morta, cadde davanti al Giudice. Il Giudice molto terribile tuttavia, sgridandola molto fortemente, ordina di terminare di leggere la scrittura di tutto il suo libro. E girando la pagina per leggere un altro foglio, quella poveretta gridò così, con tanto terrore, paura, e tremore, davanti al timore delle pene della pagina successiva, che anche le pietre e le altre cose inanimate, se l’avessero sentita e l’avessero compresa, avrebbero pianto con lei. Perciò i presenti stessi, compassionevoli si prostrarono alle ginocchia del Giudice, chiedendo perdono per questa assai misera poveretta. Il Giudice allontanandoli, diceva che era stato offeso molto gravemente per causa sua, e che moltissime anime erano state perdute a motivo di lei; e perciò giustamente codesto libro, che lei stessa aveva fatto, tutto doveva leggere, e infine da quello ricavare la sentenza degna, come meritava per i suoi meriti.
Allora uno degli astanti, che, come a lei pareva, era San Domenico (il quale distingueva di tutta la visione della cosa, più chiaramente di lei stessa), voltandosi verso quella assai misera, diceva: Verso Maria, Madre di Dio, che hai servito nel Salterio, ora grida più svelta, perché abbia misericordia di te. Allora gemendo e sospirando fortemente, voltatasi verso la Madre di Dio Maria, umilmente dice: O Signora, Madre dolcissima della misericordia e Regina, abbi pietà di me maledettissima peccatrice, in tante angustie per i miei peccati, ahimè! che ora mi trovo qua. Allora la nostra Signora, pregando il Giudice per lei, e scongiurandolo, infine lo placava sotto la speranza dell’emendamento. Più benignamente di prima, il Giudice allora, rivolgendole la parola, dice: Ecco, figlia, ora ti concedo il tempo della penitenza. Vedi bene dunque, di distruggere con cura, per mezzo della penitenza, tutti quanti i peccati, che hai scritto nel tuo libro della morte. Se invece farai diversamente, darò su di te la sentenza della dannazione eterna, nel giorno, in cui tu non ti aspetti. Così dunque, disparendo la visione, ritornò in sé, e vide Domenico presente con lei nella Chiesa.

Confessandosi con lui molto velocemente ed accuratamente, anche domanda il modo, in cui occorre cancellare il libro terribile. A lei quello: Figlia, affidati alla Vergine Maria. Ella, infatti, oggi ti è stata così di aiuto e ti aiuterà anche in seguito, se però la servirai; senza dubbio veramente, mi affretto verso un altro, e quando sarò ritornato, ti manifesterò come il Signore mi ordinerà per te. Pertanto, nello spazio di tre mesi, ogni giorno con tutte le forze salutava la dolcissima Maria, nel suo Salterio. Ritornando Domenico, mentre egli celebrava la Messa, fu rapita in spirito, per lo spazio di quasi tre ore, nel quale vedeva la dolcissima Vergine, che così le diceva: Figlia, figlia, mi hai domandato molto spesso sul modo di cancellare il tuo libro infernale, ed ecco, Io Madre di misericordia, sono venuta ad insegnarti, l’arte, e il modo, in qual maniera potrai cancellarlo del tutto.
E subito, la dolcissima Maria, offrendo un bellissimo giglio con una scritta a lettere d’oro, lo diede a Benedetta, dicendo: Leggi, figlia, e in esso cancella i tuoi peccati. Codesta era la scrittura del giglio: Ricordati della gravità del peccato, e in esso, della Misericordia di Dio verso te. E poiché quella ammutolì per la vergogna, la nostra Signora rivolgendosi a lei, dice:
1. Ti dico, figlia, che è così grande la gravità del più piccolo peccato mortale, e tanto odioso a Dio e a tutti i Santi, e tanto detestabile dalla Corte Celeste del Paradiso, che, se fosse possibile che Io e gli altri Santi esistenti nel Cielo, commettessimo un solo peccato mortale, subito cadremmo nell'Inferno e saremmo dannati in eterno.
2. Per questo, figlia, forse che Lucifero e tante migliaia di demoni, a causa di un solo peccato mortale, non sono stati subito espulsi dal cielo, e condannati in eterno? Poiché tu, figlia, hai guadagnato più, che tutti costoro nel numero dei peccati e sei più indegna, più miserabile, infinitamente più piccola, sia di essi, sia di noi, senza alcun paragone; forse che ti sono state fatte una piccola misericordia e una piccola grazia? Dunque una così gran Misericordia deve spingerti, affinché ritorni alla clemenza e alla grazia, per mezzo della Misericordia del Creatore.

Sentendo questo, Benedetta versava assai copiosamente, singhiozzi e pianti, per la virtù di questo giglio. Poi Maria Vergine benedetta fra le donne, offrì alla stessa Benedetta, un secondo giglio, da leggere. In esso c’era scritto: Ricordati della morte innocentissima di Cristo, e osserva le penitenze dei Santi. Se, disse nostra Signora, Dio Padre ha odiato tanto il peccato, da non risparmiare proprio il suo figlio, ma all’età di trentatré anni, lo espose alle ingiurie del mondo, e senza peccato infine lo fece condannare ad una vergognosissima morte, a causa del solo peccato di disubbidienza di Adamo; forse che perciò non devi ringraziare moltissimo Dio, che fino ad ora ti ha dato il tempo di pentirti del tuo peccato senza ammenda, quando tuttavia lo stesso figlio di Dio, dal principio della sua concezione, fino alla morte compresa, per te sempre in ogni istante, fu nelle angustie della morte tante volte, quante tu lo hai offeso con i peccati. E inoltre non vedi che quelli che sono stati più graditi a Dio, come i Profeti, gli Apostoli, i Martiri, i Confessori, le Vergini e tutti i Santi, che furono nel mondo molto tormentati? E tu, molto misera, hai commesso tanti mali, e tuttavia per tanto tempo sei stata aspettata misericordiosamente, e non hai sopportato alcuna pena.
Queste parole penetravano il cuore di Benedetta come acute saette, e provocavano in essa rigagnoli abbondanti di lacrime.

La Sapientissima Maria, offrendo il terzo giglio, lo diede a Benedetta, per leggerlo e c’era questo scritto: Ricordati dei dolori del peccato del primo uomo, e di tutti i giusti che peccano. Presentandolo, Maria dice: O figlia Benedetta, forse che non deve dispiacerti molto la tua vita dall’esame di coscienza per grazia della divina misericordia, quando vedi il Primo Uomo Adamo, cacciato dal Paradiso, con sua moglie Eva, la condanna della morte, che porta a tutta la sua posterità, e in tal modo la fame, la sete, il freddo, il caldo e le infinite calamità del mondo, fino alla fine del mondo che seguirà: come è evidente! Ecco davanti a te vedi la spada della divina vendetta, dovunque e in ogni luogo, punire in ogni tempo il peccato d’Adamo, e tuttavia tu hai commesso numerosi mali tanto grandi, più volte, tanto ignobili, tanto orribili, da tanti anni, e non sei stata ripresa per essi, ma sempre dolcemente tollerata. Forse che, o figlia, questo non ti sembra grande e di non poco valore? E di più, non forse quasi tutto il mondo perì nel diluvio per il peccato della lussuria, non solo uomini, ma anche tutti quanti gli animali e le cose inanimate, e, quello che è maggiore, numerosissimi fanciulli innocenti?
E tu, ricolma di peccati così considerevoli, non vuoi convertirti a Dio, tu, che ancora non sei stata colpita da alcun male? Vedi, disse, Sodoma, e Gomorra, e le altre città unite ad esse, nelle quali, nel fuoco che scendeva dal Cielo perirono, quasi innumerevoli innocenti, con i loro genitori; e tu, dimora di tutti i vizi, e di tutti i peccati, rimani illesa. Forse che tutti i Padri non morirono così nel deserto? Anzi i santissimi Mosè ed Aronne, non morirono a causa della sola vanagloria e della mormorazione? E tu, così abominevole meretrice, piena di così nefandi peccati, non ancora punita per essi, non riconosci verso di te la clemenza del Giudice, tanto severo, e terribile per gli altri? Udendo queste parole, Benedetta era inghiottita da tanti pianti e gemiti che quasi moriva. La Madre Maria assai clemente, offrì il quarto giglio alla sua figlia Benedetta. In esso c’era scritto: Ricordati in che modo sei stata chiamata, mentre tanti Regni delle genti, e dei Giudei non sono stati attratti da Cristo. Esponendo questo la Sorgente della Bontà Santa Maria disse: Forse che a te non è stata fatta una grande grazia, o figlia, perché Cristo ti ha chiamato, e non ha attirato tanti Re dei pagani, comandanti, e nobili, tanti bei giovani, e tante belle donne, molto forti, molto ricchi, di entrambi i sessi, ormai da tanti anni alla sua legge, mentre ha condotto alla sua conoscenza te, poveretta, misera e miserabile, e la più piccola di tutte, carnale, e fallace?

Pensa queste cose, dunque, e pensa se questa non ti pare una gran cosa, perché essi sono figli del diavolo, e con i demoni, in tutti i peccati camminano, e vanno per la via della morte discendendo all’Inferno, e tu, molto indegna, da Dio nel Battesimo sei stata chiamata, unita agli Angeli e stabilita sulla via della salvezza.
Medita queste cose e riconosci in ciò, quanta grazia e benignità e clemenza ti è stata mostrata, e tuttavia hai offeso il tuo Dio più di tutti i Giudei e i pagani senza ogni paragone.
2. Oppure quanti, pensa, sono i Giudei e i Pagani, che ora digiunano, portano di continuo il cilicio e si disciplinano aspramente, mantengono il silenzio, compiono opere di misericordia, e tuttavia con tutte queste cose sono trascinati all’inferno. E tu, piena di miseria e di peccati, ancora senza pentimento e senza opere buone sei attesa da Dio e sei custodita sulla via della salvezza da me e dagli Angeli.
3. Oh, quanti sarebbero i convertiti e i fedeli, e sarebbero fatte intorno a loro tali cose, quante credi farebbero per amore di Dio, se fanno cose tanto grandi con l’errore del secolo? Perciò, disse, ora guarda più attentamente, perché in questa cosa a te è dato di più, che se ogni giorno ti donassero ventiquattro montagne d’oro, e tu tuttavia non consideri attentamente tali cose, né le temi. Lei, udendo ciò, e stridendo i denti per il terrore e il timore quasi era divenuta esangue, sia sapendosi più miserabile di tutti quanti i miseri. Poi la Madre di Dio e Regina Benedetta offrì a Benedetta sua serva, il quinto giglio, bellissimo. In esso era scritto così: Ricordati le pene del mondo, inflitte a questo mondo ai peccatori nei tempi passati.

Esponendo questo, la benedetta Madre Maria dice: Forse che non sai quanta pena ha avuto Saul, quanta pena Caino, quanta pena il Faraone, Datan e Abiron, e molti altri? Quanti, e come!, sono stati impiccati per un solo furto? Quanti sono stati incendiati, bruciati, e sgozzati per un solo atto di lussuria? Quanti poi sono stati flagellati, incarcerati, condannati, espulsi, e tormentati per un solo peccato, dal principio del mondo? E tu, che hai fatto infiniti mali, e non hai patito nulla per essi. Forse che ti sembra poco? Anzi, nella vita sei stata dotata e conservata con doni di natura e di fortuna, indegna e immeritevole di ogni dono, tu hai guadagnato quanto più di tutti. Quella sentendo ciò, e con la coscienza che le rimordeva, confessando di essere così, immensamente confusa, prostrata ai suoi piedi, con pianti irrefrenabili, umilmente domandava perdono. La Regina della pietà Maria, le offrì il sesto giglio, che conteneva in sé tale scritta: Ricordati delle pene di quelli che vivono adesso ed in futuro in questo mondo dei viventi. Esponendo questo la stessa Maestra di tutte le scienze, Maria nostra Signora, diceva: In verità, figlia Benedetta, numerosi, oggi, di buona vita precipitarono, e tu ti alzi. Molti nel giorno d’oggi, a causa di un solo peccato mortale, moriranno. Un soldato, infatti, mentre dorme e convive con la sua amante, improvvisamente nel sonno morirà, per questo unico peccato. Ed un tale in Inghilterra, per il solo peccato dell’ira sarà decapitato.
Ed in questa Città di Firenze, tre per un solo peccato saranno bruciati. In questo giorno, numerosi in un solo banchetto, moriranno per il peccato della gola. Anzi, anche alcuni Religiosi che vivono senza osservanza, specialmente a causa del vizio di possedere e insieme con tutto il Convento in Alemannia, saranno bruciati, e insieme con la cittadella vicina, in maggior parte, perché sono partecipi dei peccati di quelli e anche li difendono. E tu, scelleratissima, rimani impunita fino ad ora? Parimenti oggi con esito sicuro alcuni lebbrosi, alcuni feroci, alcuni indemoniati, alcuni malati, alcuni saranno soppressi, alcuni condannati. E tu, peggiore di tutti quelli, non riconosci la Misericordia di Dio che ti chiama? Oh quanti sono, e saranno in questo mondo, quelli che, se avessero l’ispirazione e le occasioni di conversione, che hai tu, con tutte le forze tornerebbero a Dio con la penitenza.

Guarda dunque queste cose, perché in questa Misericordia a te mostrata, ti è dato di più, che se ti fossero dati cento mondi d’oro. Guarda dunque, e ascolta le cose che dico, e convertiti a Dio con tutto il cuore. Sentendo lei queste parole, e pronunciando voci lamentevoli, mentre confessava i suoi peccati, riempiva così di lacrime tutta la cappella, tanto che si vedevano anche i suoi vestiti bagnati da ogni parte, insieme con la terra. La nostra illustre Signora l’assai benigna Maria, diede alla predetta Benedetta il settimo Giglio. In questo era contenuto un testo di questo modo: Ricordati la dannazione degli uomini precedenti, presenti e futuri. Esponendo questo, la Madre della pietà, dice: Non esiste alcun dannato, che se fosse, dove sei tu, non si pentirebbe enormemente. Ed ancora ci sono e ci saranno numerosi dannati, che se avessero avuto, o avessero la tua grazia, senza dubbio si sarebbero salvati. Oh quanti sono dannati, per un solo peccato mortale, e tu, che hai commesso così grandi misfatti, ancora sei impunita! Oh, quanti furono i giusti fino alla morte, e peccando nella morte, furono e sono dannati! Essendo Dio giusto, fa questo secondo giustizia o lo permette.

E tu, misera, sei ancora viva! Oh quanti per il solo peccato dell’ignoranza sono dannati, e saranno dannati, e tu che hai commesso così grandi delitti, da sicura malizia ricercata, ancora sei protetta ed impunita? Sai le cose che io dico? Se credi, convertiti, se non credi, di nuovo presta attenzione alle cose dette. Oggi una ragazza di dodici anni, per il solo peccato della lussuria, uccisa con il proprio padre, è dannata per l’eternità. E oggi in Spagna un bambino di otto anni sarà soppresso, e solo per il peccato di lussuria, che egli ha commesso con la sorella; anche se non l’ha compiuto, tuttavia ha incominciato, sarà dannato per l’eternità. E che cosa ancora? Oggi una certa Signora bellissima e molto nobile, che guida una danza corale, davanti a tutti improvvisamente morirà e per il peccato delle danze corali sarà dannata in eterno. Anzi un tale in Lombardia, è considerato da tutti buono e quasi Santo, il quale solo per il peccato di una negligente confessione e di un suo non perfetto esame di coscienza, morirà, e sarà dannato in eterno, benché tuttavia di questo non avesse per niente la coscienza che rimordeva. Tutti quanti dunque temano d’ora in poi di confessarsi grossolanamente e negligentemente come, ahimè!, oggi molti fanno nel maggior modo possibile.

Oggi anche in questa Città quattro moriranno, e un borghese sarà dannato, a causa di una sola negligenza, perché non aveva ammaestrato i suoi figli, e anche i servi, scrupolosamente seguendo Dio. Anche un certo Curato e Pastore, buono nella sua persona, ma poiché guidò le sue pecorelle troppo negligentemente, e nell’esame della Confessione, non le migliorò, morirà improvvisamente, e sarà dannato. Anche un certo Religioso di un convento, precipitando oggi, essendosi rotto il collo morirà, e sarà dannato, per il fatto che non aveva il saldo proposito di vivere secondo gli statuti, e la Regola del suo Ordine; ad avere questo proposito, almeno nel voto e nell’intenzione sotto pericolo di peccato mortale, qualsiasi Religioso è obbligato. Esiste poi anche un altro Religioso in un altro Monastero, che oggi improvvisamente morirà di peste e sarà dannato, proprio per il fatto singolarissimo, che svolgeva l’Ufficio Divino con trascuratezza e poca voglia. E tu, misera, piena di peccati, che in un’ora hai peccato, più di questi quattro nella loro vita, non avrai timore, né avrai spavento?

Quando tuttavia oggi proprio in quest’ora, le ostinate tue socie nel lupanare, da alcuni scellerati sono strozzate e sono dannate. Oh, se ora ti capitassero queste cose, che cosa faresti, diresti o penseresti? Guarda dunque, guarda, e pensa, che nell’inferno ci sono molti migliori di te, salvo lo stato, i quali tuttavia mai si salveranno. E tu, colpevole di più di tutti quelli, ancora non sei dannata? Che cosa vuoi sentire di più? Guarda quante cose buone ha fatto a te Dio! Né tuttavia fa agli altri, immensamente migliori di te. Vedi dunque e pensa bene, e osserva le cose che ho detto: perché, se dopo queste cose tu tornerai alla tua infamia, l’ira di Dio, non precipiti sopra di te senza misericordia. Infatti in questo dono, a te è stato dato di più, che se ti fossero stati dati, tanti mondi, di pietre preziose, quante sono le stelle nel Cielo. Così dunque, sentendo queste cose, la sopraddetta poveretta, specialmente conoscendo le morti improvvise di quelle che vivevano con lei, e sé oltremodo colpevole, cominciò a palpitare, davanti alla Vergine gloriosa, si rompono le vene, e il sangue scorre attraverso tutte le vie del corpo, e rimase quasi esanime, per l'angustia del cuore.
A quella, dopo il grido del popolo presente, Domenico veniente dalla Messa (nella quale egli era stato in quelle tre ore, durante le quali la predetta Benedetta era stata in estasi, pregando per lei molto supplichevolmente), conoscendo tutte quante le cose che erano state dette e fatte, verso la figlia sua, e, prendendola per la mano e segnandola, in virtù del Salterio della Vergine Maria, subito quella quasi morta, restituì all’integra salute; mentre tutto quanto il popolo era attorno e vedeva, e immense lodi al cielo proclamavano. Dopo sette giorni, mentre il molto devoto Padre Domenico celebrava nella Chiesa della Beata Vergine e quella predetta Benedetta era presente, ella vide Domenico nell’aspetto del Crocifisso con tutte le stimmate, e la Corona di spine, che andava all’altare, con l’assistenza della Vergine Maria e di moltissimi Angeli. Ed essendo stata fatta la consacrazione, apparve visibilmente Cristo disteso in Croce, con tutti i segni della Passione e versava su Domenico divinissimo sangue, e lo configurò perfettamente a sé.
Avvenuto questo, vide dalla parte destra il grandissimo libro, che ella prima aveva visto nel giudizio, diventato candidissimo, ma non ancora scritto. Mentre essa si stupiva grandemente di ciò, udì con una voce chiara il Signore Gesù Cristo che diceva a lei: Figlia Benedetta, hai cancellato il tuo libro con sette gigli, da ogni specie dei sette peccati mortali; guarda che sia riscritto in un altro modo, non come prima, con le pitture infernali nere e orribili, ma con lettere bianche e rosse. Altrimenti, farò vendetta nuovamente di te, e precipiterai. Sentendo lei questo, grandemente atterrita, e temendo molto di giungere alla pena precedente, accostandosi di più, e prostrandosi ai piedi della dolcissima Vergine Maria, domandava misericordia, per non essere colpita dalle tante pene di prima.

Allora la Regina della misericordia, sollevando il suo mantello, dalle diverse pietre preziose, dal suo collo trasse un Patriloquio bellissimo, dicendo: Questo, o figlia, tu donasti a me, ed io quello, come una collana imperiale, porto sul mio collo. E mio Figlio, che tu vedi pendente sulla croce, similmente al posto della collana Regale, ha la sua corona, posta sul suo collo di meravigliosa bellezza, e valore, che tu desti a noi, e per esse tu hai cancellato il tuo libro della morte con l’aggiunta dei gigli. Ora dunque, o figlia, agisci senza vacillare. Ecco il mio Salterio, nel quale in seguito i peccati tuoi e degli altri cancellerai, a te lo affido.
E nella prima Cinquantina, che è di cinquanta pietre preziose bianche, e chiare, scriverai nel libro gli articoli dell’Incarnazione di Gesù Cristo, Figlio mio, e di Dio, meditando le mie dignità in ordine al Figlio, secondo tutte le parti del mio corpo, cioè con quanto rispetto il capo verso di lui piegai, con gli orecchi la sua voce ascoltai, con le mani materne e Virginee, le sue tenerissime e bellissime membra toccai, ed i materni servizi spesi, ripartendole per tutte le membra fino ai piedi. A lettere rosse poi scriverai insieme alla seconda Corona, quello che dirai devotamente, alle ore della Passione del Figlio mio: questa Corona è di pietre preziose rosse, meditando certamente qui i cinquanta Misteri della Passione del Figlio mio, e tenendo davanti a te l’Immagine del Crocifisso, e offrendo un’Ave Maria per ogni ferita, meditando pure con questa il dolore di quella parte. Scriverai poi a lettere d’oro insieme alla terza Corona, quello che sarà ad onore dei Santi Sacramenti, e contro i tuoi peccati, e per immagini avrai le immagini della tua Chiesa e della tua patria, meditando da una all’altra, passando spiritualmente, e specialmente questo per la terza Corona, formata di aurei segni.

Così dunque, o figlia, nel predetto Salterio, devotamente servi me, e il Figlio mio, come hai incominciato, e quante volte offrirai il Salterio a noi, altrettante corone Imperiali, che sono di valore infinito, metterai intorno ai nostri colli con un onore ben degno e Regale. Terminata dunque così miracolosamente la Messa, nella quale la Vergine Maria, prendendo una parte dell’Ostia, e del Sangue di Cristo, comunicò a Domenico a lei molto familiare, in segno della somma e singolarissima amicizia come una Sposa con lo Sposo, e lo aiutò a deporre le vesti della Chiesa, e umilmente salutandola, e consegnando Benedetta (della quale le cose dette prima sono avvenute) con un bellissimo aspetto disparve. E poi codesta Benedetta, liberata del tutto dai demoni e rinsaldata nel buon proposito, rimase fino alla fine, nel servizio del Salterio di Cristo e della Vergine Maria, con ogni santità di devozione, e fervore di penitenza, tanto, che nostra Signora poi alla stessa apparve abbastanza spesso, e rivelò numerosi fatti di Domenico che nessuno degli uomini conosceva, e che furono scritti in parte nella sua Biografia scritta da Fra Tommaso del Tempio, che fu Spagnolo, e compagno del Santo Nostro Padre Domenico. Da questa biografia, e da molte altre biografie sono stati tratti i fatti, che ora sono stati detti su Domenico, e nuovamente sono stati confermati per Rivelazione di Cristo e della Vergine Maria, con grandi segni, e prodigi.

E di tutte queste cose offro fede, e testimonianza, sotto giuramento di fede della Trinità, sotto pericolo di ogni maledizione, da infliggere a me, nel caso, in cui io sia venuto meno dal retto sentiero della verità. Perciò allontanatevi dalla vostra cattiva strada, e ritornate a Cristo e alla Vergine Maria, Madre nostra, per mezzo del suo divinissimo Salterio. Perché come di nuovo è stato rivelato in questi tempi, da essi, la loro volontà è, che si predichi, che si insegni e che venga recitato da tutti, contro ogni male da debellare, e per ogni bene da raggiungere: e specialmente contro i mali imminenti, su tutto il mondo nel tempo avvenire, se non c’è nei popoli il pentimento.

Perciò lodatelo tutti, nel Salterio a dieci corde, cioè dicendo quindici Pater noster, e aggiungendo ad ognuno di essi dieci Ave Maria, che sono in numero di centocinquanta: come ci sono nel Salterio di Davide centocinquanta Salmi, in tutti i quali la dolcissima Vergine Maria fu prefigurata. Questo a noi tutti conceda Gesù Cristo, Figlio di Maria e di Dio, Benedetto nei secoli dei secoli. Amen.


Tratto da: Beato Alano della Rupe, Il Salterio di Gesù e di Maria. Genesi, storia e rivelazioni del Santissimo Rosario, pp. 571-589.

[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 15/07/2013 10:32]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  ieri.............

L’illustrissima Lucia di Spagna



C’era in Spagna al tempo di San Domenico, (come narra nel suo Mariale Giovanni del Monte), una donna molto devota, che dalla giovinezza serviva Dio e Maria Vergine, nel loro Salterio, nella dottrina e nell’esortazione del medesimo beatissimo Domenico. Questa Lucia era nata da una famiglia famosa, ma era ampiamente più splendida per la fede.
Lei, essendosi sposata con un soldato, concepì, essendo però rimasta incinta mentre gli infedeli invadevano il Regno di Granada, dopo la morte di suo marito per mano di soldati devastatori (avendo Dio permesso), fu trascinata prigioniera, con molte altre, alle terre degli Infedeli, e, venduta al servizio di un ferocissimo tiranno, e divenuta ancella delle ancelle, eseguiva ogni giorno degli umili lavori. Né gli empi la risparmiavano perché era incinta, ma con percosse e torture la colpivano di frequente. Giunse dunque il tempo del parto: a mezzanotte del Natale del Signore, senza che alcuno lo sapesse, essa sola era stata abbandonata in mezzo ai buoi e alle pecore, come un giumento.

Tuttavia in questa sofferenza non tralasciò mai il Salterio di Maria. Maria con lei fece una cosa straordinaria. Infatti nella medesima ora, mentre partorendo era assai angustiata dai dolori del primo parto, ed (essendo di tenerissima età, cioè di quattordici o quindici anni e per questo vergognosa ed inesperta della cosa ed ignara) sentì le doglie, ma non sapeva cosa fare, mancandole gli aiuti umani di qualcuno; come poté, prese il Salterio di Maria, e per quanto il dolore lo permettesse, nella notte cominciò a salutare la Vergine Maria.
La Regina della clemenza, che non sa chiudere le sue viscere a coloro che la servono, è accanto all’angustiata: fa i compiti dell’ostetrica, lavando il bambino, taglia l’ombelico: e poiché mancava il battezzante, improvvisamente giunse un Sacerdote, venerabile in viso, eccezionale per luminosità, avente una corona di spine sulla testa e le stimmate nelle mani, non insanguinate, ma splendenti del fulgore delle stelle: Egli venendo con il Diacono e il Suddiacono, e col sacro Crisma, battezzò il bambino e lo chiamò Mariano. Maria Madre di Dio teneva il bambino, e così dal nome di Maria, Madrina di Lucia, fu chiamato Mariano.

Si meravigliava Lucia, e per la meraviglia si dimenticò del dolore. Fatto pertanto il Battesimo, Maria consegnò il figlioletto a Lucia, dicendo: Ecco figlia il tuo figlio, consolati e persevera, infatti ti prometto che in seguito ti verrà un aiuto dal Cielo. E così la visione sparì, e Lucia rimase col figlio nella stalla assai vile, lieta della visione. Si stupì che tutto il dolore fosse andato via, e si sentì più forte che mai. Prese dunque suo figlio e lo pose sulla paglia, come Maria il figlio suo Gesù nel presepio, tra le pecore. Lucia poi rimase lì fino al giorno della Purificazione di Maria Vergine, esaltando sempre Maria nel suo Salterio.

E improvvisamente la mattina di quel giorno giunse a lei un giovane, splendente in volto, che disse: Poiché, o figlia, non ti sei purificata secondo l’usanza dei Cristiani, preparati a purificarti secondo l’uso dei fedeli. Essa disse: Signore, qui non c’è una Chiesa, né un Sacerdote, né il popolo fedele. Dice lui: Anzi, dice, ora ti condurrò in una chiesa bellissima, dove vedrai cose meravigliose e sentirai cose stupende. E a causa di questa prescrizione Lucia, portando addosso tra le braccia il bambino, seguiva il giovane, ed entrarono in una Chiesa bellissima, dove di fronte alla Chiesa le andavano incontro la Maddalena e la Santissima Anna, madre di Maria, le quali, prendendo Lucia per mano, la introdussero fino al coro. Fatto ciò, apparve la Gloriosa Vergine Maria, che disse a Lucia: Sei la benvenuta o figlia: molte volte mi hai presentato il Figlio mio per mezzo del mio Salterio: e ora ti presenterò a lui stesso, per la tua purificazione con tuo figlio. E Maria la prese per mano e introducendola ai cancelli, dove c’era la Sede imperiale di Maria, le ordinò di sedere vicino al grande altare. E venne quel sacerdote, che aveva battezzato il figlio, e con ineffabile melodia celebrò la Messa. E già era giunto all’offertorio. Pertanto Maria ordinò a questa sua Lucia per prima cosa di offrire il cero dato a lei.

In esso c’erano tre parti, in ognuna delle quali c’erano cinque lucerne, adornate in modo mirabile. Esso, pur essendo di grandezza eccessiva fu tuttavia più leggero della solita cera. Poiché anche sorse una questione tra Lucia e Maria, chi, per prima tra queste doveva baciare la mano del Sacerdote Pontefice. Infine Maria costrinse Lucia a baciare per prima, dicendo: Oggi tu sei stata purificata: da lungo tempo io sono stata purificata; per prima dunque è opportuno che tu baci la mano. Pertanto Lucia baciava la mano Divina di Cristo celebrante, e poi Maria. Così ritornate alle loro sedi, Lucia ebbe il primo posto. E quando alla fine della Messa tutti si comunicavano, per prima si comunicava Lucia, poi Maria. Fatta la Comunione, conosceva, e meditava i misteri incredibili e lieti, e piena di gioia fu condotta per mezzo di Maria fino alla porta della Chiesa, e Maria le disse: Conserva figlia, quello che hai ricevuto, e persevera nell’opera iniziata, infatti ti condurrò ora alla tua terra. E improvvisamente verso l’ora decima, questa Lucia si trovò in mezzo alla Chiesa di San Giacomo, con il suo piccolo. Difatti essa era originaria di Compostella, ma da molto era stata maritata nel Regno di Granada.

Essa rimase reclusa per tutti i giorni della sua vita, e il suo piccolo figlio Mariano con lei, ed erano insieme reclusi. E dopo la gloriosa morte della madre (la cui anima, la gloriosa Vergine Maria condusse con grande gioia ai gaudi eterni), Mariano rimase qui come eremita, ragguardevole in ogni virtù, temendo la gloria mondana e rimanendo sempre nel servizio del Salterio di Maria Vergine, con molte rivelazioni. E così presso Maria Vergine che le era apparsa, ebbe pace con una fine beata. Perciò, o donne e bambini, ammoniti da questo esempio, lodate Maria Vergine nel suo Salterio, dicendo sempre: Ave Maria, ecc.


Tratto da: Beato Alano della Rupe, Il Salterio di Gesù e di Maria. Genesi, storia e rivelazioni del Santissimo Rosario, pp. 603-605.


   oggi..........




Il miracolo di Benedetto XVI

Peter1E’ un bel mattino di maggio del 2012 quando Peter Srsich, insieme ai genitori Tom e Laura ed al fratello minore Johnny, si trova tra la folla di piazza S. Pietro per assistere all’udienza di Papa Benedetto XVI. Peter è un ragazzo di diciannove anni, giunto dal Colorado grazie alla Fondazione internazionale Make A Wish, che gli ha offerto la possibilità di realizzare un sogno. “E’ stato uno dei meno costosi, con una spesa complessiva di soli 14.000 dollari, ma sicuramente il più singolare” ha constatato Jennifer Mace-Walton, direttrice dell’organizzazione che nel Colorado consente ai ragazzi con malattie mortali di concretare desideri altrimenti impossibili.

Terminata l’udienza, la famiglia Srsich viene invitata a mettersi in fila per incontrare personalmente il Pontefice. Il ragazzo, che non si aspettava di potergli parlare, capisce che ha a disposizione pochissimi minuti per raccontargli le ragioni della sua venuta ma, mentre lo vede avvicinarsi sempre di più, si accorge con apprensione che gli altri fedeli gli stanno offrendo doni importanti, mentre loro sono arrivati a mani vuote.

 

E’ il padre a toglierlo dall’imbarazzo porgendogli il suo braccialetto di gomma verde con la scritta: “Prega per Peter” e con la citazione “Romani 8:28”, il passo biblico preferito dal giovane, che afferma: “E noi sappiamo che in tutte le cose Dio opera per il bene di coloro che lo amano, che sono stati chiamati secondo il suo disegno.” E’ uno dei 1.200 braccialetti fatti realizzare da un compagno di classe di Peter, che sapeva esser molto devoto, per donarlo a chiunque potesse pregare Dio per lui.

“Ho visto regalargli corone d’oro e un meraviglioso quadro di Maria altro 1 metro e mezzo – dirà in seguito – e io stavo seduto lì con un braccialetto di gomma da 70 cent, ero lì in piedi come il piccolo tamburino (personaggio di una canzone natalizia, ndr) con niente da offrire.”

 

Ma come raccontare al Papa in poche parole gli ultimi due anni della sua vita? Nella mente scorrono veloci gli avvenimenti che lo hanno portato a trovarsi in quella piazza.

Il suo calvario era iniziato poco prima del termine del suo primo anno di liceo con la comparsa di una fastidiosa tosse.

Quell’estate, di ritorno da una gita in canoa nel Minnesota, oltre alla tosse si era anche ritrovato sopraffatto da un’insolita stanchezza. Era un tipo di affaticamento “diverso da qualsiasi altro io abbia mai provato” racconterà poi.

Quelli che all’inizio sembravano i sintomi di una semplice polmonite risultarono invece essere gli effetti della presenza, nel suo polmone sinistro, di una massa di dieci centimetri che premeva sul cuore.

“Era così grande che non poterono mettermi sotto anestesia perché c’era il rischio che non mi sarei più svegliato, quindi non potevano neanche effettuare il prelievo per una biopsia”, ha riferito il giovane. Ma la diagnosi fu comunque fatta: linfoma non-Hodgkin al quarto stadio.

Peter7Il ragazzo venne quindi ricoverato immediatamente presso il Children Hospital del Colorado dove fu sottoposto ad estenuanti cicli di chemioterapia e di radioterapia.

Nonostante il fisico reggesse bene le cure, in Peter cominciò a manifestarsi una forte depressione che si alleggeriva solo dopo aver ricevuto l’Eucarestia, mentre la sua mente era tormentata da angosciose domande riguardanti il volere di Dio su di lui.

Nel frattempo gli fecero visita gli operatori del Colorado Make A Wish Foundation, che ogni anno aiuta circa 250 bambini, affetti da patologie gravissime, a realizzare un sogno.

“All’inizio ero un po’ preoccupato – ha detto Peter – perché ho pensato di essere come i bambini malati terminali che non hanno nessuna possibilità di guarigione e chiedono un ultimo desiderio. Ho creduto che ci fosse qualcosa che i medici non mi dicevano.”

Ma dopo aver chiacchierato con loro si era tranquillizzato, confidando che il suo massimo desiderio, molto più forte che non visitare Disneyworld o incontrare Justin Bieber, era di recarsi a Roma per incontrare il Papa.

“Ero convinto che sarei stato perfettamente bene se avessi potuto fare un viaggio in Vaticano” ha poi raccontato.

Peter4La situazione clinica di Peter Srsich soddisfaceva i criteri stabiliti dalla Make a Wish Foundation del Colorado: “Un giovanissimo con una malattia, comprovata da un referto medico, che sia progressiva e maligna e che porti al possibile, se non probabile, decesso”. Quindi il suo desiderio sarebbe stato accontentato.
Pur non avendo potuto frequentare regolarmente la scuola, il giovane, completamente calvo, aveva comunque partecipato allegramente alle festa di fine anno guadagnandosi il titolo di Re del ballo.

 

A tutti questi avvenimenti torna ora Peter mentre il Pontefice si sta avvicinando e, appena lo ha accanto, dopo due minuti di preamboli gli racconta del suo cancro e gli chiede una benedizione.

Pur troneggiando sul fisico minuto di Benedetto con la sua altezza di 1,98 metri, si sente in soggezione dinnanzi alla premurosa attenzione carica d’affetto del Pontefice e resta colpito dalla sua profondissima umiltà e dalla sua sorridente dolcezza, così da regalargli il braccialetto di gomma senza alcun imbarazzo.

Il Papa, di fronte a tanta fede e a tanta confidente speranza, lo benedice ponendogli la mano destra sul torace, proprio lì dov’è annidato il tumore, mentre con la sinistra gli prende la mano.

Ma il prodigioso è che Peter non gli ha raccontato che da lì era partito il tutto e se ne stupisce maggiormente rendendosi conto che normalmente le benedizioni vengono impartite imponendo le mani sul capo.

Peter3Pieno di gioia per quell’incontro, Peter comincia ad avvertire immediatamente un nuovo senso di benessere che aumenta di giorno in giorno, finché i medici del Children Hospital lo dichiarano completamente guarito.

Oggi Peter Srsich frequenta la Regis University, un collegio di Gesuiti a Denver. Il suo obiettivo è quello di essere ordinato sacerdote.

Cliccare sulle foto se si desidera ingrandirle

Fonti:

Daily Mail online

abcNEWS









[Modificato da Caterina63 07/12/2014 09:00]
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La Monaca custodita ed il Monastero riformato per mezzo del Salterio



Un Conte era ricco e circondato da molti figli; temendo molto di non dare tutti quanti a nozze convenienti alla sua origine, offrì in voto una certa figlia molto delicata nel corpo, molto bella nell’aspetto, piccola d’età, al Beato Benedetto, affidandola alle Monache dell’ordine del medesimo, proprio perchè con esse avrebbe compiuto la scorciatoia della vita. La Vergine fu vestita, e poi questa, come altre figlie di nobili, visse nei trastulli.
Questa Congregazione di Monache si curava poco o niente nel conservare la Regola, ma, come un gregge che va per una via sbagliata, precipitava nella fossa dei vizi. Il confessore di quel luogo così disse a questa predetta Vergine: C’è per te qualche esercizio, con il quale guardandoti dall’ozio, potrai servire con maggiore purezza a Dio e alla Beata Vergine? E quella a lui: Mi domandi, o Padre, una cosa sconosciuta, sono piccola, ed abituata ai trastulli; se c’è qualche lavoro da fare, io certamente non sono stata abituata.

E lei a lui : Non è di incomodo, né di grande sforzo, ma di gran piacere ed è un cumulo di virtù. A lui ella rispose: Cosa è, disse, ciò di cui parli tanto lodevolmente? Indicamelo, ti prego, o Padre, senza indugiare. E quello a lei: Il Salterio, disse, ha il nome di Maria, ed è formato da centocinquanta Salutazioni Angeliche, dopo le singole dieci Salutazioni, un’Orazione del Signore sempre aggiungendo: perché così ho udito dal Beato Domenico. Questo, figlia, senza dubbio è l’esercizio sul primato della lode per il quale già è stato tenuto un Sermone. Ma essa: Lo saprò con l’esperienza, disse, se è così, come suggerisci. Ma egli: Ascolta dunque il modo che ti rivelerò, secondo il quale tu ti devi esercitare in esso. Leggerai la prima cinquantina, ripetendo e meditando su qualche punto dell’Incarnazione di Cristo. Dirai la seconda, meditando qualche punto salutare della Passione di lui. Dirai la terza per i tuoi peccati, e con questa domandando le preghiere di intercessione dei Santi che sono per te speciali nella devozione, ed imitando gli esempi di costoro.

Colpita interiormente da questi avvertimenti molto salutari, ed ottemperando la fanciulla lo recitò con animo gioioso e con grande devozione. Ella, con tale occupazione, rimase immune dai molti mali, dei quali era angosciato invece il Monastero delle Monache: e non solo acquistò la sanità della mente, ma anche, straordinariamente, la bellezza del corpo. Poiché prima nel mondo sempre si ammalava, questa infermità era stata la causa più grande, per cui fu offerta dai genitori alla Ordine Religioso. I genitori dunque apprendendo della salute di lei e sapendo che era molto bella, tentarono di impedirne la Professione (ancora infatti non era professa) e volevano darle come sposo l’illustrissimo figlio del Re di Spagna; ma lei stessa, più temendo Dio, che i genitori, fece la professione a tempo debito. Divenuta così Professa (poiché ciascuna delle monache aveva il proprio amico ed amante, con i quali erano solite cantare in coro, bere e fare molte cose riprovevoli), molti Nobili, scelsero lei che sapevano nobile e bella per amica, e le mandarono lettere per stimolarla a siffatte cose.

Lei angustiata, buttò le lettere nella cloaca, ponendo soltanto il suo amore nel Dio suo Gesù e nella Madre gloriosa di lui. Tuttavia il nemico del genere umano, vedendo queste stesse cose e avendo invidia di lei, eccitò le altre Monache contro costei, perché lei non si comportava come le altre, e perciò le altre disdegnandola, la perseguitavano e la chiamavano ipocrita. Né per questo, desistette da ciò che aveva intrapreso, ma con maggiore devozione invocava la Vergine Maria, chiedendo, che la fortificasse nella pazienza. Talvolta mentre essa pregava così, la Vergine gloriosa sempre benedetta, portando una lettera, la posò davanti ad essa, e in questa così era scritto: Maria, la Madre di Dio, saluta Giovanna figlia di Dio. E inoltre tre avvertimenti erano contenuti in essa, che se essa avesse terminato con assiduità, sarebbe giunta di più alla perfezione. Il primo di essi consisteva nel fatto che doveva continuare il Salterio incominciato più devotamente. Il secondo, che allontanasse da sé per quanto poteva, i cattivi pensieri e l’ozio. Il terzo, che dipingesse in ogni posto della propria cella i buoni avvertimenti che allontanavano dal male e spingevano al bene. Come per esempio quelli sulla Passione di Cristo, sul Regno dei Cieli, sulla morte, sull’inferno e così su altre cose, secondo l’esigenza delle sue tentazioni. La ragione di esse era questa, perché spesso con la tentazione dimenticava di resistere alle tentazioni. Giovanna compì devotamente tutte queste cose.

Capitò poi, che un tale Santo Abate, a cagione della riforma, si dirigesse in quel Convento, ma venne malamente ingiuriato e malmenato dagli amanti, e dagli innamorati di esse, ed infine costretto ad andar via, non senza gran dolore. Poi, (non era passato molto tempo), ritornò al medesimo Convento, non a motivo della riforma; ma per visitarlo, com’è di norma. Ricevuto dunque cortesemente da esse, nella seconda ora della notte, osservando in visione, vide tuttavia sia cose molto piacevoli, sia cose orribili: infatti vide una cella, come avvolta dalla luce del sole, e dentro una Signora Regina bellissima accompagnata da Santi di entrambi i sessi i quali erano di ineffabile bellezza. Era presente, con essi anche una fanciulla che pregava. Stavano intorno a quella cella innumerevoli demoni sotto ogni forma orribile d’animali, che emettevano voci nelle proprie maniere; ma come se fossero stati scagliati dei giavellotti, da lì furono allontanate tutte le schiere dei demoni. E così allontanandosi si sparsero per le altre camere, dove entravano in queste sotto forma di rospo, alcuni sotto l’aspetto di un serpente, alcuni sotto figura di un drago, ponendo innanzi, e offrendo alle Monache essenze corporee ed immonde. E tutte quelle, accettarono come una bevanda dolcissima, quei mortali veleni. Ed attraverso le loro bocche sia attraverso le singole membra entravano anche altre cose.

Egli dunque vedendo tutto ciò, e considerando tale miseria quasi in tutte, gridando, e deplorando e non dormendo, divenne quasi esamine, per l’angustia ed il terrore, e così come un morto fu portato in una cella, dove rimase per qualche tempo, ma, per volere di Dio, poi si ristabilì. Egli dunque, volendo andar via chiamò Giovanna e domandò con cura che cosa avesse visto. Lei dunque non essendo capace di negare, diceva che quella Signora era stata la Vergine Maria, con i Santi, verso i quali aveva la devozione nel suo Salterio. Sentendo questa cosa l’uomo di Dio si rallegrò molto e la esortò alla perseveranza nel Salterio. E considerando la virtù del Salterio, si prefisse con santa avvedutezza di riformare il Convento. Infatti comprò per ciascuna un Patriloquio mirabile e prezioso, dandone uno ad ogni Monaca con il tal patto, che ogni giorno ognuna dicesse un Salterio, aggiungendo e promettendo, che, mai avrebbe voluto riformare il loro Convento con la violenza.

Una ad una accettarono con gioia, sia perché si allietavano della bellezza del Patriloquio, sia perché non volevano essere riformate.
Fatto straordinario! La virtù del Salterio di Maria riformò quelle, che la violenza e la potestà di quel devoto Padre non potevano emendare. Infatti passò quasi un anno, e così avevano stabilito da se stesse, di abbandonare ogni vanagloria e, scrivendo al predetto Abate, gli notificarono, che erano pronte ad obbedire, in ogni cosa alla sua volontà. Dunque, riformatesi, condussero in seguito una vita degna di lode assieme alla predetta Giovanna, perseverando nel Salterio della Vergine Maria, per mezzo del quale avevano meritato una così immensa grazia.


Tratto da: Beato Alano della Rupe, Il Salterio di Gesù e di Maria. Genesi, storia e rivelazioni del Santissimo Rosario, pp. 609-613.

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S. Giovanni Bosco: Sette considerazioni per i giorni della settimana

(Estratto da: "Il giovane provveduto")



1. Domenica: Fine dell'uomo.

2. Lunedì: Il peccato mortale.

3. Martedì: La Morte.

4. Mercoledì: Il Giudizio.

5. Giovedì: L'Inferno.

6. Venerdì: L'eternità delle pene e la passione di Cristo che ci salva

7. Sabato: Il Paradiso.

Siccome desidero grandemente che ogni giorno facciate qualche poco di lettura spirituale, e penso che non tutti potete avere i libri a ciò convenienti, così vi presento qui sette brevi considerazioni, distribuite per ciascun giorno della settimana, perché servano a quelli di voi che non possono leggere altri libri di tal genere. Prima di cominciar la lettura, fate in ginocchio questa preghiera:

Mio Dio, mi pento con tutto il cuore d'avervi offeso; fatemi la grazia ch'io ben conosca le verità che sono per meditare, e mi accenda d'amore per voi. Vergine Maria, Madre di Gesù, Angelo mio Custode, Santi e Sante del Paradiso, pregate per me.

DOMENICA

Fine dell'uomo.



1. Considera, o figliuolo, che questo tuo corpo, quest'anima tua ti furono dati da Dio senza alcun tuo merito, col crearti Egli a sua immagine. Egli poi ti fece suo figlio col Santo Battesimo; ti amò e ti ama con tenerezza di padre, e t' ha creato per l'unico fine che tu lo ami e lo serva in questa vita, e possa così essere un giorno eternamente felice con Lui in Paradiso. Sicché non sei al mondo solamente per godere, né per farti ricco, né per mangiare, bere e dormire come le bestie; il tuo fine è di gran lunga più nobile e più sublime; il tuo fine è amare e servire il tuo Dio, e salvarti l'anima. Se farai questo, quante consolazioni proverai in punto di morte! Ma se non attendi a servire Iddio, quanti rimorsi proverai in fin di vita! Le ricchezze, i piaceri tanto da te ricercati, non serviranno più che ad amareggiarti il cuore, venendo tu allora a conoscere il danno che queste cose han cagionato all'anima tua.

Figliuol mio, guàrdati bene dall'essere di quei tali, che pensano solo a soddisfare il corpo con opere, discorsi e divertimenti cattivi: in quella ultim'ora costoro si troveranno in gran pericolo di andare eternamente perduti. Un segretario del Re d'Inghilterra moriva dicendo: «Povero me! ho consumato tanta carta a scriver lettere per il mio principe, e non ne ho mai usato un foglio per notare i miei peccati e fare una buona confessione!».

2. Cresce poi ai tuoi occhi l'importanza di questo fine, se consideri che da esso dipende la tua salvezza o la tua perdizione. Se salvi l'anima, tutto va bene, e godrai per sempre; ma se la sbagli, perderai anima e corpo, Dio e Paradiso, e sarai per sempre dannato. Non imitare quei disgraziati che vanno illudendosi col dire: «Fo questo peccato, ma dopo me ne confesserò». Non ingannare in tal modo te stesso: Dio maledice colui che pecca colla speranza del perdono: Maledictus homo qui peccat in spe. Ricòrdati che tutti quelli che sono all'inferno, avevano speranza di emendarsi poi, e intanto si sono eternamente perduti. Chi sa se poi avrai il tempo di confessarti? Chi ti assicura che tu non muoia subito dopo il peccato, e l'anima tua non precipiti giù nell'inferno? Oltre a ciò che pazzia è mai questa, di farti una piaga colla speranza di avere poi un medico che te la guarisca? Metti dunque in disparte la fallace lusinga di poterti dare a Dio più tardi; in questo stesso momento detesta ed abbandona il peccato, che è il sommo di tutti i mali, e che, allontanandoti dal tuo fine, ti priva di tutti i beni.

3. Qui per altro voglio farti osservare un laccio terribile, con cui il demonio coglie e conduce alla perdizione tanti cristiani, ed è di permettere che imparino le cose di Religione, ma non che le mettano in pratica. Sanno costoro di essere creati da Dio per amarlo e servirlo, e intanto colle loro opere sembra non cerchino nient' altro che la propria rovina. Quante persone infatti non si vedon nel mondo, le quali pensano a tutto fuorché a salvarsi! Se io dico ad un giovane che frequenti i Sacramenti, che faccia un po' di orazione, risponde: «Ho altro da fare, ho da lavorare, ho da divertirmi». Oh infelice! e non hai un'anima da salvare?

Perciò tu, o giovane cristiano che leggi questa considerazione, procura di non lasciarti in questo modo ingannare dal demonio; prometti al Signore che quanto farai, dirai e penserai in avvenire, sarà tutto per l'anima tua; perché sarebbe la più grande fama occuparti tanto seriamente di quello che finisce così presto, e pensar sì poco all'eternità che non avrà più fine. S. Luigi poteva godere piaceri, ricchezze ed onori, ma a tutto rinunziò dicendo: «Che mi giova questo per la mia eternità? Quid haec ad aeter nitatem»?

Conchiudi anche tu così: «Ho un'anima; se la perdo ho perduto ogni cosa. ! Se guadagno anche tutto il mondo, ma con danno dell' anima mia, a che mi giova? Quidenim prodest homini, si mundum univérsum lucrétur, animae vero suae detriméntum patiatur? Se divento un grand'uomo, un riccone; se mi acquisto la fama di sapiente col farmi padrone di tutte le arti e le scienze di questo mondo, ma poi perdo l'anima mia, a che mi giova»? A nulla ti giova tutta la sapienza di Salomone, se te ne vai perduto. Di' dunque così: «Sono stato creato da Dio per salvarmi l'anima, e la voglio salvare a qualunque costo, e voglio che per l'avvenire l'amare Iddio e il salvar l'anima mia sia l'unico scopo, delle mie azioni. Si tratta di essere o sempre beato o sempre infelice: vada dunque ogni cosa, purch'io mi salvi! Mio Dio, perdonatemi i miei peccati e fate che non mi accada mai più la disgrazia di offendervi: anzi aiutatemi colla vostra santa grazia, affinché io possa fedelmente amarvi e servirvi per l'avvenire. Maria, mia speranza, intercedete per me».

LUNEDÌ

Il peccato mortale.



1. Oh se tu sapessi, figliuolo, mio, che cosa fai quando commetti un peccato mortale! Tu volti le spalle a quel Dio che ti creò e ti fece tanti benefizi; disprezzi la sua grazia e la sua amicizia. Chi pecca, dice col fatto al Signore: «Va' lontano da me, io non ti voglio più obbedire, non ti voglio più servire, non ti voglio più riconoscere per mio Signore: Non sérviam. Il mio Dio è quel piacere, quella vendetta, quella collera; quel discorso cattivo, quella bestemmia». Si può immaginare un'ingratitudine più mostruosa di questa? Pure, o il figliuol mio, questo tu hai fatto ogni volta che hai offeso il tuo Signore.

2. Più grande ancora poi ti apparirà questa ingratitudine, se rifletti che per peccare tu ti servi di quelle medesime cose che ti diede Iddio. Orecchie, occhi, bocca, lingua, mani, piedi, san tutti doni di Dio, e tu te ne sei servito per offenderlo! Oh! ascolta dunque ciò che ti dice il Signore: «Figlio, io ti creai dal niente; ti diedi quanto hai presentemente, ti feci nascere nella vera Religione, ti feci dare il santo Battesimo. Potevo lasciarti morire quando eri in peccato: ti conservai in vita per non mandarti all'inferno: e tu, dimenticando tanti benefizi, vuol servirti di questi stessi miei doni per offendermi»? Chi non si sente compreso da rincrescimento per aver fatto un'ingiuria così enorme a un Dio sì buono, sì benefico verso di noi, miserabili sue creature?

3. Tu devi pur considerare che questo Dio, quantunque buono ed infinitamente misericordioso, tuttavia resta grandemente sdegnato quando l'offendi. Perciò, quanto più a lungo tu vivi nel peccato, tanto più vai provocando e accrescendo l'ira di Dio contro di te. Quindi hai molto da temere che i tuoi peccati diventino così numerosi, ch'Egli alla fine ti abbandoni. In plenitùdine peccatorum puniet. Non già che sia per mancarti la misericordia divina, ma ti mancherà il tempo per chieder perdono, perché non merita la misericordia del Signore chi ne abusa per offenderlo. Infatti, quanti già vissero nel peccato colla speranza di convertirsi, e intanto giunse la morte, mancò loro il tempo di aggiustare le cose di coscienza, ed ora sono eternamente perduti! Trema che lo stesso non sia per avvenire a te. Dopo tanti peccati che il Signore t' ha perdonato, devi giustamente temere che ad un nuovo peccato mortale l'ira divina ti colpisca: e ti mandi all'inferno.

Ringrazialo di averti aspettato sinora, e fa' in questo punto una ferma risoluzione dicendo: «Basta, Signore: quel po' di vita che mi resta non lo voglio più spendere ad offendervi: lo spenderò invece ad amarvi e a piangere i miei peccati. Me ne pento con tutto il cuore.

Gesù mio, vi voglio amare, datemi forza. Vergine Santissima, Madre del mio Gesù, aiutatemi. Così sia».

MARTEDÌ

La morte.



1. La morte è una separazione dell'anima dal corpo, con un totale abbandono delle cose di questo mondo. Considera pertanto, figliuolo, che l’anima tua avrà da separarsi dal corpo: ma non sai dove avverrà questa separazione. Non sai se la morte ti coglierà nel tuo letto, o sul lavoro, o per istrada, o altrove. La rottura di una vena, un catarro, un impeto di sangue, una febbre, una piaga, una caduta, un terremoto, un fulmine, basta a privarti della vita. Ciò può essere di qui a un anno, a un mese, a una settimana, a un'ora, e forse appena finita la lettura di questa considerazione. Quanti la sera si posero a dormire stando bene, e la mattina furon trovati morti! Quanti, colpiti da qualche accidente, morirono all'istante! e poi dove andarono? Se erano in grazia di Dio, beati loro! sono per sempre felici; se invece erano in peccato mortale, sono eternamente perduti. Dimmi, figliuolo mio, se tu dovessi morire in questo momento, che ne sarebbe dell'anima tua? Guai a te se non ti tieni apparecchiato! Chi non è preparato oggi a morir bene, corre grave pericolo di morir male.

2. Quantunque sia incerto il luogo e incerta l'ora di tua morte, ne è però certa la venuta. Speriamo pure che l'ora estrema di tua vita non venga in maniera repentina o violenta, ma lentamente e con ordinaria malattia. Verrà ad ogni modo un giorno in cui, steso in un letto, sarai vicino a passare alla eternità, assistito da un sacerdote che ti raccomanderà l'anima, col crocifisso da un canto, una candela accesa dall'altro, e attorno i parenti che piangono. Avrai la testa addolorata, gli occhi oscurati, la lingua arsa, le fauci chiuse, oppresso il petto, il sangue gelato, la carne consunta, il cuore trafitto. Spirata che avrai l'anima, il tuo corpo vestito di pochi cenci verrà gettato a marcire in una fossa... Quivi i sorci ed i vermi ti roderanno tutte le carni, e di te non rimarrà niente altro che quattr'ossa spolpate ed un po’ di polvere fetente. Apri un sepolcro e vedi a che è ridotto quel giovane ricco, quell'ambizioso, quel superbo. Leggi attentamente queste righe, figliuolo mio, e ricòrdati che si applicano anche a te come a tutti gli altri uomini. Adesso il demonio per indurti a peccare vorrebbe distoglierti da questo pensiero, e scusare la colpa, dicendoti che non c'è gran male in quel piacere, in quella disobbedienza, nel tralasciare la Messa nei giorni festivi; ma in morte ti scoprirà la gravezza di questi e di altri tuoi peccati, e te li metterà innanzi. E che farai tu allora, sul punto d'incamminarti per la tua eternità? Guai a chi si trova in disgrazia di Dio in quel momento!

3. Considera che da quel momento dipende la tua eterna salute, o la tua eterna dannazione. Vicini a morire, vicini a quell'ultimo chiuder di bocca, al lume di quella candela, quante cose si vedranno! Due volte ci si tiene accesa dinanzi una candela: quando siamo battezzati e al punto di morte; la prima volta per farci conoscere i precetti della divina legge che dobbiamo osservare; la seconda per farci vedere se li abbiamo osservati. Perciò, o figlio mio, alla luce di questa vedrai se avrai amato il tuo Dio, oppure se l'avrai disprezzato; se avrai onorato il suo santo nome, o se l'avrai bestemmiato; vedrai le feste profanate, le Messe tralasciate, le disobbedienze fatte a' superiori, gli scandali dati ai compagni; vedrai quella superbia, quell'orgoglio, che ti lusingarono; vedrai... oh Dio! tutto vedrai in quel momento, nel quale ti s'aprirà dinanzi la via dell'eternità: Moméntum a quo pendet aetérnitas. Oh grande, terribile momento, da cui dipende un'eternità di gloria o di pena! Capisci quel che ti dico? Voglio dire che da quel momento dipende l'andare in Paradiso o all'inferno; l'essere per sempre contento, o per sempre afflitto; per sempre figlio di Dio, o per sempre schiavo del demonio; per sempre godere cogli Angioli e coi Santi in Cielo, o gemere ed ardere per sempre coi dannati nell'inferno!

Temi grandemente per l'anima tua, e pensa che dal viver bene dipende una buona morte ed un'eternità di gloria. Perciò non tardar più, e preparati fin d'ora a fare una buona confessione e ad aggiustar bene le partite della tua coscienza, promettendo al Signore di perdonare a' tuoi nemici, di riparare gli scandali dati, di essere più obbediente, di astenerti dalle carni nei giorni proibiti, di non più perder tempo, di santificare la feste, di adempiere i doveri del tuo stato.

Intanto mettiti dinanzi al tuo Signore, e digli di cuore così: «Mio Signore, sin da questo momento io mi converto a Voi; vi amo, voglio amarvi e servirvi sino alla morte. Vergine Santissima, Madre mia, aiutatemi in quel punto terribile. Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l'anima mia».

MERCOLEDÌ

Il Giudizio.



1. È la sentenza che il Salvatore pronuncerà in fine della nostra vita, sentenza con cui sarà fissata la sorte di ciascuno per tutta l'eternità. Appena uscita l’anima dal corpo, subito comparirà davanti al Divin Giudice. La prima cosa che rende questa comparsa terribile all'anima del peccatore, si è il trovarsi sola al cospetto di un Dio disprezzato, di un Dio che conosce ogni segreto del nostro cuore, ogni nostro pensiero. E quali cose porteremo con noi? Porteremo quel tanto di bene e di male che avremo fatto in vita: Ut réferat unusquisque propria corporis, prout gessit, sive bonum, sive malum. Non si può trovare né scusa, né pretesto. S. Agostino parlando di questa tremenda comparsa dice: «Quando, o uomo, comparirai davanti al Creatore per essere giudicato avrai sopra di te un Giudice sdegnato; da un canto i peccati che ti accusano; dall'altro i demoni pronti ad eseguire la condanna; dentro una coscienza che ti agita e ti tormenta; al di sotto un inferno spalancato che sta per ingoiarti. In tali strette dove andrai, dove fuggirai?». Beato te, o figliuolo, se avrai operato bene in vita tua. Intanto il Giudice divino aprirà i libri della coscienza, e comincerà l'esame: Judicium sedit, et libri apérti sunt.

2. Dirà allora questo Giudice inappellabile: - Chi sei tu? - Sono un cristiano, - risponderai. - Bene, - egli ripiglierà, - se sei cristiano, vedrò se hai operato da cristiano. - Indi comincerà a rammentarti le promesse fatte nel S. Battesimo, colle quali rinunziasti al demonio, al mondo, alla carne; ti rammenterà le grazie che t'avrà concesse, i Sacramenti frequentati, le prediche, le istruzioni, gli avvisi dei confessori, le correzioni de' parenti: ogni cosa ti verrà schierata dinanzi. - Ma tu, dirà il divin Giudice, a dispetto di tanti doni, di tante grazie, oh quanto male hai corrisposto alla tua professione di cristiano! Già nell'età in cui appena cominciavi a conoscermi, cominciasti a offendermi con bugie, con mancanze di rispetto in chiesa, con disobbedienze a' tuoi genitori, e con molte altre trasgressioni de' tuoi doveri. Almeno col crescere negli anni tu avessi meglio regolate le tue azioni; ma no, coll'età purtroppo crebbe in te anche il disprezzo alla mia legge. Messe perdute, profanazioni de' giorni festivi, bestemmie, vigilie non osservate, Confessioni mal fatte, Comunioni talvolta sacrileghe, scandali dati a' tuoi compagni: ecco quel che hai fatto invece di servirmi.

Verso lo scandaloso poi si volgerà tutto pieno di sdegno, dicendo: - Vedi quell'anima che cammina per la strada del peccato? Sei tu, che co' tuoi discorsi scandalosi le insinuasti la malizia. Tu come cristiano dovevi col buon esempio insegnare a' tuoi compagni la via del Paradiso; invece, tradendo il mio Sangue, hai loro insegnato la strada della perdizione. Vedi quell'anima laggiù nell'inferno? Sei tu che co' tuoi perfidi consigli la togliesti a me per consegnarla al demonio: tu fosti causa della sua eterna perdizione. Ora vada l'anima tua per l'anima che hai fatto perdere col tuo scandalo: Répetam animam tuam pro anima illius.

Che te ne pare, figliuolo, di questo esame? Che cosa ti dice la tua coscienza? Sei ancora a tempo, se vuoi: chiedi perdono a Dio de' tuoi peccati, con una sincera promessa di non peccar più; e comincia fin d'oggi una vita da buon cristiano, per prepararti un corredo di opere buone pel giorno in cui dovrai comparire davanti al tribunale di Gesù Cristo.

3. Al conto rigoroso che il Giudice supremo esige dal peccatore, questi tenterà di opporre qualche scusa o pretesto, dicendo che non sapeva di dover venire a tanto stretto esame. Ma gli sarà risposto: - E non udisti quella predica e quel catechismo? non lo leggesti in quel libro, che io ti avrei domandato conto di ogni cosa? - Il disgraziato allora si raccomanderà alla misericordia divina, ma questa non sarà più per lui, perché non merita misericordia chi per tanto tempo ne ha abusato, e perché colla morte finisce il tempo della misericordia. Si raccomanderà agli Angeli, ai Santi, a Maria Santissima; e Maria risponderà a nome di tutti; - Adesso chiedi il mio aiuto? Non m' hai voluta per madre in vita, ed ora io non ti voglio più per figlio, non ti conosco più. - Allora il peccatore, non trovando più alcuno scampo, griderà alle montagne, alle pietre, che lo coprano, e non si muoveranno. Invocherà l'inferno, e lo vedrà aperto: Inférius horréndum chaos; quello è l'istante in cui l'inesorabile Giudice proferirà la tremenda sentenza: - Figlio infedele, dirà, va' lungi da me: il mio Padre celeste ti ha maledetto: io pure ti maledico; vattene al fuoco eterno a gemere e a penare coi demoni per tutta l'eternità: Discédite a me, maledicti, in ignem aetérnum. - Quell'anima infelice, prima di allontanarsi per sempre dal suo Dio, volgerà per l'ultima volta lo sguardo al Cielo, e nel colmo della desolazione dirà: - Addio, compagni, addio, amici, che abitate nel regno della gloria; addio, padre, madre, fratelli, sorelle; voi godrete per sempre, io sarò per sempre tormentato. Addio, Angelo custode, Angeli e Santi tutti del Paradiso; io non vi rivedrò mai più. Addio, o Salvatore; addio, o Croce santa; addio, o Sangue sparso invano per me, io non vi rivedrò mai più. Da questo momento io non son più figlia di Dio, e sarò per sempre schiava dei demoni nell'inferno. - E allora i demoni, resi padroni di lei, trascinandola ed urtandola la faranno piombare nei loro abissi di pene, di miserie, di tormenti eterni.

Figliuolo, non temi per te una simile sentenza? Ah! per amor di Gesù e di Maria! preparati con opere buone una sentenza favorevole, e ricòrdati che quanto è spaventosa la sentenza proferita contro del peccatore, altrettanto consolante sarà l'invito che Gesù farà a chi visse cristianamente. - Vieni, gli dirà, vieni al possesso della gloria che t' ho preparata. Tu mi hai servito fedelmente nel breve tempo di tua vita, ora godrai in eterno: Intra in gaudium Dòmini tui. - Gesù mio, fatemi la grazia ch'io possa esser uno di questi benedetti. Vergine Santissima, aiutatemi Voi; proteggetemi in vita ed in morte, e specialmente quando mi presenterò al divin vostro Figlio per essere giudicato.

GIOVEDÌ

L'Inferno.



1. L'inferno è un luogo destinato dalla divina Giustizia a punire con supplizio eterno quelli che muoiono in peccato mortale. La prima pena che i dannati patiscono nell'inferno si è la pena dei sensi, i quali sono tormentati da un fuoco che brucia orribilmente senza mai diminuire. Fuoco negli occhi, fuoco nella bocca, fuoco in ogni parte. Ogni senso patisce la propria pena. Gli occhi sono accecati dal fumo e dalle tenebre, atterriti dalla vista dei demoni e degli altri dannati. Le orecchie giorno e notte non odono che continui urli, pianti e bestemmie. L'odorato soffre oltremodo pel fetore di quello zolfo e bitume ardente che soffoca. La bocca è crucciata da ardentissima sete e fame canina: Et famem patiéntur ut canes. Il ricco Epulone in mezzo a quei tormenti alzò lo sguardo al cielo e chiese per somma grazia una piccola goccia di acqua, per temperare l'arsura della sua lingua, e anche una goccia d'acqua gli fu negata. Onde quegli sventurati, arsi dalla sete, divorati dalla fame, tormentati dal fuoco, piangono, urlano e si disperano. Oh inferno, inferno, quanto sono infelici quelli che cadono ne' tuoi abissi! Che ne dici, figliuolo mio? se tu avessi a morire in questo momento, dove andresti? Se ora non puoi tenere un dito sopra la fiammella di una candela, se non puoi soffrire nemmeno una scintilla di fuoco sulla mano senza gridare, come potrai reggere allora tra quelle fiamme per tutta l'eternità?

2. Considera inoltre, figliuolo mio, il rimorso che proverà la coscienza dei dannati. Essi soffriranno un inferno nella memoria, nell'intelletto; nella volontà. Si ricorderanno continuamente del motivo per cui si sono perduti, cioè per aver voluto dare sfogo a una qualche passione: questo ricordo è quel verme che non muore mai: Vermis eorum non moritur. Si ricorderanno del tempo che fu loro dato da Dio per salvarsi ancora dalla perdizione, dei buoni esempi dei compagni, dei propositi fatti e non eseguiti. Ripenseranno alle prediche udite, agli avvisi del confessore, alle buone ispirazioni avute di lasciare il peccato, e vedendo che non c'è più rimedio, manderanno urla disperate. La volontà poi non avrà mai più niente di quello che vuole, è al contrario patirà tutti i mali. L'intelletto infine conoscerà il gran bene che ha perduto. L'anima separata dal corpo, presentandosi al divin tribunale, intravede la bellezza di Dio, conosce tutta la sua bontà, quasi contempla per un istante lo splendore del Paradiso, forse ode anche i canti dolcissimi degli Angeli e dei santi. Che dolore, vedendo che tutto ha perduto per sempre! Chi potrà mai resistere a tali tormenti?

3. Figlio mio, che ora non curi di perder il tuo Dio e il Paradiso, conoscerai la tua cecità quando vedrai tanti tuoi compagni più ignoranti e più poveri di te trionfare e godere nel regno de' cieli, e fu maledetto da Dio sarai cacciato via da quella patria beata, dal godimento di Lui, dalla compagnia della Santissima Vergine e dei Santi. Su dunque, fa’ penitenza; non aspettare che non vi sia più tempo: datti a Dio. Chi sa che non sia questa l'ultima chiamata, e che se non vi corrispondi, Iddio non t'abbandoni e non ti lasci piombare giù in quegli eterni supplizi! Deh! Gesù mio, liberatemi dall'inferno! A poenis inférni libera me, Domine!

VENERDÌ

L'eternità delle pene e la passione di Cristo che ci salva



1. Considera, figliuolo mio, che se andrai all'inferno, non ne uscirai mai più. Là si patiscono tutte le pene e tutte in eterno. Passeranno cent'anni da che tu sarai nell'inferno, ne passeranno mille, e l'inferno incomincerà allora; ne passeranno centomila, cento milioni, passeranno milioni di secoli, e l'inferno sarà da principio. Se un Angelo portasse la nuova ai dannati, che Dio li vuol liberare dall'inferno quando saranno passati tanti milioni di secoli, quante sono le gocce d'acqua del mare, le foglie degli alberi e i granelli di sabbia della terra, questa nuova porterebbe loro la più grande consolazione. È vero, direbbero, che hanno da passare tanti secoli, ma un giorno avranno da finire. Invece passeranno tutti questi secoli e tutti i tempi immaginabili e l'inferno sarà sempre da capo. Ogni dannato farebbe volentieri questo patto con Dio: Signore, accrescete quanto vi piace questa mia pena, fatemi stare in questi tormenti quanto tempo vorrete, purché mi diate la speranza che un giorno finiranno. Ma no: questa speranza, questo termine, non verranno mai. Fidati della passione di Cristo, Lui è l'unica e vera speranza, medita sulla sua passione e comprenderai che lui è venuto e lì è finito per evitarci questo inferno eterno.

2. Almeno il povero dannato potesse ingannar se stesso e lusingarsi col dire: Chi sa, forse un giorno Dio avrà pietà di me, e mi caverà da questo baratro! Ma no, neppur questo: egli si vedrà sempre scritta dinanzi la sentenza della sua eternità infelice. Dunque, andrà dicendo, tutte queste pene, questo fuoco, queste grida non hanno più da finire per me? No, gli verrà risposto, no, mai. E dureranno sempre? Sempre, per tutta l'eternità. Sempre, vedrà scritto su quelle fiamme che lo bruciano; sempre, sulla punta delle spade che lo trafiggono; sempre, su quei demoni che lo tormentano; sempre, su quelle porte chiuse per lui in eterno. Oh eternità! oh abisso senza fondo! oh mare senza sponda! oh caverna senza uscita! chi non tremerà pensando a te? Maledetto peccato! che tremendo supplizio prepari a chi ti commette! Ah! non più, non più peccati in vita mia.

3. Quello poi che ti deve colmar di spavento, è il pensare che quella orrenda fornace sta sempre aperta sotto i tuoi piedi, e che basta un sol peccato mortale a farviti cadere. Capisci, figliuol mio, ciò che leggi? Una pena eterna per un sol peccato mortale, che commetti con tanta facilità. Una bestemmia, una profanazione dei giorni festivi, un furto, un odio, una parola, un atto, un pensiero osceno basta per farti condannare alle pene dell'inferno. Ah! dunque, figliuolo, ascolta il mio consiglio: se la coscienza ti rimorde di qualche peccato, va' presto a confessartene per cominciare una buona vita; pratica ogni mezzo che ti suggerirà il confessore; se è necessario, fa' una confessione generale; prometti di fuggire le occasioni pericolose, i cattivi compagni, e se Dio ti chiamasse anche a lasciare il mondo, arrenditi presto. Qualunque cosa si faccia per iscampare da un'eternità di pene, è poco, è niente: Nulla nimia securitas, ubi periclitatur aetérnitas. (San Bernardo). Oh quanti nel fior di loro età abbandonarono il mondo, la patria, i parenti, e andarono a confinarsi nelle grotte, nei deserti, vivendo soltanto di pane ed acqua, anzi talvolta di sole radici d'erbe, e tutto questo per evitare l'inferno! E tu che fai? dopo tante volte che hai meritato l'inferno col peccato, che fai? Mettiti ai piedi del tuo Dio e digli: «Signore, eccomi pronto a far quello che volete; non più peccati in vita mia; già troppo vi ho offeso; datemi pure ogni pena in questa vita, purché io possa salvare l'anima mia».

SABATO

Il Paradiso.



1. Quanto fa spavento il pensiero e la considerazione dell'inferno, altrettanto consola quello del Paradiso, preparato da Dio a tutti coloro che l'amano e lo servono nella vita presente. Per fartene un'idea considera una notte serena. Quanto è mai bello a vedersi il cielo con quella moltitudine e varietà di stelle! Quali son piccole, quali più grandi: mentre le une nascono sull'orizzonte, le altre già tramontano; ma tutte con ordine e secondo la volontà del lor Creatore. Aggiungi a ciò la vista di un bel giorno, ma in modo che lo splendore del sole non impedisca di veder bene le stelle e la luna. Supponi altresì di avere quanto di bello si può ritrovar nel mare, nella terra; nei paesi, nelle città, nei palazzi dei re e dei monarchi di tutto il mondo. Aggiungi ancora ogni più squisita bevanda, ogni cibo più saporito; la più dolce musica, l'armonia più soave. Or bene tutto questo insieme è un nulla a paragone dell'eccellenza, dei beni, dei godimenti del paradiso. Oh come è desiderabile e amabile quel luogo, ove si godono tutti i beni! Il beato non potrà a meno di esclamare: Io sono saziato dalla gloria del Signore: Satiàbor cum apparùerit gloria tua.

2. Considera poi la gioia che proverà l'anima tua nell'entrare in Paradiso; l'incontro e l'accoglienza dei parenti e degli amici; la nobiltà, la bellezza dei Cherubini, dei Serafini, di tutti gli Angeli e di tutti i Santi, che a milioni e milioni lodano il Creatore; il coro degli Apostoli, l'immenso numero dei Martiri, dei Confessori, delle Vergini. V'è pure una gran moltitudine di giovani, i quali, perché conservarono la virtù della purità, cantano a Dio un inno che niun altro può imparare. Oh quanto godono in quel regno i beati! Sono sempre in allegrezza, senza infermità, senza dispiaceri e senza affanni che turbino la loro pace, il loro contento.

3. Osserva inoltre, o figliuolo, che tutti i beni ora considerati sono un nulla, a confronto della grande consolazione che si prova nel vedere Iddio. Egli consola i beati col suo amorevole sguardo, e sparge nel loro cuore un mare di delizie. Nello stesso modo che il sole illumina e abbellisce tutto il mondo, così Iddio colla sua presenza illumina tutto il Paradiso e ne riempie i fortunati abitatori di piaceri inesprimibili. In Lui. vedrai come in uno specchio tutte le cose, godrai tutti i piaceri della mente e del cuore. S. Pietro sul monte Tabor, per aver mirato una sola volta il viso di Gesù raggiante di luce, fu ripieno di tanta dolcezza, che fuori di sé esclamò: «O Signore, buona cosa è per noi lo star qui: Domine, bonum est nos hic esse». E vi sarebbe rimasto per sempre. Quale gioia sarà dunque il contemplare non per un istante, ma per sempre, per sempre godere questo viso divino che innamora gli Angeli e i Santi, che abbellisce tutto il Paradiso! E la bellezza ed amorevolezza di Maria; di quanto gaudio deve pur riempire il cuore del beato! Oh sì! quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore! Quam dilécta tabernàcula tua, Domine virtutum! Perciò tutte le schiere degli Angioli e dei Beati cantano la sua gloria dicendo: Santo, Santo, Santo è il Dio degli eserciti; a Lui sia onore e gloria per tutti i secoli.

Coraggio dunque, figliuolo: ti toccherà patire qualche cosa in questo mondo, ma non importa: il premio che avrai in Paradiso compenserà infinitamente tutti i tuoi patimenti. Che consolazione sarà la tua, quando ti troverai in Cielo in compagnia dei parenti, degli amici, dei Santi, dei Beati, e dirai: Sono salvo e sarò sempre col Signore: Semper cum Domino érimus. Allora sì che benedirai il momento in cui lasciasti il peccato; il momento in cui facesti quella buona confessione e cominciasti a frequentare i Sacramenti, il giorno in cui lasciasti i cattivi compagni e ti desti alla virtù; e pieno di gratitudine ti volgerai al tuo Dio, e a Lui canterai lode e gloria. per tutti i secoli. Così sia.


[SM=g1740771]


[Modificato da Caterina63 07/12/2014 09:19]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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15/07/2013 10:46
 
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Lettera di Suor Lucia dos Santos (la veggente di Fatima)
ad un Sacerdote





Caro padre: Pax Christi!

Ho notato nella sua lettera che è molto preoccupato per il disorientamento del tempo presente. È nella verità quanto lei lamenta che tanti si lascino dominare dall’onda diabolica che schiavizza il mondo e si incontrano tanti ciechi che non vedono l’errore.

Ma il principale errore è che questi abbandonarono la preghiera, allontanandosi da Dio e senza Dio tutto gli viene meno, perché senza di me non potete fare nulla ( Gv 15,5).
Ora, ciò che soprattutto raccomando è che ci si avvicini al Tabernacolo e si faccia orazione. Lì si incontrerà la luce e la forza per nutrirsi e donarsi agli altri. Donarsi con soavità, con umiltà e, nello stesso tempo con fermezza.
Perché coloro che esercitano una responsabilità hanno il dovere di tenere la verità nella dovuta considerazione, con serenità, con giustizia, con carità. Per questo hanno bisogno ogni giorno di più pregare, di stare vicino a Dio, di trattare con Dio di tutti i problemi prima di affrontarli con le creature. Continui per questa strada e vedrà che vicino al Tabernacolo troverà più sapienza, più luce, più forza, più grazia e più virtù che giammai potrà incontrare nei libri, negli studi, né presso creatura alcuna.

Non giudichi mai perduto il tempo che passa nell’orazione e vedrà come Dio le comunicherà la luce, la forza e la grazia di cui ha bisogno, e anche quello che Dio le chiede.

È questo che importa: fare la volontà di Dio, rimanere dove Egli ci vuole e fare ciò che Egli ci chiede. Ma sempre con spirito di umiltà, convinti che da soli non siamo niente e che deve essere Dio a lavorare in noi e servirsi di noi per tutto quello che Lui domanda.

Per questo abbiamo tutti bisogno di intensificare molto la nostra vita di interiore unione con Dio e tutto ciò si consegue per mezzo della preghiera. Che a noi manchi il tempo per tutto, meno che per la preghiera, e vedrà come in meno tempo si farà molto!
Tutti noi, ma specialmente chi ha una responsabilità, senza la preghiera, o che abitualmente sacrifica la preghiera per le cose materiali è come una penna d’oca di cui ci si serve per sbattere l’albume delle uova, elevando castelli di schiuma che, senza zucchero per sostenerli, in seguito si disgregano e si disfanno trasformandosi in acqua putrida.

Per questo Gesù Cristo disse: voi siete il sale della terra, ma se questo perde la forza , a niente altro più serve se non per essere gettato via.
E, siccome questa forza solo da Dio possiamo riceverla, abbiamo bisogno di avvicinarci a Lui, perché ce la comunichi e questa vicinanza si realizza solo per mezzo della preghiera, che è il luogo in cui l’anima si incontra direttamente con Dio.
Raccomandi questo a tutti i suoi fratelli sacerdoti e lo sperimenteranno. E poi mi dica se mi sono ingannata. Sono ben certa di quale sia il principale male del mondo attuale e la causa del regresso nelle anime consacrate. Ci allontaniamo da Dio, e senza Dio inciampiamo e cadiamo.

Il demonio è astuto per saper qual è il punto debole e attraverso il quale ha da attaccarci. Se non stiamo attenti e non ci premuriamo con la forza di Dio, soccombiamo perché i tempi sono molto cattivi e noi siamo molto deboli. Solo la forza di Dio ci può sostenere.

Veda se può portare avanti tutto con calma, confidando sempre in Dio e Lui farà tutto quello che noi non possiamo fare e supplirà alla nostra insufficienza.

Sr. Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria

[SM=g1740738]


L'amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuol amare, si ama; quando si vuol amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa. Se accade che si soccomba a una tentazione, è perché l'amore è troppo debole, non perché esso non c'è: bisogna piangere, come san Pietro, pentirsi, come san Pietro, umiliarsi, come lui, ma sempre come lui dire tre volte: «Io ti amo, io ti amo, tu sai che malgrado le mie debolezze e i miei peccati io ti amo».

Beato Carlo di Gesù (Charles de Foucauld)

[SM=g1740771]

Pensieri tratti dall'epistolario del Beato Card. Ildefonso Schuster

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Sento da più parti, che il Signore desidera una riforma nel Clero e negli Ordini Religiosi. La veste canonica c'è, ma sotto questa veste, talora c'è poco spirito! La vera crisi sta tutta qui. (25 giugno 1945)

Gli Ordini Religiosi vivono dei loro ricordi storici. I Seminari di molta parte d'Italia mancano di veri educatori. Si sente il bisogno di vaste riforme, ma bisogna pregare perché Dio ne faccia sentire la necessità ai Supremi Piloti della Nave. Senza di essi, non si fa nulla. (14 ottobre 1945)

Purtroppo, di fronte al Comunismo trovasi un Cristianesimo in gran parte svuotato del suo contenuto – Parlo delle masse, e non degli individui -. Il rito e la coreografia hanno il predominio sulla dottrina e sulla vita evangelica. Bisogna anzitutto riportare il Clero allo spirito evangelico, indi la Parrocchia, la Diocesi e la Chiesa, in quanto massa. Sono necessari i Santi. Solo essi comprendono tali problemi e li sentono. Gli altri no. (3 settembre 1950)

Il grande errore del secolo, che si infiltra anche nel santuario e nei chiostri, è il naturalismo, che prende il posto del soprannaturale. Quale seduzione! Ecco perché gran parte dell'attività ecclesiastica è scarsa di frutto: “Quod natum ex carne, caro est”. E' carne. E' soprattutto la formazione del giovane clero, che bisogna curare nei seminari e nei noviziati dei Regolari; specialmente in questi ultimi. Molti Ordini sono divenuti innanzi a Dio alberi sterili: rami e foglie, senza frutto per il Signore. (20 ottobre 1950)

L'atmosfera di Dio è quella della Fede, della grazia, dell'orazione, mentre ora, anche i Religiosi, preferiscono un'atmosfera di razionalità, di attivismo, di accomodamento allo spirito del secolo. (2 novembre 1953)

La Madonna piange anche sul Santuario, e sui Chiostri. Si ragiona troppo, e si vive poco di Fede. All'ubbidienza ecclesiastica e religiosa, sottentra il culto della personalità. Alla mortificazione sacerdotale e cristiana, succede uno spirito edonistico, che è affatto nemico alla Croce di Cristo. Anche il clero va secolarizzandosi nello spirito. Sono cose che mi fanno paura. (22 febbraio 1954)

[...] penso che la S. Chiesa abbia bisogno d'un aggiornamento a base di vita interiore nello spirito del S. Vangelo. La diplomazia, il ritualismo, il giurismo nascondono molto vuoto, ed il mondo se ne accorge. Strascichi serici, croci auree non convertono più nessuno. (15 maggio 1954)


[SM=g1740771]




[Modificato da Caterina63 15/07/2013 12:06]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740758] Dal Diario di Santa Gemma Galgani

http://www.amicidigesucrocifisso.org/wp-content/uploads/2012/05/p1030232.jpg

Domenica, 22 luglio

È battuta nuovamente dal demonio. Aspri rimproveri dall'angelo per aver commesso alcune mancanze.

Ho fatto la santissima comunione, ma Gesù non mi si è fatto sentire nulla nulla; ora però mi trovo assai quieta. Oggi poi, che credevo di essere affatto libera da quella brutta bestia, invece mi ha bussato assai. Io era andata proprío coll'intenzione di dormire, tutt'altro invece: ha cominciato in certi colpi, che temevo proprio mi facesse morire. Era in forma di un grosso cane tutto nero, e mi metteva le gambe sulle mie spalle; ma mi ha fatto assai male, perché mi ha fatto sentire tutti gli ossi. Alle volte perfino credo che me li tronchi; anzi una volta, tempo indietro, nel prender l'acqua santa, mi dette una torta tanto forte al braccio, che cascai in terra dal gran dolore, e allora mi levò l'osso proprio dal posto; ma mi ci tornò ben presto, perché me lo toccò Gesù, e fu fatto tutto.

Dopo del tempo, mi ricordai che al collo ci avevo il legno della santa croce; potei con quello segnarmi, e tornai subito in calma. Mi mísi subito a ringraziare Gesù, che mi si fece vedere, ma ben poco: mi rianimò di nuovo a soffrire e a combattere, e mi lasciò. Da allora in poi non mi sono potuta più raccogliere; sia benedetto Dio in ogni modo.

Nel corso del giorno, ieri, però bisogna che dica alcuni avvertimenti, che mi dette il mio santo angelo. Il primo fu in tempo di desinare; mi si accostò. Devo dire ancora che in quel momento mi era venuto un pensiero... Lui si vede lo capì, mi disse: « Figliuola, vuoi proprio che me ne vada e non farmi più vedere? ». Mi vergognai e rientraí in me stessa. Queste parole le pronunziò assai forte, e non so se possono aver sentito anche gli altri.

Un'altra volta fu ieri il giorno, mentre ero in chiesa; mi si accostò anche allora e mi disse: « La grandezza di Gesù e il luogo ove tu sei meritano altra maniera di operare». In quel tempo avevo alzato gli occhi per guardare due bambine come erano vestite.

L'ultimo stanotte: ero nel letto in una maniera non tanto ammodo; mi ha rimproverato dicendomi che invece di progredire ne' suoi insegnamenti divento sempre peggiore, e continuamente mi rallento nel bene.

Tutte queste cose, poi, sono svegliata sempre quando mi accadono.

A quel che mi pare, invece di esser buona e prepararmi alla visita di Maria Santissima Addolorata con confratel Gabriele, per quanto faccia, non mi riuscirà.



Lunedì, 23 luglio


Gesù le dà forza di vincere il demonio e di burlarsi di lui. Apparizione di san Gabriele dell'Addolorata.

Oggi poi Gesù mi ha mostrato di nuovo che sempre continua a volermi bene, non nella maniera di prima, di unirmi con lui o raccogliermi, ma in un'altra. Sono andata a letto, mi sono addormentata, e come dormivo bene; dopo circa un quarto (perché i miei sonni son sempre brevi), ho veduto in fondo al letto, ma per terra, il solito omino, nero nero, piccino piccino. Ho capito chi era e mi sono subito risentita per bene; ho detto: « Ma che ora hai ricominciato la storia di non farmi neppur dormire? ». « Come! Dormire? », mi ha risposto. « Perché non preghi? »

«Pregherò più tardi», ho detto. «Ora dormo». «Sono due giorni, veh!, che non ti puoi più raccogliere; bene, lascia fare che ci penso io». Principiava a darmi qualche colpetto; ho preso il crocifisso in mano, ma sì era inutile. Stava per montarmi addosso e darmene quante poteva. Non so quel che sia successo; l'ho veduto montar sulle furie e rotolarsi per terra.

Io ridevo: oggi mi pareva di non aver paura; mi ha detto: «Oggi non ti posso far nulla, ma te le asserbo un'altra volta ». Gli ho dimandato: « Ma perché non puoi? Se altre volte hai potuto, puoi benissimo ancora: io sono la stessa, ho soltanto Gesù al collo».

Allora mi ha detto: «Quella... che è in questa stanza, che ti ha fatto? Fatti levare quella roba da dosso, e poi vedrai ». Io insistevo che non ci avevo nulla, perché dormivo, ma capivo di chi voleva parlare. Dopo queste parole me ne stavo contenta nel letto e ridevo, guardando i brutti versi che faceva e la rabbia che lo divorava.

Mi diceva che se prego ancora mi fa soffrire di più. « Non m'importa », dicevo. « Soffrirò per Gesù ». Insomma, oggi mi ci sono divertita assai: lo vedevo tanto arrabbiato; mi ha promesso però di asserbarmele.

Ha aspettato a stasera, ma grazie a Dio non ha potuto durare tanto a lungo: mi ha dato tre stritolate forti assai, che dopo, per andare a letto, mi ci è voluto del tempo tanto. In certi momenti corre lontano e con tanto spavento che non so quel che abbia. Mi ridusse proprio che appena mi potevo muovere.

Quanto chiamai Gesù! Ma che, non venne mai; pregai pure il mio angelo custode che mi conducesse da Gesù, ma mi fu ogni cosa inutile. Si trattenne un po' lui con me e mi disse: « Stasera Gesù non viene neppure a benedirti, neppure io stasera ti benedico».

Mi sgomentai allora, perché, se Gesù non mi benediva con forza, io non potevo alzarmi: non avevo più niente al mio posto. Si avvide allora che ero per piangere e disse: « Ma ci manda, sai, Gesù. E se tu sapessi chi ti manda stasera, quanto saresti contenta».

La mia mente allora volò subito a confratel Gabriele. Lo dimandai, ma non mi dette nessuna risposta; mi fece stare un po' di tempo così sossopra e piena di curiosità. Infine mi disse: « Ma se Gesù manda davvero confratel Gabriele a benedirti, tu che farai? Non parlargli, se no disobbedisci al confessore ». + « No, non parlo », risposi impaziente; « ma come può benedirmi confratel Gabriele? ». « Ma è Gesù che lo manda; eppure lo ha mandato altre volte Gesù per benedirti. Ma ti riuscirà stare zitta e obbedire? ». « Sì sì, obbedirò; fallo venire ».

Dopo qualche minuto venne. Che smania mi prese allora! Avrei voluto... ma fui buona, mi trattenni. Mi benedì con certe parole latine, che mi sono rimaste bene in mente, e dopo subito si avviò per andare via.

O allora non potei fare a meno di dire: « Confratel Gabriele, prega la nostra Mamma che sabato ti porti da me, e ti ci faccia stare tanto ». Si voltò e mi disse ridendo: « Tu sia buona », e nel dire così si tolse dalla vita una cintola nera e mi disse: « La vuoi? ». Allora sì che la volevo davvero: « Mi fa tanto bene quella lì; dammela ora». Mi fece cenno di no, che me l'avrebbe data sabato, e mi lasciò. Mi disse che quella cintola era quella che la notte avanti mi aveva liberata dal diavolo.


Martedì, 24 luglio

Tentata dal demonio, è rassicurata dall'angelo custode. Le appare Gesù, che le rivolge un dolce rimprovero e le parla del monastero delle Passioniste da fondarsi in Lucca.

Ieri accadde al solito: ero andata per dormire, infatti mi addormentai, ma il demonio no, parve che non volesse. Mi si fece vedere in una maniera assai sudicia, mi tentava, ma fui forte. Mi raccomandavo dentro me stessa a Gesù che mi togliesse la vita [piuttosto] che offenderlo.

Che tentazioni orribili che sono quelle lì! Tutte mi dispiacciono, ma quelle contro la santa purità quanto mi fanno male!

Dopo poi per rimettermi in pace venne l'angelo custode e mi assicurò che non avevo fatto alcun male. Mi ci lamento alle volte, perché vorrei che mi venisse a aiutare in certi momenti, e mi dice, o che lo veda o no, sta sempre sopra il mio capo; anzi ieri, perché M. SS. A. [Maria Santissima Addolorata] mi aiutò davvero, e fui forte assai, mi promise che la sera sarebbe venuto Gesù a vedermi.

Arrivata a ieri sera, aspettavo con impazienza il momento di andare in camera, presi il crocifisso e andai a letto. Fu contento anche il mio angelo che andassi a letto, perché... Sentii che ero per raccogliermi, venne il mio Gesù, ma stava assai scostato da me. Che bei momenti che sono quelli!

Gli dimandai subito se mi amasse sempre, e mi rispose queste parole: «+ Figlia mia, ti ho arricchito di tante belle cose, senza nessun tuo merito, e mi domandi se ti amo? Temo tanto per te ». « Perché? », gli dissi. « O Figlia, nei giorni che più volte godevi della mia presenza, eri tutta fervore, non ti costava fatica il pregare; ora invece ti noia la preghiera; qualche negligenza nei tuoi doveri comincia a insinuartisi nel cuore. O Figlia, perché ti avvilisci così? Dimmi: nei giorni passati, ti sembrava lunga l'orazione come ora? Qualche piccola penitenza la fai, ma quanto stai per risolverti!»

Come restassi a quel dolce rimprovero non lo so, restai senza parlare. Continuai poi a parlargli del convento; in quanto a quello assai mi consolò. Gli dissi che se mi amava mi facesse la grazia di andare in convento; lo pregai ancora che mi dicesse qualche cosa del nuovo convento, e mi ríspose: «Presto le parole di confratel Gabriele saranno effettuate». « Tutte tutte? », gli dimandai, quasi fuor di me stessa. «Ogni cosa, non temere: tra poco. Quando tornerà il confessore, ti dirò le cose anche meglio ».

In ultimo gli raccomandai il mio povero peccatore. Mi benedì e nell'andar via mi disse: «Ricordati che ti ho creato per il cielo: non hai che far nulla con la terra ».


Mercoledì, 25 luglio


Gemma si accusa di alcune mancanze, per le quali l'angelo la rimprovera, ordinandole di umiliarsi.

E di oggi? Oggi che dirò?

Non trovo pace; la superbia oggi mi predomina più che in altri tempi. Per dover fare un piccolo atto di umiliazione, ho sofferto assai.


Giovedì, 26 luglio


Nuovi rimproveri dell'angelo. Durante l'Ora Santa del giovedì, Gesù le mette in capo la corona di spine.

Venne la mattina, e finalmente venne l'angelo custode, che mi rimproverò tanto tanto, e mi lasciò di nuovo sola ed afflitta. Feci la santissima comunione, ma, Dio mio, in quale stato! Gesù non mi si fece sentire. Quando poi dopo tanto potei esser sola, allora poi mi sfogai tanto: ero colpevole, me ne avvedo; ma, se debbo dire una cosa, certi dispiaceri a certe persone io non li vorrei dare, ma la mia cattiva inclinazione è tanto al male, che spesso cado in queste cose. Per un'ora e più mi fece stare Gesù in quello stato; piangevo, ero afflitta. Gesù però ora ebbe pietà e venne; mi accarezzò, si fece promettere che non lo avrei più fatto, e mi benedì.

Devo dire che nell'accaduto di ieri dissi tre bugie, ebbi pensieri di rabbia, e nell'idea di vendicarmi con chi aveva fatto la spia, ma Gesù mi proibì affatto di parlarne con FF. [Fra Famianol e con altri. Ritornai presto in calma, e per esservi anche di più, corsi a confessarmi.

La sera poi, dopo che ebbi fatto le mie preghiere, mi misi a fare la solita ora. Gesù stette sempre con me; ero nel letto, come al solito, perché dopo non sarei più stata capace di trattenermi col mio caro Gesù a soffrire con lui. Soffrii assai; mi riprovò di nuovo il suo amore verso di me, col regalarmi fino al giorno dopo la sua corona di spine; mi ama di più Gesù in venerdì. La sera poi mi ritolse la corona, dicendomi che era contento di me, e mi disse ancora accarezzandomi: «Figlia, se ti aggiungo altre croci, non te ne affliggere ». Glielo promisi, e mi lasciò.


Venerdì, 27 luglio

Questo venerdì soffre più del solito, specialmente per la corona di spine.

Questo venerdì soffrii assai di più, perché fui obbligata a fare altre piccole faccende, ed a ogni movimento credevo di morire. Anzi la zia mi aveva comandato di tirare su dell'acqua: durai tanta fatica, mi pareva (ma era tutta mia idea) che le spine mi andassero nel cervello, e mi cominciò a venire una goccia di sangue dalle tempie. Mi pulii in fretta e se ne avvide poco. Mi dimandò se fossi cascata e rotta il capo; gli dissi che mi ero graffiata con la catena del pozzo. Dopo andai dalle monache; erano le dieci e stetti con loro fino alle cinque. Dopo tornai a casa, ma Gesù me l'aveva già tolta.


Sabato, 28 luglio


Dall'angelo custode riceve santi ammaestramenti. Gesù, nella santa comunione, le si fa sentire; la Madonna non le fa la solita visitina.

La notte la passai benissimo; la mattina mi venne l'angelo custode: era contento, mi disse che prendessi della carta e scrivessi quello che lui mi dettava.

Ecco tutto:

«Ricordati, figlia mia, che chi veramente ama Gesù, parla poco e sopporta tutto.

«Ti comando, per parte di Gesù, di non dire mai il tuo parere, se non sei dimandata; di mai non sostenere il tuo sentimento, ma subito cedere.

« Ubbidire puntualmente al confessore e a chi lui vuole, e senza replica; e nelle cose che tu devi, farai una replica sola, ed essere sincera con l'uno e colle altre.

« Quando hai commesso qualche mancanza, accusati subito, senza aspettare che te lo dimandino.

«Infine ricordati di custodire gli occhi, e pensa che l'occhio mortificato vedrà le bellezze del cielo ».

Dopo dette queste cose mi benedì, e mi disse che andassi pure a fare la santa comunione. Ci corsi subito: fu la prima volta, dopo quasi un mese, che Gesù si fece sentire.

Gli dissi tutte le mie cose, mi trattenni con lui assai, perché mi comunicai alle otto e mezza e, quando ritornai in me, era assai tardi. Corsi a casa, e per la strada sonarono le dieci e un quarto; ma fui buona: mi trovai sempre nella solita posizione di quando mi ero comunicata, e vidi nell'alzarmi che l'angelo custode era sopra il mio capo con le ali spiegate. Mi accompagnò lui stesso a casa e mi avvisò di non pregare nel corso del giorno, fino alla notte, perché non ero sicura. Infatti me ne avvidi: per gli altri di casa più che sicura, ma per la mia sorella no, perché mi aveva tappato il buco della serratura e mi fu impossibile chiudere; allora ci si misero le zie, e la sera potei chiudere.

Verso sera andai ai Quindici Sabati in S.M. [Santa Maria]; la Madonna mi disse che non mi avrebbe fatta la solita visitina, perché nei giorni passati avevo disgustato Gesù. Gli dissi che Gesù mi aveva perdonato, ma lei: « Io non perdono tanto facilmente alle mie figlie; io voglio assolutamente che tu diventi perfetta: vedremo se sabato potrò venire a condurti confratel Gabriele»; non di meno mi benedì, e io mi rassegnai.

Non mi manca però qualche tentazione; una un po' forte l'ebbi ieri sera sabato: venne il demonio e mi disse: «Brava, brava! Scrivi pure ogni cosa: non sai che quelle cose lì è tutta opera mia, e se tu vieni scoperta, figurati che vergogna! Dove andrai a nasconderti? Ti faccio passare per santa, e invece sei un'illusa».

Stetti così male, che dalla disperazione giurai che, quando fosse tornata la signora Cecilia, avrei distrutto quello scritto. Intanto feci per rompere questo, ma non mi riuscì; non ebbi forza, oppure non lo so come andasse.


Domenica, 29 luglio


L'angelo custode la assiste; Gesù la rimprovera di aver lasciato la santa comunione e la invita a sé.

Durai in questo stato fino a ieri mattina domenica senza potermi più raccogliere; il mio angelo custode però non mi manca: mi fa forza, e devo dire anche che domenica non avevo fame, e lui stesso mi obbligò a mangiare; e così ha fatto pure stamani. Ogni sera non manca di benedirmi, e anche di castigarmi e di gridarmi.

Oggi domenica sento un gran bisogno di Gesù, ma è già tardi, e non ho ancora nessuna speranza [di vederlo]; aspetto stanotte di essere libera e sola.

È venuto, veh!, Gesù; quanti rimproveri perché non ho fatto la santa comunione! Ecco in che modo Gesù mi rimproverava: «Perché, o figlia, così spesso devo essere privo delle tue visite? E sai quanto bramo che tu venga da me, quando sei buona».

M'inginocchiai davanti a Gesù, e piangendo gli dissi: «Ma come, Gesù mio, non sei ancora stanco di soffrirmi con tutta la mia freddezza? ». «Figlia», mi rispose, «fa' che d'ora in poi non passi giorno senza che tu venga da me, procura di tenere il cuore purificato e ornato con ogni cura possibile. Allontana pure dal tuo cuore ogni amore a te stessa, e qualunque cosa che non sia interamente mia, e poi vieni pure e non temere ».

Mi benedì, insieme a tutti i membri del Sacro Collegio, e andò via; anzi in ultimo mi raccomandò di avere un po' più di forza contro il nemico, dicendomi che non facessi conto delle sue parole, perché è un vero bugiardo e cerca ogni mezzo per farmi cadere specialmente con l'obbedienza. «Obbedisci, figlia mia», mi ripeteva, «obbedisci subito e allegramente, e per meglio riuscire e vincere [in] questa bella virtù, prega la Mamma mia, che ti ama tanto». Avrei voluto dirgli che ieri la sua Mamma non volle venire, ma scappò.


Lunedì, 30 luglio

Afflitta per alcune contraddizioni, è confortata dall'angelo, che la anima a patire e a meditare ogni giorno la Passione di Gesù.

Stamani, lunedì 30 1uglio, sono andata per fare la santissima comunione. Non la volevo fare, non ero quieta di coscienza; ma pure mi sono gingillata fino alle nove, sempre se dovevo o no farla; poi ha vinto Gesù, e l'ho fatta, ma come? Che freddezza! Gesù non l'ho sentito per niente.

Oggi poi non ho potuto mai raccogliermi; sono stata cattiva, mi sono inquietata, ma da me sola, nessuno mi ha veduta; ho pianto tanto tanto, perché la mia sorella non mi voleva uscir di camera. Ieri sera domenica, per dispetto, fino alle undici stette in camera mia, dicendomi, per canzonare, che mi voleva vedere andare in estasi; oggi poi era lo stesso. Scrisse una lettera ieri ai B.S.G. [Bagni di San Giuliano] e parlava assai di me e delle cose mie. Queste cose, che dovrei accogliere bene e ringraziare Gesù, invece m'inquieto, e quasi quasi ho dei momenti di disperazione.

Mentre ero in quello stato, l'angelo custode, che mi stava a vedere, mi disse: «Perché t'inquieti così, figlia mia? Bisogna soffrire qualche cosa, veh, per Gesù» (veramente la cosa che più mi era dispiaciuta a me erano certe parole che [mia sorella] aveva detto forte), e per questo l'angelo mi disse: «Tu sei degna solo di essere disprezzata, perché hai offeso Gesù ».

Poi mi fece tornare quieta; si mise a sedere accanto a me, e mi diceva ammodino ammodino: « O figlia, ma non sai che tu devi essere in tutto conforme alla vita di Gesù? Egli patì tanto per te, e tu non sai che devi in ogni occasione patire per lui? E poi perché dai questo dispiacere a Gesù, di lasciare ogni giorno la meditazione sopra la Passione? ». Era vero: mi ricordai che la meditazione sulla Passione la faccio solo il venerdì e giovedì. « Devi farla ogni giorno, rícordatelo ». Infine mi diceva: «Coraggio, coraggio! Questo mondo non è mica il luogo del riposo: il riposo sarà dopo morte; ora tu devi patire, e patire ogni cosa, per impedire a qualche anima la morte eterna». Lo pregai tanto che dicesse alla Mamma mia di venire un po' da me, ché avrei tante cose da dirgli; mi disse di sì. Stasera però non è venuta.


Martedì, 31 luglio


Chiede a Gesù che le mandi la Mamma celeste, di cui ha gran bisogno.

Siamo a martedì; corro a far la santissima comunione, ma in quale stato! Ho promesso a Gesù di esser buona e cambiar vita; gliel'ho detto, ma lui non mi ha risposto nulla; gli ho detto pure che mi mandi la Mamma sua, e anche mia, e mi ha risposto: « Ne sei degna? ». Mi sono vergognata, e non ho detto altro. Ha aggiunto poi: « Sii buona, e verrà presto con confratel Gabriele ».

È da domenica che non mi sono potuta più raccogliere; in ogni modo ho ringraziato Gesù. Quando viene l'angelo custode, sono svegliata, e non via con la testa; Gesù, la Mamma mia e qualche volta confratel Gabriele, loro mi fanno andar via il capo; ma io resto sempre dove mi metto, mi trovo sempre al solito posto, ma la testa parte. Che gran bisogno che ho della Mamma mia! Se Gesù mi volesse contentare, dopo sarei più buona. Come devo fare a star tanto senza la Mamma?


Mercoledì, 1 - giovedì, 2 agosto

Teme d'ingannarsi, ma l'angelo la rassicura. La corona di spine al capo. Gesù le raccomanda di pregare per madre Marta Teresa, monaca passionista defunta.

Mercoledì non mi potei mai raccogliere, giovedì pure; di quando in quando il mio angelo custode mi diceva qualche cosa, ma sempre però svegliata; anzi mercoledì sera, dentro di me pensavo che potrei essere ingannata dal diavolo; mi quietava, dicendomi solo: « Obbedienza ».

Eccoci infatti a stasera. Al solito per obbedienza andai a letto; mi misi per pregare, mi raccolsi subito. Era già un po' che mi sentivo maletto. Stetti sola sola: quando pativo, Gesù non c'era, e patii solo nel capo.

Il confessore stamani mi ha dimandato se avessi anche avuti i segni; ho risposto di no. Sieno pure forti anche quelli, ma non mai a paragone del capo.

Povero Gesù! Mi fece stare circa un'ora sola, ma poi venne e si presentò in questo modo, tutto sangue, dicendomi: « Sono il Gesù di padre Germano». Non ci credevo, e perché? Temo sempre sempre. Pronunziò quelle parole: «Benedetto Gesù e Maria », e allora capii. Mi dette un po' di forza, e poi io internamente avevo paura, e lui diceva: «Non temere: sono Gesù di padre Germano». Mi raccomandò poi da sé, senza che io ci pensassi neppure, di pregare per madre Maria Teresa di Gesù Bambino, perché è in purgatorio e soffre tanto. Gesù la vuole presto con sé, mi pare.


Sabato, 4 agosto

Apparizione di Maria Santissima Addolorata.

Eccomi a sabato: è il giorno a me destinato per vedere la Mamma mia, ma che dovrò sperare?

Infine son giunta anche a stasera. Mi metto per recitare la corona dei dolori; sul primo mi ero abbandonata, vale a dire ero rimessa al volere di Dio, di passare anche quel sabato senza vedere la Madonna dei Dolori; ma [al Gesù gli bastò l'offerta del sacrifizio e mi contentò. Non so a che punto della corona, mi sentii raccogliere internamente; al raccoglimento, come sempre, successe ben presto che mi andò via il capo, e senza avvedermene mi trovai dinanzi (a me mi parve) alla Madonna dei Dolori.

Al primo vederla, mi fece un po' di paura; feci di tutto per assicurarmi se veramente era la Mamma di Gesù: mi dette ogni segno per accertarmi. Dopo qualche momento, mi sentii tutta contenta; ma fu tanta la commozione che mi prese nel vedermi così piccola davanti a lei, e tanta la contentezza, che non potei pronunziare parola, altro che ripetutamente il nome di « mamma ».

Lei mi guardava fissa fissa, rideva, si avvicinò per accarezzarmi, e mi diceva che mi calmassi. Ma sì, la contentezza e la commozione mi crescevano e lei, forse temendo che mi facesse male (come altre volte mi è accaduto; anzi una volta, e non l'ho anche notato, per la gran consolazione che provai nel rivedere Gesù, il cuore mi cominciò a battere con tanta forza, che fui costretta, per ordine del confessore, a mettermi in quel punto una fascia strinta strinta), mi lasciò, dicendomi che mi andassi a riposare. Obbedii prontamente: in un secondo fui a letto e non tardò a venire; allora mi quietai.

+ Bisogna ancora che dica che, al primo veder queste cose, queste figure (che certamente potrei essere ingannata), mi sento presa subito da paura; alla paura succede ben presto la gioia. In ogni modo che sia questo, è ciò che provo io. Gli parlai di alcune mie cose, la principale però fu quella che mi conducesse con lei in paradiso; questa più volte gliela dissi. Mi rispose: «Figlia, devi ancora soffrire». «Soffrirò lassù», volevo dire, «in paradiso». « E no», soggiungeva, «in paradiso non si soffre più; ma ti condurrò ben presto», mi diceva.

Era presso al letto, era tanto bella, non potevo saziarmi di contemplarla. Le raccomandai il mio peccatore; allora sorrise: fu buon segno... Le raccomandai ancora parecchie persone a me tanto care, in particolare quelle con le quali ho un grosso dovere di riconoscenza. E questo dovevo farlo ancora per ordine del confessore, che l'ultima volta mi pregò di raccomandarle caldamente a Maria Santissima dei Dolori, dicendomi che io non posso far niente per esse, ma la Madonna supplisca per me, conceda loro ogni grazia.

Temevo che da un momento all'altro mi lasciasse, e per questo la chiamavo più volte, e dicevo che mi conducesse con lei. La sua presenza mi fece dimenticare il mio protettore confratel Gabriele. Gli chiesi di lui, come mai non l'aveva portato; mi disse: «Perché confratel Gabriele esige da te obbedienza più esatta». Aveva da dirmi una cosa per padre Germano; a quest'ultime parole non mi rispose.

Mentre parlavamo insieme, che mi teneva sempre per la mano, me la lasciò; io non volevo che andasse, ero quasi per piangere, e allora mi disse: « Figlia mia, ora basta; Gesù vuole questo sacrifizio da te, per ora conviene che ti lasci». Le sue parole mi misero in quiete; risposi tranquillamente: «Ebbene, il sacrifizio è fatto». Mi lasciò. Chi potrebbe descrivere al minuto quanto sia bella, quanto cara la Madre celeste? No, non vi è paragone al certo. Quando avrò la fortuna di rivederla di nuovo?

[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

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Il grande segreto per diventare santo

S. Luigi Maria Grignon di Monfort




INTRODUZIONE

IL SEGRETO E LE SUE CONDIZIONI

l. Ecco un segreto, o anima predestinata, che l’Altissimo mi ha rivelato e che io non ho potuto trovare in alcun libro, né vecchio, né nuovo. Io te lo confido nel nome dello Spirito Santo, a patto:

1) di non rivelarlo a nessuno se non a quelle persone che ne siano meritevoli per le loro orazioni, le loro elemosine, le loro mortificazioni, le loro persecuzioni pazientemente sofferte, il loro distacco da ogni cosa ed il loro zelo per la salvezza delle anime;

2) di servirtene per diventare tutta santa e celeste, poiché questo segreto non diviene grande se non a misura di come un’anima lo adopera. Guardati quindi dal rimanere con le braccia conserte, senza far nulla; il mio segreto si cambierebbe in veleno e sarebbe la tua condanna;

3) di ringraziare Dio, tutti i giorni della tua vita, per la grazia che ti ha concesso di rivelarti un segreto che non meritavi affatto di conoscere e del quale capirai meglio il pregio e l’eccellenza (sulle prime però imperfettamente, a causa della moltitudine e della gravità dei tuoi peccati e del segreto amore a te stessa) di mano in mano che te ne servirai nelle azioni ordinarie della vita.

La preparazione per riceverlo

2. Prima però di appagare il tuo desiderio ardente e naturale di conoscere la verità, recita devotamente in ginocchio l’Ave Maris Stella e il Veni Creator, per chiedere a Dio la grazia d’intendere e gustare questo mistero divino.
A causa del poco tempo che io ho di scrivere, e tu di leggere, dirò tutto in breve.

PRIMA PARTE

L’UFFICIO DI MARIA
NELLA NOSTRA SANTIFICAZIONE



A) NECESSITÀ DI SANTIFICARSI PER MEZZO DI MARIA

Bisogna farsi santi: Dio lo vuole

3. O anima, immagine vivente di Dio e riscattata dal Sangue prezioso di Gesù Cristo, il tuo Signore vuole che tu diventi santa come Lui in questa vita, e gloriosa come Lui nell’altra.
L’acquisto della santità di Dio è la tua sicura vocazione; a questo devono dunque mirare tutti i tuoi pensieri, tutte le tue parole, tutte le tue azioni, tutte le tue pene, e tutti i movimenti della tua vita, altrimenti tu resisti a Dio, non facendo ciò per cui ti ha creata e ti conserva.

Oh, quale opera stupenda! La polvere cambiata in luce, la sozzura in purezza, il peccato in santità, la creatura nel Creatore e l’uomo in Dio!

Oh, opera stupenda! Lo ripeto, ma opera difficile in se stessa ed impossibile con le sole forze della natura. Dio solo, con la sua grazia, ed una grazia copiosa e straordinaria, può venirne a capo; la creazione stessa dell’universo non è un capolavoro così grande come questo!

Per santificarsi, bisogna praticare la virtù

4. Come farai tu, anima predestinata? Di quali mezzi ti servirai per salire dove Dio ti chiama? I mezzi di salvezza e di santità sono noti a tutti sono scritti nel Vangelo, sono spiegati dai maestri della vita spirituale, sono praticati dai Santi e necessari a quanti vogliono salvarsi e giungere alla perfezione; essi sono l’umiltà del cuore, la preghiera continua, la mortificazione universale, l’abbandono alla divina Provvidenza, la conformità alla volontà del Signore.

Per praticare la virtù, è necessaria la grazia di Dio

5. Per servirsi di tutti questi mezzi di salvezza e di santità, la grazia del soccorso di Dio è assolutamente necessaria, e questa grazia è concessa a tutti più o meno grande: nessuno ne dubita.
Dico più o meno grande, poiché il Signore, benché d’infinita bontà, non concede a tutti nella stessa misura ed intensità la sua grazia, sebbene a ciascuno ne dia a sufficienza. Ora, l’anima fedele con una grazia grande fa una grande azione, e, con una grazia debole, ne fa una piccola; quindi il valore e l’eccellenza delle nostre azioni sono in proporzione del valore e dell’eccellenza della grazia concessa da Dio e corrisposta dall’anima. Questi principi sono incontestabili.

Per trovare la grazia di Dio, bisogna trovare Maria

6. Tutto dunque si riduce a trovare un mezzo facile per ottenere da Dio la grazia necessaria per diventare santo: proprio questo mezzo voglio indicarti e dico che per trovare la grazia di Dio, bisogna trovare Maria.

A) PERCHÉ MARIA CI È NECESSARIA

Perché Maria sola ha trovato grazia davanti a Dio

7. 1) – Solo Maria ha trovato grazia davanti a Dio, per sé e per ogni uomo in particolare; i Patriarchi e i Profeti, i Santi tutti dell’Antico Patto non poterono trovare questa grazia.

Perché Maria sola è la Madre della grazia

8. 2) – Perché Maria ha dato l’essere e la vita all’Autore di ogni grazia, e perciò è chiamata Madre della Grazia.

Perché Maria sola possiede, dopo Gesù, la pienezza della grazia

9. 3) – L’Eterno Padre, dal quale ogni dono perfetto ed ogni grazia discendono a noi come dalla sua sorgente essenziale, nel darle suo Figlio, le ha dato insieme tutte le sue grazie; di modo che, – come dice San Bernardo, – la volontà di Dio le è stata data in Lui e con Lui.

Perché Maria sola è la tesoriera di tutte le grazie di Gesù

10. 4) – Dio l’ha scelta per tesoriera, economa e dispensatrice di tutte le grazie; di modo che tutte le sue grazie e tutti i suoi doni passano per le mani di Lei, e, secondo il potere ricevutone, Ella dà, – come dice San Bernardino, – a chi vuole, come vuole, quando vuole e nella misura che vuole, le grazie dell’Eterno Padre, le virtù di Gesù Cristo e i doni dello Spirito Santo.

Perché per avere Dio per Padre, bisogna avere per Madre Maria

11. 5) – Come nell’ordine della natura, è necessario che un figlio abbia un padre ed una madre, così nell’ordine della grazia è necessario che un vero figlio della Chiesa abbia Dio per padre e Maria per madre; di modo che, se egli si gloriasse di avere Dio per padre e non avesse la tenerezza di un vero figlio verso Maria, sarebbe un impostore, che avrebbe solo il demonio per padre.

Perché i membri di Gesù devono essere formati dalla Madre di Gesù

12. 6) – Avendo Maria formato il Capo dei predestinati, che è Gesù Cristo, tocca pure a Lei di formare le membra di questo Capo, che sono i veri cristiani; nessuna madre, infatti, forma il capo senza le membra, o le membra senza il capo.
Chi dunque aspira ad essere membro di Gesù Cristo, pieno di grazia e di verità, deve essere formato in Maria, attraverso la grazia di Gesù Cristo, che risiede in Lei pienamente, per venire comunicata pienamente ai veri membri di Gesù Cristo e ai veri suoi figli.

Perché per Maria lo Spirito Santo produce i predestinati

13. 7) – Lo Spirito Santo ha sposato Maria e prodotto in Lei, per mezzo di Lei e da Lei Gesù Cristo, questo capolavoro, il Verbo Incarnato; e siccome non l’ha mai ripudiata, così continua ogni giorno a produrre in Lei e per mezzo di Lei, in modo misterioso, ma reale, i predestinati.

Perché Maria è l’incaricata di nutrire le anime e di farle crescere in Dio

14. 8) – Maria ha ricevuto da Dio un particolare dominio sulle anime per nutrirle e farle crescere in Dio. Sant’Agostino giunge a dire che in questo mondo i predestinati sono tutti chiusi nel seno di Maria, e che non vengono alla luce se non quando questa buona Madre li partorisce alla vita eterna: quindi, come il bambino trae tutto il cibo dalla mamma, che lo proporziona alla sua debolezza, così i predestinati traggono da Maria tutto il loro cibo spirituale e tutta la loro forza.

Perché Maria deve abitare nei predestinati

15. 9) – A Maria Dio Padre ha detto: «Figlia mia, abita in Giacobbe», cioè nei miei predestinati, di cui Giacobbe è la figura. A Maria il Figlio di Dio ha detto: «Mia cara Madre, abbi la tua eredità in Israele, cioè nei predestinati». A Maria infine lo Spirito Santo ha detto: «Mia fedele Sposa, getta le radici nei miei eletti». Perciò, chiunque è eletto e predestinato, ha la Santa Vergine che dimora dentro se stesso, cioè nella sua anima, e lascia che Ella vi metta le radici di una profonda umiltà, di una carità ardente e di tutte le virtù.

Perché Maria è il «modello vivente» di Dio e dei Santi

16. 10) – Maria è chiamata da Sant’Agostino, e di fatto lo è, il modello vivente di Dio, «forma di Dio»; vale a dire che in Lei sola un Dio fatto Uomo è stato formato al naturale, senza che gli mancasse alcun lineamento della divinità, e in Lei sola altresì può essere formato l’uomo in Dio al naturale, per quanto ne è capace l’umana natura, attraverso la grazia di Gesù Cristo.
In due modi uno scultore può fare una statua o un ritratto al naturale:

1) – servendosi della sua capacità, della sua forza, della sua scienza e della bontà dei suoi strumenti per scolpire questa statua o ritratto in una materia dura ed informe;

2) – gettandola nello stampo.

Il primo modo è lungo e difficile, e soggetto a molti pericoli: spesso basta un colpo di cesello o di martello dato male, per guastare tutta l’opera. Il secondo modo è pronto, facile e dolce, quasi senza fatica e senza spesa, purché lo stampo sia perfetto e rappresenti l’originale, e la materia di cui lo scultore si serve, sia maneggevole, e non resistente alla sua mano.

Modello perfetto in se stesso e che ci tende perfetti in Gesù Cristo

17. Maria è il grande modello di Dio, fatto dallo Spirito Santo, per formare al naturale un Uomo–Dio per mezzo dell’unione ipostatica e per formare un Uomo–Dio per mezzo della grazia. A questo stampo non manca nessun lineamento della divinità: chiunque vi è gettato e si lascia maneggiare, riceve tutti i lineamenti di Gesù Cristo vero Dio, in modo soave e proporzionato all’umana debolezza, senza tanta agonia, né tanto travaglio; in modo sicuro, cioè senza timore di illusioni, dato che il demonio non ha mai avuto, né avrà mai accesso in Maria, santa ed immacolata, senza ombra della minima macchia di peccato.

In una maniera pura e divina

18. O anima cara, quale differenza tra un’anima formata in Gesù Cristo con i metodi ordinari di coloro che, come gli scultori, si fidano della loro abilità e si appoggiano sulla loro capacità, e un’anima molto docile, distaccata da tutto, ben fusa, e che, senza confidare affatto in se stessa, si getta in Maria Santissima e si abbandona all’operazione dello Spirito Santo! Quante macchie, quanti difetti, quante oscurità, quante illusioni, quanto di troppo naturale e di umano c’è nella prima, e quanto la seconda è pura, divina, simile a Gesù Cristo!

Perché Maria è il Paradiso e il mondo di Dio

19. Non c’è, né ci sarà mai creatura alcuna in cui Dio sarà più grande, al di fuori di Lui stesso e in Lui stesso, che nella divina Maria, senza eccettuare i Beati, i Cherubini e i più alti Serafini, nel Paradiso stesso. Maria è il Paradiso di Dio e il suo mondo ineffabile, dove il Figlio di Dio è entrato per operarvi meraviglie, per custodirlo, per compiacervisi. Egli ha creato un mondo per l’uomo pellegrino, ed è questo che abitiamo; ha creato un mondo per l’uomo beato, ed è il Paradiso; ma ne ha creato un altro per Lui stesso e gli ha dato nome Maria: mondo, questo, sconosciuto a quasi tutti i mortali qui in terra, e incomprensibile anche a tutti gli Angeli, i Beati Comprensori del Cielo, i quali, meravigliati di vedere Dio così alto e così distante da tutti loro, così separato e così nascosto nel suo mondo, la divina Maria, esclamano giorno e notte: «Santo, Santo, Santo!».

Paradiso dove lo Spirito santo fa entrare la nostra anima perché vi trovi Dio

20. Beata, mille volte beata è quaggiù quell’anima, a cui lo Spirito Santo rivela il segreto di Maria, perché lo conosca; a cui apre questo giardino chiuso perché vi entri; questa fonte suggellata perché vi attinga e beva a gran sorsi le acque vivificatrici della grazia! Quest’anima non troverà che Dio solo, senza creatura, in quest’amabile creatura: ma Dio nello stesso tempo infinitamente santo ed elevato, infinitamente condiscendente e proporzionato alla propria debolezza. Dio, essendo dappertutto, si può trovare dappertutto, perfino nell’inferno; ma non vi è luogo in cui la creatura possa trovarlo più vicino a sé e più proporzionato alla propria debolezza quanto in Maria, poiché appunto per questo Dio si incarnò in Lei. Dovunque egli è il pane dei forti e degli Angeli, ma in Maria è il Pane dei figli.

Perché Maria, lontano dall’esserci di ostacolo, getta la nostra anima in Dio e la unisce a Lui

21. Non si creda, dunque, come alcuni falsi illuminati, che Maria, perché creatura, sia di impedimento all’unione con il Creatore; non è più Maria che vive, ma Gesù Cristo solo, Dio solo che vive in Maria. La sua trasformazione in Dio supera quella di San Paolo e degli altri Santi, molto più che il Cielo non superi in altezza la terra. Maria è stata creata solo per Dio, e quindi, ben lontano dal ritenere per se stessa un’anima, la getta in Dio e la unisce a Lui tanto più perfettamente quanto più questa anima è unita a Lei. Maria è l’eco meravigliosa di Dio, che non risponde che: «Dio», quando le si grida: «Maria»; che glorifica soltanto Dio, quando, con Sant’Elisabetta, viene chiamata beata. Se i falsi illuminati, così miseramente ingannati dal demonio perfino nell’orazione avessero saputo trovare Maria, e per mezzo di Maria, Gesù e, per mezzo di Gesù, Dio, non sarebbero caduti così miseramente.

Quando si è trovata Maria e, per mezzo di Maria, Gesù e, per mezzo di Gesù, Dio Padre, si è trovato ogni bene – dicono le anime sante –, e chi dice ogni bene. non eccettua nulla: ogni grazia ed ogni amicizia presso Dio, ogni sicurezza contro i nemici di Dio, ogni verità contro la menzogna, ogni facilità ed ogni vittoria contro le difficoltà di salvarsi, ogni soavità ed ogni gioia nelle amarezze della vita.

Perché Maria ci dà la grazia di portare con pazienza e con gioia le croci

22. Non è detto che colui, che per mezzo di una vera devozione ha trovato Maria, sia libero da croci e da patimenti; al contrario! Egli, anzi, ne è assalito più di chiunque altro, perché Maria, essendo Madre dei viventi, dà a tutti i suoi figli pezzi dell’Albero di Vita, che è la Croce di Gesù; bensì, se da una parte Maria taglia loro delle buone croci, dall’altra ottiene loro la grazia di portarle con pazienza e perfino con gioia; di modo che le croci che Ella dà a quanti le appartengono, sono piuttosto canditi o croci candite anziché croci amare; ovvero, se per qualche tempo sentono l’amarezza del calice che bisogna bere necessariamente per essere amici di Dio, la consolazione, poi, e la gioia che questa buona Madre fa seguire alla tristezza, li anima incredibilmente a portare croci ancor più pesanti e più amare.

Conclusione di questa prima parte

Per diventare santi, bisogna dunque saper trovare Maria, la Mediatrice delle grazie, e ciò per mezzo di una ‘vera devozione’ alla Santissima Vergine.

23. La difficoltà è quindi di saper trovare realmente la divina Maria, per trovare ogni grazia in abbondanza. Dio, perché assoluto padrone, può comunicare egli stesso direttamente ciò che in via ordinaria non comunica se non per mezzo di Maria, né senza temerarietà si può negare che qualche volta, anzi, lo faccia; però, nell’ordine della grazia – come dice San Tommaso Dio, visto l’ordine stabilito dalla sua divina Sapienza, ordinariamente non si comunica agli uomini che per mezzo di Maria. Per salire fino a Lui e unirsi a Lui, è necessario servirsi dello stesso mezzo di cui Egli si servì per scendere fino a noi, per farsi uomo e per comunicarci le sue grazie: questo mezzo è una vera devozione a Maria Vergine.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/07/2013 11:50
 
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SECONDA PARTE

LA VERA DEVOZIONE A MARIA O LA SANTA SCHIAVITÙ D’AMORE




A) SCELTA DELLA VERA O PERFETTA DEVOZIONE

Ci sono parecchie vere devozioni a Maria

24. Ci sono, infatti, parecchie devozioni vere a Maria: vere, dico, perché qui non parlo delle false.

La devozione senza pratiche speciali

25. La prima devozione consiste nel compiere i doveri di cristiano, evitando il peccato mortale, operando più per amore che per timore, pregando di quando in quando la Vergine ed onorandola come Madre di Dio, senza farla oggetto di particolare devozione.

La devozione che comporta pratiche speciali

26. La seconda devozione consiste nel nutrire per la Vergine sentimenti più perfetti di stima, d’amore, di confidenza e di venerazione. Essa porta ad entrare nelle Confraternite del Rosario, dello Scapolare, a recitare la Corona o il Rosario, ad onorare le immagini e gli altari di Maria, ad esaltarne le grandezze e ad iscriversi nelle sue Congregazioni. E questa devozione, se si sta lontani dal peccato, è buona. santa e lodevole: però non è tanto perfetta e tanto capace di ritirare le anime dalle creature e di distaccarle da se stesse per unirle a Gesù Cristo.

La devozione perfetta: la Santa Schiavitù d’amore

27. La terza devozione a Maria Santissima, conosciuta e praticata da ben poche persone, è questa che sto per rivelarti, o anima predestinata.

B) NATURA E PORTATA DELLA VERA DEVOZIONE A MARIA, DELLA «SANTA SCHIAVITÙ D’AMORE»

Natura di questa devozione:
Consacrazione a titolo di Schiavo d’amore, e Vita d’unione a Maria

28. Essa consiste nel darsi interamente, come schiavo, a Maria e, per mezzo di Maria, a Gesù: poi, nel far tutto con Maria, in Maria, per mezzo di Maria e per Maria. Mi spiego:

Portata di questo sacrificio: è il totale abbandono di sé fra le mani di Maria

29. Bisogna scegliere un giorno importante per darsi, consacrarsi e sacrificare volontariamente e per amore, non per forza, interamente, senza riserva alcuna, il proprio corpo e la propria anima; i propri beni esterni di fortuna, come la casa, la famiglia, le rendite; i propri beni interni dell’anima, cioè i meriti, le grazie, le virtù e le soddisfazioni.
Qui è il caso di notare che con questa devozione si sacrifica a Gesù per mezzo di Maria tutto quanto un’anima ha di più caro e di cui nessun Ordine religioso esige il sacrificio, cioè il diritto che abbiamo di disporre di noi stessi e del valore delle proprie preghiere, elemosine, mortificazioni e soddisfazioni; di modo che se ne lascia l’intera disposizione alla Santissima Vergine, perché l’applichi a suo piacere e alla maggior gloria di Dio, che Ella sola conosce in modo perfetto.

Maria diventa padrona del valore delle nostre opere

30. Lasciato così a disposizione de Lei ogni valore soddisfattorio ed impetratorio delle nostre buone opere, fatta cioè una tale offerta, sebbene non legati da alcun voto, non si è più padroni di tutto il bene che compiamo; e la Santissima Vergine può applicarlo, ora ad un’anima del Purgatorio, per suffragarla o liberarla, ora ad un misero peccatore per convertirlo.

31. Con questa devozione, si mettono i propri meriti nelle mani della Vergine, ma solo perché Lei li custodisca, li aumenti, li abbellisca, non potendo noi comunicarci a vicenda, né i meriti della grazia santificante, né quelli della gloria. Le si danno invece tutte le preghiere e buone opere, in quanto sono impetratorie e soddisfattorie, affinché le distribuisca e applichi a chi le piacerà. Che se, dopo esserci in tal modo consacrati alla Santissima Vergine, vorremo sollevare qualche anima dal Purgatorio, salvare qualche peccatore, sostenere con le nostre preghiere, le nostre elemosine, le nostre mortificazioni, i nostri sacrifici qualche nostro amico, dovremo chiederglielo umilmente e rimetterci alla sua determinazione, senza volerla conoscere; essendo ben convinti che il valore delle nostre azioni, distribuito dalla stessa mano di cui Dio si serve per dispensarci le sue grazie ed i suoi doni, non potrà non essere applicato alla sua maggior gloria.

Tre tipi di schiavitù: la Schiavitù d’amore è 1a più perfetta consacrazione a Dio

32. Ho detto che questa devozione consiste nel darsi a Maria come schiavo. Bisogna notare che ci sono tre tipi di schiavitù.
La prima è la schiavitù di natura: gli uomini buoni e cattivi, sono schiavi di Dio in questa maniera.
La seconda è la schiavitù per forza; e schiavi di Dio in questo modo sono i demoni e i dannati.
La terza è la schiavitù d’amore e di volontà; ed è quella con cui noi dobbiamo consacrarci a Dio per mezzo di Maria, cioè nel modo più perfetto con il quale una creatura possa darsi al suo Creatore.

Differenza tra un semplice servo e uno schiavo

33. Osserva anche che c’è una grande differenza tra un servo e uno schiavo:
– un servo esige un salario per i suoi servizi; uno schiavo non ne può esigere;
– un servo è libero di lasciare il padrone quando gli piace, perché non lo serve che per qualche tempo; lo schiavo non può giustamente abbandonarlo, appartenendogli per sempre;
– il servo non dà al padrone diritto alcuno di vita e di morte sulla propria persona; lo schiavo invece gli si dà così interamente che il padrone potrebbe farlo morire senza essere molestato dalla giustizia.

Da qui si vede facilmente come lo schiavo forzato si trova, rispetto al proprio padrone, in quella assoluta dipendenza in cui l’uomo non può trovarsi che rispetto al suo Creatore; questo spiega perché i cristiani non ammettono simili schiavi: soltanto i Turchi e gli idolatri possono averne di tale specie.

Felicità delle anime schiave d’amore

34. Beata, mille volte beata l’anima generosa, che si consacra come schiava d’amore a Gesù per mezzo di Maria, dopo aver scosso con il Battesimo la tirannica schiavitù del demonio.

C) ECCELLENZA DELLA SANTA SCHIAVITÙ: PERCHÉ FA PASSARE TUTTA LA NOSTRA VITA SPIRITUALE PER MARIA, LA MEDIATRICE

Passare per Maria è imitare le tre Persone divine

35. Quanta luce dovrei avere per esporre a dovere l’eccellenza di questa devozione! Dirò soltanto rapidamente:

1) – Darci così a Gesù per mezzo dì Maria è imitare Dio Padre, il quale ci ha dato il suo Figlio solo per mezzo di Maria, e solo per mezzo di Lei ci comunica le sue grazie. È imitare Dio Figlio, il quale è venuto a noi solo per mezzo di Maria, e, avendoci dato l’esempio affinché facessimo come Egli ha fatto, ci ha sollecitati ad andare a Lui per lo stesso mezzo con cui Egli è venuto a noi, cioè Maria. È imitare lo Spirito Santo, il quale soltanto per mezzo di Maria ci elargisce le sue grazie e i suoi doni. Non è forse giusto, – dice San Bernardo–, che la grazia ritorni al suo Autore dallo stesso canale per il quale è venuta a noi?

È onorare Gesù

36. 2) – Andare a Gesù per mezzo di Maria è onorare veramente Nostro Signore Gesù Cristo, perché è riconoscere che non siamo degni di accostarci direttamente da noi stessi alla sua infinita santità, a causa dei nostri peccati, e insieme che abbiamo bisogno di Maria, sua santa Madre, perché sia nostra Avvocata e nostra Mediatrice presso di Lui, che è nostro Mediatore. È nello stesso tempo accostarci a Lui come a Mediatore nostro ed a nostro Fratello, ed umiliarci davanti a Lui come davanti al nostro Dio ed il nostro Giudice: in una parola, è praticare l’umiltà che rapisce sempre il cuore di Dio.

È il mezzo di purificare e di abbellire le nostre buone azioni

37. 3) – Consacrarci così a Gesù per mezzo di Maria, è mettere nelle mani di Maria le nostre buone opere, le quali, benché sembrino buone, sono spesso macchiate e indegne degli sguardi e del compiacimento di quel Dio, davanti al quale le stelle stesse non sono pure. Preghiamo questa buona Madre e Padrona affinché, avendo accettato il nostro misero dono, lo purifichi, lo santifichi, lo nobiliti e l’abbellisca in modo da renderlo degno di Dio. Davanti a Dio, il Padre di famiglia, tutti i frutti della nostra anima hanno meno valore per attirarci la sua amicizia e la sua grazia, di quanto non ne avrebbe davanti al re la mela bacata di un povero contadino, colono di Sua Maestà, per pagare il proprio affitto. Che cosa farebbe il meschino, se fosse intelligente e sapesse di essere ben voluto dalla regina? Non metterebbe forse la sua mela nelle mani di lei? e questa, sia per bontà verso il povero contadino, sia per rispetto verso il re, non toglierebbe forse dalla mela quello che vi fosse di difettoso e di guasto, mettendola poi sopra un vassoio d’oro, ornato di fiori? E il re potrebbe non accettarla, anche con gioia, dalle mani della regina, che vuole così bene a quel contadino? Se vuoi offrire qualche piccolo dono a Dio, – dice San Bernardo mettilo nelle mani di Maria, a meno che non t’importi di essere respinto.

Perché senza Maria le nostre azioni valgono ben poco

38. Dio mio! com’è poca cosa quello che facciamo! Ma mettiamolo in mano a Maria con questa devozione; e quando ci saremo dati interamente a Maria, tanto quanto è possibile, spogliandoci di tutto in suo onore, Ella sarà infinitamente più generosa verso di noi, poiché «per un uovo ci darà un bove» comunicandosi a noi con tutti i suoi meriti e tutte le sue virtù, mettendo i nostri meschini doni nel piatto d’oro della sua carità, rivestendoci, come Rebecca fece con Giacobbe, dei begli abiti del suo Primogenito ed unico Figlio, Gesù Cristo, cioè dei meriti di Lui, che Ella tiene a sua disposizione; e così, dopo esserci, spogliati di tutto per onorarla quali suoi domestici e suoi schiavi, avremo doppia veste: «Tutti i suoi familiari hanno doppia veste»: vesti, ornamenti, profumi, meriti e virtù di Gesù e di Maria nell’anima di uno schiavo di Gesù e di Maria, spoglio di se stesso e fedele nel suo spogliamento.

È esercitare meravigliosamente la carità verso il prossimo

39. 4) – Darsi così alla Santissima Vergine è praticare nel suo più alto grado possibile la carità verso il prossimo; poiché è dare a Maria tutto ciò che si ha di più caro, affinché ne disponga a suo piacimento a favore dei vivi e dei morti.

È il mezzo di conservare e di aumentare la grazia di Dio in noi

40. 5) – Con questa devozione si mettono al sicuro le proprie grazie, i propri meriti e le proprie virtù, facendone depositaria Maria e dicendole:
«Ecco, mia cara Signora, ciò che, per grazia di tuo Figlio, ho potuto fare di bene; tienitelo, perché purtroppo, a causa della mia debolezza ed incostanza, a causa del numero stragrande e della malizia dei miei nemici, insorgenti contro di me giorno e notte, io non mi sento capace di conservarlo. Si vedono, ahimè! tutti i giorni cadere nel fango cedri del Libano, e diventare uccelli notturni aquile che si innalzavano fino al sole; io vedo altresì mille giusti cadere alla mia sinistra e diecimila alla mia destra. Ma Tu, o mia potente e grandissima Principessa, sorreggimi, perché non cada; custodisci ogni mio bene, perché non mi sia rubato. a Te affido in deposito tutto quanto posseggo. so bene chi sei, perciò tutto mi abbandono a te. Tu sei fedele a Dio ed agli uomini, non lascerai quindi perire nulla di quanto ti ho affidato; Tu sei potente, e nulla può nuocerti, né rapirti ciò che tieni nella tua mano».

«Se la segui non ti smarrisci, se la preghi non disperi, se pensi a lei non sbagli.
Sostenuto da lei non cadi, protetto da lei non temi, guidato da lei non ti stanchi,
con la sua benevolenza giungerai ... « (San Bernardo, inter flores, cap. 135; De Maria Virgine, pag. 2150).

Ed altrove aggiunge: «Maria trattiene il Figlio perché non colpisca, il diavolo perché non nuoccia, le virtù perché non fuggano, i meriti perché non spariscano, le grazie perché non vengano meno». Parole di San Bernardo, che esprimono in sostanza quanto ho detto. Se anche ci fosse solamente questo motivo per invogliarmi a questa devozione, che mi offre il mezzo sicuro di conservarmi anzi di crescere nella grazia di Dio, io non dovrei spirare per essa che fuoco e fiamme.

É la vera liberazione della nostra anima

41. 6) – Questa devozione rende un’anima veramente libera della libertà dei figli di Dio. Siccome noi, per amore di Maria, ci riduciamo volontariamente in schiavitù, questa cara Padrona, per riconoscenza, allarga e dilata il nostro cuore e ci fa camminare a passi da gigante nella via dei comandamenti del Signore. Ella scaccia la noia, la tristezza e lo scrupolo. Nostro Signore stesso fece conoscere alla Madre Agnese di Langeac, morta in concetto di santità, questa devozione, quale sicuro mezzo per uscire dalle grandi pene e perplessità in cui si trovava: «Fatti schiava di mia Madre e mettiti la catenella», – le disse; Agnese acconsenti e nel momento stesso ogni pena scomparve.

È seguire il consiglio della Chiesa e l’esempio dei Santi

42. Per autorizzare questa devozione, bisognerebbe ricordare tutte le Bolle e le Indulgenze accordate dai Papi, le Pastorali dei Vescovi, le Confraternite fondate in suo onore, l’esempio di parecchi Santi e di grandi personaggi che l’hanno praticata; ma tutto questo lo lascio da parte.

D) PRATICHE INTERIORI DELLA SANTA SCHIAVITÙ: SUO SPIRITO E SUOI FRUTTI

1. La sua formula «unica» di attività spirituale e il suo spirito

La formula

43. Ho detto, poi, che questa devozione consiste nel fare tutte le proprie azioni con Maria, in Maria, per mezzo di Maria e per Maria.

Lo spirito di dipendenza interiore da Gesù e da Maria. – Prendere questo spirito e perseverarvi

44. Non basta essersi dato una volta a Maria, in qualità di schiavo; nemmeno basta ripetere ciò tutti i mesi, tutte le settimane: sarebbe questa una devozione troppo passeggera e non potrebbe innalzare l’anima a quella santità a cui può elevarla. Non vi è certo grande difficoltà ad iscriversi in una confraternita, e neanche ad abbracciare questa devozione, e a recitare ogni giorno qualche preghiera vocale, come essa prescrive: la grande difficoltà è di entrare nello spirito di questa devozione, che è di rendere un’anima interiormente dipendente e schiava della Santissima Vergine e di Gesù per mezzo di Lei. Ho trovato molte persone che, esternamente si sono poste con mirabile ardore in questa schiavitù; poche invece ne ho trovate che ne abbiano preso lo spirito, e, meno ancora che vi abbiano perseverato.

2. – Le quattro direttive della formula

Operare con Maria

45. 1) – La pratica essenziale di questa devozione consiste nel fare tutte le proprie azioni con Maria, cioè nel prendere la Santissima Vergine come modello perfetto di tutto ciò che si deve fare.

Condizioni preliminari: rinuncia e unione di intenzione che consegna l’anima all’azione di Maria

46. Prima dunque di dare inizio a qualsiasi cosa, è necessario rinunciare a se stessi e ai propri progetti per quanto eccellenti; bisogna annientarsi davanti a Dio riconoscendosi incapaci da se stessi di alcun bene soprannaturale e di qualsiasi azione utile alla salvezza; bisogna ricorrere alla Santissima Vergine e unirsi a Lei e alle sue intenzioni, benché sconosciute; bisogna unirsi per mezzo di Maria alle intenzioni di Gesù Cristo, mettersi, cioè come uno strumento nelle mani di Lei, affinché Ella faccia in noi, di noi e per noi, come le sembrerà meglio, alla maggior gloria di suo Figlio e, per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo, alla maggior gloria del Padre; di modo che non si compiano atti di vita interiore ed operazioni spirituali se non dipendentemente da Lei.

Operare in Maria

47. 2) – Bisogna fare ogni cosa in Maria; bisogna cioè abituarsi, a poco a poco, a raccogliersi in se stessi, per formarvi una piccola idea od immagine spirituale di Maria. Ella sarà per l’anima l’Oratorio per potervi fare tutte le sue preghiere a Dio, senza timore di essere respinta; la Torre di Davide dove mettersi al sicuro contro tutti i suoi nemici; la Lampada accesa per illuminare tutto il suo interiore e infiammarlo di amore divino; il sacro Tabernacolo per vedere Dio con Lei; Maria, finalmente sarà per quest’anima il suo unico Tutto presso Dio e il suo rifugio universale. Se prega, pregherà in Maria; se riceve Gesù nella Santa Comunione, lo deporrà in Maria perché vi si compiaccia; se opera, opererà pure in Maria, e dappertutto e in tutto farà atti di rinuncia di se stessa.

Operare per mezzo di Maria

48. 3) – Non bisogna mai andare a Nostro Signore se non per mezzo di Maria, per mezzo della sua intercessione e del suo credito presso di Lui, non trovandosi mai soli nel pregarlo.

Operare per Maria

49. 4) – Infine, tutte le azioni devono essere fatte per Maria: divenuti, cioè, schiavi di questa augusta Sovrana, non si lavori più che per Lei, per il Suo profitto e alla Sua gloria come fine prossimo, alla gloria di Dio come fine ultimo. Si deve rinunciare, in tutto quello che si fa, all’amor proprio, che impercettibilmente si prende quasi sempre come fine, e ripetere spesso dal profondo del cuore: «O Mia cara Madre, per Te vado qua e là, faccio questa o quella cosa, soffro questa pena o questa ingiuria!».

3) Tre avvenimenti importanti che riguardano lo spirito della Santa Schiavitù

Non credere cosa più perfetta l’andare direttamente a Gesù senza passare da Maria

50. Bada di non credere, o anima predestinata, che sia cosa più perfetta andare direttamente a Gesù, direttamente a Dio con la tua opera e la tua intenzione: la tua opera, la tua intenzione sarebbero di poco valore; se invece ci vai per mezzo di Maria, allora è l’operazione di Maria in te, e quindi essa sarà sublime e degnissima di Dio.

Non farsi violenza per «sentire e gustare» – L’»Amen» dell’anima

51. Stai anche attento a non farti violenza per sentire e gustare ciò che dici o che fai: ma dì tutto e fa’ tutto in quella pura fede che Maria ebbe quaggiù, e che Ella con il tempo ti comunicherà. Lascia, o povera piccola schiava, lascia alla tua Sovrana la chiara visione di Dio, i trasporti, le gioie, i piaceri, le ricchezze, e prendi per te soltanto la fede pura, piena di svogliatezze, di distrazioni, di noie, di aridità; e dille: «Amen, Così sia, a tutto quello che Tu, mia Padrona, fai in Cielo: per ora è ciò che posso fare di meglio».

Non inquietarsi se non si gode tanto presto della presenza di Maria

52. Guardati inoltre dall’affliggerti se non godi così presto della dolce presenza della Vergine nel tuo intimo. Questa grazia non è concessa a tutti; e quando Dio, nella sua grande misericordia, ne favorisce un’anima, questa può benissimo perderla se non è fedele a raccogliersi spesso; qualora però ti cogliesse tanta sciagura, ritorna dolcemente alla tua Sovrana e chiedile umilmente perdono.

4. Frutti meravigliosi di questa pratica interiore della Santa Schiavitù

Li insegnerà soprattutto l’esperienza

53. L’esperienza ti farà conoscere infinitamente più di quanto io ti dico, e tu troverai, qualora sia fedele al poco che ti ho insegnato, tante ricchezze e tante grazie nella pratica di questa devozione, che ne resterai meravigliata e la tua anima ne sarà colma di gioia.

Bisogna dunque procurare, con una pratica fedele, di avere in sé l’anima e lo spirito di Maria

54. Lavoriamo quindi, anima cara, e per mezzo di questa devozione fedelmente praticata, facciamo in modo che l’anima di Maria sia in noi per glorificare il Signore, lo spirito di Maria sia in noi per rallegrarsi in Dio, suo Salvatore. Sono queste le parole di Sant’Ambrogio: «Sia in ciascuno di noi l’anima di Mariaper proclamare la grandezza del Signore, sia in ciascuno di noi lo spirito di Maria per gioire in Dio Salvatore». E non crediamo che vi sia stata più gloria e più felicità a dimorare nel seno di Abramo, chiamato Paradiso, che nel seno di Maria, perché Dio vi pose il suo trono. Così dice il dotto abate Guerrico: «Non credere che il Paradiso, raffigurato dal seno di Abramo, sia più felice del grembo di Maria, nel quale il Signore ha posto il suo trono».

La Santa Schiavitù stabilisce soprattutto la vita di Maria nella nostra anima

55. Questa devozione, fedelmente praticata, produce nell’anima effetti innumerevoli. Il principale – vero dono dell’anima – è quello di stabilirvi la vita di Maria, in modo che non è più l’anima che vive, ma la Vergine che vive in lei, poiché l’anima di Maria diviene, per così dire, la sua anima. Ora, quando per una grazia ineffabile, ma vera, la divina Maria è Regina in un’anima, quali meraviglie non vi opera! Siccome Ella è l’artefice delle grandi meraviglie, specialmente nel nostro intimo, perciò vi lavora in segreto, all’insaputa dell’anima stessa, la quale se ne avesse conoscenza, guasterebbe la bellezza delle sue opere.

Maria fa sì che, di continuo, la nostra anima viva in Gesù, e Gesù viva nella nostra anima

56. E nello stesso modo, siccome Ella è dappertutto la Vergine feconda, così porta in tutto l’intimo dove si trova, la purezza del cuore e del corpo, la rettitudine delle intenzioni, la fecondità delle buone opere.
Non credere anima cara, che Maria, la più feconda di tutte le creature, tanto che giunse a produrre un Dio, rimanga oziosa in un’anima fedele. Ella farà vivere incessantemente quest’anima per Gesù, e Gesù in lei: «Figli miei, per voi io soffro di nuovo i dolori del parto, finché non sarà chiaro che Cristo è in mezzo a voi» (Gal. 4, 19), e se Gesù Cristo è così veramente frutto di Maria per ogni anima in particolare, come lo è per tutti quanti in generale, è certo che in modo specialissimo Egli è frutto di Maria e suo capolavoro nell’anima dove Lei risiede.

Maria diventa ogni cosa per la nostra anima presso Gesù

57. Infine, Maria, per quest’anima diviene ogni cosa presso Gesù Cristo: Ella ne illumina lo spirito con la sua pura fede, le approfondisce il cuore con la sua umiltà, glielo dilata ed infiamma con la sua carità, glielo purifica con la sua purezza, glielo nobilita ed arricchisce con la sua maternità. Ma per che motivo insistere? Solo l’esperienza può rivelarci queste meraviglie di Maria, meraviglie incredibili alle persone dotte ed orgogliose, anzi al comune dei devoti e devote.

5. La santa schiavitù alla fine dei tempi

Per mezzo di Maria il Regno di Gesù arriverà alla fine dei tempi

58. Poiché per mezzo di Maria Santissima Dio venne la prima volta al mondo, nell’umiliazione e nell’annientamento, non potrebbe pur dirsi altresì per mezzo di Maria Santissima, che Egli verrà un’altra volta, come l’attende tutta la Chiesa, per regnare dovunque e per giudicare i vivi e i morti? Ma chi può sapere come e quando ciò avverrà? So bene però che Dio, i cui pensieri distano dai nostri più che non disti il cielo dalla terra, verrà nel tempo e nel modo meno atteso dagli uomini, anche i più dotti e i più versati nella Sacra Scrittura, che a questo riguardo è molto oscura.

Per mezzo della Santa Schiavitù, praticata dai suoi grandi santi, Maria farà che arrivi il regno definitivo di Gesù
59. Allo stesso modo, si deve credere che verso la fine dei tempi, e più presto forse che non si pensi, Dio susciterà grandi uomini ripieni dello Spirito Santo e di quello di Maria, per mezzo dei quali Ella, questa divina Sovrana, opererà nel mondo grandi meraviglie per distruggervi il peccato e stabilire il Regno di Gesù Cristo, suo Figlio, sulle rovine di quello del mondo corrotto; e che per mezzo di questa devozione alla Vergine, di cui non so dare che una traccia, e ben pallida anche questa, a causa della mia pochezza, quei santi personaggi verranno a capo di tutto.

E) PRATICHE ESTERIORI DELLA SANTA SCHIAVITÙ

Loro importanza

60. Oltre alla pratica interiore di questa devozione, di cui abbiamo ora parlato, ce ne sono altre che non bisogna omettere, né trascurare.

La consacrazione e la sua rinnovazione

61. La prima è di darsi a Gesù Cristo, in qualche giorno importante, per le mani di Maria, di cui ci facciamo schiavi; di comunicarsi in tal giorno con questa intenzione e di passarlo in preghiera: si rinnoverà questa consacrazione almeno ogni anno, nello stesso giorno.

L’offerta di un tributo alla Santissima Vergine

62. La seconda è di pagare ogni anno, nello stesso giorno, un piccolo tributo alla Vergine, quale prova di servitù e di dipendenza; tale fu sempre l’omaggio degli schiavi verso i loro padroni. Ora questo tributo consiste o in qualche mortificazione, o in qualche elemosina, o in qualche pellegrinaggio, o in qualche preghiera. Il Beato Marino, secondo quanto racconta suo fratello, San Pier Damiano, si disciplinava pubblicamente tutti gli anni, nello stesso giorno, davanti ad un altare della Vergine. Non si domanda, né si consiglia tanto fervore, ma se non si può dar molto a Maria, si deve però offrirle con cuore umile e riconoscente quello che le si dà.

La celebrazione speciale della festa dell’Annunciazione

63. La terza è di celebrare ogni anno, con devozione speciale la festa dell’Annunciazione che è la festa principale di questa devozione, stabilita appunto per onorare ed imitare la dipendenza in cui si pose il Divin Verbo, in tal giorno, per amore nostro.

La recita della «Coroncina» e del «Magnificat»

64. La quarta pratica esteriore è quella di recitare ogni giorno, senza però obbligarvici sotto pena di peccato, qualora vi si manchi, la Coroncina alla Santissima Vergine, composta da tre Padre Nostro e da dodici Ave Maria; di recitare spesso il Magnificat, che è l’unico cantico che abbiamo di Maria, per ringraziare Dio dei benefici ricevuti ed attirarne altri; soprattutto non bisogna smettere di recitarlo dopo la S. Comunione, quale ringraziamento, come soleva fare la Santissima Vergine stessa, secondo il dotto Gersone.

La catenella

65. La quinta è di portare una catenella benedetta al collo, o al braccio, o al piede, o attraverso il corpo. Questa pratica si può senza dubbio omettere, senza che ne soffra l’essenziale di questa devozione: tuttavia, sarebbe male disprezzarla e condannarla, nonché pericoloso volerla trascurare.
Ecco le ragioni che consigliano questa pratica esteriore:
1 – per opporsi alle funeste catene del peccato originale ed attuale, dal quale siamo stati avvinti;
2 – per onorare le corde ed i ceppi amorosi dalle quali Nostro Signore si compiacque di essere strettamente legato, per renderci veramente liberi;
3 – per farci ricordare che dobbiamo agire solo per l’impulso di questa virtù, dato che questi vincoli sono vincoli di carità: «Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore» (Os 11, 4);
4 – infine, si usa portare simili catene perché abbiamo ognora presente la nostra doverosa dipendenza da Gesù e da Maria, in qualità di schiavi.

Molti grandi personaggi, che si erano fatti schiavi di Gesù e di Maria, stimarono talmente queste catenelle, che si lamentavano perché non era loro concesso di trascinarle pubblicamente ai piedi, come gli schiavi dei Turchi. Oh, catene più preziose e più gloriose delle collane d’oro e delle pietre preziose di tutti gli imperatori, poiché ci avvincono a Gesù Cristo e alla sua santa Madre, e ne sono le illustri insegne e livree!

È conveniente che queste catene, se non d’argento, siano almeno di ferro, per la facilità di procurarsele. Non si dovrà mai deporle durante la vita, perché ci possano accompagnare fino al giorno del giudizio. Quale gioia, quale gloria, quale trionfo per un fedele schiavo, nel giorno del giudizio, se al suono della tromba, le sue ossa si leveranno da terra, tuttora strette dalla catena della schiavitù, evidentemente non consumata. Questo solo pensiero deve stimolare molto un devoto schiavo a non togliersi mai la catena, per quanto scomoda possa tornare alla natura.

PREGHIERA A GESÙ

66. Amabile mio Gesù, lascia che io mi rivolga a Te per attestarti la mia riconoscenza per la grazia concessami, nel darmi alla tua santa Madre con la devozione di questa schiavitù, perché Ella sia mia avvocata presso la tua Maestà, e mio supplemento universale nella mia grandissima miseria.
Ahimè! mio Dio, io sono tanto miserabile che, senza questa buona Madre, di certo sarei irrimediabilmente perduto. Sì! Maria mi è necessaria presso di te, in tutto: necessaria, per calmarti nel tuo giusto sdegno, poiché ti ho tanto offeso ed ogni giorno ti offendo ancora tanto; necessaria, per trattenere gli eterni castighi della tua giustizia da me meritati; necessaria, per guardarti, per parlarti, per pregarti, per accostarmi a Te, per piacerti; necessaria, per salvare la mia anima e quella degli altri; necessaria, in una parola, per fare sempre la tua santa volontà e cercare in tutto la tua maggior gloria. Perché non posso io manifestare nel mondo intero questa misericordia che mi hai usato? Perché tutto il mondo non conosce che senza Maria io sarei già dannato? Perché non posso mostrare una degna riconoscenza per un così grande beneficio? Maria è in me. Oh, quale tesoro! Oh, quale consolazione! E dopo di ciò non sarò io tutto di Maria? Oh, quale ingratitudine sarebbe mai questa, mio caro Salvatore! Oh, mandami piuttosto la morte prima che mi colga tanta sventura, perché preferisco morire che vivere senza essere di Maria.
Io l’ho mille e mille volte presa come ogni mio bene con San Giovanni Evangelista ai piedi della Croce, e mille e mille volte a Lei mi sono consacrato; ma se ancora non l’ho fatto come Tu desideri. Gesù mio caro, adesso voglio farlo nel modo che a TE piace; e se mai scorgi nella mia anima e nel mio corpo qualche cosa che non appartiene a questa augusta Principessa, strappamela, te ne prego, e gettala lontano da me, poiché non appartenendo a Maria, è indegna di Te.

Invocazione finale allo Spirito Santo

67. O Spirito Santo! Concedimi tutte queste grazie e pianta, innaffia e coltiva nella mia anima l’amabile Maria, vero Albero di Vita, perché cresca, fiorisca e rechi frutti di vita in abbondanza. O Spirito Santo! Dammi una grande devozione ed una grande appoggio sul suo seno materno ed un continuo ricorso alla sua misericordia, affinché in Lei Tu formi nella mia anima Gesù Cristo al naturale, grande e potente, fino alla pienezza della sua età perfetta. Amen.

Preghiera a Maria per i suoi fedeli schiavi

68. Io ti saluto, o Maria, Figlia diletta dell’Eterno Padre; io ti saluto, o Maria, Madre ammirabile del divin Figlio; io ti saluto, o Maria, Sposa fedelissima dello Spirito Santo: io ti saluto, o Maria, mia cara Madre, mia amabile padrona e mia potente Sovrana; io ti saluto, mia gioia, mia gloria, cuore mio ed anima mia! Tu sei tutta mia per misericordia e io sono tutto tuo per giustizia, però non lo sono ancora abbastanza; a Te, dunque, di nuovo interamente mi dono, come eterno schiavo, senza riserva alcuna, né per me né per gli altri.
Se scorgi in me qualche cosa che non è ancora tua prenditela, te ne supplico, in questo momento, e sii la Padrona assoluta di tutto quanto possiedo; distruggi in me, sradica, annienta tutto ciò che spiace a Dio, e in me pianta, innalza, opera tutto ciò che gli piacerà. La luce della tua fede diradi le tenebre del mio spirito; la tua profonda umiltà si sostituisca al mio orgoglio; la tua sublime contemplazione ponga un freno alle distrazioni della mia immaginazione vagabonda; la tua vista ininterrotta di Dio riempia la mia mente della sua presenza; l’incendio della carità del tuo Cuore dilati ed infiammi il mio, così tiepido e freddo; le tue virtù prendano il posto dei miei peccati; i tuoi meriti siano mio ornamento e mio supplemento presso Dio. Infine, o mia carissima e diletta Madre, fa’, se è possibile, che io non abbia altro spirito che il tuo per conoscere Gesù Cristo e i suoi divini voleri; che io non abbia altra anima che la tua per lodare e glorificare il Signore; che io non abbia altro cure che il tuo per amare Dio con puro ed ardente amore come Te.

69. Io non ti chiedo né visioni, né rivelazioni, né gusti, né piaceri anche spirituali. A te si addice di vedere chiaramente senza tenebre; a Te di gustare pienamente senza amarezze; a Te di trionfare gloriosamente alla destra di tuo Figlio in Cielo, senza umiliazioni di sorta; a Te di comandare in modo assoluto agli angeli, agli uomini e ai demoni senza resistenza alcuna, e infine di disporre, a tuo piacere, di tutti i beni di Dio, senza eccezione alcuna. Ecco, o divina Madre, l’eccellente porzione che il Signore ti ha fatto e che mai ti sarà tolta, ciò che mi causa grandissima gioia.
Per mia porzione quaggiù, altro non voglio se non quella che Tu avesti nel mondo, e cioè: credere puramente, senza nulla gustare e vedere; soffrire con gioia, senza consolazione di creature; morire, continuamente e senza tregua, a me stesso; lavorare molto per Te, fino alla morte, senza alcun interesse, come il più vile dei tuoi schiavi. La sola grazia che per pura misericordia ti chiedo, e che, tutti i giorni e i momenti del mio vivere, io dica tre volte: «Amen: Così sia», a tutto quello che tu facesti sulla terra durante la tua vita mortale; «Così sia», a tutto quello che adesso fai in Cielo; «Così sia», a tutto quello che fai nella mia anima, perché ci sia Tu sola a glorificare pienamente Gesù in me nel tempo e nell’eternità. Amen.

LA COLTURA E L’ACCRESCIMENTO DELL’ALBERO DELLA VITA
(Cioè il modo di far vivere e regnare Maria nelle nostre anime)

La Santa Schiavitù d’amore è il vero «Albero della Vita»

70. Anima predestinata, con la luce dello Spirito Santo hai capito quanto sono venuto a dirti? Ringrazia Dio: è un segreto quasi a tutti sconosciuto. Se hai trovato il tesoro nascosto nel campo di Maria, la perla preziosa del Vangelo, devi vendere tutto per farne acquisto; devi fare un sacrificio di te stessa nelle mani di Maria e perderti felicemente in Lei per trovarvi Dio solo. Se lo Spirito Santo ha piantato nella tua anima il vero Albero della Vita, che è la devozione che ti ho esposto, devi porre ogni cura nel coltivarlo, perché ti dia il suo frutto a tempo opportuno.
Questa devozione assomiglia al grano di senape, di cui parla nel Vangelo, il quale, mentre è, a quanto pare, il più piccolo di tutti i grani, diviene però molto grande ed erge così alto il fusto che gli uccello del cielo, cioè i predestinati, nidificano sui suoi rami, e vi nascondono al sicuro dalle bestie feroci.

Il modo di coltivarlo

Eccoti, o anima predestinata, il modo di coltivarlo:
Nessun appoggio umano

71. 1) Quest’Albero, essendo piantato in un cuore assai fedele, ama restare all’aria libera, senza alcun appoggio umano: quest’Albero, essendo divino, rifugge sempre da qualsiasi creatura che potrebbe impedirgli di innalzarsi verso il suo principio, Dio. Pertanto, non bisogna appoggiarsi sulla sua propria industria, o sui propri doni di natura, o sul credito e l’autorità degli uomini: bisogna invece ricorrere a Maria e contare sul suo aiuto.

Continuo sguardo dell’anima

72. 2) Bisogna che l’anima, dove quest’Albero è piantato, sia occupata senza tregua, a guardarlo e riguardarlo, come un buon giardiniere. Poiché quest’albero, essendo vivente e dovendo dare frutto di vita, vuole essere coltivato e reso rigoglioso da un continuo sguardo e contemplazione dell’anima; è proprio infatti di un’anima, che aspiri a diventare perfetta, di pensarvi di continuo, di farne la principale occupazione.

Violenza a se stesso

73. 3) Bisogna sradicare e troncare i cardi e le spine, che potrebbero soffocare questo Albero o impedirgli di produrre il suo frutto: bisogna, cioè, essere fedele a tagliare e troncare, con la mortificazione e la violenza a se stesso, tutti i piaceri inutili e le occupazioni vane con le creature; in altre parole, crocifiggere la carne, osservare il silenzio, mortificare i sensi.

Niente amor proprio

74. 4) Bisogna che i bruchi non lo danneggiano. Questi bruchi sono l’amore di se stesso e delle proprie comodità; essi mangiano le foglie verdi e distruggono le belle speranze che l’Albero dava di produrre frutti: poiché l’amor proprio e l’amor di Maria non si accordano affatto.

Orrore del peccato

75. 5) Bisogna tenere lontano le bestie, che sono i peccati, i quali potrebbero seccare l’Albero della Vita con il solo loro contatto; bisogna che nemmeno lo sfiori il loro alito, cioè i peccati veniali, che sono sempre pericolosissimi, qualora non se ne abbia dispiacere.

Facoltà agli esercizi

76. 6) Bisogna innaffiare continuamente quest’Albero divino con Messe, Comunioni ed altre preghiere pubbliche o private, altrimenti esso non darebbe più frutti.

Pace nelle prove

77. 7) Non bisogna crucciarsi se quest’Albero è agitato e scosso dal vento; perché occorre che il vento delle tentazioni lo investa per farlo cadere, e le nevi ed i ghiacci lo circondino per farlo morire; il che significa; il che significa che questa devozione a Maria Vergine sarà necessariamente combattuta e contraddetta; ma purché si sia costanti nel coltivarlo, nulla si deve temere.

Il frutto dell’Albero della vita è l’amabile ed adorabile Gesù

78. Anima predestinata, se coltiverai in tal modo il tuo Albero della Vita, di recente piantato nella tua anima dallo Spirito Santo, io ti assicuro che in poco tempo esso crescerà così in alto, che gli uccelli del cielo vi abiteranno, e diverrà così perfetto, che infine a tempo opportuno darà il suo frutto di onore e di grazia, cioè l’amabile ed adorabile Gesù, che fu e sarà sempre l’unico frutto di Maria.
Felice l’anima in cui è piantata Maria, l’Albero della Vita; più felice quella in cui Maria ha potuto crescere e fiorire; felicissima quella in cui Maria produce il suo frutto: ma fra tutte felicissima quella che gusta e conserva questo frutto fino alla morte e nei secoli dei secoli. Amen.

Qui tenet, teneat

DIO SOLO



[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/07/2013 14:24
 
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[SM=g1740758]  Il "magistero" sulla provvisorietà dei due Pontefici

A molti può essere sfuggito, e noi vi aiutiamo a meditarci su....

Il 27.5.2013 nelle omelie a Santa Marta, così ha spiegato Papa Francesco:

C’è poi “un’altra ricchezza nella nostra cultura”, una ricchezza che ci “impedisce di andare vicino a Gesù: è il fascino del provvisorio”. Noi, ha osservato, siamo “innamorati del provvisorio”. Le “proposte definitive” che ci fa Gesù, ha detto, “non ci piacciono”. Il provvisorio invece ci piace, perché “abbiamo paura del tempo di Dio” che è definitivo:
“Lui è il Signore del tempo, noi siamo i signori del momento. Perché? Perché nel momento siamo padroni: fino qui io seguo il Signore, poi vedrò… Ho sentito di uno che voleva diventare prete, ma per dieci anni, non di più… Quante coppie, quante coppie si sposano, senza dirlo, ma nel cuore: ‘fin che dura l’amore e poi vediamo…’ Il fascino del provvisorio.... Il provvisorio, ha ribadito Papa Francesco, “non è seguire Gesù”....


[SM=g1740733]  Benedetto XVI nel suo ultimo viaggio in Germania, Hörsaal del Seminario di Freiburg im Breisgau Sabato, 24 settembre 2011, ha spiegato ai Cattolici:

"E notiamo come questo relativismo eserciti sempre di più un influsso sulle relazioni umane e sulla società. Ciò trova espressione anche nell’incostanza e nella discontinuità di tante persone e in un eccessivo individualismo.
Qualcuno non sembra affatto capace di rinunciare a qualcosa o di fare un sacrificio per altri. Anche l’impegno altruistico per il bene comune, nei campi sociali e culturali, oppure per i bisognosi, sta diminuendo.
Altri non sono più in grado di legarsi in modo incondizionato ad un partner. Quasi non si trova più il coraggio di promettere di essere fedele per tutta la vita; il coraggio di decidersi e di dire: io ora appartengo totalmente a te, oppure di impegnarsi con decisione per la fedeltà e la veracità, e di cercare con sincerità le soluzioni dei problemi...."


[SM=g1740771]

Una profonda riflessione dal sito unavox

Il principino e il Re

Le cronache e l’informazione mondiale – tv, giornali, internet, radio, cellulari – da almeno un mese vanno narcotizzando la coscienza collettiva e ottundendo il ben dell’intelletto, con tonnellate di scemenze, idiozie e di alluvionali servizii, per  metterci al corrente della futura – ora finalmente avvenuta – nascita del principe baby britannico, figlio dei coniugi William e Kate, quasi fosse, questa notizia, la necessità prima da soddisfare in quest’epoca di crisi etica ed economica.

Una vera iperdose di pozione mista di  eccitante e di sedativo. Scene di ordinario e beota becerume, con folle di automi assiepati ai cancelli, con individui quasi entusiasticamente spiritati che, partiti chi da Italia, chi Spagna, chi Francia ed approdati sulle rive del Tamigi tengono a farci sapere, dallo schermo tv, d’esser giunti colà, davanti alla reale clinica, per poter assistere all’evento e portarne il ricordo indelebile per tutta la vita, un vero tatuaggio virtuale e  per dire “io c’ero”. E’ questa la misura del totale degrado e della povertà mentale che affligge l’attuale società del divertimento e dell’effimero. A tirar su queste acerbe considerazioni, ci è venuto in mente un episodio di forte e drammatico impatto, passato sotto silenzio, di speculare ed inversa simmetrìa, che  certifica quanto la società moderna, pur vantandosi d’esser figlia della “ragione illuminata”, si qualifica come imbecille progenie di una madre altrettanto imbecille e sempre incinta: l’apparenza.

Il 21 dicembre dell’anno 1985 – abbiamo a testimone il ritaglio – un quotidiano italiano mise in piedi un “esperimento” il cui esito fu pubblicato due  giorni dopo, il 23 dicembre.
Ecco il fatto: la redazione telefonò alla Prefettura civica comunicando che, dalla stazione ferroviaria, vi era arrivata,  a tarda sera, una  giovane  coppia calabrese, lui operaio in cerca di lavoro e lei incinta e nell’imminenza di dover partorire.
Si chiedeva di reperire alloggio, cibo e assistenza medica. La Prefettura fece presenti le difficoltà burocratiche e la carenza di personale il quale, per l’esodo vacanziero natalizio, s’era ridotto all’osso, pertanto ci si rivolgesse al Vicariato, il quale, interpellato ma dichiaratosi impicciato per i riti di Natale ed oberato da richieste più o meno simili, rispose non essere  in grado di soddisfare quanto chiesto dalla redazione consigliando, però, a bussare presso il Sindaco, ma l’ufficio di questi, data l’ora tarda – quasi le 22,00 – era chiuso e il primo cittadino irreperibile.

Forse, suggerì un funzionario di turno, qualcosa si sarebbe potuto fare telefonando all’Ospedale Maggiore, il quale, però, dichiarò che posti letto non v’erano e che molto personale, medico e paramedico, era in ferie, ma chissà, fu suggerito, che provando con  qualche parrocchia della città con annessa qualche associazione di volontariato! Le tre parrocchie interpellate lamentarono mancanza di mezzi, di strutture e di assistenza e, soprattutto, l’ora tarda. “Telefonate alla. . . Prefettura!” 

I lettori – e noi pensiamo: anche i funzionarii, i sacerdoti, e le persone interpellate -  due giorni dopo appresero che la giovane coppia calabrese era stata un’invenzione del giornale ma la cui vicenda  aveva messa in evidenza come, la tanto sbandierata solidarietà di destra di centro e di sinistra, era la foglia di fico di una società distratta ed egoista, sicché se Maria incinta, e Giuseppe in cerca di lavoro fossero tornati in questo mondo del  XX secolo, modellato da civili costituzioni, abitato da cristiani “adulti”, zeppo di  ONLUS, intriso di filantropismo massonico, avrebbero avuto lo stesso trattamento ricevuto 1985 anni prima, a Bethleem.
Il cronista non dice se gli interessati provassero un senso di vergogna. Ora, ed ecco il termine speculare ma inverso, noi crediamo che se, al contrario, la coppia reale, di cui si è fatta indigestione massmediatica, avesse un mese fa’, per vezzo o per calcolo pubblicitario, fatto richiesta di alloggio ad Enti, Alberghi, Parrocchie, associazioni onlus, avremmo assistito all’orgia dell’ospitalità entusiasta e, soprattutto, gratuita. “ Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” ( Mt. 8, 20 ).


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Storia di un santo deforme con un’anima splendida


mille anni fa nasceva l'autore della Salve Regina......


Il 18 luglio 1013 nasceva Ermanno di Reichenau, il monaco “contratto” che non poteva stare comodo neanche sdraiato. Le cure dei confratelli e la grande fede ne fecero un uomo «veramente vivo»
 
 
«Salve, Regina, madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, salve. A Te ricorriamo, noi esuli figli di Eva; a Te sospiriamo gementi e piangenti in questa valle di lacrime..». È la preghiera che ancora si canta nelle chiese, alla fine, quando restano i vecchi a trascinare le vocali come a trattenere chi già corre a riaccendere il telefonino. Chi l’ha scritta, quasi mille anni fa, sapeva che cos’è una valle di lacrime. La Salve Regina fu infatti, quasi sicuramente, composta da Ermanno di Reichenau, meglio conosciuto come Ermanno lo storpio. Lo chiamavano anche “il contratto”. I documenti che ne danno notizia parlano di un uomo deforme, con gli arti come attorcigliati a impedirgli non solo di camminare normalmente ma anche di trovare pace disteso o seduto nella sedia costruita apposta per lui. Ermanno, che nella vita non è mai stato comodo se non, probabilmente, quando è sopraggiunta la morte, fu monaco e fine studioso. La preghiera alla Madonna entrata nella storia liturgica della Chiesa è solo uno degli aspetti del suo studio e della sua fede poderosamente intrecciati.
Poi ci sono le cronache della storia del mondo, lo studio delle costellazioni, la costruzione di astrolabi. Ancora oggi chi cerca notizie su di lui nelle biblioteche trova i trattati scritti nelle notti insonni nell’abbazia di Reichenau, in un’isoletta nel lago di Costanza. A essere in grado di scrivere ci arrivò probabilmente dopo un lungo allenamento per addomesticare le mani a rispondere alla mente. Nacque il 18 luglio del 1013, esattamente mille anni fa, ed era uno dei 15 figli di Eltrude e Goffredo conte di Althausen di Svevia.
 
Fu il gesuita inglese Cyril Martindale ad appassionarsi alla sua storia dopo il ritrovamento nella biblioteca di Oxford di un volume in latino che ne riferiva la vita. Quelle pagine, racconta Martindale in un volume molto amato da don Luigi Giussani (Santi, Jaca Book) non parlavano di un handicappato abbandonato, ma di un piccolo affidato alle amorevoli cure dei monaci e diventato presto un compagno prezioso per i religiosi. Misteriosamente in Ermanno la malattia non genera cinismo bensì un’umanità ricca, rigogliosa, coinvolgente. Così la biografia parla di un uomo «piacevole, amichevole, conversevole; sempre ridente; tollerante; gaio; sforzandosi in ogni occasione di essere galantuomo con tutti». Quello che doveva essere un peso diventa presto l’orgoglio del monastero e la sua fama arriva fino all’imperatore Enrico III e a papa Leone IX, che visitarono Reichenau rispettivamente nel 1048 e nel 1049.
 
Vincere il dolore e la pigrizia non è semplice. Ermanno stesso lo fa capire nell’introduzione a uno dei suoi volumi più complicati, quello in cui spiega come si costruiscono gli astrolabi, marchingegni antenati degli orologi, utilizzati per localizzare o calcolare la posizione del Sole, della Luna, dei pianeti e delle stelle, ma anche per determinare l’ora conoscendo la longitudine. «Ermanno – scrive –, l’infimo dei poveretti di Cristo e dei filosofi dilettanti, il seguace più lento di un ciuco, anzi, di una lumaca è stato indotto dalle preghiere di molti amici a scrivere questo trattato scientifico». Tra gli amici c’è Bertoldo, incaricato di aiutarlo nelle incombenze quotidiane e testimone dei momenti cruciali della sua vita. È a lui che Ermanno affida i suoi pensieri nei giorni della pleurite che lo condurrà alla morte. E l’amico si commuove e si tura le orecchie quando il piccolo monaco, già assaporando la pace della liberazione dal corpo, si dice stanco di vivere.
 
«La Vita, come la scrisse Bertoldo – osserva Martindale –, è così piena di vita pulsante, Ermanno ne esce veramente vivo! Non perché sapesse scrivere sulla teoria della musica e della matematica, né perché seppe compilare minuziose cronache storiche e leggere tante lingue diverse, ma per il suo coraggio, la bellezza dell’anima sua, la sua serenità nel dolore, la sua prontezza a scherzare e a fare a botta e risposta, la dolcezza dei suoi modi che lo resero “amato da tutti”. (…) Ermanno ci dà la prova che il dolore non significa infelicità, né il piacere la felicità».
 
Laura Borselli, Luglio 15, 2013
Fonte: Tempi.it


Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/2013/07/storia-di-un-santo-deforme-con-unanima.html#ixzz2aHk7xUUt


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LUCIA

Posted: June 21st, 2013 | Author: |

Suor Letizia (Giudici) è “la suora che ha fermato Ali Agca”. Scrive Wlodzimierz Redzioch (Zenit.org, 13 maggio 2013): «Questa francescana dell’ordine di Nostra Signora del Monte nel 1981 aveva 30 anni e studiava al Pontificio Ateneo Antonianum di Roma.
Il 13 maggio era andata all’udienza generale con Giovanni Paolo II. Quando la papamobile si avvicinò al luogo dove era la religiosa, tanta gente alzò le mani sopra la testa per scattare delle foto, perciò suor Letizia non si meravigliò che anche un giovane vicino a lei avesse alzato il braccio: pensava che volesse fotografare il Papa, ma quando sentì gli spari, capì che nella sua mano aveva una pistola. Subito dopo aver sparato, Ali Agca si mise a correre. Nessuno si mosse per fermare l’attentatore: tutti avevano gli occhi fissi sulla macchina con il Papa ferito.
Allora istintivamente, suor Letizia cominciò a correre dietro Agca. Il turco probabilmente inciampò su un sampietrino e cadde. Allora la suora gli saltò addosso, bloccandolo. L’attentatore puntò contro di lei la pistola, ma l’arma – stranamente, o piuttosto miracolosamente – s’inceppò e Agca la buttò via. Grazie alla tempestiva azione della religiosa, i poliziotti italiani riuscirono subito ad arrestare il turco.
Durante il processo Ali Agca non ricordava la suora, ma si meravigliò che quella che lo aveva bloccato si chiamava Lucia (questo è il nome di battesimo di suor Letizia). “Che strano che questa suora si chiami Lucia. C’è una altra suor Lucia” ripeteva, alludendo alla veggente di Fatima».


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[Modificato da Caterina63 29/07/2013 17:52]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Marcellino pane e vino, confidente di Gesù

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“Marcellino pane e vino” (Marcelino pan y vino) è un film del 1955 diretto da Ladislao Vajda. Il protagonista del film, Pablito Calvo, all’epoca aveva solo sei anni.Il film è tratto dal romanzo di José María Sánchez Silva “Marcelino Pan Y Vino”.

I seminari che, negli ultimi cinquant’anni, hanno applicato l’errata “ermeneutica della rottura e della discontinuità” del Vaticano II, si sono trasformanti in “pretifici” dai cui vengono fuori vari tipi di preti (assistenti sociali, rivoluzionari politicanti, combattenti per libertà, etc…), tranne che sacerdoti cattolici. Questo si è verificato anche perché i Padri e i Dottori della Chiesa sono stati messi nel dimenticatoio per dar spazio agli esponenti della “nouvelle theologie” (Rahner, de LubacTeilhard de Chardin, Congar, Chenu, etc…), coloro che, da parte mia, non hanno nessuna simpatia.

Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno più volte ribadito l’importanza della riforma dei seminari, preoccupazione condivisa anche dal pontefice attualmente regnante, Francesco.

Non so se e quando questa fondamentale riforma sarà fatta, ma io credo che farebbe bene ai seminaristi guardare e meditare un film: “Marcellino pane e vino”, film spagnolo del 1955, diretto da Ladislao Vajda (1906-1965), il cui protagonista è Pablito Calvo (1948-2000), che all’epoca delle riprese aveva solo sei anni.

Per coloro che non conoscono la trama, il film narra la breve vita di un orfanello, Marcellino, cresciuto da dodici frati francescani, che si sente molto solo perché gli mancano l’affetto della mamma e qualche amico con cui giocare. La vita di Marcellino cambia quando un giorno entra nella soffitta del convento e là vi trova, forse dimenticato, un vecchio crocifisso a misura d’uomo. Nella sua fanciullesca ingenuità, Marcellino pensa che abbia fame, così corre nella cucina del convento e, di nascosto, prende una fetta di pane. Tornato in soffitta, il piccolo porge la fetta di pane al crocifisso, il quale, incredibilmente, la prende con la mano destra. Marcellino, contento e soddisfatto, gli promette che sarebbe tornato il giorno seguente. Mantenne la promessa: tornò il giorno seguente e tutti gli altri, passando con Lui gran parte del suo tempo. Infatti, qualche tempo dopo, due persone che vedono Marcellino giocare da solo nel giardino, dicono di aver pena di lui perché è senza amici. Il bambino risponde loro: “Ma io non sono solo: ho un amico che è tanto buono”. Sì, finalmente Marcellino ha un amico, anzi, ha l’Amico.

Esaminiamo e meditiamo insieme alcune scene del film e la sua conclusione, affinché si capisca perché ritengo che sarebbe opportuno farlo vedere ai futuri sacerdoti.

Come già detto, Marcellino mantiene la promessa e il giorno dopo torna in soffitta, portando un’altra fetta di pane e, in più, un bicchiere di vino – per questo Gesù gli darà il nome di “Marcellino pane e vino” – che posa sopra un tavolo. Marcellino consiglia al Crocifisso di mettersi seduto, per mangiare meglio. Il Re dell’universo “obbedisce” al quel piccolo orfanello di sei anni e si mette seduto. «Non hai paura di me?», gli chiede Gesù. «No», risponde Marcellino. «Allora sai chi sono?». «Sì. Tu sei Dio». Tutta la bibliografia di Rahner & Co. non vale una briciola di questa piccola, semplice professione di fede. [SM=g1740721]

Bellissima il momento della “frazione del pane” da parte di Gesù: mentre spezza il pane per mangiarlo, si notano le piaghe delle mani. Una scena altamente teologica: la messa non è una cena ma il sacrificio incruento del Golgota. Non a caso, Marcellino gli toglie dal capo la corona di spine, domandando: «Ti faceva molto male?». «Moltissimo», risponde il Signore, ringraziandolo. (Qui per vedere la scena doppiata in inglese). Nessuno si cura più di consolare il Signore, così tanto offeso dai nostri peccati. Marcellino, invece, è pieno di premure per Gesù: gli porta anche una coperta affinché non senta freddo.

Commuovente la scena in cui Marcellino e Gesù parlano delle mamme e di quanto amino le proprie…

Una notte Marcellino non riesce a dormire, perché i tuoni e i fulmini del temporale lo terrorizzano. Così si alza e corre in soffitta; vuol fare il “duro” e domanda a Gesù se vuole compagnia, in caso avesse paura del temporale. «E tu, Marcellino, non hai paura del temporale?», chiede il Signore. «Sì, un po’…», ammette il bambino. «Vieni qui da me». Marcellino non se lo fa ripetere due volte: corre verso di lui e abbraccia forte la croce. «Hai ancora paura?», gli domanda il Signore. «No», risponde Marcellino. «Adesso non più». “Fiction”? Favole per bambini? Quanti santi, nella storia della Chiesa, hanno abbracciato quella Croce!

Arriviamo al finale. (Qui per vedere la scena in lingua originale). Gesù vuole dare un regalo a Marcellino, quello che desidera di più. «Voglio vedere la mia mamma», risponde il bambino. «E anche la tua». Quella mamma che è mamma di Gesù, di Marcellino e della stessa mamma di Marcellino. Il Signore gli spiega che per vederle dovrà addormentarsi. Ma il piccolo non ha sonno. «Vieni», dice Gesù prendendolo tra le sue braccia. «Ti addormento io». Così i frati accorrono, trovando il corpo senza vita del bambino, ma con un un sorriso pieno di felicità.

Cari seminaristi e sacerdoti, guardate e meditate questo film, perché aiuta a capire che il cristianesimo non consiste nell’attivismo sociale, o nella lotta alla criminalità, etc…, ma nell’avere un rapporto di confidenza con Cristo Gesù. Voi più di chiunque altro dovete essere i confidenti di Gesù, soprattutto per il bene delle anime che vi sono affidate. Pensate al finale del film. Oggi si parla tanto di “dolce morte” – significato di eutanasia – e di dignità nel morire. Ma l’unica vera morte dignitosa, sia che per i giovani che per gli anziani, sia per i sani che per i malati, è la “buona morte”: morire tra le braccia di Cristo, grazie al dono degli ultimi sacramenti, che solamente i sacerdoti possono dare.

IPSE DIXIT
«“Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. È quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità» (Joseph card. Ratzinger, omelia della Missa Pro Eligendo Romano Pontefice, 18 aprile 2005).

«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, enciclica “Deus Caritas Est”, Introduzione, 1).



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[SM=g1740758]  da: CONVERSAZIONI TRA UN AVVOCATO ED UN CURATO DI CAMPAGNA SUL SACRAMENTO DELLA CONFESSIONE - cliccate qui -

Per cura del Sac. Bosco Giovanni

 

TORINO

TIPOGRAFIA PARAVIA E COMPAGNIA

Anno 1855. {I [145]} {II [146]}



VII. La confessione nel Concilio Lateranese e nel Concilio Tridentino.

 

            A. Un mio compagno mi ha fatto vedere un libro che dice la confessione essere stata stabilita nel secolo 13°,cinquecento cinquant’anni fa, nel Concilio di Laterano, e che solamente d'allora in poi fu imposto l'obbligo di confessarsi almeno una volta l'anno, e comunicarsi alla Pasqua di risurrezione: a parlare schiettamente io non saprei dire che cosa siasi trattato in questo Concilio.

            C. Se la confessione fu stabilita nel secolo decimoterzo, secondochè asserisce il libro del vostro compagno, come va che il vostro libro dice che fu inventata ottocento anni prima? Quando fu accusato Gesù Cristo, il Vangelo fa notare che i testimoni non erano d'accordo per dimostrare che mentivano. E voi per certo non ignorate che {58 [202]} la discordanza dei testimoni è ancora oggidì una prova della falsità di quanto viene asserito. Applicate questa osservazione ai vostri libri protestanti.

            A. Anch'io ho già osservato questo, e qualche volta ho detto tra me stesso: questi libri mi dicono che la confessione non fu istituita da Gesù Cristo; e intanto uno mi dice che fu istituita mille anni sono; un altro mi dice che lo fu cinquecento cinquant'anni prima di noi: ma se si sa con certezza una cosa non ci dovrebbe essere lo sbaglio di cinquecent'anni. Tuttavia ditemi, come va che tutto dì si viene citando il Concilio Laleranese?

            C. I protestanti vanno citando il Concilio di Laterano, e ciò fanno con mala fede e con desiderio d'ingannare; voglio che voi medesimo ne siate giudice.

            A. Sì, ma cominciatemi adire che cosa siasi trattato in questo Concilio di Laterano?

            C. Credo che nei vostri studi legali abbiate rilevato che per Concilio generale s'intende una riunione di vescovi legittimamente convocati, a cui sono invitati quelli di tutto il mondo cattolico. Il Papa presiede in persona o per mezzo dei suoi legati. In quelle adunanze si decidono le questioni risguardanti alla fede {59 [203]} ed al governo della Chiesa. La promessa fatta da Gesù Cristo di assistere la sua Chiesa tutti i giorni fino alla fine del mondo rende tali decisioni infallibili. Ora nel 1215 ebbe luogo una di queste radunanze generali di vescovi sotto la presidenza del Papa in Roma, in una chiesa dedicata a s. Gioanni, e situata in un quartiere chiamato Laterano, d'onde venne il nome Concilio di Laterano.

            A. Oh Deo gratias! ora comprendo onde è venuta la parola Laterano. Ebbene che cosa si trattò in quel Concilio? forse fu colà istituita la confessione?

            C. In quel Concilio non fu istituita la confessione, ma fu imposto ai Cristiani di confessarsi almeno una volta l'anno. In que' tempi, miei cari amici, erano molti cristiani, come pur troppo ce ne sono ai giorni nostri, i quali trascuravano di confessarsi esponendosi così a pericolo di eterna dannazione. Il Concilio, cioè i capi della Chiesa colà radunati, ordinarono a tutti i cristiani di confessarsi almeno una volta all'anno e comunicarsi alla Pasqua. Così che non istabilirono la confessione, la quale esisteva già prima di loro, ma stabilirono solamente l'obbligazione {60 [204]} di non lasciar passare un anno senza accostarsi al Sacramento della Penitenza e della Comunione. Che anzi fu aggiunta una pena a quelli che avessero trascurato tal comando della Chiesa, cioè che i trasgressori di tale precetto, lasciando passare un anno senza confessarsi e comunicarsi, non fossero più considerati come cristiani; e morendo senza dar segni di ravvedimento non erano più riconosciuti come cristiani dalla Chiesa; erano scomunicati e privati della sepoltura ecclesiastica.

            A. Adesso ho capito sopra quali ragioni si fondano coloro che dicono la confessione essere stata istituita nel Concilio Lateranese. Nulladimeno parmi di vedere qualche fondamento nella loro asserzione. In quel Concilio non fu stabilita la confessione, ma l'obbligo di confessarsi, dunque in certa maniera fu instituita la confessione medesima.

            C. Per farmi strada a dilucidare la vostra difficoltà rispondetemi a quanto vi dimando. Venticinque anni fa la giustizia fra di noi era amministrata?

            A. Chi ne dubita! Venticinque anni fa vi erano già i tribunali, i giudici e le pene stabilite contro ai colpevoli. {61 [205]}

            C. Il modo di amministrare la giustizia era quello stesso d'oggidì!

            A. Come avvocato posso rispondervi categoricamente. Si amministrava la giustizia ma in modo diverso; i processi erano più lunghi, più spendiosi, ed anche molto più complicate le questioni.

            C. Fino a quando durò tal maniera di amministrare la giustizia?

            A. Finché fu pubblicato il codice civile di Carlo Alberto.

            C. Prima di questo codice era amministrata la giustizia?

            A. Sì, ma si seguivano le norme stabilite dalle regie costituzioni.

            C. Direste voi che Carlo Alberto col suo codice ha inventata la giustizia e che prima di lui essa non esisteva?

            A. No certamente. Con quel codice non fu inventata la giustizia, ma furono stabilite norme per amministrarla.

            C. Ora siccome eranvi leggi e tribunali prima del codice civile, e che con esso non si fece altro che regolare l'ordine e l'amministrazione della giustizia; parimenti i Padri del Concilio di Laterano col loro comando non fecero che regolare e stabilire un mezzo più adattato per l'amministrazione del Sacramento {62 [206]} della Penitenza, imponendo a ciascun cristiano di confessarsi almeno una volta all'anno e comunicarsi alla Pascqua. Da quanto vi ho detto, amici miei, voi potete facilmente comprendere come la confessione sia sempre stata praticata nella Chiesa; nè trovarsi alcun tempo in cui i fedeli non si siano serviti di questo Sacramento come unico mezzo stabilito da Dio per ottenere il perdono dei peccati commessi dopo il battesimo.

            I protestanti più eruditi convengono coi cattolici intorno a questa verità. Leibnizio, dotto protestante degli ultimi tempi, non esita di affermare che la istituzione della confessione deve ripetersi dai tempi di G. C., che ne fu l'autore. Un altro protestante di nome Gibbone, dopo aver attentamente considerato ciò che si dice intorno alla pratica della confessione de' primi tempi, fu costretto a dichiarare: «L'uomo istrutto «non può resistere all'evidenza storica, «la quale stabilisce che la confessione «fu uno dei principali punti di credenza «della Chiesa in tutto il periodo dei «quattro primi secoli» cioè nel corso di quattrocento anni che seguirono dopo Gesù Cristo. {63 [207]}

            A. Ancora una cosa e poi vi lascio in pace. Non ho più alcun dubbio che la confessione siasi sempre praticata nella Chiesa; ma siccome più tardi celebrossi il Concilio Tridentino, in cui si trattò di quanto si praticava nella Chiesa, parmi che non si dovrebbe aver taciuto della confessione, tanto più che in quel tempo i protestanti parlavano molto contro a questo Sacramento.

            C. Comincio per dirvi che posto eziandio il silenzio del Concilio Tridentino su tale materia, quel Concilio approvando la dottrina della Chiesa, senza nulla rinnovare, approvava eziandio la pratica costante della Chiesa intorno al Sacramento della Confessione. Però io posso assicurarvi che nel Concilio Tridentino, così detto perchè tenuto nella città di Trento, si trattò molto della confessione.

            A. Che cosa adunque si è detto intorno alla confessione nel Concilio Tridentino?

            C. I Padri di quel Concilio, specialmente nella sessione decimaquarta, dopo di aver trattato di molte cose riguardanti al Sacramento della Penitenza, conchiusero così: «Se alcuno oserà di affermare che la confessione sacramentale non è necessaria, o non fu istituita dal Nostro Signor {64 [208]} G. C, o dirà che il modo di confessare i peccati segretamente al solo Sacerdote, siccome la Chiesa fin dai primi tempi ha sempre praticato e pratica ancora oggidì, o dirà la confessione non essere Sacramento istituito da Nostro Signor G. C, sia scomunicato: Anathema sit. (Sess., 14, Can. VI.)

            A. Come adunque regolarci per l'avvenire con coloro che torneranno a dirci che la confessione è stata inventata dai preti?

            C. Costoro debbono essere da noi compatiti nella loro ignoranza, quindi dobbiamo animarli ad istruirsi sopra una materia così importante, e se il tempo lo permette, far loro osservare come gli stessi gentili e pagani, e assai meglio gli ebrei ebbero sempre in uso la confessione, la quale fu da G. C. elevata alla dignità di Sacramento, praticata dai tempi degli Apostoli fino ai nostri giorni.

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(ancora da J.Ratzinger, La teologia morale oggi, conferenza per la Diocesi di Civitavecchia, 7 giugno 1986, pubblicata in più puntate in Avvenire Lazio-sette, 2005)

Natura, ragione e oggettività

La parola del Magistero non è più plausibile, oggi, per molti cristiani, perché la sua ragio­nevolezza e la sua oggettività non sono più trasparenti.
Il Magistero è accusa­to di partire da una interpretazione obsoleta della realtà. Come gli stoici dei tempi antichi, - si dice - il Magistero ragiona a partire dalla «natura». Ma l'espressione stessa di «natura» è stata completamente sorpassata insieme al­l'intera epoca metafisica.


In un primo tempo, questo cosiddetto naturalismo della tradizione del Magistero venne considerato in contrapposizione al personalismo della Bib­bia. L'opposizione tra natura e persona, come modello fondamentale per l'argomentazione, era considerata, nello stesso tempo, una contrapposizione tra tradizione filosofica e tradizione biblica. Eppure è un fatto riconosciuto da tempo che non esiste un «biblicismo» puro, e che anche il «personalismo» ha i propri aspetti filosofici.
Assistiamo oggi a un movimento che è quasi il diretto opposto del prece­dente: la Bibbia è in larga misura scomparsa dalle opere moderne di teologia morale. Domina, al suo posto, la tendenza a un'analisi razionale particolar­mente vigorosa, accompagnata dalla rivendicazione dell'autonomia della morale, che non si basa né sulla natura né sulla persona, ma sulla storicità e su modelli di comportamento sociale orientati verso il futuro. Bisogna cercare di scoprire ciò che è socialmente compatibile e ciò che serve a costruire una futura società umana.
La «realtà» sulla quale si basa l'«oggettività» non è più una natura che pre­cede l'uomo, ma è piuttosto il mondo che egli stesso ha strutturato, che può analizzare in maniera semplice, e dal quale può estrapolare ciò che il futuro porterà. Qui ci troviamo di fronte alla vera ragione per cui il cristianesimo di oggi manca in larga misura di una autentica plausibilità, e non solo nel cam­po della morale.

Come abbiamo già visto, a seguito del mutamento filosofico introdotto da Kant, la divisione della realtà in soggettivo e oggettivo è diventata dominan­te.
L'oggettivo non è semplicemente la realtà in sé stessa, ma la realtà in quan­to oggetto del nostro pensiero, in quanto cioè è misurabile e passibile di cal­colo. Il soggettivo invece sfugge alla spiegazione «oggettiva». Questo signifi­ca, tuttavia, che la realtà che incontriamo parla soltanto il linguaggio del cal­colo, ma non contiene alcuna espressione morale. Le forme radicali in co­stante espansione della teoria dell'evoluzione portano alla stessa conclusio­ne, anche se da un punto di partenza differente. Il mondo non presuppone al­cuna ragione: ciò che vi è di ragionevole in esso è risultato di una combina­zione di accidenti, il cui continuo accumulo ha creato in seguito un tipo di necessità.
Secondo tale punto di vista, il mondo non contiene alcun significato, ma soltanto traguardi, posti dalla stessa evoluzione. Se il mondo è quindi un fo­tomontaggio di apparenze statiche, la massima direttiva morale che può dare all'uomo sarà dunque che questi deve impegnarsi in un qualche tipo di foto­montaggio del futuro, e che deve dirigere tutto conformemente, a ciò che considera utile. Il modello si trova quindi sempre nel futuro: sotto questo aspetto, il massimo miglioramento possibile del mondo è l'unico comanda­mento morale.

La Chiesa invece crede che in principio era il Verbo, e che quindi l'essere stes­so porta il linguaggio del Logos, la ragione non solo matematica, ma anche estetica, morale. Ecco che cosa s'intende quando la Chiesa ribadisce che la «natura» ha un valore morale. Nessuno dice che il biologismo debba diventa­re la norma dell'uomo. Questo concetto è stato proposto solo da una certa corrente di un’evoluzione radicale.
La Chiesa difende dichiaratamente il significato della creazione, e mette in pratica ciò che intende quando dice: io credo in Dio, Creatore del Cielo e della terra.

Vi è una ragione dell'essere, e quando l'uomo si stacca totalmente da essa riconoscendo solo il valore di ciò che ha costruito egli stesso, in quel momento egli abbandona ciò che è morale in senso stretto. In un modo o in un altro, stiamo cominciando a renderci conto che la materialità contiene un'espressione spirituale, e non è semplicemente destinata al calcolo e al­l’uso. Possiamo intravedere che vi è una ragione che ci precede, che essa sola può mantenere in equilibrio la nostra ragione e può impedirci di cadere in una non-ragione esteriore.


Necessità dell'esercizio

In definitiva, il linguaggio dell'essere, il linguaggio della natura, è identi­co al linguaggio della coscienza. Ma per ascoltare quel linguaggio è necessario, come per qualsiasi linguaggio, esercitarlo. Ora, poiché l'organo preposto a questa funzione è stato mortificato nel nostro mondo tecnologico, ecco che manca una qualsiasi plausibilità. La Chiesa tradirebbe non soltanto il suo messaggio ma il destino stesso dell'umanità, se rinunciasse a essere custo­de dell'essere e del suo messaggio morale. In questo senso, può essere con­trapposta a ciò che è «plausibile», ma nello stesso tempo rappresenta le più profonde rivendicazioni della ragione.
Diventa evidente, a questo punto, che anche la ragione è un organo e non un oracolo. E anche la ragione richiede esercizio e comunità.
Che una persona sia capace di attribuire una ragione all'essere e di decifra­re la propria dimensione morale, dipende dal fatto che risponda o non ri­sponda alla domanda su Dio. Se il Verbo che è principio non esiste, non vi può neanche essere un Verbo nelle cose. Ciò che Kolakowski scopriva recen­temente, diventa allora enfaticamente vero: quando non vi è Dio, non vi è morale, anzi non vi è neanche umanità.
In questo senso, analizzando le cose più a fondo, tutto dipende da Dio, da un Dio che è Creatore e che ha rivelato sé stesso. Per questa ragione, ancora una volta, abbiamo il bisogno della comunità la quale può garantire quel Dio che nessuno da solo potrebbe pretendere di portare nella propria vita.

La questione di Dio, punto centrale, non è una questione per specialisti. La percezione di Dio è proprio quella semplicità che gli specialisti non po­tranno mai monopolizzare, che invece può essere percepita soltanto mante­nendo una semplicità di visione. Forse ci riesce oggi così difficile affrontare l'essenza dell'umanità, perché non siamo più capaci di semplicità.
La morale richiede quindi non lo specialista ma il testimone. Non ne con­segue, naturalmente, che l'opera scientifica riguardante i criteri della morale e la conoscenza specializzata in questo campo siano superflue. Poiché la co­scienza esige esercizio, poiché la tradizione deve essere vissuta e deve svilup­parsi in epoche di cambiamenti culturali, e poiché il comportamento morale è una risposta alla realtà e quindi richiede una conoscenza della realtà, per tutti questi motivi l'osservazione e lo studio del reale e delle tradizioni della morale sono anch'essi importanti.
In altre parole, cercare una conoscenza approfondita della realtà è un co­mandamento morale basilare.
Non senza ragione gli antichi ponevano la «prudenza» al primo posto tra le virtù cardinali, interpretandola come volontà e capacità di percepire la realtà e di rispondervi in maniera adeguata.

Il compito generale della Chiesa e di ogni credente quanto alle questioni morali potrebbe alla fine, tutto sommato, essere così brevemente caratteriz­zato: il credente non insegna ciò che ha scoperto da sé stesso, ma testimonia la vivente saggezza della fede, nella quale la saggezza primitiva dell'umanità viene purificata, mantenuta e approfondita.
Attraverso il rapporto con Dio, nella misura in cui la coscienza sia percettiva, quella sapienza umana primitiva diventa un veicolo concreto di comunicazione con la verità attraverso la comunione cui partecipa con la coscienza dei santi, e con la conoscenza di Gesù Cristo. Così il cristiano esprime e vive non una ideologia chiusa, e nep­pure una teoria limitata all'interno della Chiesa, ma riapre il messaggio del­l'essere e da così una risposta autentica alla questione decisiva dell'umanità di oggi e di ogni tempo: alla questione di come si può essere uomo, di come si può vivere una vita veramente umana.


Altri testi utilizzati per l’incontro

Sir 37, 7-15

7 Ogni consigliere suggerisce consigli,
ma c'è chi consiglia a proprio vantaggio.

8 Guàrdati da un consigliere,
infòrmati quali siano le sue necessità
- egli nel consigliare penserà al suo interesse
- perché non getti la sorte su di te

9 e dica: «La tua via è buona»,
poi si terrà in disparte per vedere quanto ti accadrà.

10 Non consigliarti con chi ti guarda di sbieco,
nascondi la tua intenzione a quanti ti invidiano.

11 Non consigliarti con una donna sulla sua rivale,
con un pauroso sulla guerra,
con un mercante sul commercio,
con un compratore sulla vendita,
con un invidioso sulla riconoscenza,
con uno spietato sulla bontà di cuore,
con un pigro su un'iniziativa qualsiasi,
con un mercenario annuale sul raccolto,
con uno schiavo pigro su un gran lavoro;
non dipendere da costoro per nessun consiglio.

12 Invece frequenta spesso un uomo pio,
che tu conosci come osservante dei comandamenti
e la cui anima è come la tua anima;
se tu inciampi, saprà compatirti.

13 Segui il consiglio del tuo cuore,
perché nessuno ti sarà più fedele di lui.

14 La coscienza di un uomo talvolta suole avvertire
meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare.

15 Al di sopra di tutto questo prega l'Altissimo
perché guidi la tua condotta secondo verità.

ALTRO MATERIALE DI BENEDETTO XVI LO TROVATE CLICCANDO QUI.....

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UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE

CELEBRARE IL CORPUS DOMINI

Primo incontro internazionale sull’adorazione eucaristica

 

Roma, martedì 21 giugno 2011

Quando mi è stato indicato il titolo di questo intervento, il mio ricordo è ritornato immediatamente a una celebre omelia, tenuta da Benedetto XVI, nel 2008, proprio in occasione della celebrazione della solennità del Corpus Domini a Roma.

Mi soffermerò a considerare tre grandi verità legate alla celebrazione del Corpus Domini, cercando al contempo di trarne alcune importanti conseguenze che coinvolgono soprattutto la nostra vita liturgica.

Stare davanti al Signore

Nella Chiesa antica lo “stare davanti al Signore” era espresso con il termine “statio”. Cerchiamo di capire qualche cosa di più del significato pregnante di questo termine.

Quando il cristianesimo si diffuse al di là dei confini del mondo giudaico, gli apostoli e i loro immediati successori ebbero una prioritaria preoccupazione: che in ogni città vi fosse un solo vescovo e un solo altare. Perché una tale preoccupazione? L’unicità del vescovo e dell’altare doveva dare espressione all’unità della Chiesa, al di là delle molteplici differenze, presenti in coloro che ne diventavano membri in virtù del Battesimo.

Nell’unità così espressa troviamo il senso più profondo dell’Eucaristia: ricevendo l’unico pane diventiamo un organismo vivente, l’unico corpo del Signore. Ecco perché l’apostolo Paolo poteva esclamare: “Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto in tutti” (Col 3, 11).

La partecipazione all’Eucaristia implicava, pertanto, che si ritrovassero insieme persone provenienti da condizioni molto diverse: l’uomo e la donna, il ricco e il povero, il nobile e lo schiavo, l’intellettuale e l’ignorante, l’asceta e il peccatore convertito da una vita dissoluta. L’accesso alla celebrazione eucaristica diventava, anche visibilmente, l’ingresso nell’unico corpo del Signore, la Chiesa.

Quando, più tardi, il numero dei cristiani iniziò a crescere non fu più possibile conservare questa forma esterna, espressiva dell’unità. A Roma vennero erette le chiese titolari; nel tempo sarebbero sorte le parrocchie. In un tale contesto rinnovato era necessario dare nuova forma espressiva all’unità visibile di un tempo. E questo avvenne con l’istituzione della “statio”. Il Papa, in qualità di vescovo di Roma, soprattutto durante il tempo quaresimale, celebrava il culto divino nelle diverse chiese titolari, dove si radunavano tutti i cristiani della città. Così, se pure in modo nuovo, si rinnovava l’esperienza di un tempo: tutti coloro che erano accomunati dalla stessa fede si ritrovavano insieme, nello stesso luogo, davanti al Signore.

Le festa del “Corpus Domini” recupera questo intendimento originario. Essa si propone, infatti, come “statio urbis”. Si “aprono le porte” delle chiese, delle parrocchie, dei gruppi nelle nostre diocesi e tutti si ritrovano insieme presso il Signore per essere una cosa sola a partire da Lui. Perché è proprio Lui, il Signore presente nella SS. Eucaristia, che ci fa un corpo solo e rende possibile che la molteplicità converga nell’unità della Chiesa.

Entrare nel noi della Chiesa

La celebrazione del “Corpus Domini”, allora, ci educa ogni volta a entrare nel “noi” della Chiesa che prega. Questo “noi” ci parla di una realtà, la Chiesa appunto, che va al di là dei singoli, delle comunità e dei gruppi. Questo “noi” ci ricorda che la Chiesa, anche quando si rende presente in una dimensione locale o particolare, è sempre universale: raggiunge tutti i tempi, tutti i luoghi e varca la soglia del tempo per lasciarsi raggiungere dall’eternità; custodisce e trasmette il mistero di Cristo, risposta ultima e definitiva alla domanda di senso presente nel cuore di ogni uomo.

Ne consegue che, celebrando il “Corpus Domini”, siamo richiamati ad alcune dimensioni tipiche e irrinunciabili della liturgia. Mi riferisco, anzitutto, alla dimensione della cattolicità, che è costitutiva della Chiesa fin dall’inizio. In quella cattolicità unità e varietà si compongono in armonia così da formare una realtà sostanzialmente unitaria, pur nella legittima diversità delle forme. E poi la dimensione della continuità storica, in virtù della quale l’auspicabile sviluppo appare quello di un organismo vivo che non rinnega il proprio passato, attraversando il presente e orientandosi al futuro. E, ancora, la dimensione della partecipazione alla liturgia del cielo, per il quale è quanto mai appropriato parlare della liturgia della Chiesa come dello spazio umano e spirituale nel quale il cielo si affaccia sulla terra. Si pensi, solo a titolo esemplificativo, al passaggio della Preghiera eucaristica I, nella quale chiediamo: “…fa’ che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull’altare del cielo…”.

E, infine, la dimensione della non arbitrarietà, che evita di consegnare alla soggettività del singolo o del gruppo ciò che invece appartiene a tutti come tesoro ricevuto, da custodire e trasmettere. La liturgia non è una sorta di intrattenimento, dove ciascuno può sentirsi in diritto di togliere e aggiungere secondo il proprio gusto e la propria più o meno felice capacità inventiva. La liturgia non è una festa nella quale si deve sempre trovare qualche cosa di nuovo per destare l’interesse dei partecipanti. La liturgia è la celebrazione del mistero di Cristo, consegnato alla Chiesa, nel quale siamo chiamati a entrare con sempre maggiore intensità, anche in virtù della provvidenziale ripetitività sempre nuova del rito.

Entrare nel “noi” della Chiesa a partire dall’Eucaristia significa anche lasciarsi trasformare nella logica di quella cattolicità che è carità, ovvero apertura del cuore, secondo la misura del Cuore di Cristo: abbraccia tutti, piega il proprio egoismo alle esigenze dell’amore vero, si dispone a dare la vita senza riserve. L’Eucaristia è la sorgente vera della carità della Chiesa e nel cuore di ognuno. Dall’Eucaristia prende forma quella quotidianità nella carità che è lo stile evangelico a cui siamo tutti chiamati.

Il canto e la lingua

Di recente il Santo Padre, nella Lettera scritta in occasione del 100° anniversario della fondazione del Pontificio Istituto di Musica Sacra, è ritornato sul tema dell’universalità del linguaggio, per ciò che attiene alla musica sacra.

La celebrazione del “Corpus Domini”, nel suo essere radice ed espressione di cattolicità, ci richiama alla universalità del canto proprio della liturgia e alla necessità di educarci ed educare in tal senso.

Così scrive Benedetto XVI: «A volte, infatti, tali elementi, che si ritrovano nella Sacrosanctum Concilium, quali, appunto, il valore del grande patrimonio ecclesiale della musica sacra o l’universalità che è caratteristica del canto gregoriano, sono stati ritenuti espressione di una concezione rispondente ad un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e della creatività del singolo e delle comunità. Ma dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività. La Liturgia, e di conseguenza la musica sacra, "vive di un corretto e costante rapporto tra sana traditio e legitima progressio", tenendo sempre ben presente che questi due concetti - che i Padri conciliari chiaramente sottolineavano - si integrano a vicenda».

L’universalità, che è tipica del canto gregoriano, è costantemente richiamata dal magistero della Chiesa, tra le note caratterizzanti l’espressione musicale che voglia a buon diritto dirsi sacra e liturgica. In questa universalità ci è dato di cogliere il rapporto vitale tra canto liturgico e mistero celebrato. Di quel mistero, che è universale perché destinato a tutti, il canto non può che essere fedele interprete ed esegesi. La musica o il canto che fossero solo espressione della soggettività, dell’emozione superficiale e passeggera, o della moda corrente sarebbero troppo poveri per avere cittadinanza nella liturgia. Nella liturgia, infatti, tutti devono rimanere in ascolto e farsi partecipi di un linguaggio universale e, di conseguenza, di una musica e un canto che aprano il cuore al mistero del Signore.

La musica e il canto, in liturgia, devono conservare un riferimento privilegiato alla Parola di Dio e a quella parola che la grande tradizione spirituale ci ha consegnato, come eco e interpretazione del mistero di Cristo. Solo così musica e canto rimangono fedeli alla loro nativa vocazione di essere vie di accesso all’avvenimento cristiano che salva la vita.

La celebrazione del “Corpus Domini”, la “statio urbis” segno dell’universalità della Chiesa raccolta attorno al mistero eucaristico, è richiamo anche a non dimenticare l’elemento di cattolicità che sempre deve farsi presente nella musica liturgica.

Camminare verso il Signore e con il Signore

Lo stare insieme davanti al Signore ha generato, fin da subito, il camminare verso il Signore e con il Signore.

Questo “camminare verso”, questo procedere diventato processione lo possiamo capire meglio se ritorniamo con la memoria all’esperienza fatta da Israele, al tempo della lunga peregrinazione attraverso il deserto. L’antico popolo di Dio ha potuto trovare una terra ed è riuscito a sopravvivere anche alla perdita della terra, perché non viveva di solo pane, ma si nutriva della parola del Signore. Quella parola era la forza che sosteneva il cammino arduo e faticoso, che rinfrancava nella desolazione e nella prova, che infondeva coraggio quando pareva venire meno ogni appiglio umano alla speranza.

L’esperienza dell’antico Israele è un segno e un riferimento permanente per la vita della Chiesa e di tutti noi. Se possiamo sostenere il peso del pellegrinaggio attraverso il tempo della storia e le sue contraddizioni, questo lo dobbiamo al fatto che camminiamo verso il Signore e che, nel cammino, Egli è con noi.

In tal modo celebrare il “Corpus Domini” significa camminare verso il Signore e con il Signore e, di conseguenza, celebrare il senso autentico della vita: questa non è un vagare senza meta nella solitudine di spazi sconfinati. La vita dell’uomo ha una direzione ben precisa. La direzione è Cristo, il Signore del tempo e della storia, il Salvatore di tutti; e mentre procediamo in quella direzione, Egli, che è la meta, è anche compagno di strada fedele, sostegno del nostro cammino. “Bone pastor, panis vere, / Iesu, nostri miserere: / tu nos pasce, nos tuere: /tu nos bona fac videre / in terra viventium”, canta la Sequenza della solennità liturgica (Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi).

Ciò che la comunità cristiana vive celebrando il “Corpus Domini” non lo vive solo per sé. Lo vive anche per tutti, per coloro che rimangono al di fuori della Chiesa, che la Chiesa l’hanno abbandonata o neppure l’hanno conosciuta. Il procedere pubblico dei cristiani per le vie della città dell’uomo verso il Signore e con il Signore è la testimonianza visibile di un modo nuovo di intendere la vita e la storia; un modo nuovo che ci è stato donato per grazia e che a tutti deve essere trasmesso. E’ il modo nuovo della speranza che scaturisce dalla fede in Gesù Cristo, il Dio incarnato, fattosi Eucaristia, che ci indica la strada da percorrere, accompagnando i passi del nostro andare.

L’orientamento a Cristo del cosmo e della storia

La celebrazione del “Corpus Domini” ci aiuta, pertanto, a ritrovare l’orientamento a Cristo di tutto, perché tutto è stato pensato e fatto “per mezzo di Lui e in vista di Lui” (Col 1, 16).

Le nostre personali conoscenze artistiche, insieme a recenti studi molto seri, ci ricordano che una delle caratteristiche tipiche della liturgia cristiana, fin dagli inizi, fu quella della celebrazione orientata.

Già nel termine “orientata” c’è tutto il significato del volgersi a oriente che caratterizzava la preghiera dei cristiani radunati per la celebrazione dei divini misteri. Le chiese erano rivolte a est, perché da lì sorge il sole, simbolo cosmico della venuta del Salvatore, richiamo quanto mai espressivo al vero Sole della vita, il Risorto. I cristiani, pregando, volgevano lo sguardo al sole nascente e, in tal modo, orientavano il cuore al Signore della storia, principio e fine della creazione.

Quando, nel corso del tempo, non fu più possibile, per diverse ragioni, continuare a costruire le chiese orientate a est, si supplì una tale impossibilità con il grande crocifisso dell’altare o l’abside riccamente decorata raffigurante l’immagine del Salvatore. Così, nonostante l’assenza del richiamo all’oriente mediante la struttura delle chiese, rimase ben chiaro l’orientamento della preghiera, a cui l’assemblea radunata era invitata durante la celebrazione liturgica.

Purtroppo, ai nostri tempi, corriamo il rischio di perdere l’orientamento della preghiera, con il conseguente rischio di perdere anche l’orientamento della vita e della storia. Il recupero della centralità della croce, così come il Santo Padre Benedetto XVI ci invita a fare con l’esempio della liturgia da lui presieduta, non è, dunque, un dettaglio marginale. Si tratta, in verità, di un elemento essenziale dell’atto liturgico, di un segno che riconduce lo sguardo degli occhi e del cuore al Signore, quale centro della nostra preghiera, che ripresenta davanti al cammino della nostra storia la meta vera verso la quale siamo incamminati.

Ecco il pensiero del Papa. “L’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo certamente non pregano l’uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non è possibile, verso un’immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della Passione (Gv 17, 1). Intanto si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione della mia opera [Introduzione allo spirito della liturgia, pp.70-80]: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo” (Teologia della liturgia, pp. 7-8).

La liturgia cristiana - ed è questa una delle sue verità fondamentali - esprime, nei segni che le sono propri, il legame inscindibile tra creazione e alleanza, ordine cosmico e ordine storico di rivelazione. Così deve essere sempre.

Ecco come si è espresso, in proposito, il Santo Padre nell’omelia della Veglia pasquale di quest’anno: «Ora, ci si può chiedere: ma è veramente importante nella Veglia Pasquale parlare anche della creazione? Non si potrebbe cominciare con gli avvenimenti in cui Dio chiama l’uomo, si forma un popolo e crea la sua storia con gli uomini sulla terra? La risposta deve essere: no. Omettere la creazione significherebbe fraintendere la stessa storia di Dio con gli uomini, sminuirla, non vedere più il suo vero ordine di grandezza. Il raggio della storia che Dio ha fondato giunge fino alle origini, fino alla creazione. La nostra professione di fede inizia con le parole: “Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra”. Se omettiamo questo primo articolo del Credo, l’intera storia della salvezza diventa troppo ristretta e troppo piccola».

Portando in sé tutta la novità della salvezza in Cristo, il rito della Chiesa conserva e raccoglie ogni espressione di quella liturgia cosmica che ha caratterizzato la vita dei popoli alla ricerca di Dio per il tramite della creazione. Nell’Eucaristia trovano approdo di salvezza tutte le espressioni cultuali antiche. E’ quanto mai significativa, anche da questo punto di vista, la Preghiera eucaristica I o Canone romano, là dove ci si riferisce ai “doni di Abele, il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedech, tuo sommo sacerdote”.

In questo passaggio dell’antica preghiera della Chiesa ritroviamo un riferimento ai sacrifici antichi, al culto cosmico e legato alla creazione che ora, nella liturgia cristiana, non solo non è rinnegato, ma anzi è assunto nel nuovo ed eterno sacrificio di Cristo Salvatore.

D’altra parte, in questa stessa prospettiva, non si può che guardare ai molteplici segni e simboli cosmici dei quali la liturgia della Chiesa, insieme ai segni e ai simboli tipici dell’alleanza, fa uso al fine di dare forma al nuovo culto cristiano. Si pensi alla luce e alla notte, al vento e al fuoco, all’acqua e alla terra, all’albero e ai frutti. Si tratta di quell’universo materiale nel quale l’uomo è chiamato a rilevare le tracce di Dio. E si pensi ugualmente ai segni e ai simboli della vita sociale: lavare e ungere, spezzare il pane e condividere il calice.

Tutto, dunque, nel rito liturgico, trova il suo orientamento autentico, la sua direzione giusta, la sua verità più intima.

Come è bello, pertanto, guardare al Signore e a quei segni visibili che rendono più facile il volgersi a lui dello sguardo del cuore! Non deve destare meraviglia il fatto che una croce possa togliere una qualche visibilità nel rapporto tra celebrante e assemblea. Non è quella visibilità che primariamente conta nella preghiera. Ci si dovrebbe piuttosto meravigliare dell’assenza di segni eloquenti che garantiscano e favoriscano un tale volgersi a Cristo. Considerando che solo nel rivolgersi a Cristo è dato di aprire gli occhi sulla strada che dobbiamo percorrere e sulla verità della sua destinazione.

Così deve essere per noi, ogniqualvolta partecipiamo alla celebrazione dei divini misteri. Orientati a Cristo nella preghiera, ritroviamo la direzione della nostra esistenza, diventiamo capaci di interpretare il cosmo e la storia nella luce del Risorto, rientriamo nella quotidianità pronti a testimoniare la nuova speranza che ci è stata donata. E la solennità del “Corpus Domini” ci aiuta a ricordare esattamente questo, riportandoci alla verità essenziale della liturgia cristiana e della vita.

Inginocchiarsi alla presenza del Signore

Dal momento che il Signore stesso è presente nell’Eucaristia, che l’Eucaristia è il Signore, questa ha sempre implicato anche l’adorazione.

Sappiamo che nella sua forma solenne essa si è sviluppata nel corso del Medio Evo. Tuttavia non si trattò di un cambiamento immotivato o di un decadimento. Emerse in modo più evidente, in quel periodo storico, una verità che già era presente fin dall’antichità cristiana. Ovvero, se il Signore si dona a noi nel suo Corpo e nel suo Sangue, accoglierlo non può che significare anche inginocchiarsi, adorarlo, glorificarlo.

Si pensi, nei racconti evangelici, al gesto di Stefano (At 7, 60), Pietro (At 9, 40) e Paolo (At 20, 36) che hanno pregato in ginocchio. E vale la pena ricordare l’inno cristologico della Lettera ai Filippesi (2, 6-11) che presenta la liturgia del cosmo come un inginocchiarsi di fronte al nome di Gesù (2, 10) e vede in ciò adempiuta la profezia di Isaia (Is 45, 23) circa la signoria sul mondo del Dio d’Israele. Piegando le ginocchia davanti al Signore, la Chiesa compie la verità, rendendo omaggio a Colui che è vincitore perché ha donato se stesso fino alla morte e alla morte di croce.

Se la celebrazione del “Corpus Domini” si realizza nello stare davanti al Signore e nel camminare verso di Lui alla sua presenza, questa stessa celebrazione trova espressione quanto mai ricca di significato anche nell’atto dell’adorazione.

In tal modo la Chiesa afferma la verità delle cose e, insieme, la sua suprema libertà. Solo chi piega le ginocchia e il cuore davanti a Dio può vantare la libertà vera, quella dalle potenze del mondo, dalle schiavitù antiche e nuove del secolo presente.

Rifiutare l’adorazione al Signore si rivolge contro l’uomo, che diviene capace di ogni degradante sottomissione. Dove scompare Dio l’uomo rimane irretito nella schiavitù delle idolatrie. Adorare Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, presente nell’Eucaristia, significa celebrare la vera libertà umana e, dunque, affermare la sua grande dignità. La dignità di figlio, figlio di un Dio che lo ha creato e che lo ha amato e lo ama fino al totale dono di sé.

D’altra parte l’atto dell’adorare comporta anche l’atto dell’aderire. La vera adorazione, infatti, è donare se stessi a Dio e agli uomini. L’adorazione autentica è l’amore, la conformità all’Amato, che ridona verità alla nostra vita e ricrea il nostro cuore. Non c’è vera adorazione senza generosa adesione. La Chiesa che piega le ginocchia davanti al suo Signore, piega anche il cuore alla sua volontà. E in lei tutti noi viviamo una tale esperienza spirituale: ci inginocchiamo con il corpo perché anche i nostri pensieri, sentimenti, affetti, comportamenti siano piegati al progetto di Dio. Così nell’atto dell’adorazione è presente già la figura del mondo nuovo, quello rinnovato dalla potenza dell’amore di Dio in Cristo, divenuto storia anche per il tramite della Chiesa, di tutti noi.

Il linguaggio dell’adorazione

La celebrazione del “Corpus Domini” ci introduce, pertanto, nel linguaggio orante dell’adorazione. La festa del Corpo e del Sangue del Signore ci aiuta a conservare con cura un tale linguaggio, nel contesto della celebrazione liturgica.

Mi piace, in questo contesto, ricordare un elemento fondamentale di questo linguaggio. Mi riferisco al silenzio sacro.

La liturgia, quando è ben celebrata, deve prevedere una felice alternanza di silenzio e parola, dove il silenzio anima la parola, permette alla voce di risuonare in sintonia con il cuore, mantiene ogni espressione vocale e gestuale nel giusto clima del raccoglimento.

Laddove vi fosse un predominio unilaterale della parola, non risuonerebbe l’autentico linguaggio della liturgia. Urge, pertanto, il coraggio di educare all’interiorizzazione, la disponibilità a imparare nuovamente l’arte del silenzio, di quel silenzio in cui apprendiamo l’unica Parola che può salvare dall’accumularsi delle parole vane e dei gesti vuoti e teatrali.

Il silenzio liturgico è sacro. Non è infatti una pausa tra un momento celebrativo e quello successivo. E’ piuttosto un vero momento rituale, in relazione di vitale reciprocità con la parola, la preghiera vocale, il canto, il gesto, attraverso il quale viviamo la celebrazione del mistero di Cristo.

I momenti di silenzio, che la liturgia prevede e che è necessario salvaguardare con attenzione, sono importanti in se stessi, ma aiutano anche a vivere l’intera celebrazione liturgica in un clima di raccoglimento e di preghiera, recuperando il silenzio quale elemento integrante dell’atto liturgico. Così è possibile approdare alla liturgia del silenzio, vera espressione di una preghiera adorante.

Da questo punto di vista, ci è dato di capire meglio il motivo per cui durante la preghiera eucaristica e, in specie, il canone, il popolo di Dio orante segue nel silenzio la preghiera del sacerdote celebrante. Quel silenzio non significa inoperosità o mancanza di partecipazione. Quel silenzio tende a far sì che tutti entrino nel significato di quel momento rituale che ripropone, nella realtà del sacramento, l’atto di amore con il quale Gesù si offre al Padre sulla croce per la salvezza del mondo. Quel silenzio, davvero sacro, è lo spazio liturgico nel quale dire sì, con tutta la forza del nostro essere, all’agire di Cristo, così che diventi anche il nostro agire nella quotidianità della vita.

Il silenzio liturgico, allora, è sacro perché è il luogo spirituale nel quale realizzare l’adesione di tutta la nostra vita alla vita del Signore, è lo spazio dell’“amen” prolungato del cuore che si arrende all’amore di Dio e lo abbraccia come nuovo criterio del proprio vivere. E’ proprio questo il significato stupendo dell’“amen” conclusivo della dossologia al termine della preghiera eucaristica, nella quale tutti diciamo con la voce quanto a lungo abbiamo ripetuto nel silenzio del cuore orante.

Il rapporto tra celebrazione e adorazione

La solennità del “Corpus Domini”, con la compresenza di celebrazione e adorazione, ha anche la capacità di farci vivere in sana armonia il rapporto vitale tra questi due momenti eucaristici. Nel contesto di un Convegno come questo vale forse la pena attardarsi ancora un momento sul valore dell’adorazione in rapporto alla celebrazione.

In verità, come sempre ci ricorda il magistero della Chiesa anche recente, l’atto dell’adorazione eucaristica segue la celebrazione, della quale è come un prolungamento. E, d’altra parte, l’adorazione ha la capacità di aiutare a conservare nel cuore il frutto della celebrazione, radicandolo nel cuore dell’orante.

Il mistero della salvezza, di Cristo morto e risorto per noi, che nella celebrazione eucaristica si rende sempre di nuovo attuale, nell’adorazione viene contemplato e, per così dire, assimilato, in modo che poco alla volta diventa sempre più vita della vita.

Da questo punto di vista, l’adorazione porta a compimento quanto è già  implicato nella celebrazione. In effetti, ciò che ancora risulta decisivo per la liturgia è che coloro che vi partecipano preghino per condividere lo stesso sacrificio del Signore, il suo atto di adorazione, diventando una solo cosa con Lui, vero corpo di Cristo che è la Chiesa. In altre parole, ciò che è essenziale è che alla fine venga superata la differenza tra l’agire di Cristo e il nostro agire, che vi sia una progressiva armonizzazione tra la sua vita e la nostra vita, tra il suo sacrificio adorante e il nostro, così che vi sia una sola azione, ad un tempo sua e nostra. Quanto affermato da san Paolo non può che essere l’indicazione di ciò che è necessario conseguire in virtù della celebrazione liturgica: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 19-20). E questo è ciò verso cui dirige la stessa adorazione eucaristica.

A ulteriore conferma di quanto affermato, ascoltiamo il Santo Padre in un passaggio dell’Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis: “Già Agostino aveva detto: «Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo». Nell’Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l’adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d’adorazione della Chiesa. Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste”. L’atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s’è fatto nella Celebrazione liturgica stessa. Infatti, «soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell’Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri»” (n. 66).

__________

Stare, camminare, adorare. E’ in questi tre verbi, e in ciò che essi significano, la verità della celebrazione del “Corpus Domini” alla quale dobbiamo sempre tornare. Ricordando che tornare a una tale verità comporta ogni volta la riscoperta stupita e gioiosa del cuore, del centro, del tesoro della Chiesa e della sua liturgia. Per questo nella sequenza della solennità cantiamo: “Sit laus plena, sit sonora, / sit iucunda, sit decora / mentis iubilatio” (Lode piena e risonante, gioia nobile e serena sgorghi oggi dallo spirito).

 

Mons. Guido Marini
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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24/08/2013 00:18
 
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[SM=g1740717] Un gruppo di suore carmelitane, che stava viaggiando verso la Terra Santa, fece una tappa a Beirut, nel Libano.
Attravers...ando la città, passarono davanti ad un grande edificio che sembrò loro una chiesa cristiana, e vi entrarono.
Si trovarono in una moschea musulmana, in mezzo ad una folla in preghiera. L’intrusione delle suore provocò una certa agitazione tra i musulmani, ma il loro “ulema” li assicurò:
“State tranquilli, queste donne sono speciali: sono sante e vestono come Miriam, la madre di Gesù di Nazaret”.
Si rivolse quindi alle suore e continuò:
“In vostro onore mi permetto di leggere dal Corano alcuni brani, dove si parla di Miriam,esaltata e lodata come la santa madre di Gesù”.
Così le suore ascoltarono in silenzio le belle parole che il Corano dice di Maria.
Tutti i presenti seguirono la lettura con grande attenzione e devozione. Al termine, l’ulema aggiunse:
“Le nostre care visitatrici hanno sentito cosa dice il nostro libro santo. Ora vi prego – disse rivolto alle suore – diteci come voi venerate Miriam”.
Tra i fedeli musulmani si destò una grande curiosità. Le carmelitane intonarono l’Ave Maria per suggellare quell’incontro inaspettato.
Un profumo soave e delicato avvolse tutti i fedeli della moschea e una luce azzurrina, simile ad un impalpabile manto fatto d’aria, scese dall’alto della cupola.
Ancora oggi tutti si chiedono come ciò sia potuto capitare.

Signore, gonfia le vele della mia fede
sciogli la mia lingua, illumina il mio spirito.
perché io riveli a tutti chi sei Tu.



[SM=g1740738]


 

San Filippo Neri pregò per 40 ore ininterrotte… e il papa Paolo IV morì!

collage

L’amico Alessio Cervelli ha inviato alla “Strega” la vera storia delle quaranta ore di adorazione eucaristica ininterrotta per il transito del pontefice Paolo IV da parte di San Filippo Neri. Per alcuni è solo una leggenda metropolitana, eppure questo “fioretto” insegna come il cristiano deve amare il Papa: nell’obbedienza fedele, ma senza idolatrare la sua persona privata, evitando il vile servilismo di facciata.

di Alessio Cervelli

Tempo fa con alcuni allievi adolescenti di musica sacra (e dottrina cattolica) guardavamo lo splendido film “State buoni se potete!” su San Filippo Neri, con un magnifico Johnny Dorelli nelle vesti del frizzante presbitero fiorentino trapiantato nella Roma del 1500. Ad un certo punto, uno dei bambini va a far visita a Mastro Iacono, il fabbro calderaio che ha la bottega di fronte alla chiesa oratoriale di don Filippo. Il piccolo dice al calderaio (che poi altri non è che un anticristo, servo di Satana) che il sacerdote e gli altri ragazzi stanno celebrando le “Quarantore” per il Papa. Mastro Iacono a questo punto esclama: “Come? Pregano quarantore di fila per Paolo IV?”. “Sì”, risponde il fanciullo, “anche se don Filippo ha detto che non basteranno nemmeno”. Al ché, uno di questi miei virgulti ha commentato: “Io la sapevo questa cosa delle quarantore di San Filippo Neri: le fece per far morire il papa che stava sulle scatole a tanti!”. I fanciulli sono meravigliosi, se saputi prendere per il verso giusto!

Dunque, è vero? Filippo Neri, uno dei santi più straordinari delle terre di Toscana celebrò le quarantore per domandare la morte di Paolo IV? Oppure si tratta di una leggenda metropolitana?

La questione merita che ci sia speso un po’ di tempo sopra; casomai a qualcuno venisse in mente di celebrare le quarantore per domandare la morte di un papa, sarà pur doveroso che sappia se è cosa buona e giusta o no, non vi pare?

Come si può leggere dal “Dizionario pratico di Liturgia Romana” (ed. Studium): “Le Quarantore sono una della forme di esposizione eucaristica, come ve ne erano tante e varie dal tardo Medioevo in poi. Si può dire che esse furono la forma tipica che l’adorazione solenne del Sacramento prese in Italia verso il principio del sec. XVI. Esse si richiamano in particolare alle 40 ore che Nostro Signore passò nel sepolcro, e forse traggono la loro origine nell’adorazione che si faceva tra il Giovedì santo e il Venerdì Santo davanti alla reposizione del Sacramento, che appunto veniva erroneamente chiamata Sepolcro. Si cominciò a praticarle a Milano nel 1527, come pio esercizio per scongiurare le calamità belliche del momento, dietro la spinta di Gian Antonio Bellotti, che ottenne che venissero praticate quattro volte in un anno. In tale occasione però il SS. Sacramento non veniva esposto, poiché l’adorazione avveniva davanti al tabernacolo chiuso. È controverso chi abbia per primo incominciato ad esporre per l’occasione il Sacramento, tra speciale rilievo di luci e di addobbi. Sembra che la cosa sia ad ogni modo cominciata a Milano, o nel 1534 per opera di P. Bono da Cremona, barnabita, o nel 1537 per opera del cappuccino P. Giuseppe da Fermo, al quale ad ogni modo va soprattutto il merito, oltre che di aver diffuso la pratica in altre importanti città italiane, di aver disposto che l’esposizione e l’adorazione del Sacramento passasse da una chiesa all’altra nella stessa città, in modo da creare un ciclo completo di adorazione durante tutto un anno (Adorazione perpetua). A questa pratica furono assegnate le prime indulgenze da Papa Paolo III, ed essa ricevette la prima organizzazione stabile per Milano da S. Carlo Borromeo, nel I Conc. Provinciale del 1565. A Roma ebbe un grande fautore in S. Filippo Neri, che la prese come una delle principali pratiche di devozione per la sua Confraternita, e la solenne festa esteriore con cui accompagnava la pratica contribuì a fare di lui il padre degli oratori musicali, che tanto decoro artistico diedero alla musica del tempo”.

Ora, la cosa davvero singolare è che proprio a papa Paolo IV si deve l’approvazione delle Quarant’ore su suggerimento di San Filippo Neri. Proprio al frizzante Santo Fiorentino si deve l’introduzione delle Quarantore a Roma, nel 1548, nella chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini e dei Convalescenti, il noto cenacolo dei suoi congregati, tra cui moltissimi giovani, adolescenti e bambini orfani. Fu per approvazione di Paolo IV che il 5 novembre 1560 la pratica delle Quarantore ebbe il placet papale, dopo essere stata promossa anche in San Lorenzo in Damaso (1551), sede della “Compagnia della Morte”, che aggiunse al suo titolo l’espressione “…e dell’Orazione”, assumendosi l’impegno di ripetere le quarantore ogni terza domenica del mese.

È cosa risaputa che San Filippo Neri sia stato perseguitato dal Cardinale Vicario Virgilio Rosario, il quale fino al momento della propria morte non fece che calunniare il fiorentino. Morto il Rosario il 22 maggio 1559, san Filippo visse una vera e propria riabilitazione nel mondo ecclesiastico proprio per le attenzioni del Papa Paolo IV.

Fu una delle poche cose veramente buone (nel senso di amore umano e vivo senso di carità) fatte da questo pontefice. Era un pontefice terribile, non in senso dottrinario, perché, anzi, alla retta dottrina e ad una morale ferrea ci teneva assai: semplicemente, per carattere, per inclinazione, per intransigenza ideologica fu un tremendo moralizzatore, severissimo e che, in poche parole, non era capace di coniugare l’amore per la verità alla mitezza della carità. Basti pensare che dopo la sua morte, presso il popolo romano si diffuse in brevissimo tempo questa pasquinata:

Carafa in odio al diavolo e al cielo è qui sepolto
col putrido cadavere; lo spirto Erebo ha accolto.
Odiò la pace in terra, la prece ci contese,
ruinò la chiesa e il popolo, uomini e cielo offese;
infido amico, supplice ver l’oste a lui nefasta.
Di più vuoi tu saperne? Fu papa e tanto basta.

San Filippo Neri aveva un gran rispetto per il papa in generale, e indubbiamente un senso di gratitudine in particolare per Paolo IV, che lo aveva riabilitato in seno al clero romano. Pur tuttavia, conoscendolo, possiamo ben immaginare come egli non fosse affatto sordo alla sofferenza del popolo cristiano di Roma. Uno degli insegnamenti preferiti di don Filippo circa la carità verso i nemici era: “Se c’è un nemico, oppure qualcuno che con la sua condotta è pericoloso assai, tu non odiarlo mai, anzi amalo di vero cuore, e prega per lui perché il Signore lo faccia entrare in Paradiso: così avrai risolto il problema di chi soffre ed avrai ottenuto il più grande dei beni per l’anima di costui”.

Al di là di ogni ragionevole dubbio, fu sicuramente con un’intenzione del genere che don Filippo indisse le quarantore di preghiera per Paolo IV, già piuttosto indebolito nelle sue condizioni di salute (ed è convinzione di molti che il papa rendesse l’anima a Dio proprio al termine di questo ciclo di quarantore).

Dunque Filippo Neri avrebbe fatto le Quarantore per far morire un papa che gli stava sulle scatole? No, affatto!

Ha invece sicuramente celebrato le quarantore per un papa che ne aveva bisogno, perché era prossimo al tramonto della sua vita, e per il quale, allora, in considerazione della condotta assai pesante di quest’ultimo, è assai probabile che con quelle quarant’ore il santo presbitero abbia chiesto al buon Dio di prendersi Paolo IV e di concedere misericordia e la salvezza eterna a quel papa che, nonostante tutto, aveva rivolto uno sguardo benevolo su Don Filippo, risollevandolo dai patimenti di un’aspra, ecclesiastica persecuzione.

Sicuramente, come recita il Canone Romano, soltanto il Signore conosce la vera fede e la devozione delle sue creature umane: lasciamo dunque a Lui ogni giudizio su quest’anima che ha dovuto sopportare l’onere e le spine del pontificato. Per quanto riguarda il prendersi il Papa e toglierlo da questa terra, tutto fa pensare che il buon Dio abbia ascoltato il suo pazzerello, gioviale e vivace figlio fiorentino.

Se qualcuno in questo momento si stesse sfregando le mani, punto dalla vaghezza di fare altrettanto per un prete, un vescovo… o un papa che gli piace poco, allora sappia che sicuramente la sua preghiera non andrà a buon fine, come ebbi a spiegare ai miei allievi: conditio sine qua non “tu non odiarlo mai, anzi amalo di vero cuore” e, si sa, la carità sincera e convinta verso un nemico risulta sempre particolarmente difficile.

Anche perché, nel caso che qualcuno venga esaudito, ce lo comunichi subito: sicuramente, dopo il trapasso, potremmo senza dubbio segnalarne il nome per la causa di beatificazione, dato che è stato capace di un tale amore per i nemici da rasentare le virtù eroiche!

[SM=g1740733]




[Modificato da Caterina63 25/08/2013 23:50]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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"Veniamo da anni di retorica sul Battesimo, dimenticando il cuore del Battesimo" - Editoriale di "Radicati nella fede" del mese di ottobre

 


Prendiamo dal blog "Radicati nella fede" e pubblichiamo 
l'editoriale del mese di ottobre 2013.



La retorica sul Battesimo  
ne ha dimenticato il cuore.
 
 Veniamo da anni di retorica sul Battesimo, dimenticando il cuore del Battesimo.
 
  Mai come in questi anni di Post-Concilio si è parlato tanto del Battesimo, del fatto che tutto nasce dal Battesimo, che il cristiano è generato dal Battesimo, che dal Battesimo nasce la vocazione del cristiano a vivere nella Chiesa e nel mondo il suo ruolo laicale... si sono spesi fiumi di inchiostro e conferenze su conferenze, corsi di catechesi e di aggiornamento del clero per ridare valore al Battesimo, da cui i laici ricevono il pieno mandato ad essere protagonisti, in una Chiesa sempre meno incentrata sul prete. Si sono inventate anche esperienze ecclesiali per appropriarsi “esperienzialmente” della propria vocazione battesimale, troppo spesso dimenticata in un angolo oscuro dell'inizio della propria vita.
 
E quanti sinodi diocesani sul ruolo dei battezzati, dei laici come si ama dire oggi, e quante riforme in nome del riscoperto compito dei fedeli nella Chiesa, Popolo di Dio. Quante revisioni dei vecchi catechismi e della pastorale considerata troppo clericale.
 
Tutto potrebbe andare bene se non si dimenticasse l'essenziale, perché quando si dimentica l'essenziale si dimentica tutto!
 
  E qual è l'essenziale?
 
  L'essenziale è che il Battesimo è necessario alla salvezza.
 
  Attenti, leggete bene: è necessario! Non basta dire “il Battesimo dà la salvezza”, occorre dire “è necessario alla salvezza”. L'operazione che è stata fatta in questi ultimi decenni nella mente e nella coscienza dei fedeli cattolici è proprio questa: non ribadire più la necessità del Battesimo, portando a credere di fatto che tutti si possano salvare anche senza il Battesimo; quasi che il Battesimo sia un “optional” che migliora, anche di molto, la vita spirituale di chi lo riceve, ma che in fondo non sia del tutto necessario.
 
  Invece la Chiesa Cattolica ha sempre affermato la necessità del Battesimo per salvarsi; lo ha fatto obbedendo al suo Signore: “Andate in tutto il mondo, predicate il vangelo ad ogni creatura, chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,15-16).
 
  E la Chiesa ha ribadito più volte questa obbedienza a Dio scomunicando chi osava dire il contrario, come al Concilio di Trento: “Si quis dixerit Baptismum liberum esse, hoc est, non necessarium ad salutem, anathema sit” (Se qualcuno dirà che il Battesimo è libero, cioè non necessario alla salvezza, sia scomunicato).
 
 Se più semplicemente andiamo a prendere il buon catechismo di San Pio X troveremo queste domande e risposte: - Quali sono i sacramenti più necessari per salvarsi? I sacramenti più necessari per salvarsi sono i sacramenti dei morti, cioè il Battesimo e la Confessione, perché danno la prima grazia o la vita spirituale. - Il Battesimo e la Confessione sono ugualmente necessari? Il Battesimo e la Confessione non sono ugualmente necessari, perché il Battesimo è necessario a tutti, nascendo tutti col peccato originale; la Confessione, invece, è necessaria a quelli che, dopo il Battesimo, hanno perduto la grazia peccando mortalmente.
 
  Più chiaro di così!
 
  Ma è ancora così chiara tra noi la dottrina cattolica, dopo anni di “riformulazioni” per parlare al “cuore dell'uomo di oggi”?
  Non è che, strada facendo, volendo spiegare con un linguaggio fresco e moderno il Battesimo e il Cristianesimo al nostro tempo, abbiamo perso tragicamente l'essenziale?
 
  Il Battesimo dà la salvezza ed è necessario per tutti, questo è l'essenziale! Cristo ci ha salvato sulla Croce ed il suo Sangue che salva ci raggiunge attraverso i sacramenti, primo e necessario fra tutti il Santo Battesimo. Questo è il cuore dell'opera della Chiesa nel mondo: predicare Cristo crocifisso e battezzare, perché gli uomini, i singoli uomini, si salvino.
 
  C'è proprio da domandarsi se per i cristiani moderni sia ancora così.
  Un tempo lo era e lo si vedeva dalla pratica del Battesimo dei bambini. Il bambino veniva battezzato il giorno stesso della nascita, massimo il giorno dopo, fino a tutto l'800. Fino agli anni '60 del novecento li si battezzò nei primi otto giorni. Oggi il Battesimo viene, nel migliore dei casi, dilazionato per mesi, magari perché la festa in parrocchia venga meglio! È chiaro che non si pensa più che il Battesimo sia proprio indispensabile, altrimenti non si lascerebbe così tanto tempo dei fanciulli nel peccato e lontano da Dio.
 
  Antonio Rosmini, che molti oggi “tirano di qua e di là” per farlo diventare a tutti i costi anticipatore del Concilio e sopratutto del Post-Concilio, così disastroso nei suoi esiti, ha accenti molto severi contro chi dimentica la necessità del Battesimo. Rosmini, affermando che la Chiesa “riconosce la necessità del Battesimo dei bambini, acciocché evitino la condannazione del peccato e la morte eterna”, citando S. Agostino aggiunge, contro quei teologi che questa necessità non riconoscono, “...perché togliere la necessità del Battesimo? Perché adulare in tal modo l'umana natura? Perché ingiuriare alla redenzione, ed alla grazia di Gesù Cristo (…)?” ( A.Rosmini, Il razionalismo teologico, Città Nuova 1992, pag. 139).
 
  La faciloneria con cui oggi fedeli e clero affermano che ci si può salvare senza Battesimo, é una vera “adulazione dell'umana natura” che insulta la redenzione di Cristo.
 
  Da questo tragico pasticcio ha avuto origine una vera e propria rivoluzione nella Chiesa che ha portato a perdere l'essenziale. Se il Battesimo diventa un nobile “optional” per alcuni, se diventa solo un segno di riconoscimento per i cristiani, ma non urgente per tutti, allora la Chiesa e la sua pastorale si trasformerà in qualcosa di semplicemente umano, senza la grazia che salva: una società umana, troppo umana, senza Dio, inutile e triste. Così, la parabola del rincorrere la modernità finisce per distruggere dall'interno la Chiesa.
 
  Ripartiamo carissimi, anche noi, dal Battesimo sì, ma dal suo cuore.


[SM=g1740733]

[SM=g1740758] LA PERSEVERANZA.....

perseveranza

pensieri in libertà.....
Ho appena finito, oggi, di rileggere il meraviglioso passo di Sant'Agostino, quello sulla riva del mare:

un giorno passeggiava per una spiaggia quando incontrò un bambino-angelo che con un secchiello prendeva dell'acqu...a di mare e la versava in una piccola cavità nella sabbia. Alla domanda del Santo su che cosa stesse facendo, il bambino avrebbe risposto che voleva porre tutto il mare dentro quel buco. Quando il Santo gli fece notare che ciò era impossibile, il bambino gli replica che così come non era possibile versare tutto il mare dentro la buca allo stesso modo era impossibile che i misteri di Dio e della SS. Trinità entrassero nella sua piccola testa di uomo.

***
Stasera mi vedo un po' di D-Max per distrarmi- staccare la presa, come si suol dire.... e incappo in eccezionale sforzo umano: un uomo riesce a bucare il vetro con uno spillo, il quale passa dall'altra parte del vetro e buca un palloncino.... l'effetto straordinario è garantito.... ma ciò che mi ha colpito è la frase che l'uomo ha detto: "MI CI SONO VOLUTI 15 ANNI DI ESERCIZI E DI COMPORTAMENTO PER GIUNGERE AL RISULTATO CHE VOLEVO....."
***
[SM=g1740733]
Sant'Agostino con le sue Confessioni ci ha rivelato che il metodo non è cambiato: anni di esercizi e spirito di volontà fanno diventare santa una persona così come questo uomo è riuscito nel suo intento: bucare il vetro con uno spillo.....
Abbiamo forse dimenticato quando gli apostoli dissero al Signore: «Aumentaci la fede». ed Egli rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo sicomoro: "Sradicati e trapiantati nel mare", e vi ubbidirebbe (Luca 17,5-6) [SM=g1740733]

e lo stesso San Paolo ci rammenta LO SPORT come esempio:
"Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato" (1Cor. 9,24-27)

Certo, quello che ci chiede Gesù non è di bucare un vetro con uno spillo e vincere la medaglia d'oro o fermarsi alla SODDISFAZIONE PERSONALE..... eppure mi chiedo: come è possibile che IL PREMIO che Gesù ci offre non è, per molti, più allettante del bucare un vetro con uno spillo? [SM=g1740733]

Ecco perché Gesù ci chiede di PERSEVERARE in quella fede, anche se poca, per riuscire a raggiungere la meta che non consisterà in un premio che rimarrà sulla terra, ma che durerà per l'eternità....
che ci trasformerà, come LUI.....
Facciamo allora come gli atleti, PERSEVERIAMO negli esercizi che sono i Sacramenti, la Preghiera, la Carità..... che possiamo dire anche noi: "MI CI SONO VOLUTI 15, 20, 30 60 ANNI.... MA ALLA FINE CE L'HO FATTA"

e poter dire con san Paolo:
"Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione ...." (2Tim.4,6-8)

[SM=g1740738]

[Modificato da Caterina63 09/10/2013 23:54]
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MEDITAZIONI 
  
 

28 

Erravi sicut ovis quæ periit, quære servum tuum. 
Signore, io sono la pecorella, che per andare appresso ai miei piaceri e capricci, miseramente mi son perduta; ma Voi, o Pastore insieme ed Agnello divino, siete quello che siete venuto dal cielo a salvarmi, con sacrificarvi qual vittima sulla croce in soddisfazione dei miei peccati. 

Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccatum. 
Se dunque io voglio emendarmi, di che debbo temere? perché non debbo tutto confidare in Voi, mio Salvatore, che siete nato apposta per salvarmi? 

Ecce Deus Salvator meus, fiducialiter agam, et non timebo. 
Qual segno maggiore potevate darmi di misericordia, o mio dolce Redentore,… che darmi Voi stesso!  
Caro Bambino, quanto mi dispiace di avervi offeso!…   Ma se Voi siete venuto a cercarmi, io mi butto ai piedi vostri; e benché vi veda afflitto ed avvilito in questa mangiatoia, steso sulla paglia, io vi riconosco per mio sommo Re e Sovrano. Sento già che quei vostri dolci vagiti m'invitano ad amarvi e mi domandano il cuore. Eccolo, Gesú mio, ai piedi vostri oggi lo presento; mutatelo ed infiammatelo Voi, che siete a questo fine venuto al mondo, per infiammare i cuori del vostro santo amore. 

Sento già che da questa mangiatoia Voi mi dite: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo.  
Ed io rispondo: Ah Gesú mio, se non amo Voi che siete il mio Signore e Dio, chi voglio amare? Voi vi chiamate mio, perché siete nato per darvi tutto a me; ed io ricuserò di esser vostro? No, amato mio Signore, io tutto a Voi mi dono e vi amo con tutto il cuore.…  Deh accettatemi in questo giorno, e non permettete che io abbia mai piú a lasciare di amarvi.  
Regina mia Maria, vi prego per quella consolazione che aveste la prima volta che miraste nato il vostro Figlio, e gli deste i primi abbracci, pregatelo che mi accetti per suo e m'incateni per sempre col dono del suo santo amore.  
  
  

35

Oh vi avessi sempre invocato, o Gesú mio, ché non sarei stato mai vinto dal demonio! Io ho perduto miseramente la vostra grazia, perché nelle tentazioni ho trascurato di chiamarvi in aiuto.  
Or io spero tutto nel vostro santo nome: Omnia possum in eo qui me confortat 
Scrivete dunque, o mio Salvatore, scrivete sul mio povero cuore il vostro potentissimo nome di Gesú, acciocché io avendolo sempre nel mio cuore con amarvi, lo abbia poi sempre nella bocca con invocarlo in tutte le tentazioni che mi apparecchia l'inferno, per tornare a vedermi suo schiavo e separato da Voi.  
Nel vostro nome io troverò ogni bene: se sarò afflitto, esso mi consolerà, pensando quanto Voi piú di me siete stato afflitto per amor mio; se mi vedrò sconfidato per i miei peccati, esso mi darà coraggio, ricordandomi che Voi perciò siete venuto al mondo per salvare i peccatori; se sarò tentato, il vostro nome mi darà fortezza, ricordandomi che Voi potete piú aiutarmi che non può abbattermi l'inferno; se finalmente mi troverò freddo nel vostro amore, esso mi darà fervore, ricordandomi l'amore che Voi mi avete portato.  

Vi amo Gesú mio. Voi siete, e spero che sempre avete da essere l'unico amore mio. A Voi dono tutto il mio cuore, o mio Gesú; solo Voi voglio amare; e voglio invocarvi quanto piú spesso potrò. Voglio morire col vostro nome in bocca, nome di speranza, nome di salute, nome di amore.  
O Maria, se mi amate, questa è la grazia che avete da impetrarmi: fatemi sempre invocare il nome vostro e del vostro Figlio; fate che i vostri dolcissimi nomi siano il respiro dell'anima mia, e che io sempre replichi in vita, per replicarlo nell'ultimo fiato che avrò in morte:  
Gesú e Maria, aiutatemi;  
Gesú e Maria, io vi amo;  
Gesú e Maria, a voi raccomando l'anima mia.  
 

[SANT'ALFONSO M. DE LIGUORI, Natale, Meditazioni, Letture, Poesie, Ed. Paoline, Roma, 1965]




 



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06/12/2013 13:25
 
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  La prova finale

Ecco il cuore della “prova finale”: la profanazione della fede. Che tra l’altro è ben evidente – osserva Papa Francesco – da ciò che patisce il profeta Daniele, nel racconto della prima lettura: gettato nella fossa dei leoni per aver adorato Dio invece che il re. 
“La desolazione della abominazione” – ribadisce il Papa – ha un nome preciso, “il divieto di adorazione”:
“Non si può parlare di religione, è una cosa privata, no? Di questo pubblicamente non si parla. I segni religiosi sono tolti. Si deve obbedire agli ordini che vengono dai poteri mondani. Si possono fare tante cose, cose belle, ma non adorare Dio. Divieto di adorazione. Questo è il centro di questa fine.”
(Papa Francesco, Omelia S.Marta 28/11/2013)

Lo presero ad un controllo. “E questo cos’è?” Chiesero.
“Un Vangelo”, rispose lui.
Lo bruciarono davanti ai suoi occhi. Lui comprese: non cercavano prove.
“Cosa te ne pare adesso, del tuo prezioso libro ridotto in cenere?”
Lui fece spallucce. “E’ solo un libro. Io non adoro parole. Sono utili per capire, ma non adoro né loro né la carta sulle quali sono scritte”
Sembrarono in qualche modo delusi. Lo frugarono e trovarono la catenella con la piccola croce.
“E questa? Lo sai che è vietato mostrare simboli religiosi”
“E’ solo un piccolo gioiello, un regalo.”
“Sai che male può fare una cosa come questa, se viene vista?”
Glielo mostrarono.
“E’ un’offesa a noi tutti, questo tuo segno.”
Quando se ne furono liberati (non mostrando in fondo grande fantasia) lo apostrofarono ancora.
“Ti abbiamo tolto le tue parole e tuoi segni. Non hai più un Dio da adorare, adesso.”
Sorrise, anche se gli faceva male. “Dio è sempre nel mio cuore”
Sorrisero anche loro. “Anche a questo possiamo provvedere.”

“Non abbiamo paura, soltanto Lui ci chiede fedeltà e pazienza. Fedeltà come Daniele, che è stato fedele al suo Dio e ha adorato Dio fino alla fine. E pazienza, perché i capelli della nostra testa non cadranno. Così ha promesso il Signore. Questa settimana ci farà bene pensare a questa apostasia generale, che si chiama divieto di adorazione e domandarci: ‘Io adoro il Signore? Io adoro Gesù Cristo, il Signore? O un po’ metà e metà, faccio il gioco del principe di questo mondo?’. Adorare fino alla fine, con fiducia e fedeltà: questa è la grazia che dobbiamo chiedere questa settimana”.

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Capitolo II: VISIONI SUI MISTERI E IL CONCEPIMENTO DI MARIA SANTISSIMA

 dalle Visioni della Beata Emmerich

 16 Visioni intorno alla festa della Concezione di Maria Santissima

        Narrazione dell'8 dicembre 1819.

        Dopo aver trascorso tutta la notte assorta nella triste contemplazione dei peccati e delle colpe degli uomini, allo spuntar dell'alba mi addormentai e vidi Gerusalemme, mi vidi vicina al tempio, poi mi recai nei dintorni di Nazareth dove c'era la casa di Anna e di Gioacchino. Riconobbi quei posti per averli contemplati altre volte. Improvvisamente, nella visione, vidi sorgere dal terreno una debole colonna di luce che, come uno stelo, portava alla sommità un fiore simile ad un calice. Esso portava alla cima una chiesa ottangolare piena di luce: era la Chiesa celeste. La colonna luminosa assumeva la forma di un alberello all'interno della chiesa, sui cui rami stavano le figure dei componenti la famiglia della Beata Vergine Maria. La Santa Madre Anna stava tra San Giacomo e un altro uomo, forse suo padre. Sotto il petto della Santa vidi uno spazio luminoso a forma di calice in cui appariva in embrione la figura di una fanciulla vestita di luce, la quale diveniva sempre più grande invadendo lo spazio luminoso. Teneva le mani incrociate sul petto e la piccola testa, pure inclinata sul petto, mandava un'infinità di raggi lucenti verso una determinata direzione del globo. Mi sorprese di vedere che i raggi erano diretti in una sola e precisa direzione. Sopra gli altri rami dell'albero vidi diverse figure in adorazione, mentre intorno alla Chiesa c'erano Cori innumerevoli di Santi che pregavano e veneravano la Santa Madre della Madonna. La dolce armonia e la concordia soave, che prendeva sempre più posto in quel rito, non può essere descritta con le parole umane perché appartiene al mondo celeste. A queste visioni mi sovviene però l'immagine di un soave campo di fiori, i quali emanano il loro profumo nell'aria e mostrano i variopinti colori al sole da cui hanno ricevuto la vita. Questo era il simbolo della festa della venerazione dell'Immacolata Concezione. Alla cima dell'alberello si riprodussero nuovi rami dove vidi Maria e Giuseppe inginocchiati e, sotto di essi, la Santa Madre Anna in preghiera: essi adoravano solennemente il bambino Gesù che sedeva alla cima suprema dell'albero circondato da uno splendore abbagliante mentre manteneva il globo del mondo. Vidi inoltre, genuflessi a terra, assorti in profonda orazione, i Re Magi, gli Apostoli, i pastori e i discepoli, e, ad una certa distanza da tutti, i Cori dei Santi. Più in alto ancora scorsi delle forme indefinite di altre potenze e dignità Celesti illuminate da un fascio di luce vivissima. Ancora più sopra, come attraverso la cupola di una chiesa, provenivano i raggi di un mezzo sole. Ebbi la sensazione spirituale che quest'immagine annunciasse la prossima festa della Nascita di Cristo dopo quella della Concezione. Dapprima contemplai la visione sentendomi fuori della chiesa celeste ma poco dopo mi sentii all'interno, vicino alla colonna di luce. A questo punto mi fu svelato nei particolari il mistero della Concezione senza il peccato originale, allora vidi la nascitura che, da sotto il cuore luminoso della Santa Madre Anna, inviava i raggi dorati dell'amore più sublime in direzione di una chiesa in cui si onorava questa nascita divina. Il sacro luogo poi andò distrutto a causa di indecenti controversie sul santissimo mistero; la Chiesa celeste però continua a festeggiarne la ricorrenza nello stesso posto.

 

17 La Santa Vergine parla dei misteri del Concepimento

        Così narrò in stato estatico Suor Emmerick, il 16 dicembre 1822, interrompendo le visioni sulla vita di Gesù.

        Spesso odo la Santa Vergine partecipare alle sue devote, Giovanna Chusa, Susanna di Gerusalemme e altre, i misteri della sua vita e quelli del suo Signore. La Madonna aveva appreso questi misteri per rivelazione interiore al tempio, e in parte anche dalla sua Santa Madre Anna. Un'altra volta Maria raccontò a Susanna e a Marta che quando portava Nostro Signore sotto il proprio cuore non ebbe a risentire il minimo dolore ma la gioia più grande. Anch'Ella fu concepita sotto il cuore di sua madre per intervento dello Spirito Divino nel momento solenne in cui Gioacchino ed Anna si erano ritrovati sotto la "porta d'oro" del tempio. Maria Santissima disse che altrettanto pura come la sua sarebbe stata la concezione di tutti gli altri uomini se non ci fosse stato il peccato originale. Poi parlò della sua amata sorella maggiore, Maria Heli, la quale non era il vero frutto promesso. Allora i genitori, divenuti coscienti della propria impurità, decisero di ritirarsi nell'astinenza più completa e nelle preghiere. Mi fece piacere sentire proprio dalla Santa Vergine quelle stesse cose che avevo precedentemente udito da altre persone e visto in altre occasioni. Rividi quei due sposi eletti circondati da una schiera di Angeli fiammanti. Credo che sotto la "porta d'oro" si eseguissero pure gli esami e le cerimonie di purificazione e di assoluzione delle donne incolpate di adulterio e altre cerimonie di riconciliazione. Sotto il tempio si contavano cinque sotterranei simili, uno dei quali era sito sotto il corridoio abitato dalle vergini. Dopo alcune cerimonie espiatorie occorreva un permesso per essere introdotti in uno di questi vestiboli di "espiazione, purificazione e conciliazione", il cui accesso non era concesso con molta facilità. I sacerdoti infatti erano assai austeri nel concedere permessi alle coppie condannate alla sterilità. Le mie visioni mi mostrarono solo Gioacchino ed Anna introdotti nel vestibolo sotterraneo.

         

18 Il Monte dei Profeti. La Veggente di Dùlmen annuncia la Concezione di Maria Santissima nei vari Paesi del mondo

        L'8 dicembre 1820, nella festa dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima, l'anima della Veggente fu trasportata dal suo Angelo custode in numerose regioni della terra. Dalle visioni su questo lungo viaggio della sua anima, che lei comunicò al "pellegrino", diamo solo un accenno di quelle che qui ci riguardano. La Veggente giunse a Roma e si recò presso il Santo Pontefice, visitò una monaca in Sardegna a lei assai cara; poi fu a Palermo, arrivò in Palestina e nelle Indie, finalmente salì sopra un Monte chiamato "dei profeti” . Giunse poi nell'Abissinia e salì sopra un'altra rupe sulla quale sorgeva una meravigliosa città ebraica, vi si recò a visitare la regina Giuditta con la quale tenne una conversazione intorno al Messia e all'odierna festa della Concezione di Maria. In questo lunghissimo viaggio mistico attraverso il mondo e i continenti, la Veggente di Dulmen si comportò come un diligente Apostolo, approfittando di ogni occasione per pregare, insegnare, prestare soccorso, consolare e preparare il mondo di quell'epoca alla festa della Concezione di Maria.

 

19 I Santi tre Magi celebrano la Concezione di Maria

        L'8 dicembre di ogni anno, secondo la loro corrispondente datazione, i Magi celebravano col popolo una solennità di tre giorni per commemorare la ricorrenza dell'apparizione della cometa. Quella era la stella promessa da Balaam che, quindici anni prima della nascita di Cristo, essi avevano veduto nella notte ed era attesa da diversi secoli dai loro antenati. I Magi riconobbero nella stella il simbolo di una Vergine che teneva in una mano lo scettro e nell'altra la bilancia,. Manteneva da un lato della bilancia una bella spiga e sull'altro un grappolo, in modo da stabilire un perfetto equilibrio. Dei tre Magi ne sopravvissero poi due che celebrarono sempre più devotamente la ricorrenza dell'8 dicembre.

 

20 Abolizione dei sacrifici cruenti di fanciulli da parte dei popoli Caldei osservatori delle stelle

        Dalla notte in cui la stella fece la sua apparizione nei cieli della Caldea, annunciando la Concezione della Santa Vergine, i popoli astronomi abolirono l'orribile culto del crudele sacrificio di fanciulli, usanza sanguinaria praticata fin dai tempi più antichi. Il rito proveniva da rivelazioni diaboliche. Costoro sceglievano un fanciullo tra i figli di una donna nota per la sua devozione, la quale si sentiva felice di vedere suo figlio prescelto per il sacrificio. La vittima veniva cosparsa di farina poi la si immolava e se ne raccoglieva il sangue. La farina intrisa nel sangue veniva trangugiata come un cibo sacro, e, finché il ragazzo non era del tutto dissanguato, continuavano a coprirlo di farina ed inghiottirla. Infine la vittima veniva tagliata a pezzi, divisa e divorata. La pratica cannibalesca affondava la sua origine in una devozione demoniaca e grossolana. Dalla mia voce interiore seppi che questi sacrifici orrendi erano frutto della cattiva interpretazione dei profeti intorno alle visioni della santa Cena. Nel giorno della Concezione di Maria, il re della Caldea ebbe una rivelazione celeste in cui venne esortato interiormente ad abolire quei sacrifici disumani.



 

[Modificato da Caterina63 16/12/2013 16:00]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740717] Ricordando altri brevi video che riportano la sapienza dottrinale della Chiesa sulla dottrina mariana:
- san Germano spiega la Dormizione di Maria: gloria.tv/?media=440721
- sant'Ambrogio descrive Maria: gloria.tv/?media=390209
- la santa verginità di sant'Agostino: gloria.tv/?media=387259
- san Girolamo spiega Isaia "Ecco la Vergine": gloria.tv/?media=384972

vi offriamo ora San Leone Magno, Papa, in una breve catechesi dove spiega davvero sapientemente il Mistero dell'Incarnazione.
gloria.tv/?media=569135

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org



[SM=g1740733]


[SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]



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Se la Santa degl’Impossibili può salvare il cattolico medio

s-rita-pavia

Ho smesso di preoccuparmi e meravigliarmi. Sullo stato delle cose, sul cattolico medio. Qua tutti quanti stamo a fa’ lezioni universitarie sui massimi sistemi a gente che avrebbe bisogno delle tabelline e dell’alfabeto per arrivare in terza: una lotta contro l’analfabetismo religioso non contro le sfumature teologiche fra sapitori delle secrete cose, questa è la lotta che ci spetta, dopo 2mila anni, e tutto il resto appare noia, peggio: irrilevante. Inutile.

E quando ti accorgi di tutto questo che fai? Come puoi cominciare a raccontare tutto da capo? Senza annoiare, mantenendo acceso il cervello rasettato di ogni elemento cristiano. E’ un disastro, una missione impossibile. Allora non resta che testimoniarlo. Quando a scuola la maestra capiva che le nostre teste vuote erano indisponibili a ricevere niente altro, allora passava allo spettacolo, ci narrava della sua vita, della sua esperienza. Dentro certe volte ci metteva la morale. Ma era un rimedio provvisorio, mezzo disperato.

La noia può essere il nemico peggiore di ogni fede.

Quando un amico ti dice “ho visto Narnia 2, ma perché dicevi che il leone del Narnia 1 rappresentava Gesù Cristo?“.

E io a lui: “Perché è un giusto, che si sacrifica per le colpe di tutti e il tradimento di uno e fra mille umiliazioni muore ad opera del male, ma il male non può vincerlo davvero e il giorno dopo resuscita?“.

E lui a me: “Ma in Narnia 2 adorano il leone come un dio e, fra l’altro, poteva essere Bubbha, chiunque altro“.

E io a lui: “Ma l’autore, Lewis, è anglo-cattolico, e cristiano è il racconto che ha voluto scrivere“.

E lui a me: “Ma considerano il leone come un dio non come Gesù“.

E io a lui: “Perché Cristo che è?

E lui a me: “Cristo è… beh è un uomo mica è dio, tant’è che muore“.

E io a lui: “E risorge. Forse perché essendo Lui una delle tre Persone della Trinità che sono sempre Una, è sempre Dio?“.

E lui a me: “Che?… non ti capisco… boh!”.

Questo è un cattolico medio. Oggi. Come fai a spiegare a uno così tutto daccapo, vincendo i suoi sbadigli? Uno che è cattolico da una vita, ma ignora che il suo Dio si chiama Gesù Cristo,  anzi,  ignora proprio che Gesù sia Dio? Al contempo, però,  è convinto che il principe Buddha sia un dio, non per lui, s’intende, per gli altri, ontologicamente, nei fatti. Cosa vuoi spiegare a uno così? Come si fa?

In realtà, un espediente ci sarebbe, ho notato:l’allucinante crudele bellezza della Chiesa, il vellicare gli antichi ricordi infantili degli ultimi cattolici che gli hanno testimoniato in illo tempore la loro fede. Camminare in una grandiosa barocca chiesa cattolica, spiegargli i misteri dei suoi simboli: questo lo affascina. Fermarsi dinanzi alla rappresentazione iconografica di una santa Rita… e allora lui ricorda, pieno di meraviglia, con tenerezza, fiducia, della sua cara nonna che l’ha cresciuto, nata quando ancora c’era la religione e la chiesa e la fede cattolica, quando le casalinghe della città erano tutte “devote a santa Rita”, la santa delle vedove, degli impossibili, di ogni frustrazione domestica. Lui ricorda, con riconoscenza, affetto e struggimento: “Santa Rita… mia nonna ne era tanto devota, mi portava in pellegrinaggio a Cascia”. È l’unico momento in cui riesce ad essere cattolico, l’unico modo possibile. Ecco, da lì si può cominciare: dagli esempi concreti della nostra fede, mescolata all’affetto. Ma possiamo fare ben poco in una sfera tanto intima.

Aveva ragione il successore del cardinale Ratzinger a Monaco, il card. Wetter, il quale diceva che l’elemento fondamentale per l’educazione cattolica non erano stati nei secoli né i vescovi, né i preti, ma le madri (o le nonne)… quando c’è stata la rottura nella trasmissione della fede proprio con il ruolo delle madri ridotto a un scimmiottamento, allora la linfa della fede trasmessa in famiglia è venuta a mancare.

E aveva ragione pure papa Francesco quando in modo disarmante ha ammesso la situazione non solo da “ospedale da campo” ma di disfatta totale del cristianesimo occidentale, laddove ci troviamo nella situazione paradossale, opposta all’aritmetica della parabola, di dover abbandonare l’unica pecorella che non si è smarrita per andare alla ricerca delle 99 smarrite.

 






Fraternamente CaterinaLD

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  LETTERA DA ROMA

Datata 10 maggio 1884, indirizzata da Roma alla comunità educativa di Torino-Valdocco, la lettera riprende molti elementi di una redazione precedente mandata nella stessa data ai giovani della 'casa annessa' all'Oratorio di Valdocco; è però arricchita di altri rilevanti motivi riservati agli educatori. Materialmente è opera di don Giovanni Battista Lemoyne, tuttavia per i principi, i motivi, i suggerimenti in esso contenuti, in gran parte già presenti nel sistema educativo anteriormente vissuto da Don Bosco e da lui in qualche modo teorizzato in precedenti documenti, depongono a favore di una piena consonanza fra lui e il suo figlio spirituale, discepolo, buon educatore e ottimo scrittore. Dunque un testo-sintesi di una quarantennale esperienza educativa collettiva, che, benché riservato ad un preciso ambiente, contiene un messaggio di valore universale.


Testo critico con introduzione, apparati delle varianti e delle note storico-illustrative in Pietro Braido (ed.) , Don Bosco educatore scritti e testimonianze . Terza edizione con la collaborazione di Antonio da Silva Ferreira, Francesco Motto e José Manuel Prellezo. Istituto Storico Salesiano, Fonti, Serie prima, n. 9. Roma, LAS 1997, pp. 375-388.

TESTO

Roma, 10 Maggio 1884

Miei carissimi figliuoli in Gesù C.

Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell'eternità. Questo pensiero, questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera. Sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e il non sentirvi mi cagiona pena quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei desiderato scrivere queste righe una settimana fa, ma le continue occupazioni me lo impedirono. Tuttavia, benché pochi giorni manchino al mio ritorno, voglio anticipare la mia venuta fra voi almeno per lettera, non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi ama teneramente in Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi colla libertà di un padre. E voi me lo permetterete, non è vero? E mi presterete attenzione e metterete in pratica quello che sono per dirvi.

Ho affermato che voi siete l'unico ed il continuo pensiero della mia mente. Or dunque in una delle sere scorse io mi era ritirato in camera, e mentre mi disponeva per andare a riposo avea incominciato a recitare le preghiere che mi insegnò la mia buona mamma. In quel momento non so bene se preso dal sonno o tratto fuor di me da una distrazione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell'Oratorio.

Uno di questi due mi si avvicinò e salutatomi affettuosamente mi disse: - O D. Bosco! Mi conosce?
- Sò che ti conosco: risposi.
- E si ricorda ancora di me? soggiunse quell'uomo.
- Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfré, ed eri nell'Oratorio prima del 1870.
- Dica! continuò Valfré, vuol vedere i giovani che erano nell'Oratorio ai miei tempi?
- Sì fammeli vedere, io risposi; ciò mi cagionerà molto piacere.

E Valfré mi mostrò i giovani tutti colle stesse sembianze e colla statura e nell'età di quel tempo. Mi pareva di essere nell'antico oratorio nell'ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Qui si giuocava alla rana, lì a bararotta ed al pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un prete il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico che in mezzo ad altri giovanetti giuocava all'asino vola ed ai mestieri. Si cantava, si rideva da tutte parti e dovunque chierici e preti e intorno ad essi i giovani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che fra i giovani e i Superiori regnava la più grande cordialità e confidenza.
Io era incantato a questo spettacolo e Valfré mi disse: - Veda: la famigliarità porta amore, e l'amore porta confidenza. Ciò è che apre i cuori e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti ed ai Superiori. Diventano schietti in confessione e fuor di confessione e si prestano docili a tutto ciò che vuol comandare colui dal quale sono certi di essere amati.


In quell'istante si avvicinò a me l'altro mio antico allievo che avea la barba tutta bianca e mi disse: - Don Bosco vuole adesso conoscere e vedere i giovani che attualmente sono nell'Oratorio? (Costui era Buzzetti Giuseppe).
- Sì! risposi io; perché è già un mese che più non li vedo!

E me li additò. Vidi l'Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non udiva più grida di gioia e cantici, non più vedeva quel moto, quella vita come nella prima scena. Negli atti e nel viso di molti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una musoneria, una diffidenza che faceva pena al mio cuore. Vidi è vero molti che correvano, giuocavano, si abitavano con beata spensieratezza, ma altri non pochi io ne vedeva, star soli appoggiati ai pilastri in preda a' pensieri sconfortanti; altri su per le scale e nei corridoi o sopra i poggiuoli dalla parte del giardino per sottrarsi alla ricreazione comune; altri passeggiare lentamente in gruppi parlando sottovoce fra di loro dando attorno occhiate sospettose e maligne: talora sorridere ma con un sorriso accompagnato da occhiate da far non solamente sospettare, ma credere che San Luigi avrebbe arrossito se si fosse trovato in compagnia di costoro; eziandio fra coloro che giuocavano ve ne erano alcuni così svogliati, che faceano veder chiaramente, come non trovassero gusto nei divertimenti.

- Hai visti i tuoi giovani? mi disse quell'antico allievo.
- Li vedo; risposi sospirando.
- Quanto sono differenti da quelli che eravamo noi una volta! esclamò quel vecchio allievo.
- Purtroppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione.
- E di qui proviene la freddezza in tanti nell'accostarsi ai Santi Sacramenti, la trascuranza delle pratiche di pietà in Chiesa e altrove; lo star malvolentieri in un luogo ove la Divina Provvidenza li ricolma di ogni bene pel corpo, per l'anima, per l'intelletto. Di qui il non corrispondere che molti fanno alla loro vocazione; di qui le ingratitudini verso i Superiori; di qui i segretumi e le mormorazioni, con tutte le altre deplorevoli conseguenze.
- Capisco, intendo, risposi io. Ma come si possono rianimare questi miei cari giovani, acciocché riprendano l'antica vivacità, allegrezza, espansione?
- Coll'amore!
- Amore? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io li amo. Tu sai quanto per essi ho sofferto e tollerato pel corso di ben quaranta anni, e quanto tollero e soffro ancora adesso. Quanti stenti, quante umiliazioni, quante opposizioni, quante persecuzioni per dare ad essi pane, casa, maestri e specialmente per procurare la salute delle loro anime. Ho fatto quanto ho potuto e saputo per coloro che formano l'affetto di tutta la mia vita.
- Non parlo di te!
- Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Dei Direttori, Prefetti, maestri, assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro? Come consumino i loro anni giovanili per coloro che ad essi affidò la Divina Provvidenza?
- Vedo, conosco; ma ciò non basta: ci manca il meglio.
- Che cosa manca adunque?
- Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati.
- Ma non hanno gli occhi in fronte? Non hanno il lume dell'intelligenza? Non vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?
- No, lo ripeto; ciò non basta.
- Che cosa ci vuole adunque?
- Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder l'amore in quelle cose che naturalmente lor piacciono poco; quali sono la disciplina. lo studio, la mortificazione di se stessi e queste cose imparino a far con amore.
- Spiegati meglio!

- Osservi i giovani in ricreazione.
Osservai e quindi replicai: - E che cosa c'è di speciale da vedere.
- Sono tanti anni che va educando giovani e non capisce? Guardi meglio! Dove sono i nostri Salesiani?
Osservai e vidi che ben pochi Preti e Chierici si mescolavano fra i giovani e ancor più pochi prendevano parte ai loro divertimenti.
I Superiori non erano più l'anima della ricreazione. La maggior parte di essi passeggiavano fra di loro parlando, senza badare che cosa facessero gli allievi: altri guardavano la ricreazione non dandosi nessun pensiero dei giovani; altri sorvegliavano così alla lontana senza avvertire chi commettesse qualche mancanza; qualcuno poi avvertiva ma in atto minaccioso e ciò raramente. Vi era qualche Salesiano che avrebbe desiderato intromettersi in qualche gruppo di giovani, ma vidi che questi giovani cercavano studiosamente di allontanarsi dai maestri e dai Superiori.

Allora quel mio amico ripigliò: - Negli antichi tempi dell'Oratorio lei non stava sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo di ricreazione? Si ricorda quei belli anni? Era un tripudio di paradiso, un'epoca che ricordiam sempre con amore, perché l'amore era quello che ci serviva di regola, e noi per lei non avevamo segreti.
- Certamente! E allora tutto era gioia per me e nei giovani uno slancio per avvicinarsi a me per volermi parlare, ed una viva ansia di udire i miei consigli e metterli in pratica. Ora però vedi come le udienze continue e gli affari moltiplicati e la mia sanità me lo impediscono.
- Va bene: ma se lei non può, perché i suoi Salesiani non si fanno suoi imitatori? Perché non insiste, non esige che trattino i giovani come li trattava lei?
- Io parlo, mi spolmono ma pur troppo che molti non si sentono più di far le fatiche di una volta.

- E quindi trascurando il meno perdono il più e questo più sono le loro fatiche. Che amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai Superiori. E a questo modo sarà facile la loro fatica. La causa del presente cambiamento nell'Oratorio è che un certo numero di giovani non ha confidenza nei Superiori. Anticamente i cuori erano tutti aperti ai Superiori, che i giovani amavano ed obbedivano prontamente. Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori e non più come padri, fratelli ed amici, quindi sono temuti e poco amati. Perciò se si vuol fare un cuor solo ed un'anima sola per amor di Gesù bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e sottentri a questa la confidenza cordiale. Che quindi l'obbedienza guidi l'allievo come la madre guida il suo fanciullino. Allora regnerò nell'Oratorio la pace e l'allegrezza antica.

- Come dunque fare per rompere questa barriera?
- Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza familiarità non si dimostra l'amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità. Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non più, ma se va in ricreazione coi giovani diventa come fratello. Se uno è visto solo predicare dal pulpito si dirà che fa ne più ne meno del proprio dovere, ma se dice una parola in ricreazione è la parola di uno che ama. Quante conversioni non cagionarono alcune sue parole fatte risuonare all'improvviso all'orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva.
Chi sa di essere amato ama e chi è amato ottiene tutto specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i Superiori. I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai Superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti. Gesù Cristo non spezzò la canna già fessa, né spense il lucignolo che fumava. Ecco il vostro modello. Allora non si vedrà più chi lavorerà per fine di vanagloria; chi punirà solamente per vendicare l'amor proprio offeso; chi si ritirerà dal campo della sorveglianza per gelosia di una temuta preponderanza altrui; chi mormorerà degli altri volendo essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri Superiori, guadagnando null'altro che disprezzo ed ipocrite moine; chi si lasci rubare il cuore da una creatura e per far la corte a questa trascurare tutti gli altri giovanotti; chi per amore dei proprii comodi tenga in non cale il dovere strettissimo della sorveglianza; chi per un vano rispetto umano si astenga dall'ammonire chi deve essere ammonito. Se ci sarà questo vero amore non si cercherà altro che la gloria di Dio e la salute delle anime.
E' quando illanguidisce questo amore che le cose non vanno più bene. Perché si vuole sostituire all'amore la freddezza di un regolamento? Perché i Superiori si allontanano dall'osservanza di quelle regole di educazione che D. Bosco ha loro dettate? Perché al sistema di prevenire colla vigilanza e amorosamente i disordini, si va sostituendo a poco a poco il sistema meno pesante e più spiccio per chi comanda di bandir leggi che se si sostengono coi castighi accendono odii e fruttano dispiaceri; se si trascura di farle osservare fruttano disprezzo per i superiori e cagione sono di disordini gravissimi?

E ciò accade necessariamente se manca la familiarità. Se adunque si vuole che l'oratorio ritorni all'antica felicità si rimetta in vigore l'antico sistema: che il Superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio, o lamentanza dei giovani, tutto occhio per sorvegliare paternamente la loro condotta, tutto cuore per cercare il bene spirituale e temporale di coloro che la Provvidenza gli ha affidati. Allora i cuori non saranno più chiusi e non regneranno più certi segretumi che uccidono. Solo in caso di immoralità i Superiori siano inesorabili. E' meglio correre pericolo di scacciare dalla casa un innocente, che ritenere uno scandaloso. Gli assistenti si facciano uno strettissimo dovere di coscienza di riferire ai Superiori tutte quelle cose le quali conoscano in qualunque modo essere offesa di Dio.

Allora io interrogai: - E quale è il mezzo precipuo perché trionfi simile famigliarità e simile amore e confidenza?
- L'osservanza esatta delle regole della casa.
- E null'altro?
- Il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera.

Mentre così il mio antico allievo finiva di parlare ed io continuava ad osservare con vivo dispiacere quella ricreazione a poco a poco mi sentii oppresso da grande stanchezza che andava ognora crescendo. Questa oppressione giunse al punto che non potendo più resistere mi scossi e rinvenni. Mi trovai in piedi vicino al letto. Le mie gambe erano così gonfie e mi faceano così male che non potea più star ritto. L'ora era tardissima quindi me ne andai a letto risoluto di scrivere a' miei cari figliuoli queste righe.

lo desidero di non far questi sogni perché mi stancano troppo. Nel giorno seguente mi sentiva rotto nella persona e non vedea l'ora di potermi riposare la sera seguente. Ma ecco appena fui in letto ricominciare il sonno.
Aveo d'innanzi il cortile, i giovani che ora sono nell'Oratorio, e lo stesso antico allievo dell'Oratorio. Io presi ad interrogarlo: - Ciò che mi dicesti io lo farò sapere ai miei Salesiani, ma ai giovani dell'Oratorio che cosa debbo dire?


Mi rispose: - Che essi riconoscano quanto i Superiori, i maestri, gli assistenti fatichino e studino per loro amore, poi che se non fosse pel loro bene non si assoggetterebbero a' tanti sacrifizii; che si ricordino essere l'umiltà la fonte di ogni tranquillità, che sappiano sopportare i difetti degli altri poi che al mondo non si trova la perfezione ma questa è solo in paradiso; che cessino dalle mormorazioni poiché queste raffreddano i cuori; e sovratutto che procurino di vivere nella S. grazia di Dio. Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sè, non ha pace cogli altri.

- E tu mi dici dunque che vi sono fra i miei giovani di quelli che non hanno la pace con Dio?
- Questa è la prima causa del malo umore, fra le altre che tu sai, alle quali devi porre rimedio, e che non fa d'uopo che ora ti dica. Infatti non diffida se non chi ha segreti da custodire, se non chi teme che questi segreti vengano a conoscersi, perché sa che gliene tornerebbe vergogna e disgrazia. Nello stesso tempo se il cuore non ha la pace con Dio rimane angosciato irrequieto insofferente d'obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada a male, e perché esso non ha amore, giudica che i Superiori non lo amino.

- Eppure o caro mio non vedi quanta frequenza di Confessioni e di Comunioni vi è nell'Oratorio?
- E' vero che grande è la frequenza delle Confessioni ma ciò che manca radicalmente, in tanti giovanotti che si confessano è la stabilità nei proponimenti. Si confessano ma sempre le stesse mancanze. le stesse occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, le stesse disobbedienze, le stesse trascuranze nei doveri. Così si va avanti per mesi e mesi, e anche per anni e taluni perfino così continuano alla 5 a ginnasiale. Sono confessioni che valgono poco o nulla; quindi non recano pace e se un giovanetto fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio sarebbe un affare ben serio.

- E di costoro ve ne ha molti all'Oratorio?
- Pochi in confronto del gran numero di giovani che sono nella casa: Osservi. - E me li additava.
Io guardai e ad uno ad uno vidi quei giovani. Ma in questi pochi io vidi cose che hanno profondamente amareggiato il mio cuore. Non voglio metterle sulla carta, ma quando sarà di ritorno voglio esporle a ciascuno cui si riferiscono. Qui vi dirà soltanto che è tempo di pregare e di prendere ferme risoluzioni; proporre non colle parole ma coi fatti e far vedere che i Comollo, i Savio Domenico, i Besucco e i Saccardi, vivono ancora tra noi.

In ultimo domandai a quel mio amico: - Hai null'altro da dirmi?
- Predica a tutti grandi e piccoli che si ricordino sempre che sono figli di Maria SS. Ausiliatrice. Che essa stessa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mondo, perché si amassero come fratelli e perché dessero gloria a Dio e a lei colla loro buona condotta. Che è la Madonna quella che loro provvede pane e mezzi di studiare con infinite grazie e portenti. Si ricordino che sono alla vigilia della festa della loro SS. Madre e che coll'aiuto suo deve cadere quella barriera di diffidenza che il Demonio ha saputo innalzare tra giovani e Superiori e della quale sa giovarsi per la rovina di certe anime.

- E ci riusciremo a togliere questa barriera?
- Sì certamente purché grandi e piccoli siano pronti a soffrire qualche piccola mortificazione per amor di Maria e mettano in pratica ciò che io le ho detto.

Intanto io continuava a guardare i miei giovanetti e allo spettacolo di coloro che vedeva avviati verso l'eterna perdizione sentii tale stretta al cuore che mi svegliai. Molte cose importantissime che io vidi desidererei ancora narrarvi ma il tempo e le convenienze non me lo permettono.

Concludo: Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio che per i suoi cari giovani ha consumato tutta la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell'antico oratorio. I giorni dell'amore e della confidenza Cristiana tra i giovani ed i Superiori; i giorni dello Spirito di accondiscenza e sopportazione per amor di Gesù Cristo degli uni verso degli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore, i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre. Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati ricoverati nell'Oratorio.
Innanzi a Dio vi protesto: Basta che un giovane entri in una casa Salesiana perché la Vergine SS. lo prenda subito sotto la sua protezione speciale. Mettiamoci adunque tutti d'accordo. La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che devono obbedire faccia regnare fra di noi lo spirito di S. Francesco di Sales. O miei cari figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò distaccarmi da voi e partire per la mia eternità (Nota del Segret. A questo punto D. Bosco sospese di dettare; gli occhi suoi si empirono di lagrime, non per rincrescimento, ma per ineffabile tenerezza che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce: dopo qualche istante continuò) quindi io bramo di lasciar voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi per quella via del Signore nella quale esso stesso vi desidera. A questo fine il Santo Padre che io ho visto venerdì 9 di maggio vi manda di tutto cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria SS. Ausiliatrice mi troverò con voi innanzi all'effige della nostra amorosissima Madre. Voglio che questa gran festa si celebri con ogni solennità e D. Lazzero e D. Marchisio pensino a far sì che stiamo allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il preludio della festa che dobbiam celebrare tutti insieme uniti un giorno in paradiso.


Vostro aff.mo amico in G. C.
Sac. Gio. Bosco.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/05/2014 13:09
 
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LA CONVERSIONE DI UNA DONNA ATEA IN CARRIERA

Non ho più l'ambizione di guadagnare 25mila euro al mese, oggi penso a Gesù e al Papa, al matrimonio e alla maternità

 

di Luca Marcolivio

Un "ex" donna in carriera, oggi con un'unica ambizione: fare la volontà di Dio. La 39enne imprenditrice romana di origine umbra Giorgia Petrini era un personaggio già affermato nel suo ambiente ed anche in campo editoriale, quando nella sua vita è avvenuto un cambiamento a trecentosessanta gradi, che ha sorpreso i suoi amici di sempre.

Nel suo secondo libro, intitolato "Il Dio che non sono", di cui è anche editrice, la Petrini racconta la sua vita "Avanti Cristo" e "Dopo Cristo", spiegando i perché di una scelta fatta in piena libertà.
Non si è trattato di una folgorazione improvvisa come quella di André Frossard, il figlio del fondatore del Partito Comunista Francese, che, educato al più inflessibile ateismo marxista, un giorno, da non credente, entrò in una chiesa e ne uscì dicendo: "Dio esiste e io l'ho incontrato".
Quella di Giorgia è la storia di una donna di successo che, a seguito di una serie di incontri ed avvenimenti provvidenziali, ha iniziato a riflettere con più profondità sulla propria vita e sulla vera natura della felicità.

Nel 2010 aveva pubblicato il suo primo libro "L'Italia che innova" (Koiné), un vero caso editoriale, in cui l'autrice, raccontava dieci storie esemplari di giovani imprenditori vincenti anche in tempo di crisi. Un grande successo, un prodotto editoriale che mostrava apertura, ingegno e generosità, ma Giorgia in fondo non era "davvero" felice, come ognuno di noi vorrebbe ambire a diventare.
Fino al giorno in cui, circa tre anni fa, un amico non la invita a seguire il noto ciclo di catechesi dei Dieci Comandamenti a cura di don Fabio Rosini. Giorgia, all'epoca non credente, accetta la proposta come una sfida. "Il mio atteggiamento era ancora quello di chi voleva smentire quello che quel prete ci avrebbe detto".
Nello stesso periodo Giorgia si imbatte in un evento drammatico che "rappresentò il primo limite nella mia vita. Fino a quel momento tutto quello che mi ero conquistata, lo attribuivo tutto al mio merito: non mi mancava nulla. Sono entrata in crisi, quando mi è capitato qualcosa che, per la prima volta, non riuscivo a gestire e soprattutto a capire". Si rende conto che la vita riserva "eventi drastici", in cui "non puoi intervenire, né fare niente".
"Sono questi i momenti in cui ti interroghi di nuovo sulla metafisica dell'uomo". Per Giorgia sarebbe potuto diventare il pretesto per acquisire la definitiva convinzione che l'esistenza di Dio era una "scemenza".

È proprio in questo momento spartiacque che decide di continuare a seguire i Dieci Comandamenti: "non so se ho scelto io o se sono stata indotta ma di fatto mi sono trovata imbrigliata nella rete della provvidenza e non sono riuscita a sbrigliarmi...", racconta Giorgia.
Don Fabio Rosini è stato dunque il primo sacerdote che l'imprenditrice romana ha incontrato dopo più di vent'anni di lontananza dalla Chiesa e dalla vita sacramentale.
In seguito Giorgia ha fatto conoscenza con altre figure carismatiche del clero romano: padre Maurizio Botta, C.O., l'ideatore dei Cinque Passi; padre Jonah Linch, laureato in astrofisica, prima di diventare vicerettore della Fraternità di San Carlo Borromeo; don Dario Gervasi, vicerettore del seminario romano, che è diventato il suo padre spirituale.
"Di fatto il sacerdote fa la differenza – commenta Giorgia -. Ci sono sacerdoti più comunicativi di altri e, specie se si vuole andare alle periferie dell'esistenza, l''abito' colpisce".
Pur essendosi legata molto a don Fabio, con il quale è tuttora in cammino, Giorgia ha continuato a cercare conferme rinsaldare il suo risveglio spirituale.

"Attingo dove posso e devo dire che finora ho incontrato tutte persone disarmanti dal punto di vista spirituale". Con la certezza, tuttavia, che "anche partecipare a una messa celebrata da un sacerdote meno carismatico della media, in un luogo che non immaginavi, è non meno importante agli occhi di Dio".
"La mia guida spirituale – prosegue - più vicina al cielo è il Papa: oggi Francesco, come fino a un anno fa lo era stato Benedetto XVI e, come lo è stato, a scoppio ritardato, Giovanni Paolo II".
La conversione alla fede cattolica ha portato Giorgia Petrini a cambiare radicalmente anche il suo stile di vita: niente più inclinazioni workaholic, niente più mondanità e superfluo.
L'imprenditrice romana, oggi, lavora per vivere e non vive più per lavorare. "Non ho più l'ambizione di guadagnare 25mila euro al mese, l'avevo ma non serve, né mi ha cambiato la vita. Oggi, restituisco ad altri come posso ciò che il Signore ha donato a me, con profondo senso di gratitudine, perché credo nella solidarietà, nella carità e nella condivisione".
Nelle sue aspirazioni di oggi ci sono il matrimonio e la maternità, condizionati tuttavia dall'atteso esito per un procedimento di nullità del precedente matrimonio del suo attuale migliore amico, Marco. "Non siamo fidanzati – precisa Giorgia - di fatto siamo amici e, incoraggiati dal nostro padre spirituale, abbiamo deciso di vivere in castità e in amicizia una scelta radicale affidata in preghiera al Signore e in verità alla Chiesa cattolica. Alla nostra età non è sicuramente la forza di volontà a fare la differenza. Se non credi in qualcosa di più grande e lo fai solo per te, ammesso che tu abbia un motivo sufficientemente convincente, è difficile riuscire a fare certe scelte".

In attesa dell'esito di questo procedimento, entrambi vivono quest'esperienza come una Grazia: "Non è detto che il nostro bene sia quello che noi pensiamo per noi stessi; magari il Padreterno ci sta chiamando a qualcos'altro – racconta Giorgia -. Se la strada stretta per arrivare al paradiso è quello che stiamo vivendo ora, lo scopriremo con il tempo. La fede implica il mettersi in un atteggiamento di disponibilità, non possiamo prendere da Dio solo quello che ci va bene".
Dopo aver rincontrato Giorgia, anche Marco ha vissuto un cammino di conversione, dopo un periodo difficile. "Alla Madonna avevo chiesto di farmi incontrare un uomo con il 100% della fede. Ho avuto esattamente questo, sebbene all'inizio potesse sembrare altro", afferma Giorgia
Nel frattempo, Giorgia e Marco, entrambi imprenditori, si stanno occupando di attività no-profit, in particolare in campo educativo e nel sostegno ai giovani talenti imprenditoriali. [...]
Sulla crisi economica in corso, l'imprenditrice ha le idee molto chiare. "Credo sempre fortemente in quello che ho scritto nel mio primo libro – racconta – e credo ci siano ancora tante persone che ce la fanno, perché hanno dei talenti, sono tenaci e il Signore li aiuta".

A suo avviso, i giovani vanno incoraggiati molto di più a "mettersi in proprio", a utilizzare la creatività e a lavorare per quelli che sono i loro reali talenti. "Non capisco quei giovani che dicono che l'Italia non dà loro alcuna possibilità e poi vanno all'estero a fare mestieri che sicuramente potrebbero fare anche qui. Un conto è avere un sogno; altro conto è essere sempre in fuga".
Oggi è necessaria anche una grande capacità di adattamento: a tal proposito l'imprenditrice cita un suo ex compagno di scuola che fa il pizzaiolo, un'attività che gli ha permesso di mettere su famiglia e di dedicare il tempo che voleva alla moglie e ai tre figli. "Ma penso anche – aggiunge - a mestieri artigianali che non vuole più fare nessuno o a Brunello Cucinelli, nostro conterraneo, che vende Cashmere in tutto il mondo da un borghetto perugino che ha peraltro restaurato".

La crisi economica – anche Giorgia Petrini ne è convinta – è però soprattutto frutto della corruzione e dell'avidità degli uomini e, da questo punto di vista "è un dato di fatto che questo sia il momento storico peggiore". Ognuno nel suo piccolo può però fare molto per insegnare agli altri a prendere le distanze dai cattivi modelli.

Tutti siamo responsabili, dunque, e tutti dobbiamo domandarci seriamente se "rubare" o "pestare i piedi al prossimo", sia una buona cosa o no. "Finché non ci porremo queste domande - sottolinea l'imprenditrice - da questa crisi non ne usciremo".

 
Titolo originale: Sono rimasta imbrigliata nella rete della Provvidenza
Fonte: Zenit, 04/04/2014

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/05/2014 08:29
 
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  Da «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, e Santo è il suo nome» a “l’utero è mio e lo gestisco io”; da un Magnificat di lode e gloria per la Vita, siamo giunti ad inno di morte e di violenza che canta e loda l’uccisione, legalizzata dagli Stati, dei concepiti… È la conseguenza di molte, troppe, parti del nuovo e moderno vangelo aggiornato .....
...... eppure sappiamo bene quante volte Nostro Signore ha specificato che “il mio regno non è di questo mondo”. Il vero credente è sotto psicoanalisi come il suo Maestro. Del resto non è solo una questione di scandalo, ma un Dio che si fa uomo per andare a morire sulla Croce, diciamocelo francamente come si ascolta dire in certi ambienti, non doveva avere tutte le rotelle a posto!

insomma, se ami una lettura humor, ma al tempo stesso educatrice e che sa aprirti la mente... leggi questo libro e leggi anche questa breve presentazione 

Grazie!


Se diventiamo lo zucchero della terra… Un libro contro la degenerazione del cattolicesimo


Posted on 21/05/2014 by Il Mastino

Compagno Gesù, mio psicanalista e liberatore politico… Si può sorridere delle derive teologiche moderne e contemporanee? Sì. Perché ridicolizzarle è un modo efficace per contrastarle. Far vedere, attraverso lo sberleffo, quanto si sono allontanate dal Vangelo e come ne hanno voluto “ammorbidire” la forza prorompente. Ester Maria Ledda, l’autrice del libroAggiornamento per tutto. Compresi i Vangeli, ha così ironicamente mostrato come le pagine evangeliche sono state “aggiornate” da teologie che poco mantengono della forza originaria delle parole di Gesù. Che hanno incendiato il mondo, quando sono state pronunciate. Che rischiano di non arrivare nemmeno ai prossimi cinquant’anni se continuano ad essere storpiate e annacquate come accade adesso.

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di Dorotea Lancellotti da papalepapale.com

Ha scritto Benedetto XVI: “Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive” [1]. Queste parole sono una premessa indispensabile per riflettere, fruttuosamente, sul libro scritto da “La Strega”, una dei nostri redattori, Ester Maria Ledda, come oramai l’amiamo ricordare. Il titolo è “Aggiornamento per tutto. Compresi i Vangeli”, Bonanno Editore (potete trovarlo nelle librerie oppure acquistarlo qui con un solo click). Personalmente non sono in grado di fare alcuna “presentazione” poiché sono carente di certi talenti, tuttavia dopo aver letto il libro non posso tirarmi indietro per offrire un supporto ulteriore ad un libro davvero utile.


E tutti finì con uno sberleffo

 

É lo sberleffo l’arma usata dalla nostra “Strega” per rispondere alle derive teologiche che hanno completamente dissolto l’originaria forza dei versetti evangelici. Lo “sberleffo” in questo caso diventa anche un fine humour nel tentativo di far capire, – con le buone – a queste persone che stravolgono il Vangelo, che alla fine della fiera la parola di Dio resta, mentre i loro stravolgimenti non sono altro che quella gramigna (cfr. Mt 13,24-30) che pur non potendo noi estirpare, possiamo tuttavia evidenziare, far emergere, far notare come quando giocando in un prato si cerca di fare attenzione a non imbattersi nell’ortica. Potremmo interpretare questo “sberleffo” in modo positivo, come quando i giardinieri che non vogliono usare insetticidi, usano dello stesso materiale organico in natura per uccidere, sempre in natura, gli elementi negativi che contaminano alberi da frutto, fiori ed altro.

Non si tratta dell’”occhio per occhio, dente per dente”, quanto piuttosto di mettere in funzione la ragione, il cervello, ed individuare quella rottura, quel “tagliare le radici di cui l’albero vive” sopra accennato, che da molti anni ha finito per dare origine davvero ad un vangelo alternativo. Del resto è sempre lo stesso Benedetto XVI che ebbe a denunciare l’esistenza di un magistero parallelo: “Occorre rifuggire da richiami pseudo-pastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive” [2].

 
L’utilità – a colpi di sorriso – del libro

 

Ritengo che lo sberleffo sia utile a comprendere lo stravolgimento che si è fatto in questi anni del Vangelo, un vangelo letto ed interpretato in modo soggettivo e dalla cui soggettività si è giunti a queste “pseudo-pastorali” che ci hanno letteralmente stesi, pastorali che hanno messo in orizzontale la ragione, privandoci dell’aspetto trascendentale (verticale) del contenuto dei Vangeli. Nella prefazione al libro leggiamo: «In questa nostra Chiesa alla deriva, alla ecclesiologia e alla certezza delle leggi codificate pare essersi sostituito l’arbitrio clericale più selvaggio» [3].

È anche importante capire che non è affatto facile, o scontato essere del tutto coscienti di questo: se fosse facile del resto non saremo arrivati a questa grave apostasia che aumenta ogni giorno all’interno della Chiesa. È necessario che fra di noi ci si aiuti a questa comprensione, ed è questo uno dei meriti di questo libro.

E non è forse proprio Pietro che mette in guardia i cristiani dalle false interpretazioni delle Scritture? Dice infatti: «In esse (nelle Lettere di Paolo v. 15) ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina. Voi dunque, carissimi, essendo stati preavvisati, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall’errore degli empi; ma crescete nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo» (2Pt 3,16-18).

Ma il vangelo non è giustizia sociale

 

Si intuisce nelle pagine del libro un evidente critica alla teologia della liberazione e a tutte quelle interpretazioni che hanno ridotto il messaggio evangelico alla sola giustizia sociale. Per comprendere bene la critica che il testo fa a queste “pseudo-pastorali” e dunque alla nouvelle theologie è importante leggere il famoso documento firmato dall’allora Prefetto della CdF sui rischi derivanti da queste teologie moderniste: «L’espressione “teologia della liberazione” designa innanzi tutto una preoccupazione privilegiata, generatrice di impegno per la giustizia, rivolta ai poveri e alle vittime dell’oppressione. Partendo da questo approccio, si possono distinguere parecchie maniere, spesso inconciliabili, di concepire il significato cristiano della povertà e il tipo d’impegno per la giustizia che esso comporta. Come ogni movimento di idee, “le teologie della liberazione” presentano posizioni teologiche diverse; le loro frontiere dottrinali non sono ben definite» [4].

Il punto è che il Vangelo in sé non è uno statuto per la rivoluzione o per una rivoluzione sociale, non per nulla significa “buona novella” e non “nouvelle theologie”. Il Vangelo non è per una “giustizia sociale” tanto è vero che Gesù nelle Beatitudini specifica: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,3-12), e bene scrive l’Autrice a pag. 25 del libro, per la versione aggiornata: “… benefattori dell’umanità (…) grande sarà la vostra ricompensa terrena”. Il Vangelo è sì un messaggio di libertà e una forza di liberazione, ma da che cosa? Perché un Dio si è fatto uomo? è venuto per salvarci; e da che cosa? Non certo dal Cesare di turno, ma dal peccato. La libertà e la liberazione di cui parla il Vangelo è dal peccato, da questa schiavitù dalla quale derivano tutti gli altri mali. L’ingiustizia sociale deriva da quanto maggiormente noi restiamo schiavi di questa realtà che oggi si vuole anch’essa aggiornare mitigandone la presenza, l’essenza e la dura conseguenza. Guai a parlare di “peccato” ed è ovvio che alla fine si finisce col trasferire la giusta lotta, la giusta battaglia, su fronti errati.

 

Lo rammenta bene San Paolo quando dice: “La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6,12). «Ma voi chi dite che io sia?» (Mt 16,15-20), chiede Gesù ai suoi. Pietro ha risposto con decisione, perché ispirato da Dio, e Gesù rivolge a noi, ad ogni generazione,  questa domanda che non è derogabile ad alcuno: ma per te chi sono io? La risposta non può venire dal basso, come per Pietro. Anche la nostra risposta deve essere ricevuta dall’alto.

Aggiornando i Vangeli a rivendicazioni sociali, è ovvio poi che si finisce anche per aggiornare l’immagine del Cristo ridotto ad un povero figlio dei fiori di sessantottina memoria, o ad un Jesus Christ Superstar, o allo sdolcinato Gesù di Zeffirelli, o all’altro Gesù Sociale di Pasolini e così via:«Ci si chiede da tempo se sia possibile fare un film sul Gesù degli Evangeli, senza sacrificarne la piena identità sugli altari dell’industria culturale e delle sue strategie di mercato. Il cinema e la televisione hanno presentato Gesù nei modi più diversi: classico o moderno, biblico o confessionale, ieratico o umano, cristologico o mariano, attinente alle fonti storiche o liberamente interpretato, accattivante o provocante, umile maestro o divo hollywoodiano, costumato o degenerato. L’impressione è che tutte queste chiavi di lettura del Gesù degli Evangeli abbiano a che fare poco e niente col mistero dell’Uomo-Dio e del Dio-Uomo. Questo mostra il grande limite di qualunque immagine rispetto alla parola» [5].

 
Gesù, il Maestro… della psicanalisi ante litteram

 

I passaggi più divertenti riguardano poi la riduzione psicoanalitica dei miracoli di Gesù. Oggi, più che mai, sembra ancora questa una delle chiavi usate dalla modernità per polverizzare la fede. Questo perché siamo sempre lì, alla vera identità del Cristo che è scandalo. Nel brano citato prima di Matteo, quando Pietro, ispirato dall’alto, esprime a parole chi fosse il Cristo – pur probabilmente non comprendendone il significato –  subito dopo rinnega quella professione quando comprende che il Cristo gli sta dicendo che dovrà morire. La reazione del Cristo è diretta e dura: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,21-23).

Ma cosa significa “pensare secondo gli uomini”? Ecco, il libro della nostra “Strega” lo fa capire molto bene, anzi, è tutto un comprendere come davvero questo Cristo dei Vangeli sia di scandalo al punto tale che è diventato necessario, nella Chiesa, aggiornare i vangeli, aggiornare l’identità del Cristo.

 

La frase, per me, più eloquente la trovo a pag. 24, riguardante Mt 5,8-7: il povero centurione che vuol bene al suo servo e supplica quel Messia al quale riconosce senza dubbio –col sensum fidei in embrione – il potere divino dei miracoli, la sua capacità di guarire. Nella versione originale sappiamo come va a finire, Gesù riconosce l’autentica fede del soldato e gli guarisce il servo. La versione aggiornata è davvero tipica del nostro tempo: chi crede più ai miracoli? Forse il popolo ancora ci crede, ma quanti sacerdoti davvero – oggi – credono nei miracoli?

Non posso non citare le pagine 45 e 46, riguardante Mc 10,46-52, cioè il famoso cieco di Gerico: diremo che la Strega ha fatto centro. La versione aggiornata è davvero quanto più spesso sentiamo oggi dalle cattedre e dai pulpiti modernisti nella Chiesa: “Compagno concedimi una visita infra moenia gratuita e guariscimi! Compagno, guariscimi!”. “La tua forza di volontà ti ha guarito e non ti farò neppure pagare il ticket”.

Sono testimone del fatto che, non di rado, ho sentito dire ai sacerdoti che i miracoli di Gesù sono “simbolici” e che in questo senso Gesù era un vero psicologo che “creava ad arte effetti placebo”, in altri casi i miracoli compiuti di Gesù non vanno accolti come tali, ma come materia di studio sulla psiche dell’uomo: credere al miracolo influisce benevolmente su di lui e lo predispone ad accogliere meglio la speranza contenuta nel Vangelo. Amenità simili che sono servite, e servono, per “aggiornare” la fede, risvegliarla in un mondo in cui, il soprannaturale piace rilegarlo esclusivamente al cinema, alla sfera della fantascienza o della fantareligione.  Sicuramente è in atto, in questo caso, il tentativo, se non di polverizzare, di cambiare la fede.

La fede non può essere cambiata

Il Credo. Ma a quante verità di fede lì contenute certi teologi credono oggi?

Credere in qualcosa o in qualcuno non solo è più forte dell’uomo, perché insito nella nostra natura, della quale l’unica certezza che abbiamo, perché la vediamo, è la morte, e questo senza dubbio fa paura, ma soprattutto abbiamo bisogno di riempire quel vuoto che si crea quando si ripudia il Dio vero. Ma il “vero Dio”, ahimè, ha voluto la Chiesa, ha voluto consegnare ad Essa l’interpretazione della Sua rivelazione, e questo l’uomo non lo accetta. Di conseguenza è proprio la fede della Chiesa ad essere attaccata, minacciata, perseguitata, modificata, cambiata, aggiornata…

Nel “Credo” aggiornato, a pag. 90, lo si esplicita chiaramente: “È venuto nel mondo e per il mondo, per renderlo un luogo migliore”, alzi la mano chi non ha mai sentito un sacerdote, un teologo, e persino un catechista dire una cosa del genere, eppure sappiamo bene quante volte Nostro Signore ha specificato che “il mio regno non è di questo mondo”. Il  vero credente è sotto psicoanalisi come il suo Maestro. Del resto non è solo una questione di scandalo, ma un Dio che si fa uomo per andare a morire sulla Croce, diciamocelo francamente come si ascolta dire in certi ambienti, non doveva avere tutte le rotelle a posto!

Emerge potente il Vangelo

Il Vangelo non chiede riduzioni. Così è per lo scandalo della croce.

Qual è la qualità più eccellente del libro? Riesce a far emergere, dirompente, la potenza della pagina evangelica se confrontata con la versione aggiornata. Man mano che lo leggevo, la versione autentica del Vangelo risaltava maggiormente confermandomi in quel sensum fidei che da duemila anni ci fa dire le solite cose. In fondo il compito di ogni battezzato non è quello di scrivere nuovi poemi, ma quello di “trasmettere il deposito della fede”.

Mentre scorrevo il libro mi risaltava in cuore il monito paolino: “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero” (2Tim 4,3-5).

«Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri» [6]

Risalta soprattutto che questo mendicare la verità, questo essere staffetta di generazione in generazione, che riceve il Depositum Fidei dalle mani delle generazioni precedenti per darlo a noi (e noi a chi verrà domani dopo di noi), ha subito senza alcun dubbio una rottura, una grave rottura col passato e che in qualche modo, oggi, deve rimpiazzare in qualche modo. Ecco allora un vangelo aggiornato che proprio essendo una falsità del nostro tempo, in questo tempo morirà, seppur facendo molte vittime, disseminando cadaveri, lasciando dietro di sé  morte.

La potenza del Vangelo autentico sta proprio nei suoi racconti, nei suoi fatti, nelle sue parole sempre uguali è vero, ma sempre nuove perché nuove sono le generazioni che devono imparare a conoscerlo e a metterlo in pratica. La vera modernità è Cristo stesso, è questa sua Parola che ci rende moderni.

Alla pag. 57 (Lc 6,46) c’è l’ennesimo aggiornamento che ci aiuta a capire ulteriormente: “Perché mi chiamate Signore, Signore, ma poi non fate ciò che dico?”, questa la versione corrente. La versione aggiornata dice: “Capisco che è difficile fare ciò che vi dico, quasi impossibile, per cui chiamatemi ‘Signore, Signore’ e questo sarà sufficiente”.


 E Maria è diventata una femminista?

 

Ma il libro mette in evidenza anche il contrasto tra il femminismo e il Magnificat, tra le rivendicazioni delle “uome” di oggi e Maria. Sull’argomento specifico possiamo andare a rileggerci tranquillamente le varie mariologie che abbiamo qui trattato nel sito [7] per comprendere questa avanzata modernista che spinge a una rilettura non solo dei Vangeli, ma anche degli Autori, dei Personaggi, dei Protagonisti.

Maria, per esempio, va bene, ma perché complicare la teologia con quel “Mater Dei” e non lasciare piuttosto un bel più protestante Maria Madre di Gesù, dell’uomo Gesù?

Per molti sembra una sciocchezza: in fondo dire che Maria è Madre di Gesù è corretto, ma dire Madre di Dio è più impegnativo perché si va a riconoscere che quel Figlio non è solo uomo. Con il vangelo aggiornato possiamo sentirci dire o predicare un Gesù “diversamente uomo”. Insomma, come si spiegava al punto sopra, siamo tutti da psicanalizzare: di conseguenza è meglio modificare anche l’immagine, l’identità di questa pia donna, farla scendere da quel piedistallo sul quale la patristica, la teologia, santi e dottori l’hanno legittimamente messa e via… A semplificare sempre di più non tanto Maria che era effettivamente una creatura umana, ma semplificare la sua identità di donna creata perfetta, senza macchia, tutta pura, titoli oggi disarmanti, quasi da fare invidia e perciò scomodi: perché a lei si e a me no? Non siamo tutti uguali davanti a Dio? Scrive bene nel Magnificat aggiornato la nostra Strega cacciatrice: «perché ha guardato all’emancipazione della sua serva».

Se nella versione tradizionale del Magnificat troviamo che Maria si magnifica nel Signore ed esulta in Dio suo liberatore, Salvatore del suo peccato e perciò davvero libera (Maria è stata resa immune, preservata dal peccato originale, così come riporta il dogma dell’Immacolata), e di conseguenza è grata a Dio per averla resa Madre di questo Redentore… va da se che nel vangelo aggiornato scaturisce un inno femminista, contrapposto, nel quale le donne esultano non più a Dio ma alla loro battaglia di liberazione, alla loro emancipazione.

 

Da  «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, e Santo è il suo nome» a “l’utero è mio e lo gestisco io”;da un Magnificat di lode e gloria per la Vita, siamo giunti ad inno di morte e di violenza che canta e loda l’uccisione, legalizzata dagli Stati, dei concepiti… È la conseguenza di molte, troppe, parti del nuovo e moderno vangelo aggiornato quale, per esempio, a pag. 73 su Gv6, 67-69: «Gli risposero i Dodici: “Compagno, sappiamo che tu sei il liberatore mandato da Dio, ma abbiamo capito che si può andare oltre di te perché chiunque fa ciò che ritiene giusto, viene liberato dall’oppressione morale”».

Così come la beatitudine cantata da santa Elisabetta quando Maria le fa visita, pag.53 Lc. 1,39-45 “e beata colei che riesce a conciliare la propria volontà  con quella di Dio” senza, ovviamente, rinunciare alla propria supremazia come risulta chiaro anche a pag. 34, coerentemente: “Padre mio, passi da me questo calice. Fa che la mia volontà diventi anche la tua”.

In fondo “aggiornare” i vangeli non è altro che fare tutto a rovescio di ciò che essi dicono e, chi fa tutto a rovescio lo sappiamo, i Santi lo chiamano la scimmia di Dio, è Satana.

 
Lasciamo perdere il padre della menzogna (e i suo figli)

 

Concludiamo con queste parole che  riteniamo utili per accostarsi in modo corretto al libro recensito: «Nella verità, la pace» — esprime la convinzione che, dove e quando l’uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace. (…) Ma quali significati intende richiamare l’espressione «verità della pace»? 
Per rispondere in modo adeguato a tale interrogativo, occorre tener ben presente che la pace non può essere ridotta a semplice assenza di conflitti armati, ma va compresa come «il frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore », un ordine « che deve essere attuato dagli uomini assetati di una giustizia sempre più perfetta. (…) 
E allora, chi e che cosa può impedire la realizzazione della pace? 
A questo proposito, la Sacra Scrittura mette in evidenza nel suo primo Libro, la Genesi, la menzogna, pronunciata all’inizio della storia dall’essere dalla lingua biforcuta, qualificato dall’evangelista Giovanni come « padre della menzogna» (Gv 8, 44). 
La menzogna è pure uno dei peccati che ricorda la Bibbia nell’ultimo capitolo del suo ultimo Libro, l’Apocalisse, per segnalare l’esclusione dalla Gerusalemme celeste dei menzogneri: «Fuori… chiunque ama e pratica la menzogna!» (22, 15). Alla menzogna è legato il dramma del peccato con le sue conseguenze perverse, che hanno causato e continuano a causare effetti devastanti nella vita degli individui e delle nazioni» [8].

 

NOTE

1) Benedetto XVI – Lettera ai Vescovi  10 marzo 2009

2) Discorso di Benedetto XVI alla Sacra Rota 29.1.2010

3) Aggiornamento per tutto compresi i Vangeli – pagina ufficiale FB

4) Libertatis Nuntio – Documento che chiarisce la falsità della TdL

5) da Nicola Martella, «Chi dice la gente che io sia?», Offensiva intorno a Gesù.

6) fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP – già Maestro dell’Ordine Domenicano

7) La Madonna di Don Tonino BelloIo Catharina la devota di Maria.

8) Nella verità, la pace – Messaggio per la Pace, Benedetto XVI 1.1.2006

Guarda il video promozionale del libro


 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Siamo i pazzi della croce, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani

Posted on 27/05/2014 

Dal “pane sciocco” ad una “regale rosetta”: il racconto di un itinerario dal deserto quaresimale alla fioritura della Resurrezione

.

Eppure Marta dubita, ha lì davanti a Gesù e dubita. Anche io avevo davanti a me Gesù. Ho iniziato a pensare che in fondo anche io, come Marta, sono amico di Gesù, anche io lo amo ma credo nella gloria di Dio? o il mio è solo un gioco? …mi sono sentito sollevare di qualche centimetro da terra, perché ho iniziato a capire che il vero cuore della nostra fede non è la liturgia, quella è solo un mezzo, indispensabile ma solo un mezzo. E’ la pazzia della croce il cuore della nostra fede: «…noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani», siamo i “pazzi” della croce. E come può un pazzo arrivare a qualcosa attraverso una liturgia? È solo credendo nell’impossibile che si arriva a Dio, anzi che Dio trova posto in te, perché nella pazzia cessa il legame con il mondo…

.

.

di Nicola Peirce


Come ho già scritto altre volte, 
gran bella città Siena e più in generale bella tutta la terra senese. Storia, cultura, natura, cibo e vino, strepitosi. Quella dove risiedo credo sia la provincia italiana con il maggior numero di vini DOCG. Alcuni famosissimi, come il Brunello o il Chianti. Ci sono anche prodotti prelibati della salumeria. La produzione casearia con il pecorino di Pienza. Il tartufo di San Giovanni d’Asso. Dolci unici: ricciarelli, panforte, cavallucci. Una cucina ottima con piatti adatti a tutti i palati. Insomma un vero paradiso per i gourmet o per chi, come me, più modestamente, apprezza il mangiar bene.

Però, come sempre, non è tutto oro ciò che luccica, infatti, in questa appetitosa terra senese c’è un gravissimo neo “mangereccio” che per un romano, qual’io sono, offusca tutte le altre meraviglie gastronomiche ed è… il pane. Non si offendano i miei concittadini acquisiti ma il loro pane non sa di niente. Sfornano un pane in pagnotte dalla forma insignificante, senza fronzoli e pieno di mollica, che chiamano pane “sciocco” perché è senza sale e ne vanno molto fieri e quando si cimentano nel produrre altro genere di pane il risultato è disastroso.

Chiaramente, per me abituato alla croccante e leggera rosetta romana, con la sua forma da corona regale e diadema alla sommità, il pane di qui è veramente una sofferenza. Per non parlare poi del loro “ciaccino”, pieno d’olio e molliccio ai bordi, paragonato alla pizza bianca romana fatta con la pasta del pane e sapientemente cotta, con sopra il sale grosso e il contorno leggermente “bruciacchiato” e croccante. Insomma, per me è una frustrazione quotidiana che cerco di attutire tostando e salando, a dovere, le fette del pane sciocco per ottenere un effetto che ricordi, vagamente, la mia adorata rosetta croccante.

Da sciocco a regale ma, soprattutto, da pieno a vuoto

Forma di pane “sciocco”.

Spero abbiate capito che mi sono divertito a prendere in giro i miei amici senesi, anche se nell’ironia, in qualsiasi forma di ironia, c’è sempre un fondo di verità. In effetti, questa divagazione da panettiere mi è venuta in mente pensando a me stesso e alla quaresima che ho passato. Sì, perché sono entrato nella quaresima come una pagnotta informe di pane “sciocco” e stantio, pieno di mollica e ne sono uscito come una “regale” rosetta romana, appena sfornata, croccante e leggera, perché vuota. Una sorta di “piccolo calvario” che ho passato in quei quaranta giorni che vorrei raccontarvi, non tanto quale esternazione autoreferenziale ma nella speranza di una condivisione utile con voi.

Le rosette.

Da quando sono ritornato nel senodi madre chiesa, dopo anni di vagabondaggio, lontano da Dio, al seguito del mio io, sono sempre entrato in quaresima con fare trepidante, vivendo pienamente coinvolto i quaranta giorni di attesa. Dalle ceneri del mercoledì fino alla tempo forte della Passione di Cristo, il venerdì santo. Ho sempre partecipato, con fervore, a tutto quello che la liturgia della chiesa cattolica offre per conservare un clima di introspezione nell’avvicinamento al grande giorno: quello della resurrezione di Cristo e dunque anche di quella nostra, se vissuta con Lui. Messa quotidiana, preghiera assidua, ogni venerdì via crucis. Frequenti puntate al confessionale ogni qualvolta senti sorgere il sentore di qualcosa, dimenticato, nel fondo del cuore. Il luogo che deve essere ripulito, perché sede di tutto ciò che ci fa male: «…ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l’uomo» (Mt. 15, 18) ma destinato, anche, ad essere luogo privilegiato d’incontro con Nostro Signore.

Quest’anno no, non è andata così. Venivo da un periodo soffocante di problemi pratici legati a vari impegni che hanno evidentemente appesantito non solo la mia mente ma anche il mio cuore. Sono pertanto arrivato già arido al mercoledì delle ceneri e sono entrato in un vero e proprio deserto interiore, freddo e scuro, pieno di dubbi e incertezze, non sull’esistenza di Dio ma su me stesso, sulla mia fede, sul perché credo.

Sospeso tra terra e cielo ballando il “lago dei cigni”

Lo Spirito di Dio ci accarezza come brezza leggera.

Una per tutte, mi sono trovato anche davanti alla domanda: «…credi perché ti fa comodo o peggio, solo quando ti fa comodo o credi perché metti Dio davanti ad ogni cosa?». Dilemma non facile da risolvere soprattutto se ti sembra di essere solo con te stesso e se sei così “sciocco” e stantio, cioè duro, da non permettere a quel: «…mormorio di un vento leggero» (1Re 19,12), lo Spirito di Dio, di attraversarti e ristorarti. Diciamo che negli anni passati sono partito bene e arrivato alla Pasqua abbastanza soddisfatto ma mai estasiato, quest’anno sono partito male ma sono arrivato a toccare il cielo con un dito, anzi, il cielo ha toccato me con un dito.

Ovviamente, come sempre, le danze non siamo noi a condurle, noi siamo le damigelle e Dio è il principe azzurro. Evidentemente il mio è stato un passato di quaresime da ballo delle debuttanti, probabilmente, ora, è giunto il tempo, per me, di un ballo più impegnativo, diciamo: “Il lago dei cigni”.

Una delle cose di cui sono certo, dopo questa quaresima, è che se non passi attraverso questo stato di deserto, non puoi fare spazio dentro di te, perché lo occupi, “ti occupi”, con te stesso e questo ti impedisce di riempirti di Dio. Anzi, impedisci a Dio di riempirti. Perché è bene ricordarsi sempre che Dio non forza mai la nostra volontà, non costringe mai il nostro libero arbitrio. Lui, l’onnipotente, il creatore di tutte le cose, è in realtà un mendicante dell’amore che tende la mano e spera che i suoi figli, che siamo noi, lo guardino con compassione e gli aprano mansueti il “tempio” del proprio cuore. Mastino, per favore non ti arrabbiare, lo sai sono zuccheroso e “romanticone”.

Santa Caterina da Siena. Nella preghiera mantenersi fermi.

Le prime quattro settimane di quaresima sono passate in questo vero e proprio, strazio, in una sorta di lamento continuo, implorante di quella “carezza” che potesse lenire il tormento. Partecipavo alla Messa con attenzione ma mai trasporto, seguivo la via crucis meditata del venerdì in maniera piatta senza nessun sobbalzo. Per carità, lo so, è difficile essere sempre e comunque centrati, molto spesso il pensiero corre via quando si prega ma in quel momento era un vero e proprio disinteresse. Attenzione: in nessun caso noia, però mi sentivo inutile a me stesso e inascoltato da Dio.

Credo mi abbia aiutato il pensiero di una lettera di Santa Caterina, che richiamavo spesso alla mente, nella quale la santa e mistica, senese, spronava una sua cugina suora, evidentemente in crisi vocazionale, a perseverare sempre nella preghiera perché è il luogo della battaglia con il demonio e, quindi, della prova: «…perchè nell’orazione abbondassero le molte battaglie in diversi modi, e tenebre di mente con molta confusione, facendole il dimonio vedere che la sua orazione non fusse piacevole a Dio; per le molte battaglie e tenebre che ha, non debbe lassare però; ma stare ferma con fortezza e lunga perseveranzia, ragguardando che ‘l dimonio il fa per tirarci dalla madre dell’orazione, e Dio il permette per provare in quella anima la fortezza e constanzia sua»(Lettera XXVI – A Suora Eugenia nel Monasterio diSanta Agnesa di Montepulciano).



  IL RESTO QUI......... NON PERDETELO!

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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04/12/2014 20:05
 
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  Un miracolo nella cella della morte






Una conversione incredibile....anzi due 

Dio dona a tutti gli uomini la sua grazia e la sua benevolenza. Per farlo si serve sempre, in modo visibile o nascosto, della Mediatrice di tutte le grazie, la Madonna! 
L'avvenimento, accaduto nel 1944 nel sud degli Stati Uniti d'America, mostra chiaramente la materna mediazione di grazie e di fede da parte della Madonna. Ne fu protagonista 
P. Robert O'Leary SVD (1911-1984), missionario nel Mississippi, lo testimoniò in radio negli anni '60. Lo zelante sacerdote lasciò per i posteri anche una registrazione audio dal titolo: 
"La conversione del prigioniero Claude Newman". 
Claude Newman (1923-1944), un uomo di colore, a soli 5 anni era stato separato dalla mamma Floretta e mandato a Bovina, una piccola località ad est della città di Vicksburg in Mississippi.


Lì, insieme al fratello più grande, crebbe presso la nonna Ellen Newman. 
Fin da bambino Claude dovette prender parte al pesante lavoro nelle piantagioni di cotone, dove lavorava anche Sid Cook, l'uomo che nonna Ellen aveva sposato nel 1939. 
Dopo aver assistito ai continui maltrattamenti e alla percosse subiti dalla sua amata nonna da parte del marito, il pomeriggio del 19 dicembre 1942, Claude lo uccise con un colpo d'arma da fuoco. 
Il ragazzo aveva 19 anni. Cercò di fuggire, ma dopo alcune settimane fu arrestato e condannato a morte sulla sedia elettrica per l'omicidio di Sid Cook. 

Nel 1943 Claude Newman si trovava in prigione a Vicksburg, in attesa della sua esecuzione capitale. Divideva la cella con altri quattro detenuti. 
Una sera i cinque conversavano tra di loro quando, in un momento di silenzio, Claude notò come una "fogliolina" appesa con una cordicella al collo di uno dei prigionieri. 
Con interesse domandò di cosa si trattasse. ll giovane compagno di cella rispose bruscamente: "E ' una medaglia". Claude chiese ancora: "Che cosa è una medaglia?". L'altro detenuto era cattolico, ma non sapeva spiegare il senso e lo scopo della medaglia, se la strappò dal collo e, bestemmiando, la buttò ai piedi di Claude gridando: "Su, prenditela!". 
Claude, senza dire una parola, raccolse la medaglia miracolosa e, con il permesso delle guardie, se l'appese al collo. Si sentiva attirato da quell'oggetto e lo voleva portare come ornamento. 

La stessa notte Claude stava dormendo sulla sua branda, quando all'improvviso fu svegliato da qualcuno che gli aveva toccato il polso. Più tardi racconto al sacerdote: "Ecco, davanti a me stava la donna più bella che Dio abbia mai creata".
Claude, spaventato ed impaurito, non sapeva cosa fare. Ma la Signora lo tranquillizzo dicendo: "Se mi vuoi come madre e vuoi diventare mio figlio, fai chiamare un sacerdote cattolico".
Dopo la Signora scomparve e il giovane gridò ad alta voce cosi forte che i suoi compagni di cella si svegliarono: "Chiamatemi un sacerdote cattolico! ".
Così P. O'Leary, il sacerdote testimone di questo avvenimento, la mattina seguente andò da Newman, il quale gli confidò quanto era accaduto la notte. Poi, insieme agli altri quattro prigionieri, sorprendendo P. Leary, chiese di ricevere un'istruzione religiosa. Il sacerdote era scettico, nonostante gli altri quattro prigionieri, pur senza aver visto né udito la voce della Signora, confermassero vivamente la verità della storia di Claude.
Infine il missionario promise di insegnare loro il catechismo.
Tornato nella sua parrocchia, P. O'Leary raccontò al suo parroco l'avvenimento. Il giorno dopo si recò puntualmente nella prigione per la prima lezione. Lì dovette constatare che Claude Newman non sapeva né leggere né scrivere, perché non aveva mai frequentato la scuola, e la sua ignoranza riguardo la fede era ancora piu grande. In fondo non sapeva proprio nulla. Non conosceva Gesù e sapeva solo che esiste un Dio.
Cosi Claude venne istruito, ma la cosa sorprendente e che i suoi compagni di cella lo seguirono fedelmente.
Dopo alcune settimane, un giorno durante la catechesi P. O'Leary disse: 'Allora ragazzi, oggi parliamo del sacramento della confessione". Claude subito rispose: "Oh, su questo sono informato! La Signora mi ha detto che noi, quando ci confessiamo, non ci inginocchiamo davanti al sacerdote, ma davanti alla croce di Suo Figlio. E quando ci pentiamo davvero dei nostri peccati e li confessiamo, il sangue che Lui ha versato per noi scorre su di noi e ci purifica dai nostri peccati ".
P. O'Leary rimase impietrito con la bocca aperta: "Oh, non sia arrabbiatol", si scusò Claude, "non ho voluto precederla". "Oh no, non sono arrabbiato, solo sorpreso. Allora hai
visto di nuovo la Signora?", domandò il sacerdote turbato.
Ma solo quando i due si ritrovarono per alcuni istanti da soli in disparte, Newman rispose serio: "La Signora mi ha detto, se lei avesse dei dubbi o delle esitazioni, che avrei dovuto ricordarLe la promessa che lei fece alla Madonna, in Olanda, nel 1940, sdraiato in trincea e della quale Lei aspetta ancora l'adempimento".
"Poi", cosi ricorda P. O'Leary, "Claude mi descrisse precisamente in cosa era consistita la promessa. Questo incredibile fatto mi convinse totalmente che, riguardo le apparizioni, Claude stesse dicendo la
verità". Ritornato al gruppo, egli continuo ad incoraggiare i suoi quattro compagni: "Non abbiate paura della confessione! Davvero voi dite i vostri peccati a Dio e non al sacerdote. Sapete, la Madonna mi ha spiegato: noi parliamo attraverso il sacerdote a Dio e Dio, attraverso il sacerdote, parla a noi".

La settimana dopo P. O'Leary preparò, per i suoi cinque prigionieri, una lezione sul Santissimo Sacramento dell'altare. Claude gli fece comprendere che la Madre di Dio lo aveva istruito anche su questo argomento. Con il permesso del sacerdote, inizio a spiegare: "La Madonna mi ha detto che I 'Ostia ha solo l 'apparenza di un pezzo di pane, ma in verità é Suo Figlio. Ella mi ha anche spiegato che Gesù rimane solo per breve tempo dentro di me, come rimase dentro di Lei prima della sua nascita a Betlemme. Perciò dovrei passare il tempo con Lui come ha fatto Lei durante la sua vita: amandolo, adorandolo, lodandolo, chiedendo la Sua benedizione e ringraziandolo. In quei minuti non dovrei pensare a nessuno e a nulla, ma passare il tempo con Lui solo".
Conclusa la catechesi, i cinque prigionieri divennero membri della Chiesa cattolica attraverso il battesimo ricevuto il 16 gennaio del 1944. Quattro giorni dopo avrebbe dovuto aver luogo l'esecuzione di Claude.
Il giorno precedente lo sceriffo Williamson gli domandò "Claude, puoi esprimere un ultimo desiderio. Cosa vuoi?". Il prigioniero rispose: "Voi siete tutti agitati. Anche le guardie sono confuse, ma voi non comprendete: solo il mio corpo morirà, io andrò a stare con Lei. Perciò vorrei organizzare una festa", "Cosa intendi? chiese lo sceriffo. "Un party", rispose Claude con calma. "Potrebbe chiedere al sacerdote di organizzare una festa con dolci e gelato e permettere ai prigionieri del secondo piano di muoversi liberamente nella sala principale in modo che tutti possiamo festeggiare? "Qualcuno potrebbe aggredire il sacerdote... " avvertì uno dei sorveglianti. Claude si rivolse ai suoi compagni e chiese: "Ragazzi, non lo farete, vero?". Allora il sacerdote andò a far visita ad una ricca benefattrice della parrocchia la quale provvide ai dolci e al gelato. Cosi i prigionieri ebbero il loro party.
Alla fine, nella stessa sala, su desiderio di Claude, tutti poterono vivere un'ora santa di preghiera. Meditarono la Via Crucis, pregarono per Claude e per la salvezza delle loro anime.
I prigionieri ritornarono nelle loro celle e P. P'Leary si recò in cappella.
Andò a prendere l'Eucarestia e diede a Claude la Comunione. Poi i due rimasero ancora in preghiera inginocchiati.

I sacrificio d 'amore per un casa disperato 
Quindici minuti prima dell'esecuzione, lo sceriffo Williamson salì le scale, correndo e gridando ad alta Voce: "Proroga, proroga, il governatore ha data una proroga di due settimane!". 
Presso gli uffici competenti, lo sceriffo e l'avvocato di zona avevano tentato tutto il possibile per salvare la vita di Claude. Quando ne fu informato, egli cominciò a piangere. P. O'Leary
e Williamson pensavano che fossero lacrime di gioia e di sollievo.
Ma Claude, singhiozzando fortemente, balbettava: "Voi non capite nulla! Se aveste visto solo una volta il 'Suo' volto e guardato nei 'Suoi' occhi, non vorreste vivere neanche
un giorno di più. Dove ho sbagliato la settima passata ", chiedeva al sacerdote, "che Dio mi rifiuta di tornare in patria? Perché dovrei vivere per altre due settimane sulla terra? ".
O'Leary ebbe un'idea: ricordò a Claude James Hughs, un altro detenuto, che aveva condotto una vita totalmente immorale, anch'egli condannato a morte; mentre Claude veniva
educato nella fede cattolica, James aveva iniziato a nutrire un profondo odio verso di lui.
"Forse Maria desidera che tu offra questa rinuncia di non essere ancora presso di Lei per la conversione di Hughs", disse il sacerdote. "Perché non offri a Dio ogni momento lontano dalla Madonna per questo prigioniero, per far sì che non resti lontano da Dio per I 'eternità?". 
Claude fu d'accordo e pregò il sacerdote di insegnargli le preghiere per fare questo dono a Dio. Egli aiutò il suo protetto che gli confidò "Padre, qui in prigione, Hughs mi ha odiato fin dal! 'inizio, ma ora il suo odio non conosce più limite!".
Il giovane ventenne per due settimane offrì generosamente ogni angheria, sacrificio e preghiera per James Hughs.
Dopo due settimane, Newman fu giustiziato e P. O'Leary commentò: "Mai aveva visto prima qualcuno andare incontro alla morte cosi sereno". Anche i testimoni ufficiali e i giornalisti ne furono sbalorditi e non riuscivano a comprendere come il volto di un condannato a morte sulla sedia elettrica potesse esprimere tanta serenità".
Le ultime parole di Claude furono per P. O'Leary: "Padre, mi ricorderò di lei e quando avrà un desiderio, si rivolga a me ed io chiederò alla 'bella Signora'. "
Era il 4 febbraio 1944. La notizia dell'esecuzione di Claude Newman fu pubblicata il giorno stesso sul 'Vicksburg Evening News'. "Questa mattina alle ore 7.00, nella prigione federale di Warren, mediante sedia elettrica, si é svolta l'esecuzione capitale di Claude Newman, un uomo di colore di vent'anni. Egli é stato accompagnato da P. O'Leary.Prima dell'esecuzione Newman, che in prigione é diventato cattolico, ha detto: 'Sono pronto ad andare!"

Salvato all'ultimo momento 
Tre mesi dopo, il 19 maggio 1944, doveva aver luogo l'esecuzione di James Hughs, l'uomo che aveva odiato profondamente Claude Newman.
P. O'Leary raccontò "Era il tipo più disonesto e immorale che avessi mai conosciuto. Il suo odio contro Dio e contro tutto ciò che é spirituale é impossibile descriverlo" .
Negli ultimi istanti, prima di essere accompagnato dallo sceriffo nella cella dell'esecuzione, il medico del distretto, il dott. Podesta, chiese insistentemente al detenuto almeno di inginocchiarsi e recitare il Padre Nostro. Come risposta, il condannato, bestemmiando, sputò in faccia al medico.
Appena Hughs fu fissato sulla sedia, lo sceriffo fece un ultimo tentativo: "Se avesse ancora da dire qualcosa, lo dica ora! ". La risposta fu un'altra bestemmia.
Ma poi, all'improvviso, ammutolì, fissando con occhi sbarrati dallo spavento un angolo della stanza. Ad alta voce gridò allo sceriffo: "Portatemi un sacerdote!".
Poiché la legge di Mississippi prescrive la presenza di un sacerdote, P. O'Leary era già nella stanza, ma nascosto dietro alcuni giornalisti, perché Hughs aveva minacciato di bestemmiare Dio, se avesse visto un "pretaccio".
P. O'Leary andò immediatamente dal condannato, il quale gli disse: "Sono cattolico, ma a diciotto anni, per la mia vita immorale, mi sono allontanato dalla Chiesa ".
Poi tutti uscirono; rimasero solo il sacerdote e il prigioniero. James Hughs si confessò come un bambino, con profondo pentimento.
Quando tutti rientrarono nella stanza, lo sceriffo domandò con curiosità: "Padre, cosa ha provocato il cambiamento di Hughs?".
"Non lo so ", rispose P. O'Leary, "non l 'ho chiesto". "Oh" disse lo sceriffo, "se non riesco a scoprirlo, non potrò chiudere occhio questa notte". E immediatamente si rivolse al condannato: "Allora, cosa ti ha fatto cambiare idea?
"Si ricorda l'uomo di colore, Claude Newman, che mi era tanto antipatico?", chiese un Hughs totalmente diverso. "Ebbene, egli stava qui in quell'angolo e dietro di lui, con le mani sulle spalle di
Claude, la Santa Vergine. Poi Claude mi ha detto:<<Ho offerto la mia morte in unione con Cristo sulla Croce per la tua salvezza. La Madonna ha ottenuto per te la grazia di vedere il luogo dell'inferno che ti é destinato, se non dovessi pentirti >> E in quell'attimo ho chiesto ad alta voce un prete". Poco dopo James Hughs fu giustiziato. Si era convertito all'ultimo momento.







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La vecchia suora che parla con Dio

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Sister_Maria

Stavo andando dove dovevo andare per Roma, vedo dal codice di percorso che il bus tarderà 35 minuti. Mi fermo allora in una chiesa là vicino la Nomentana, dove qualcuno sta celebrando. Non sapendo di andare incontro alla poesia e alla letteratura, alla mistica e al mistero del silenzioso Dio facitore di destini umani.
Ci sono delle suore, a messa. All’ingresso, sulla carrozzella, una suora vecchissima, nel suo delirio pieno, ma lucidissimo, saturo di un’ironia gentile e antica. La osservo e capisco che ormai ha persino smesso di parlare con gli uomini, di rispondere per mezzo deimediatores Dei; risponde direttamente a Dio, parla con lui: è già oltre.
La guardo e penso a Teresa D’Avila che combatte e si aggrappa a tutto per non essere staccata da terra durante certe liturgie, nelle quali è sospesa in aria, in levitazione: per non disturbare, per non distrarre l’attenzione delle altre dall’Unico, come se lei stesse lì sospesa per aria chissà a causa di chi.

Osservo intensamente la vecchia suora in carrozzella, deve avere quasi cent’anni.
E l’ascolto. Segue la messa ma risponde a Dio con parole sue che non sono quelle liturgiche, ma bellissime, e tutte pertinenti:
Prete: “Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi
Suora: “Io qua sto, non ti dimenticare: ti aspetto“.
Prete: “...questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi“.
Suora: “E questo, Cuore mio, è il mio corpo che ho offerto a te: ormai sono 70 anni

Come si può essere così innamorate alla sua età, età che in genere è tanto egoistica?, sto chiedendomi. O è pazzia? Ma non è forse stato detto, dagli psicanalisti, che l’innamoramento è una nevrosi? Non è forse fonte di ogni pazzia l’amore? Ma come si può essere “nevrotizzati”  così a lungo?, ancora mi chiedo.

E mi si ghiaccia il sangue quando il prete dice: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta“. E la vecchia suora ora ha sollevato il capo e mi guarda, ma non capisco se sta rispondendo a me o a Dio o al prete dicendo: “Cosa fa una sposa innamorata se non attendere lo sposo? Dopo viene la gioia“.
E mi imbarazzo dinanzi a questo momento che irrompe, così surreale, dinanzi a queste parole sature di metafore che mi confondono. E sorride. Sorride con i suoi occhi di un azzurro ormai sfumato e stinto. Sorride la vecchissima sposa di Cristo. Sorridendo la vedo già oltre: lo Sposo sta arrivando, è alle porte, lo avverto, la sposa è piena di gioia nuziale. Freme: finalmente vedrà il Suo volto. Sono stato certamente tra gli ultimi testimoni di questa vita vissuta come “altrove”.

Esco, per non turbare la loro intimità, ma sono scosso io stesso da questa “visione”, mentre mormoro il Te Deum: “In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum”.






[Modificato da Caterina63 16/12/2014 17:59]
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21/01/2015 13:03
 
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 "Il Padrone del Mondo" il libro consigliato da Papa Francesco



 

Copertina del libro “Il Padrone del Mondo” di Robert Benson - RV



20/01/2015 


 


Il Papa durante il colloquio con i giornalisti di ritorno dalle Filippine, parlando della “colonizzazione ideologica”, ha suggerito la lettura del libro “Il Padrone del Mondo” di Robert Benson per capire cosa intendesse dire. Un'opera d'inizio '900 che descrive l'instaurazione, nel 2000, di una dittatura di stampo umanitarista, che predica la tolleranza universale per tutti, tranne che per la Chiesa, che viene perseguitata. Massimiliano Menichetti:


La dittatura del pensiero unico
Anglicano, quarto figlio dell’arcivescovo di Canterbury, Robert Benson, si converte al cattolicesimo e nel 1907 scrive “The Lord of the World”, “Il Padrone del mondo”. Testo visionario in cui si concretizza la battaglia finale tra il bene ed il male. Da una parte il trentatreenne Giuliano Felsenburgh che evita lo scontro tra Occidente ed Oriente, acclamato poi presidente d’Europa che instaurerà di fatto la dittatura del pensiero unico; dall’altra gli si oppone il sacerdote Percy Franklin, anche lui 33 anni, che diventerà Papa. Claudio Siniscalchi, docente all’Università Lumsa di Roma nel corso di lingue e culture moderne:

R. - Giuliano è la materializzazione dell’anticristo. Promette l’abolizione di ogni preoccupazione: non ci sarà più guerra, non ci sarà più violenza, non ci sarà più povertà… Si presenta come colui che, sotto le sembianze del salvatore, in realtà assoggetta l’umanità. Diventa non il padrone di una nazione, ma il padrone del mondo. L’organismo globale della terra concede a lui il potere, perché la cosa straordinaria non è tanto che questo “messia capovolto” prenda il potere con la forza, con il colpo di Stato, ma lo prende con il consenso di coloro ai quali sta togliendo la libertà. E naturalmente la prima cosa che fa: deve fare a meno della religione.

Cattolici perseguitati
D. - Benson immagina un mondo dove Dio è ridotto a mero individualismo in cui viene creata una entità “La Grande fratellanza universale” che propugna la pace e l’allontanamento di ogni forma di dolore:

R. - Come si rivolve la sofferenza della morte? Con l’eutanasia! Non c’è più destra, sinistra; non c’è più religione positiva o negativa; non c’è più partito o sindacato. Benson, per primo, ha la visione del partito unico totalitario. Chi si oppone - e naturalmente sono i cattolici che si oppongono a questa deriva che il mondo sta prendendo – sono perseguitati. La pace di Giuliano è la pace di chi accetta quello che dice lui e nel momento in cui non si accetta è la guerra. L’intuizione di Benson è quella di contestare un elemento che è stato devastante per il novecento: la perfezione dell’uomo, l’insaturazione del paradiso artificiale sulla terra. Perché questa visione paradisiaca del mondo ha bisogno che il trattore del progresso distrugga tutto.

La propaganda della menzogna
D. - Questa modalità è definita da Papa Francesco “colonizzazione ideologica”in cui in nome di un presunto benessere tutto il resto deve essere annientato:

R. - Perché è la forza della menzogna contro la forza della verità. La propaganda fa sì che ci sia una nuova schiavitù dell’uomo. La fratellanza del mondo è importantissima, ma il prezzo che l’anticristo  fa pagare a quella parte dell’umanità che si oppone, perché vede il vero pericolo, è il contrario di quello che viene detto.

Distruzione di Roma
D. - Il testo parla di rischio di scontro tra Oriente ed Occidente, di attacchi kamikaze… Benson arriva ad ipotizzare la distruzione di Roma:

R. - Questo fondamentalmente è un libro per dire: ‘Fate attenzione, avete preso una strada sbagliata’!”

Il Padrone del Mondo non trionferà
D. - Ma chi vince la battaglia nel libro di Benson?

R. - Il padrone del mondo non trionferà mai, perché in Benson c’è una visione affidata alla Onnipotenza di Dio, che non lascerà mai solo l’uomo: lo aiuterà. Ci saranno sofferenze enormi che l’uomo dovrà affrontare, ma alla fine trionferà il bene. Benson non aveva una visione oscura.

il sito cooperatores veritatis vi offre di scaricarlo gratuitamente:

 

Il Padrone del mondo o il dominatore del mondo di padre Benson
Il testo, di inizio '900, parla in modo profetico del rischio di uno scontro tra Oriente ed Occidente, di attacchi kamikaze… Benson arriva ad ipotizzare la distruzione di Roma...
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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La Chiesa e noi di San Gregorio Magno


In questo Anno dedicato alla Vita Consacrata, ma anche per noi Laici impegnati nelle famiglie e nel mondo, così come nei vari Terz'Ordini, giunge davvero a proposito un bellissimo paragrafo di San Gregorio Magno dal Commento al Libro del Cantico dei cantici. In questo passo, che vi offriamo in audio e con il testo scritto in italiano e in latino

www.youtube.com/watch?v=kd5KwppTd4E

il santo Pontefice ci aiuta intanto a come predisporci per una lettura edificante e fruttuosa del testo, poi spiega davvero in modo semplice la visione escatologica della Chiesa quale Sposa e del Signore in quanto Sposo, le promesse e la fedeltà del Signore, così quale è il nostro ruolo e il nostro compito di Battezzati.
Ci aiuta a comprendere il valore dei due Sacramenti quali il Matrimonio e l'Ordinazione sacra i quali, lungi dall'essere contrapposti o in lotta fra loro, bensì diversi fra loro - non separati - ma uniti in un unico scopo: vivere in pienezza l'unione sponsale di Dio con la Chiesa sua Sposa e noi, membra unite dal Battesimo e, da questa Sposa, rigenerate in Cristo, per Cristo e con Cristo, il degnissimo ed amabile Sposo.

[SM=g1740738] Buona meditazione a tutti.

****

8. Bisogna notare che nella Scrittura il Signore definisce se stesso talvolta signore, talvolta padre, talvolta ancora sposo. Si fa chiamare signore quando vuole incutere timore, padre quando chiede onore, sposo quando vuol essere amato30. Per bocca del profeta dice: Se sono il Signore, dov’è il timore che m'appartiene? E se io sono padre, dov'è l'onore che m'è dovuto?31. E ancora: Ti ho resa mia sposa nella giustizia e nella fedeltà32. Quindi: Mi sono ricordato del tempo del tuo fidanzamento nel deserto33. Certamente in Dio non c'è un tempo e un tempo, ma come vuol essere prima temuto per essere anche onorato e vuol essere prima onorato perché si giunga ad amarlo, così egli si fa chiamare signore per essere temuto, padre per essere onorato e sposo per essere amato.

È infatti attraverso il timore che si giunge all'onore e attraverso l'onore si giunge all'amore. E quanto più l'onore supera in dignità il timore, tanto più Dio preferisce farsi chiamare padre anziché signore; e quanto più caro è l'amore rispetto all'onore, tanto più Dio preferisce farsi chiamare sposo anziché padre. Perciò in questo libro il Signore e la Chiesa vengono chiamati non "signore" e "ancella", ma "sposo" e "sposa", così che essa lo serva non col solo timore e neppure con la sola riverenza, ma anche con l'amore, e con queste parole esteriori venga suscitato l'affetto interiore.

Quando si presenta col nome di signore indica che noi siamo sue creature; col nome di padre indica che noi siamo figli adottivi; e col nome di sposo la nostra unione con lui. Ed essere uniti a Dio è cosa ben più grande che essere semplici creature o figli adottivi. In questo libro, dove lo si chiama col nome di sposo, si insinua dunque qualcosa di sublime, in quanto in esso si mostra un patto di unione.

A questi nomi nel Nuovo Testamento si ricorre ripetutamente, poiché qui viene celebrata l'unione del Verbo e della carne, di Cristo e della Chiesa. Per questo Giovanni dice, riferendosi al Signore che viene: Colui che possiede la sposa è lo sposo34.

E il Signore stesso afferma: Gli amici dello sposo non digiuneranno finché lo sposo è con loro35. E alla Chiesa viene detto: Vi ho promesso a un unico sposo, per presentarvi a Cristo quale vergine casta36.

E ancora: Al fine di far comparire la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga . E nell'Apocalisse, Giovanni esclama: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!38. E infine: Vidi anche la sposa scendere dal cielo, come appena sposata39 .

9. Il fatto che questo poema venga collocato al terzo posto fra i libri di Salomone non contrasta con la grandezza del mistero. Gli antichi affermavano infatti che sono tre gli ordini della vita: morale, naturale e contemplativo, e i Greci li definivano etica, fisica e teorica40. I Proverbi hanno come oggetto la vita morale, dove si dice: Figlio mio, ascolta la mia sapienza e porgi l'orecchio alla mia intelligenza41 .

L'Ecclesiaste invece tratta la vita naturale, in quanto prende in considerazione il fatto che ogni cosa tende al suo fine quando dice: Vanità delle vanità, tutto è vanità42 . Infine, il Cantico dei cantici presenta la vita contemplativa, in quanto in esso trova espressione il desiderio della venuta e della contemplazione del Signore, quando si dice nelle parole dello sposo: Vieni dal Libano, vieni43 .

Questi gradi sono raffigurati anche dalla vita dei tre patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe.

Abramo ha vissuto la vita morale obbedendo44 . Isacco è immagine della vita naturale scavando i pozzi, poiché il gesto di scavare pozzi in profondità significa, mediante la riflessione sulla natura, aprire un varco scrutando tutte le realtà inferiori. Giacobbe, infine, ha coltivato la vita contemplativa, poiché ha visto gli angeli salire e scendere 45.

E poiché la contemplazione della natura non conduce alla perfezione se prima non si coltiva la vita morale, a ragione l'Ecclesiaste è collocato dopo il libro dei Proverbi. E poiché non si può volgere lo sguardo alla contemplazione delle realtà superiori se prima non lo si allontana dalle cose inferiori, giustamente il Cantico dei cantici si trova dopo l'Ecclesiaste.

Dunque, occorre anzitutto mettere ordine nella vita morale, poi considerare le cose presenti come se non ci fossero, in terzo luogo contemplare le cose superiori e interiori con lo sguardo acuto del cuore. Questi gradi dei libri [di Salomone] sono così disposti come una scala che porta alla contemplazione di Dio.

Infatti, compiendo bene dapprima tutto ciò che in questo mondo è onesto, poi allontanando lo sguardo anche da ciò che è buono, si arriva infine a contemplare i misteri nascosti di Dio. Così, in questo libro, attraverso la voce della Chiesa, si esprime in generale l'attesa della venuta del Signore, mentre in particolare ogni anima guarda la venuta di Dio nel proprio cuore, come sposo che entra nella camera nuziale.

10. Bisogna sapere che in questo libro vengono messi in scena quattro personaggi che intervengono con la parola: cioè lo sposo e la sposa, le giovinette che accompagnano la sposa e il gruppo dei compagni dello sposo.

La sposa rappresenta la Chiesa nella sua perfezione; lo sposo il Signore; le giovinette che accompagnano la sposa sono le anime principianti, destinate a crescere nel nuovo compito; i compagni dello sposo, infine, sono sia gli angeli che spesso, venendo da lui sono apparsi agli uomini, sia i perfetti che nella Chiesa sanno annunciare agli uomini la verità.

Tuttavia, coloro che singolarmente sono giovinette o compagni, tutti insieme sono la sposa, perché tutti insieme formano la Chiesa. Ma anche considerati singolarmente possono attribuirsi i tre nomi. Chi infatti ama perfettamente Dio è la sposa; chi annuncia lo sposo è un compagno; chi infine segue la via del bene come principiante è come una giovinetta. Siamo dunque invitati ad essere sposa; tuttavia, se non ne siamo ancora capaci, siamo almeno compagni; e se neppure di questo siamo all'altezza, andiamo almeno tutti insieme come le giovinette verso la camera nuziale. Poiché dunque abbiamo detto che lo sposo e la sposa sono il Signore e la Chiesa, ascoltiamo anche noi le parole dello sposo come fanno le giovinette e i compagni, ascoltiamo le parole della sposa e impariamo dai loro discorsi il fervore dell'amore.

11. Così, la santa Chiesa, che ha atteso a lungo la venuta del Signore, e che intensamente è assetata della fonte della vita, proclami come aspiri a contemplare lo sposo presente e quanto lo desideri.



NOTE

30 In tutto questo paragrafo, attraverso le tre figure del signore, del padre e dello sposo, Gregorio ripropone un itinerario tradizionale, ereditato da Origene, da Ambrogio e da Agostino. Partendo dal grado iniziale del timore reverenziale, rivolto a Dio ancora concepito come un signore o un padrone, passa attraverso l'onore a lui dovuto come padre, per approdare infine all'amore, come verso uno sposo mediante l'incarnazione del Figlio.

31 MI 1,6.

32 Os 2,19-20.

33 Ger 2,2.

34 Gv 3,29.

35 Mt 9,15.

36 2Cor 11,2.

37 Ef 5,27

38 Ap 19,9

39 Ap 21,2

40 Gregorio riprende sinteticamente in queste righe una teoria, diventata tradizionale fin dal commento origeniano al Cantico/ secondo la quale i libri salomonici venivano classificati in relazione alle scienze profane: ai Proverbi corrispondeva l'etica, al Qoelet la fisica e al Cantico la logica o la teologia. Tale classificazione dei libri di Salomone, veniva a proporre i gradi di un progresso spirituale.

41 Pr 5,1

42 Q0 1,2

43 Ct 4,8

44 cfr Gn 12,4

45 Gn 28,12



fonte: Commento al Cantico dei Cantici di San Gregorio Magno - Ed. Glossa - coll. Sapientia

www.cooperatoresveritatis.net/it/la-chiesa-e-noi-di-san-gregor...

Si legga anche: LETTERA DI SANT'AGOSTINO AI PENTECOSTALI A.D.2014
www.cooperatoresveritatis.gomilio.com/it/lettera-di-santagostino-ai-pentecostali-...
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[SM=g1740758] in latino

8. Et notandum, quia aliquando se dominus in scriptura sacra dominum uocat, aliquando patrem, aliquando sponsum. Quando enim uult se timeri, dominum se nominat; quando uult honorari, patrem; quando uult amari, sponsum. Ipse per prophetam dicit: Si dominus ego sum, ubi est timor meus? Si pater ego sum, ubi est honor meus? Et rursum dicit: Desponsaui te mihi in iustitia et fide. Vel certe: Recordatus sum diei desponsationis tuae in deserto. Et quidem apud deum quando et quando non est; sed, quia prius timeri se uult ut honoretur, et prius honorari ut ad eius amorem perueniatur, et dominum se propter timorem nominat et patrem propter honorem et sponsum propter amo- rem: ut per timorem ueniatur ad honorem, per honorem uero eius perueniatur ad amorem.

Quanto ergo dignius est honor quam timor, tanto plus gaudet deus pater dici quam dominus: et, quanto carius est amor quam honor, tanto plus gaudet deus sponsus dici quam pater. In hoc ergo libro dominus et ecclesia non «dominus» et «ancilla», sed «sponsus» nominatur et «sponsa»: ut non soli timori, non soli reuerentiae, sed etiam amori deseruiatur et in his uerbis exterioribus incitetur affectus interior. Cum se dominum nominat, indicat quod creati sumus; cum se patrem nominat, indicat quod adoptati; cum se sponsum nominat, indicat quod coniuncti. Plus autem est coniunctos esse deo, quam creatos et adoptatos.

In hoc ergo libro, ubi sponsus dicitur, aliquid sublimius insinuatur, dum in eo foedus coniunctionis ostenditur. Quae nomina in testamento nouo (quia iam peracta coniunctio uerbi et carnis, Christi et ecclesiae, celebrata est) frequenti iteratione memorantur. Vnde Iohannes dicit, domino ueniente: Qui habet sponsam, sponsus est. Vnde idem dominus dicit: Non ieiunabunt filii sponsi, quandiu cum illis est sponsus. Vnde ecclesiae dicitur: Desponsaui uos uni uiro uirginem castam exhibere Christo. Et rursum: Vt exhiberet gloriosam ecclesiam, non habentem maculam aut rugam. Et rursum in Apocalypsi Iohannis: Beati, qui ad coenam nuptiarum agni uocati sunti Et rursum ibidem: Et uidi sponsam quasi nouam nuptam descendentem de caelo.

9. Nec hoc a magno mysterio abhorret, quod liber iste Salomonis tertius in opusculis eius ponitur. Veteres enim tres uitae ordines esse dixerunt: moralem, naturalem et contemplatiuam; quas graeci uitas ethicam, fisicam, theoricam nominauerunt. In Prouerbiis quoque moralis uita exprimitur, ubi dicitur: Audi, fili mi, sapientiam meam et prudentiae meae inclina aurem tuam. In Ecclesiasten uero, naturalis: ibi quippe, quod omnia ad finem tendant, consideratur, cum dicitur: Vanitas uanitantium et omnia uanitas.

In Canticis uero canticorum contemplatiua uita exprimitur, dum in eis ipsius domini aduentus et adspectus desideratur, cum sponsi uoce dicitur: Veni de Libano, ueni. Hos etiam ordines trium patriarcharum uita signauit: Abraham, Isaac uidelicet et Iacob. Moralitatem quippe Abraham oboediendo tenuit. Isaac uero naturalem uitam puteos fodiendo figurauit: in imo enim puteos fodere est per considerationem naturalem omnia, quae infra sunt, perscrutando rimari. Iacob uero contemplatiuam uitam tenuit, qui ascendentes et descendentes angelos uidit. Sed, quia naturalis consideratio ad perfectionem non perducitur, nisi prius moralitas teneatur, recte post Prouerbia Ecclesiastes ponitur.

Et, quia superna contemplatio non conspicitur, nisi prius haec infra labentia despiciantur, recte post Ecclesia- sten Cantica canticorum ponitur. Prius quippe est mores conponere; postmodum omnia, quae adsunt, tamquam non adsint considerare; tertio uero loco munda cordis acie superna et interna conspice- re. His itaque librorum gradibus quasi quandam ad contemplationem dei scalam fecit: ut, dum primum in saeculo bene geruntur honesta, postmodum etiam honesta saeculi despiciantur, ad extremum etiam dei intima conspiciantur. Sic autem generaliter ex uoce ecclesiae aduentus domini in hoc opere praestolatur, ut etiam specialiter unaquaeque anima ingressum dei ad cor suum tamquam aditum sponsi in thalamum adspiciat.

10. Et sciendum quia in hoc libro quatuor personae loquentes introducuntur: sponsus uidelicet, et sponsa, adulescentulae uero cum sponsa, et greges sodalium cum sponso. Sponsa enim ipsa perfecta ecclesia est; sponsus, dominus; adulescentulae uero cum sponsa sunt inchoantes animae et per nouum studium pubescentes; sodales uero sponsi sunt siue angeli, qui saepe hominibus ab ipso uenientes apparuerunt, seu certe perfecti quique uiri in ecclesia, qui ueritatem hominibus nuntiare nouerunt.

Sed hi, qui singillatim adulescentulae uel sodales sunt, toti simul sponsa sunt, quia toti simul ecclesia sunt. Quamuis et iuxta unum quemque tota haec tria nomina accipi possint.

Nam, qui deum iam perfecte amat, sponsa est; qui sponsum praedicat, sodalis est; qui adhuc nouellus uiam bonorum sequitur, adulescentula est. Inuitamur ergo, ut simus sponsa; si hoc necdum praeualemus, simus sodales; si neque hoc adepti sumus, saltem adhuc thalamum adulescentulae conueniamus. Quia igitur sponsum et sponsam dominum et ecclesiam diximus, uelut adulescentulae uel ut sodales audiamus uerba sponsi, audiamus uerba sponsae, et in eorum sermonibus feruorem discamus amoris.

11. Itaque, sancta ecclesia, diu praestolans aduentum domini, diu sitiens fontem uitae, quomodo optet uidere praesentiam sponsi sui, quomodo desideret, edicat.

Laudetur Jesus Christus






[SM=g1740738]
[Modificato da Caterina63 21/02/2015 12:33]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  S. Alfonso Maria de' Liguori: Avvertimenti necessari per salvarsi


 



Avvertimenti necessari...per salvarsi

(S. Alfonso Maria de Liguori, “OPERE ASCETICHE” Vol. II, pp. 197 - 200, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1962)

La teologia di S. Alfonso, la sua ascetica e la sua morale, nascono da una fede incorrotta e da un'anima apostolica.

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Iddio vuole salvi tutti: Omnes homines vult salvos fieri. 1 Tim. 2. 4. E vuol dare a tutti l'aiuto necessario per salvarsi; ma non lo concede se non a coloro che lo dimandano, come scrive S. Agostino: Non dat nisi petentibus. In Psalm. 100 1. Ond'è sentenza comune de' Teologi e Santi Padri, che la Preghiera agli Adulti è necessaria di necessità di mezzo, viene a dire, che chi non prega, e trascura di dimandare a Dio gli aiuti opportuni per vincere le tentazioni, e conservare la grazia ricevuta, non può salvarsi.

Il Signore all'incontro non può lasciare di conceder le grazie a chi le dimanda, perché l'ha promesso. Clama ad me, et exaudiam te. Jer. 33. 3. Ricorri a me, ed Io non mancherò di esaudirti.Quodcunque volueritis, petetis, et fiet vobis. Jo. 15. 7. Dimandate da Me quel che volete, e tutto otterrete. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7. Dimandate e vi sarà dato. Queste promesse non però non s'intendono fatte per beni temporali, perché questi Iddio non li dà, se non quando sono per giovare all'Anima; ma per le grazie spirituali le ha promesse assolutamente ad ognuno, che ce le dimanda; ed avendocele promesse, è obbligato a darcele: Promittendo debitorem Se fecit, dice S. Agostino. De Verb. Dom. Serm. 2 2

Bisogna poi avvertire, che Dio ha promesso di esaudir la Preghiera, ma a riguardo nostro è precetto grave il pregare. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7. Oportet semper orare. Luc. 18. 1. Queste parole petiteoportet, come insegna S. Tommaso (3. p. q. 39. a. 5.) importano precetto grave, che obbliga per tutta la vita, e specialmente quando l'Uomo si vede in pericolo di morte, o di cadere in peccato; perché allora, se non ricorre a Dio, certamente resterà vinto. E chi trovasi già caduto in disgrazia di Dio, esso commette nuovo peccato, se non ricorre a Dio per aiuto ad uscire dal suo miserabile stato. Ma Dio potrà esaudirlo, vedendolo - 198 - fatto suo nemico? Si, ben l'esaudisce, quando il peccatore umiliato lo prega di cuore a perdonarlo; poiché sta scritto nel Vangelo: Omnis enim qui petit, accipit. Luc. 11. 10. Dicesi omnis, ognuno sia giusto, sia peccatore, quando prega, Dio ha promesso di esaudirlo. In altro luogo dice Dio: Invoca me, et eruam te. Psalm. 49. 15. Chiamami, ed Io ti libererò dall'Inferno, ove stai condannato.
 
No, che non vi sarà scusa nel giorno del Giudizio, per chi muore in peccato. Né gli gioverà dire, ch'egli non avea forza di resistere alla tentazione, che lo molestava; perché Gesù Cristo gli risponderà: se tu non l'avevi questa forza, perché non l'hai domandata, ch'Io ben te l'avrei data? E se già eri caduto in peccato, perché non sei ricorso a Me, ch'Io te ne avrei liberato?

Pertanto, Lettor mio, se vuoi salvarti, e mantenerti in grazia di Dio, bisogna, che spesso lo preghi a tenerti le mani sopra. Dichiarò il Concilio di Trento (Sess. 6. cap. 13. can. 22.) che a perseverare l'Uomo in grazia di Dio, non basta l'aiuto generale che Egli dona a Tutti, ma vi bisogna un aiuto speciale, il quale non si ottiene se non colla Preghiera. Perciò dicono tutti i Dottori, che ciascuno è tenuto sotto colpa grave a raccomandarsi spesso a Dio con domandargli la santa perseveranza, almeno una volta il mese. E chi si trova in mezzo a più occasioni pericolose, è obbligato a domandare più spesso la grazia della perseveranza.
 
Molto giova poi per ottenere questa grazia il mantenere una divozione particolare alla Madre di Dio, che si chiama la Madre della Perseveranza. Chi non si raccomanda alla Beata Vergine, difficilmente avrà la perseveranza; mentre dice S. Bernardo 3, che tutte le grazie divine, e specialmente questa della perseveranza, ch'è la maggiore di tutte, vengono a noi per mezzo di Maria.
 
Oh volesse Dio, ed i Predicatori fossero più attenti ad insinuare ai loro Uditori questo gran mezzo della Preghiera! Alcuni in tutto il lor Quaresimale appena la nomineranno una o due volte, e quasi di passaggio; quando dovrebbero parlarne di proposito più volte, e quasi in ogni Predica; gran conto dovran renderne a Dio, se trascurano di farlo E così anche molti Confessori attendono solo al proposito de' Penitenti di non offender più Dio; e poco si prendono fastidio d'insinuar loro la preghiera, per quando saran tentati di nuovo a cadere; ma bisogna persuadersi, che quando la tentazione è forte, se il Penitente non domanda aiuto a Dio per resistere, poco gli serviranno tutti i propositi fatti, la sola preghiera può salvarlo. È certo che chi prega, si salva, chi non prega, si danna.
 
E perciò, Lettor mio, replico, se vuoi salvarti, prega continuamente il Signore, che ti dia luce e forza di non cadere in peccato. In ciò bisogna essere importuno con Dio, in domandargli questa grazia.Haec importunitas (dice S. Girolamo) apud Dominum opportuna est 4. Ogni mattina non lasciar di pregarlo a liberarti da' peccati di quel giorno. E quando si affaccia alla mente qualche mal pensiero, o qualche cattiva occasione, subito, senza metterti a discorrere colla tentazione, subito ricorri a Gesù Cristo, e alla Santa Vergine, dicendo: Gesù mio aiutami, Maria SS. soccorrimi. Basta allora nominare Gesù e Maria, per svanir la tentazione; ma se la tentazione persiste, seguita ad invocare Gesù e Maria per aiuto, che non resterai mai vinto.


1 [5-6.] S. AGOST., In Ps. 102, n. 10: «non dat nisi petenti»; PL 37, 1324.  
2 [20-21.] S. AGOST., Sermo 110 (al. 31 De verbis Dom. ), c. IV, n. 4; PL 38, 640-641.
3 [26.] S. BERNARDO, Sermo de aquaeductu, n. 7; PL 183, 441. 
4 [7-8.] Ps.-s. s. GIROL., Epist. 39 (al. Hom. super  Matth., ma Luc. 11), n. 4; PL 30, 277.




Gli spettatori del male che non vedono Dio

Uno scritto di Ratzinger sul Venerdì Santo.

Cristo, Auschwitz, i demoni della Storia

di Joseph Ratzinger

Il Venerdì Santo della storia negli orrori del Novecento, dalla Shoah al grido dei poveri, «gli slums degli affamati e dei disperati».
Il testo che pubblichiamo è la prima parte del saggio di apertura del libro «Gesù di Nazaret.
Scritti di cristologia», secondo tomo del volume VI della Opera omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, che verrà pubblicato a novembre in traduzione italiana dalla Libreria Editrice Vaticana.

Scritto nel 1973, il testo è uscito nel 2014 in Germania presso la casa editrice Herder, che sta pubblicando le Gesammelte Schriften di Ratzinger, a cura del cardinale Gerhard Ludwig Müller. Una riflessione vertiginosa in risposta al grido degli ultimi: «Dove sei, Dio, se hai potuto creare un mondo così?»

******

Nelle grandi composizioni sulla Passione di Johann Sebastian Bach, che ogni anno ascoltiamo durante la Settimana Santa con emozione sempre nuova, il terribile avvenimento del Venerdì Santo è immerso in una trasfigurata e trasfigurante bellezza.
Certo, queste Passioni non parlano della Risurrezione - si concludono con la sepoltura di Gesù -, ma nella loro limpida solennità vivono della certezza del giorno di Pasqua, della certezza della speranza che non svanisce nemmeno nella notte della morte. Oggi, questa fiduciosa serenità della fede - che non ha nemmeno bisogno di parlare di Risurrezione, perché è in essa che la fede vive e pensa - ci è diventata stranamente estranea. Nella Passione del compositore polacco Krzysztof Penderecki è scomparsa la serenità quieta di una comunità di fedeli che quotidianamente vive della Pasqua. Al suo posto risuona il grido straziante dei perseguitati di Auschwitz, il cinismo, il brutale tono di comando dei signori di quell’inferno, le urla zelanti dei gregari che vogliono salvarsi così dall’orrore, il sibilo dei colpi di frusta dell’onnipresente e anonimo potere delle tenebre, il gemito disperato dei moribondi.

È il Venerdì Santo del XX secolo. Il volto dell’uomo è schernito, ricoperto di sputi, percosso dall’uomo stesso. «Il capo coperto di sangue e di ferite, pieno di dolore e di scherno» ci guarda dalle camere a gas di Auschwitz. Ci guarda dai villaggi devastati dalla guerra e dai volti dei bambini stremati nel Vietnam; dalle baraccopoli in India, in Africa e in America Latina; dai campi di concentramento del mondo comunista che Alexandr Solzhenitsyn ci ha messo davanti agli occhi con impressionante vivezza. E ci guarda con un realismo che sbeffeggia qualsiasi trasfigurazione estetica. Se avessero avuto ragione Kant e Hegel, l’illuminismo che avanzava avrebbe dovuto rendere l’uomo sempre più libero, sempre più ragionevole, sempre più giusto. Dalle profondità del suo essere salgono invece sempre più quei demoni che con tanto zelo avevamo giudicato morti, e insegnano all’uomo ad avere paura del suo potere e insieme della sua impotenza: del suo potere di distruzione, della sua impotenza a trovare se stesso e a dominare la sua disumanità.

Il momento più tremendo del racconto della Passioneè certo quello in cui, al culmine della sofferenza sulla croce, Gesù grida a gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Sono le parole del Salmo con le quali Israele sofferente, maltrattato e deriso a causa della sua fede, grida in faccia a Dio il suo bisogno d’aiuto. Ma questo grido di preghiera di un popolo, la cui elezione e comunione con Dio sembra essere diventata addirittura una maledizione, acquista tutta la sua tremenda grandezza solo sulle labbra di colui che è proprio la vicinanza redentrice di Dio fra gli uomini. Se sa di essere stato abbandonato da Dio lui, allora dove è ancora possibile trovare Dio? Non è forse questa la vera eclissi solare della storia in cui si spegne la luce del mondo? Oggi, tuttavia, l’eco di quel grido risuona nelle nostre orecchie in mille modi: dall’inferno dei campi di concentramento, dai campi di battaglia dei guerriglieri, dagli slums degli affamati e dei disperati: «Dove sei Dio, se hai potuto creare un mondo così, se permetti impassibile che a patire le sofferenze più terribili siano spesso proprio le più innocenti tra le tue creature, come agnelli condotti al macello, muti, senza poter aprire bocca?».

L’antica domanda di Giobbe si è acuita come mai prima d’ora. A volte prende un tono piuttosto arrogante e lascia trasparire una malvagia soddisfazione. Così, ad esempio, quando alcuni giornali studenteschi ripetono con supponenza quel che in precedenza era stato inculcato loro, e cioè che in un mondo che ha dovuto imparare i nomi di Auschwitz e del Vietnam non è più possibile parlare sul serio di un Dio «buono». In ogni caso, il tono falso che troppo spesso l’accompagna, nulla toglie all’autenticità della domanda: nell’attuale momento storico è come se tutti noi fossimo posti letteralmente in quel punto della passione di Gesù in cui essa diviene grido d’aiuto al Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Cosa si può dire? Si tratta al fondo di una domanda che non è possibile dominare con parole e argomentazioni, perché arriva a una profondità tale che la pura razionalità e la parola che ne deriva non sono in grado di misurare: il fallimento degli amici di Giobbe è l’ineludibile destino di tutti quelli che pensano di poter risolvere la questione, in modo positivo o negativo che sia, con abili ragionamenti e parole. È una domanda che può solo essere vissuta, patita: con colui e presso colui che sino alla fine l’ha patita per tutti noi e con tutti noi.

Un superbo credere di poter risolvere la questione - vuoi nel senso di quei giornali studenteschi, vuoi nel senso dell’apologetica teologica - finisce per non centrare l’essenziale. Al massimo si può offrire qualche spunto.
Va notato innanzitutto che Gesù non constata l’assenza di Dio, ma la trasforma in preghiera. Se vogliamo porre il Venerdì Santo del ventesimo secolo dentro il Venerdì Santo di Gesù, dobbiamo far coincidere il grido d’aiuto di questo secolo con quello rivolto al Padre, trasformarlo in preghiera al Dio comunque vicino. Si potrebbe subito proseguire la riflessione e dire: è veramente possibile pregare con cuore sincero quando nulla si è fatto per lavare il sangue degli oppressi e per asciugarne le lacrime? Il gesto della Veronica non è il minimo che debba accadere perché sia lecito iniziare a parlare di preghiera? Ma soprattutto: si può pregare solo con le labbra o non è sempre necessario invece tutto l’uomo?

Limitiamoci a questo accenno, per considerare un secondo aspetto: Gesù ha veramente preso parte alla sofferenza dei condannati, mentre in genere noi, la maggior parte di noi, siamo solo spettatori più o meno partecipi delle atrocità di questo secolo. A questo si collega un’osservazione di un certo peso. È curioso infatti che l’affermazione che non può esserci più alcun Dio, che Dio dunque è totalmente scomparso, si levi con più insistenza dagli spettatori dell’orrore, da quelli che assistono a tali mostruosità dalle comode poltrone del proprio benessere e credono di pagare il loro tributo e tenerle lontane da sé dicendo: «Se accadono cose così, allora Dio non c’è». Per coloro che invece in quelle atrocità sono immersi, l’effetto non di rado è opposto: proprio lì riconoscono Dio. Ancora oggi, in questo mondo, le preghiere si innalzano dalle fornaci ardenti degli arsi vivi, non dagli spettatori dell’orrore.

Non è un caso che proprio quel popolo che nella storia più è stato condannato alla sofferenza, che più è stato colpito e ridotto in miseria - e non solo negli anni 1940-1945, ad «Auschwitz» -, sia divenuto il popolo della Rivelazione, il popolo che ha riconosciuto Dio e lo ha manifestato al mondo. E non è un caso che l’uomo più colpito, che l’uomo che più ha sofferto - Gesù di Nazaret - sia il Rivelatore, anzi: era ed è la Rivelazione. Non è un caso che la fede in Dio parta da un capo ricoperto di sangue e ferite, da un Crocifisso; e che invece l’ateismo abbia per padre Epicuro, il mondo dello spettatore sazio.

D’improvviso balena l’inquietante, minacciosa serietà di quelle parole di Gesù che abbiamo spesso accantonato perché le ritenevamo sconvenienti: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. Ricco vuol dire uno che «sta bene», uno cioè che è sazio di benessere materiale e conosce la sofferenza solo dalla televisione. Proprio di Venerdì Santo non vogliamo prendere alla leggera queste parole che ci interpellano ammonitrici. Di sicuro non vogliamo e non dobbiamo procurarci dolore e sofferenza da noi stessi.

È Dio che infligge il Venerdì Santo, quando e come vuole. Ma dobbiamo imparare sempre più - e non solo a livello teorico, ma anche nella pratica della nostra vita - che tutto il buono è un prestito che viene da Lui e ne dovremo rispondere davanti a Lui. E dobbiamo imparare - ancora una volta, non solo a livello teorico, ma nel modo di pensare e di agire - che accanto alla presenza reale di Gesù nella Chiesa e nel sacramento, esiste quell’altra presenza reale di Gesù nei più piccoli, nei calpestati di questo mondo, negli ultimi, nei quali egli vuole essere trovato da noi. E, anno dopo anno, il Venerdì Santo ci esorta in modo decisivo ad accogliere questo nuovamente in noi .


(Traduzione di Pierluca Azzaro, - Libreria Editrice Vaticana 2015)




ITINERARI DI FEDE
 

La Basilica di Santa Croce, nel luogo e nell'aspetto che noi ammiriamo risale al 1548, ma la sua storia, insieme all'annesso Convento dei Padri Celestini è ben più articolata. Successivamente la chiesa fu titolata alla Santa Croce: nel 1571 la vittoria di Lepanto aveva dato infatti una dura sconfitta ai Turchi infedeli. 

di Margherita Del Castillo
La Basilica della Santa Croce di Lecce


“Templum hoc Deo Crucis vexillo dicatum.” Questa chiesa è dedicata a Dio e al simbolo della Croce, recita un cartiglio sulla facciata di Santa Croce a Lecce. La battaglia di Lepanto del 1571 aveva da poco scongiurato, nel segno del Sacro Legno, l’avanzata dei Turchi infedeli e il tempio pugliese dei Celestini intendeva ricordare, con le sue forme monumentali, questa storica vittoria della fede.  L’iscrizione prosegue ricordando l’anno del Signore della sua posa: 1582. A questa data risale la conclusione della prima fase dei lavori iniziati nel 1548 per volere degli Spagnoli di Carlo V che, considerando Lecce avamposto strategico del loro viceregno, avevano predisposto una rivisitazione urbanistica della città coinvolgendo anche la prima basilica celestina che era stata abbattuta. 

La nuova chiesa venne affidata all’estro di Gabriele Riccardi che contaminò lo stile rinascimentale con quello barocco dando vita ad un’architettura originale e maestosa. Il Riccardi portò a termine il primo ordine del prospetto principale fino all’imponente balconata sostenuta da telamoni animali e figure grottesche. Sulla balaustra due putti abbracciano il simbolo del potere temporale, la corona, e la tiara, simbolo del potere ecclesiastico. I tre portali vennero aggiunti all’inizio del secolo successivo, sormontati dalle insegne spagnole, da quelle della Congregazione dei Celestini e dallo stemma della città pugliese. Poco più tardo è lo splendido rosone aperto al centro dell’ordine superiore della facciata, che con i suoi tre sistemi di rilievi concentrici si ispira a modelli romanici. 

Il corpo interno a croce latina, inizialmente scandito da cinque navate, fu nel settecento modificato con due serie di cappelle che sostituirono le navate esterne. Quella centrale è sormontata da un fastoso soffitto a cassettoni dorati. Le colonne portanti sono in numero di dodici che rimanda, seguendo le indicazioni conciliari, agli Apostoli il cui volto è scolpito sul versante interno. I capitelli delle colonne binate, che delimitano il transetto e l’arco trionfale, riproducono invece i simboli degli Evangelisti. Un’ampia cupola,  decorata con festoni di foglie d'acanto, angioletti e motivi floreali, si innalza su un alto tamburo all’incrocio dei due bracci. Lo stretto presbiterio si conclude nell’abside polilobata dove domina il motivo decorativo della foglia d’acanto. 

Tra gli altari presenti nella chiesa, quello di San Francesco de Paola è considerato uno splendido esemplare del barocco leccese per la preziosità delle formelle che raccontano episodi della vita del Santo, dove la figura di San Francesco a tutto tondo si staglia contro lo sfondo dei pittoreschi paesaggi eseguiti a bassorilievo. La chiesa, dal 1833, è affidata all'Arciconfraternita della Santissima Trinità. All’inizio del Novecento non solo fu proclamata, per la sua bellezza e preziosità, monumento nazionale ma fu anche elevata da Pio X a Basilica Minore. 

 



Un sacerdote risponde

All'improvviso nella mia vita ho capito che tra tante verità "false" ne esiste una sola, Gesù; ma sono scoppiati litigi molto accesi

Quesito

caro padre Angelo,
mi imbatto improvvisamente in questo sito, non a caso, chi cerca trova chi chiede avrà risposte....
All'improvviso nella mia vita ho capito che tra tante verità "false" esiste una sola, che è VIA VERITA E VITA: GESU'.
Arrivo subito al dunque.
Sono sposato da 4 anni e vorrei tanto che Gesù sia sempre più presente nella mia famiglia. In questi quattro anni ho litigato solo tre volte con mia moglie e in modo acceso e tutte le tre volte per motivi di fede.
Per mia moglie, io sono una cosa inaspettata non prevista... anche per me l'incontro con Gesù è stato inaspettato improvviso.
Per me è fondamentale andare almeno in chiesa la domenica, per lei non succede niente una volta tanto... anch'io pensavo questo.
Insomma mi ritrovo a fingere in questo rapporto ma vorrei fargli capire che andando avanti in questo modo stiamo sbagliando.
Vorrei vivere momenti di castità coniugale, non usare contraccettivi, leggere di più la parola di Dio in casa, recitare il rosario quotidianamente ecc...ecc... e magari con il suo aiuto (di mia moglie) correggermi e correggere lei e essere di esempio per nostra figlia e i figli che verranno, essere luce per tutte le persone che frequentiamo per guadagnarli tutti a Cristo.
Ho pensato addirittura alle parole di Gesù che dice chi lascerà padre, madre, moglie, figli per seguirlo avrà il centuplo.
Scusi la fretta nel sintetizzare. Ma il succo fondamentalmente è questo.
Preghi per me e mia moglie e per mia figlia.
Salvatore.


Risposta del sacerdote

Caro Salvatore,
1. capisco bene che cosa sia successo nella tua vita e la difficoltà che adesso sperimenti all’interno della tua casa.
L’incontro con Cristo è sempre sconvolgente.
Guarda che cosa ha segnato l’incontro con Cristo nella vita di Zaccheo: un capovolgimento totale della sua vita. Prima era tutto orientato a sfruttare la propria posizione per il guadagno personale. 
Adesso, dopo l’incontro, nono solo restituisce, ma va ben oltre i limiti della giustizia: restituisce quattro volte tanto e dona la metà dei beni ai poveri.
Zaccheo aveva incontrato Colui che è la risurrezione e la vita e si è trovato capovolto.
Mentre prima il suo io e i suoi beni erano il motivo per cui viveva, adesso  capisce che il motivo per cui vivere è l’incontro con Cristo, che “tutto è stato creato per mezzo di Lui e in vista di Lui” (Col 1,16), che senza di Lui è come se fosse morto.

2. Dopo aver incontrato Cristo senti l’esigenza di rinnovare tutta la tua vita e in particolare la vita matrimoniale. Non si tratta semplicemente di aggiungere qualche pratica alla vita di prima, ma di darle un orientamento nuovo.
Tu adesso avverti quanto siano vere per te e per tua moglie le parole di Cristo: “Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano” (Mt 9,17).
Adesso vuoi formare una famiglia cristiana nella quale Gesù sia il centro e il fine della vostra esistenza, del vostro stare insieme e del cammino che fate.
Giovanni Paolo II nella prima enciclica del suo pontificato Redemptor hominis ha scritto: “Il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia” (RH 1).
Lo deve essere anche della nostra vita, della nostra storia, delle nostre famiglie.
Per questo senti l’esigenza che l’intimità coniugale sia casta perché Gesù ne sia il centro e il fine.
Adesso vorresti ascoltare insieme con tua molgie la sua Parola perché vi illumini, vi riscaldi e vi faccia crescere nella santità rivelando il significato di tutti i vostri sentimenti e di tutti i vostri progetti.
E ancora vorresti pregare insieme, recitare quotidianamente il santo Rosario perché Gesù plasmi la vostra esistenza con i suoi sentimenti e con i suoi pensieri e nello stesso tempo insieme con la Beata Vergine Maria tenga lontano dalla vostra casa ogni insidia e avversità.
Hai capito bene che avendo trovato Cristo non c’è nulla da perdere, ma tutto da guadagnare.

3. Se non che tua moglie questo non l’ha compreso. 
Teme di perder qualcosa. Le sembra che quello che fai e che desideri sia in più e inutile.
Mentre tu avverti che è vero il contrario.
Purtroppo in lei non è arrivato ancora quel momento di grazia che apre gli occhi della mente ad una luce nuova e fa scoprire che Gesù è Colui che mette in salvo tutto  perché è il Salvatore di tutto.
È anche il Salvatore degli affetti e della famiglia.

4. Che fare in questa situazione?
La tentazione è quella di ricorrere alla discussione. E hai visto a che cosa porta: alle litigate.
Devi persuaderti che tua moglie per ora non può capire. Ha bisogno che nel suo interno si accenda una luce nuova e che le faccia capire quello che stai capendo tu.

5. In questi giorni la Liturgia della Chiesa ci ha fatto sentire le parole di San Paolo nella prima lettera ai corinzi.
Paolo era reduce da Atene. Lì all’areopago dove si erano radunati i filosofi e le più belle intelligenze della città aveva tenuto un discorso con i fiocchi.
San Paolo aveva pensato di convertire tutta quella gente con il ragionamento.
Ma quei pensatori, a motivo dei loro pregiudizi filosofici, non ritennero soddisfacente il discorso di Paolo e glielo fecero pure presente. Solo alcuni pochi si convertirono.
Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto, città di mare e dissoluta dove umanamente parlando c’era ben poco da sperare.
Ma lì “una notte, in visione, il Signore disse a Paolo: «Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso». Così Paolo si fermò un anno e mezzo, e insegnava fra loro la parola di Dio”  (At 18,9-11).

6. Lì a Corinto Paolo non ripeterà quanto aveva fatto ad Atene. Lo rivelò lui stesso scrivendo: “Anch'io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza
Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso
Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 
La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienzama sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1 Cor 2,1-5).
Allora in famiglia anche tu devi comportati come Paolo a Corinto.
Cerca di far sì che nei tuoi atteggiamenti, e prima ancora nei tuoi sentimenti e nelle tue parole, si manifesti quella potenza dello Spirito che si è manifestata nell’atteggiamento, nei sentimenti e nelle parole di Cristo in croce e che hanno portano il buon ladrone, il centurione, i soldati e le folle a battersi il petto, a capire e a convertirsi.
In altre parole il Signore ti chiama ad un’alta santità, ad una perfetta conformazione a Lui, soprattutto nella carità, nella pazienza, nell’umiltà, nella dolcezza.
Devi conquistare tua moglie nel medesimo modo in cui Cristo conquistò tutta quella gente sul calvario.

7. Ecco, il Signore ti chiama a questo.
Non è facile perché non si tratta di mettersi in posa, ma di attuare una conversione profonda nella propria vita personale attraverso un combattimento spirituale.
È una conversione che si deve attuare anzitutto nei tuoi sentimenti con molta preghiera e rinnegando te stesso per amore del Signore.
Succederà che tua moglie ti troverà diverso: dolce, umile, paziente, misericordioso, attento.
Ti troverà come lampada che brilla sopra il moggio e illumina tutta la casa.
E scoprirà che l’Autore di questa singolare trasformazione è Gesù. Ne rimarrà affascinata anche Lei.

Mi auguro che tutto questo avvenga presto e per questo assicuro per te e per la tua famiglia la mia preghiera e la mia benedizione.
Padre Angelo


 



[Modificato da Caterina63 04/05/2015 23:55]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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17/06/2015 12:11
 
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  Un sacerdote risponde

Sto leggendo la notte oscura di San Giovanni della croce e non comprendo la differenza tra notte oscura dei sensi e notte oscura dello spirito

Quesito

Caro Padre Angelo,
sto leggendo la notte oscura di San Giovanni della croce.
Come dice il santo stesso in un paragrafo "si comprende meglio ciò che si ha già vissuto "(ho riportato un concetto non le parole esatte).
Infatti non comprendo la differenza tra notte oscura e la notte dei sensi.
Mi può rendere più chiara la differenza?


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. l’obiettivo dell’insegnamento di San Giovanni della Croce, carmelitano scalzo vissuto i Spagna nel secolo XVI, è quello di mostrare come si giunga alla santità, all’unione totale con Dio.
Tale unione infatti “consiste nella totale trasformazione della nostra volontà in quella di Dio di modo che in essa niente vi sia di contrario al volere dell’Altissimo, ma ogni suo atto dipenda totalmente dal beneplacito divino” (Salita del Monte Carmelo, I, 11, 2). 
Sicché non ci sono più due volontà che decidono e vivono, ma una sola: “Nello stato di unione, due volontà diventano una sola, la quale è volontà di Dio e anche volontà dell’anima” (Ib., I, 11, 3).

2. Per giungere a questo obiettivo è necessario liberarsi da tutti gli attaccamenti che sono causa di peccato mortale o veniale e anche da ciò che tiene legati ad imperfezioni. 
Questa liberazione può procedere dall’uomo oppure da Dio.
Nel primo caso si parla di purificazioni attive che consistono in ciò che si può e si deve fare con l’aiuto della grazia per liberarsi dai difetti e dalle imperfezioni.
Nel secondo caso si parla di purificazioni passive che riguardano invece la parte che Dio riserva per sé. 
Queste purificazioni raggiungono la loro massima manifestazione nelle notti dell’anima e precisamente nella notte del senso e nella notte dello spirito.

3. Si sperimenta questa purificazione quando dallo stato di ebbrezza provato all’inizio della vita spirituale, soprattutto nella conversione, si passa ad uno stato di cammino per cui ci si lavora e nello stesso tempo si viene lavorati per essere uniti a Dio e per piacere a Lui solo.
La tentazione dei principianti, il più delle volte senza che se n’accorgano,  sta nella ricerca delle consolazioni che si godono nell’aver trovato Dio.
Vengono chiamati “principianti”, perché sono all’inizio.
Molti neo convertiti, per il loro cambiamento di vita, per le nuove pratiche che adesso compiono e che danno loro molta gratificazione, corrono il rischio di sentirsi santi o perfetti, mentre in realtà sono ancora tutti pieni di se stessi e dell’attaccamento alle consolazioni nuove che sperimentano.
Appena Dio comincia a togliere loro queste consolazioni per portarli ad una vera unione con Lui facilmente si ribellano. E allora l’azione di progresso nella vita spirituale si arresta.

4. Questo processo di purificazione viene chiamato notte, perché si tratta di distaccarsi da tante cose e nello stesso tempo non si è ancora realizzata l’unione perfetta con Dio.
Questa notte è duplice: la notte oscura dei sensi e la notte oscura dello spirito.
Queste due notti si esprimono in tempi successivi e sono intervallate da nuove gioie, purificate dalle tentazioni precedenti.
Ma quando si giunge alla notte dello spirito sperimenta contemporaneamente una nuova notte dei sensi.
Dice San Giovanni della Croce: “La purificazione del senso, rispetto a quella dello spirito, è soltanto la porta (...) e serve più ad accomodare il senso allo spirito” (Notte oscura, II, 2, 1). 
Dio “stacca l’anima dalla vita dei sensi per elevarla alla vita dello spirito” (Ib., I, 8, 3).

5. La notte oscura dei sensi consiste in un’aridità prolungata. Non si sente più il gusto della preghiera e di tante pratiche religiose.
Qui bisogna fare attenzione. In alcuni questa aridità è frutto del peccato, soprattutto dei peccati carnali. È l’aridità di chi vive in peccato mortale.
Mentre la notte oscura dei sensi è un’aridità sperimentata dalle anime in grazia e che stanno avanzando nella vita spirituale. 
Molte non resistono a questa aridità, si spaventano e retrocedono

6. Ecco come la descrive San Giovanni della Croce: 
“1. L’anima comincia a entrare in questa notte oscura quando Dio la fa uscire dallo stato dei principianti, cioè di coloro che si servono ancora della meditazione nel cammino spirituale, e la trasferisce gradatamente in quello dei proficienti, cioè quella dei contemplativi. Superato questo stadio, la conduce allo stato dei perfetti, che è quello dell’unione con Dio.
Al fine di chiarire e meglio comprendere che notte sia quella che l’anima deve attraversare e per quale motivo il Signore ve la ponga, è opportuno prima d’ogni cosa accennare ad alcune imperfezioni dei principianti. Lo farò molto rapidamente, ma non per questo ciò sarà inutile agli stessi principianti. Difatti, anche in questo modo, essi potranno comprendere lo stato di vita in cui giacciono, per poi sentirsi spinti a desiderare che Dio li faccia entrare in questa notte, dove l’anima si fortifica attraverso l’esercizio delle virtù e gusta le inestimabili delizie dell’amore di Dio. Se mi dilungherò un po’, non sarà più di quanto basti per poter trattare subito dopo della notte oscura.
2. Occorre quindi sapere che quando l’anima si decide a servire solo Dio, abitualmente viene da lui nutrita nello spirito e diventa l’oggetto delle sue compiacenze, come fa una madre amorosa verso il suo tenero bambino: lo scalda con il calore del suo seno, lo nutre con latte gustoso e con cibi delicati e dolci, lo porta in braccio e lo copre di carezze.
Ma a mano a mano che cresce, la madre diminuisce le carezze, gli nasconde il suo amore tenero, lo distacca dal suo dolce seno, sul quale pone aloe amaro; facendo poi discendere il bambino dalle braccia, lo fa camminare sulle sue gambe, perché superi le limitazioni proprie dell’infanzia e acquisti le caratteristiche dell’uomo adulto.
La grazia di Dio, come madre amorosa, si comporta allo stesso modo con l’anima dal momento in cui la rigenera con l’ardente desiderio di servire il Signore. Le fa trovare, senza alcuna fatica, la dolcezza e il sapore del latte spirituale in tutte le cose di Dio e gustare una gioia grande negli esercizi spirituali; in breve, il Signore le porge il suo petto amoroso come a un bambino piccolo (cf 1 Pt 2,2-3).
3. Così l’anima prova grande gioia nel trascorrere lunghi periodi e addirittura notti intere in orazione; ha piacere di darsi alle penitenze, è contenta di digiunare, si consola nel frequentare i sacramenti e occuparsi delle cose divine.
Ma nonostante si dedichi a queste pratiche con impegno e assiduamente, ne approfitti e se ne serva con la più grande cura, tuttavia, da un punto di vista spirituale, abitualmente si comporta con molta fiacchezza e imperfezione.
Difatti è spinta a queste pratiche ed esercizi spirituali dalla consolazione e dal gusto che vi prova e, non essendo ancora temprata dagli esercizi di una dura lotta per acquistare la virtù, commette molte mancanze e imperfezioni in queste pie pratiche. In realtà, ogni anima agisce secondo il grado di perfezione che possiede” (Notte oscura, I, 1-3).

7. La notte oscura dei sensi è comune a molti, a partire dai principianti. 
La notte oscura dello spirito detta anche notte spirituale è riservata a ben pochi, a quelli cioè che sono già molto esercitati e avanti nella perfezione.
“La prima notte è amara e terribile per il senso; la seconda però non le si può paragonare, perché è semplicemente orrenda e spaventevole per lo spirito” (Ib., I, 8, 1-2).

8. Nella notte dello spirito non solo si prova aridità, ma addirittura ci si sente respinti da Dio
Essa viene descritta così da San Giovanni della croce: 
“1. Quando Dio vuol far progredire un’anima, non la pone nella notte dello spirito appena è uscita dalle aridità e dalle prove della prima purificazione o notte dei sensi. Di solito passa molto tempo, a volte anni, prima che l’anima, superato lo stato dei principianti, si eserciti in quello dei proficienti. Simile a colui che è uscito da un angusto carcere, l’anima avanza nelle cose di Dio con molta maggiore facilità e soddisfazione, insieme a una gioia più abbondante e intima, di quanto non avesse fatto agli inizi, prima di entrare nella notte dei sensi. (…).
Tuttavia la purificazione dell’anima non è ancora compiuta, perché le manca la fase principale, che è quella dello spirito. Se questa non si verifica – tra l’una e l’altra c’è relazione di continuità, dato che avvengono nello stesso soggetto –, anche la purificazione dei sensi, per quanto profonda sia stata, risulta incompiuta e imperfetta. Così l’anima non mancherà, di tanto in tanto, di passare attraverso abbandoni, aridità, tenebre e angosce, a volte anche più intense che in passato. Sono come presagi e messaggeri della futura notte dello spirito. Non durano però quanto la notte che si aspetta, ragion per cui, trascorso un periodo o alcuni giorni di questa notte tempestosa, l’anima ritorna alla sua abituale serenità. (…).
2. Il godimento intimo, che con abbondanza e facilità i proficienti provano e gustano nel loro spirito, viene loro comunicato più copiosamente che in passato, riversandosi nei sensi più di quanto non accadesse prima della purificazione dei sensi. Difatti, quanto più i sensi sono purificati, con tanta maggiore facilità possono gustare a modo loro le gioie dello spirito” (Ib., II, 1, 1-2).

9. Prosegue san Giovanni della croce: 
“Per ben comprendere la necessità, in cui si trovano i proficienti, di entrare in questa notte dello spirito, annoterò qui sotto alcune imperfezioni e pericoli a cui sono esposti” (Ib., II, 3).
“I proficienti cadono in due tipi di imperfezioni, alcune abituali, altre attuali. 
Quelle abituali sono gli affetti e le abitudini difettose, le cui radici sono ancora rimaste nello spirito, dove non può giungere la purificazione dei sensi. La differenza che intercorre tra le due purificazioni è simile a quella che esiste tra l’estirpare la radice di una pianta e il tagliarne un ramo; ovvero: togliere una macchia fresca oppure una secca e incrostata.
Come ho detto, la purificazione dei sensi non è che la porta e il principio della contemplazione che conduce alla purificazione dello spirito. Ho pure detto che il suo scopo è più quello di adattare i sensi allo spirito che di unire lo spirito a Dio. Ma le macchie dell’uomo vecchio rimangono ancora nello spirito, anche se non se ne accorge e non le vede; se tali macchie non vengono tolte con il sapone e la lisciva forte della purificazione di questa notte, lo spirito non potrà pervenire alla purezza dell’unione divina.
I proficienti hanno ancora, come imperfezioni abituali, la hebetudo mentis, cioè l’ottusità della mente, e la rozzezza naturale che ogni uomo contrae con il peccato, e nel loro spirito sono distratti e superficiali. Per questo motivo occorre che siano illuminati, purificati e messi nel raccoglimento attraverso le sofferenze e le angustie della notte dello spirito. Tutti quelli che non sono ancora passati per lo stato di proficienti sono soggetti a queste imperfezioni abituali, che, come tali, sono incompatibili con lo stato perfetto dell’unione d’amore” (Ib., II, 2, 1-2).

10. Ecco che cosa si prova in questa nuova operazione di Dio:
“Nella notte, di cui sto per parlare, la parte sensitiva e quella spirituale vengono purificate allo stesso tempo. Per questo motivo è stato conveniente che il senso passasse attraverso la riforma della prima notte, al fine di ricuperare la quiete che da essa deriva. Una volta unito allo spirito, si purificano in qualche modo insieme e sopportano con più forza le sofferenze. Per sostenere una purificazione così dolorosa e aspra, occorre una disposizione tale che, se la debolezza della parte inferiore non fosse stata prima riformata e non avesse acquistato forza in Dio, nel dolce e piacevole rapporto con lui, non avrebbe mai avuto la forza e la capacità di affrontare una sì grande sofferenza.
Ma il modo di comportarsi di questi proficienti con Dio è ancora molto grossolano e molto naturale. L’oro del loro spirito non è ancora purificato e lucidato. Per questo pensano di Dio come bambini e parlano di Dio come bambini e ragionano e sanno di Dio come bambini, come dice san Paolo (1 Cor 13,11), perché non sono ancora pervenuti alla perfezione, cioè all’unione dell’anima con Dio. È in forza di quest’unione che essi diventano grandi. Una volta investiti dallo Spirito divino, essi compiono grandi opere, perché ormai le loro opere e le loro facoltà sono più divine che umane, come dirò in seguito. Dio vuole effettivamente spogliarli del vecchio uomo e rivestirli dell’uomo nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza a immagine del suo Creatore, come dice san Paolo (Col 3,10). Il Signore opera la spoliazione delle loro facoltà, dei loro affetti e sentimenti, sia spirituali che sensibili, sia esteriori che interiori. Lascia al buio l’intelletto, arida la volontà e vuota la memoria; getta gli affetti dell’anima nella più profonda afflizione, nell’amarezza e nell’angustia; priva l’anima del sentimento e del gusto che essa provava precedentemente nei beni spirituali” (Ib., II, 3, 2-3).

11. Le anime che si trovano nella notte oscura dello spirito vivono uno stato molto simile a quello della purificazione delle anime del purgatorio:
“Sebbene possiedano abitualmente le tre virtù teologali, cioè la fede, la speranza e la carità, attualmente hanno la sensazione delle loro sofferenze e della privazione di Dio. Per il momento non possono godere del bene e della consolazione derivante da quelle virtù.
Benché sappiano con certezza di amare Dio, ciò non li conforta, perché hanno l’impressione di non essere amati da Dio nella loro indegnità
Anzi, vedendosi privati di lui e immersi nelle loro miserie, pensano di avere in sé motivi più che sufficienti per essere aborriti e rifiutati da Dio, giustamente e per sempre. 
Similmente, l’anima che attraversa questo stato di purificazione è consapevole di amare Dio. 
È altresì disposta a dare mille vite per lui, ed è veramente così, perché davvero ama Dio in mezzo alle sofferenze; tuttavia non solo non trova in tutto questo alcun sollievo, ma ne riceve una pena maggiore.
Essa ama tanto Dio da non preoccuparsi di null’altro che di lui, ma si vede tanto misera da non poter credere che Dio la ami, perché non ha e non avrà mai motivi per farlo.
Scopre in sé motivi per essere sempre detestata da Dio e da ogni creatura.
Il suo tormento consiste nel constatare in sé le ragioni per cui merita di venire respinta da chi essa ama tanto e desidera con tutto il cuore” (Ib., II, 7. 7).

11. Tutte queste  purificazioni si concludono con quella realtà che viene chiamata unione trasformante o anche matrimonio spirituale, che è il vertice della vita spirituale, anticipo di paradiso nella vita presente.

Spero che tu mi abbia seguito in tutti questi passaggi.
Per questo non mi resta che augurarti giungere a questo, sebbene il cammino da affrontare sia somigliante a quella di una notte priva di luce e di consolazione.
Ti ringrazio di avermi attirato su questo argomento. 
Ti assicuro la mia preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo


Il cardinal Caffarra racconta: Suor Lucia mi scrisse


 





Prima di chiudere la XX Settimana della Fede nell’arcidiocesi di Lecce, sabato, 16 febbraio 2008, nella cripta del santuario di “Santa Maria delle Grazie”, accanto alla tomba di San Pio da Pietrelcina, sua eminenza il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, ha celebrato la Santa Messa. Al termine si è fermato in preghiera sulla tomba di Padre Pio, ha visitato i luoghi santificati dal Serafino crocifisso del Gargano ed ha risposto ad alcune domande ai microfoni di Tele Radio Padre Pio. Tutte le sue risposte meritano attenzione e sono più che mai attuali, ma richiamiamo in particolare l'ultima, che dà il titolo all'articolo.

Eminenza, di recente Lei ha dichiarato al Corriere della Sera di aver sempre avuto una grande devozione per Padre Pio. Ci racconti perché.

Gli sono molto devoto fin dagli inizi del mio sacerdozio, perché vissi un’esperienza un po’ singolare. Ero sacerdote da qualche mese, e venne a trovarmi, per essere aiutato, un confratello, molto più anziano, che stava attraversando una grave crisi di fede. Non si può descrivere che cos’è una crisi di fede in un sacerdote: terribile!  Gli dissi: fratello mio, io son troppo piccolo, non mi sento di portare un tale peso. Vai da Padre Pio.
Lui venne, e mentre parlava con il Padre ebbe una grande esperienza mistica in cui sperimentò, fortissima, la misericordia di Dio. Ora è uno dei sacerdoti più buoni che io conosca. Ecco, cominciò tutto così.

Ha conosciuto personalmente san Pio da Pietrelcina?

No, perché non ho mai avuto il coraggio di venire, ritenendo che non dovevo fargli perdere del tempo! Poi invece… tante volte, non saprei dirle quante, non le ho mai contate! Ritengo che Padre Pio si inscriva in quella sequela dei grandi mistici che hanno una caratteristica: la profondissima partecipazione alla croce di Cristo, perché portano su di sé la grande tragedia dell’uomo d’oggi, l’ateismo.
Padre Pio, santa Gemma Galgani, santa Teresa Benedetta della Croce, Madre Teresa, il Curato d’Ars: hanno tutti questa profonda esperienza di sedersi a tavola con i peccatori, di vivere la loro esperienza, di portare, in maniera diversa, il peso dell’agonia del Getsemani, testimoniando l’amore di Cristo che prende su di sé il dolore dell’uomo che ha lasciato la casa del Padre e non vuol ritornare, pur sentendo nel suo cuore che si sta meglio nella casa del Padre che a pascolare porci…
L’uomo d’oggi continua a pensare che si possa vivere come se Dio non ci fosse; e vediamo la devastazione che questo ha causato.

C’è una profezia di suor Lucia dos Santos, la veggente di Fatima di cui il 13 febbraio scorso è cominciato il processo di beatificazione, che riguarda “lo scontro finale tra il Signore e regno di Satana”. E il campo di battaglia è la famiglia. Vita e famiglia. Non tutti sanno che Lei ebbe da Giovanni Paolo II l’incarico di ideare e fondare il Pontificio Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia che oggi ne porta il nome (il card. Caffarra ne è Professore Emerito, ndr).

Il Card. Caffarra e la Madonna di San Luca

Sì. All’inizio di questo lavoro affidatomi dal Servo di Dio Giovanni Paolo II, ho scritto a suor Lucia di Fatima, attraverso il vescovo perché direttamente non si poteva fare. Inspiegabilmente, benché non mi attendessi una risposta, perché chiedevo solo preghiere, mi arrivò dopo pochi giorni una lunghissima lettera autografa – ora negli archivi dell’Istituto – in cui è scritto: lo scontro finale tra il Signore e il regno di Satana sarà sulla famiglia e sul matrimonio. Non abbia paura, aggiungeva, perché chiunque lavora per la santità del matrimonio e della famiglia sarà sempre combattuto e avversato in tutti modi, perché questo è il punto decisivo.
E poi concludeva: ma la Madonna gli ha già schiacciato la testa. Si avvertiva, anche parlando con Giovanni Paolo II, che questo era il nodo, perché si toccava la colonna portante della creazione, la verità del rapporto fra l’uomo e la donna e fra le generazioni. Se si tocca la colonna portante crolla tutto l’edificio, e questo adesso noi lo vediamo, perché siamo a questo punto, e sappiamo. E mi commuovo, leggendo le biografie più sicure di Padre Pio, di come quest’uomo fosse attento alla santità del matrimonio, alla santità degli sposi, anche con giusto rigore più di una volta.

[Fonte: Voce di Padre Pio, marzo 2008 (pag. 72-74)]

 

[Modificato da Caterina63 19/06/2015 09:25]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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LA BAMBINA E LE OSTIE

Un paio di mesi prima della sua morte l’Arcivescovo Fulton J. Sheen è stato intervistato dalla televisione nazionale. 
Una delle domande fu questa: "Vescovo Sheen, lei ha ispirato milioni di persone in tutto il mondo. Da chi ha tratto ispirazione? Da un Papa?". 
Sheen ha risposto che non era un Papa, un cardinale, un altro vescovo, o anche un prete o una suora. “Un mio amico missionario in Cina mi ha raccontato un fatto. Durante la persecuzione comunista contro i cristiani in Cina, alcuni soldati invasero un villaggio. Entrarono nella chiesa, spaccarono ogni cosa, distrussero il tabernacolo e presero le ostie buttandole per terra. Dopo di che presero questo missionario e gli altri catechisti e li imprigionarono in una capanna vicino alla chiesa. Dalla capanna i prigionieri potevano vedere l’interno della chiesa e le ostie gettate sul pavimento. Una bambina cinese, di circa 10 anni, aveva visto tutto quello che era successo. 
Lei era stata battezzata in quella chiesa ed era profondamente cristiana. Vedendo la cosa più santa che c’è in questo mondo trattata così male, decise di fare qualcosa. Essendo una bambina, di notte, riuscì a entrare in chiesa di nascosto dai soldati. Si inginocchiò davanti alle ostie, fece il segno di croce e restò in silenzio a pregare. Al termine dell’ora di adorazione, inginocchiata, si chinò e con la lingua - dal momento che non era lecito per i laici di toccare l'Ostia Sacra con le loro mani - ricevette Gesù nella Santa Comunione. Pregò ancora, fece il segno di croce e poi fuggì. 
Le ostie erano circa una ventina e lei per venti notti entrò di nascosto nella chiesa e mangiava le ostie perché non fossero profanate. 
Intanto nella capanna i prigionieri si accorsero di quello che stava accadendo e pregavano che nessuno dei soldati se ne accorgesse. Ma l’ultima notte, dopo aver mangiato l’ultima ostia, la bambina nel fuggire fu scoperta. 
I soldati capirono quello che aveva fatto e che per tante volte li aveva umiliati con la sua intelligenza e la sua abilità. Allora si arrabbiarono molto e iniziarono a darle pugni e calci finchè lei, così piccola e così coraggiosa, svenne e poi morì. 
Il missionario e i catechisti avevano visto tutto senza poter fare nulla perché erano prigionieri. Ma il sacrificio della bambina non fu vano. Dopo alcuni giorni i soldati se ne andarono e i cristiani sopravvissuti poterono raccontare a tutti il fatto di questa piccola discepola di Gesù, che, come san Tarcisio, aveva dato la vita per l’Eucarestia”.


 

Introibo ad altare Dei

È con queste parole sulle labbra che, il 21 febbraio 1794, il canonico Noël Pinot, rivestito dei paramenti sacerdotali, saliva i gradini della ghigliottina di Angers, iniziando così, in un certo senso, la sua ultima Messa, quella in cui si sarebbe fisicamente fatto vittima con l’Ostia pura, santa e immacolata.

Nel 1926 papa Pio XI lo avrebbe elevato alla gloria degli altari come beato; iniziava in tal modo il riconoscimento del martirio di una schiera di sacerdoti secolari che, dando a Cristo la testimonianza suprema, avevano composto una pagina particolarmente gloriosa nella storia del sacerdozio cattolico. Non è certo il sangue dei martiri a redimerci – ricorda sant’Agostino –, ma esso si mescola a quello del Redentore e ne prolunga nel tempo la Passione a vantaggio della Chiesa, per la sua estensione e il suo trionfo mediante la conversione dei peccatori. È un genere di “rischi”, questo, che corrono i preti refrattari, non certo il clerocostituzionale e collaborazionista.

I primi sanno bene che cos’è la santa Messa; i secondi l’hanno ridotta a scialba lezione di corso biblico con appendice rievocativa sostanzialmente superflua, se non fosse per quella processione all’altare a cui tutti si accodano senza nemmeno pensarci su. Il santo Sacrificio è una nozione sconosciuta, mentre la Comunione è ormai percepita come mero gesto di appartenenza dal quale nessuno dovrebbe sentirsi escluso. Visto che il costrutto posticcio non funziona affatto né interessa più nessuno, ci si sforza disperatamente di farlo tenere con continui interventi verbali e di renderlo appetibile con canzonette da balera e allegri battimano da scuola materna. Il vero dramma, tuttavia, è che mezzo secolo di questa irriverente parodia – che lo si voglia ammettere o meno – ha spento la fede in buona parte dei cattolici, mentre infligge un continuato martirio del cuore a quelli che non si rassegnano a perderla.

Ciò che più colpisce nel rito antico è che al momento della Consacrazione, sebbene non si odano le parole del sacerdote (o forse proprio per questo), ci si rende perfettamente conto che l’evento è avvenuto: la salvezza del mondo, la redenzione dell’umanità è unfatto che si realizza in quel preciso istante, un avvenimento sovratemporale che, pur essendosi compiuto una volta per sempre, si rende presente dovunque sulla terra si celebri la Messa; l’oblazione redentrice del Calvario può così raggiungerci in qualsiasi punto del tempo e dello spazio per assumerci in sé e consegnarci al Padre nell’unica Vittima a Lui accetta: il Figlio Suo incarnato e fattosi obbediente fino alla morte di croce al fine di riparare la primitiva disobbedienza e rendergli la gloria che Gli è dovuta. Certo, per aver consapevolezza di questo bisogna almeno esservi istruiti: i nostri padri, per quanto semplici, lo erano e partecipavano attivamente – cioè soprattutto con atti interiori ed esteriori di penitenza, di offerta e di fede accessibili a tutti, compresi i socialmente poveri – alla ripresentazione del Sacrificio redentore.

Oggi, invece, i poveri vengono defraudati della ricchezza più preziosa (la grazia che Cristo ha ottenuto per loro) e illusi con chiacchiere fumose che non cambiano nulla della loro condizione se non in peggio, facendone dei ribelli e dei disperati.

I gesuiti – quelli di un tempo – furono annientati in omaggio alla massoneria non per aver fatto rivoluzioni, ma, fra l’altro, per aver creato nelle reducciones un modello di società cristiana in cui gli Indios venivano iniziati, di pari passo con la fede, alle arti, ai mestieri e alla convivenza civile: si potrebbe desiderare di meglio in questa vita? Certo, era solo un’anticipazione dei tempi escatologici, ma intanto ci ha mostrato un modo realistico di predisporci ad essi sfuggendo al tritacarne del sistema economico attuale. Non sarà inutile rammentare che il centro propulsore di quel piccolo mondo nuovo era la santa Messa, nella quale chiunque – dalle Americhe all’Africa, all’Asia e all’Oceania – poteva sentirsi a casa propria, in quanto non impedito dalla barriera di una lingua straniera, e cantare le lodi di Dio in comunione di spirito con i cattolici di tutto il globo.


Oggi, invece, in questo rito che tutti possono “capire” verbalmente nei testi senza più comprenderne il significato, l’atto più sacro ed efficace che si possa compiere sulla terra, il più straordinario ed eccelso miracolo dell’intera storia umana è percepito come racconto di una storiella commovente, sempre che non sia tirato via in fretta e furia perché il “comizio” è durato più del consentito. Siamo in pieno spirito luterano: l’evento salvifico è ridotto a rievocazione nostalgica, a una santa Cena come appendice del sermone moralistico che, a partire da qualunque testo biblico, si incaglia ormai regolarmente sull’ecologia e sulla lotta ambientalistica…
Peccato che proprio nella Bibbia si trovi scritto che, a causa del peccato originale, l’umanità è irrimediabilmente estromessa dal paradiso terrestre, come pure, d’altronde, che l’universo intero è nella mano del Creatore, che lo dirige con la Sua provvidenza nonostante gli innumerevoli peccati degli uomini.


La vera rivoluzione è quella operata da chi osa ricordare agli altri che la causa prima di ogni male è il peccato, la cui sola soluzione è il sacrificio del Figlio di Dio, efficace per chiunque si converta sinceramente a Lui e reso presente in ogni santa Messa in cui il sacerdote intenda realmente fare ciò che fa la Chiesa. Certo, anche un rito stravolto è di per sé valido per l’autorità di chi l’ha legittimamente promulgato; ma se al suo confezionamento – non si sa peraltro con quale diritto – contribuirono dei pastori protestanti, i quali ne furono così soddisfatti da dichiararlo accetto alla loro sensibilità, si possono nutrire legittimi dubbi circa i suoi effetti sulla fede e sulla santità del Popolo di Dio. La celebrazione dell’Eucaristia non è per la fede cattolica un’evasione nell’utopia o una rassicurante parentesi di autoesaltazione, bensì il più potente atto possibile di propiziazione per i peccatori e di santificazione per i giusti.

La vera rivoluzione è quella realizzata da chi sale i gradini dell’altare ripetendo: «Introibo ad altare Dei»: mi accosto con riverenza e timore al luogo del santo Sacrificio che strappa le anime al diavolo e le restituisce all’eterno Amore, per il quale sono state create; mi presento, per quanto indegno, per essere assunto nell’unica oblazione in unione alla Vittima immacolata; mi accingo a far scaturire la sorgente di tutte le grazie per chiunque voglia attingervi a beneficio proprio e altrui. Mi offro al Salvatore come strumento e canale di quella salvezza che fa nascostamente crescere il mondo nuovo del Regno di Dio: «Così prepari la terra…» (Sal 65 [64], 10).

Non il mondo immaginario di chi sogna un’impossibile trasformazione globale della società in senso egualitaristico, ma quello reale che si sviluppa grazie ad ogni persona che abbandona il peccato e imbocca la via della virtù. La santità in questa vita e il Paradiso nell’altra: non si potrebbe desiderare di meglio.







 “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt.11,25-27) 


La morte spiegata da una bambina con cancro terminale

"Quando sarò morta, penso che la mia mamma avrà nostalgia, ma io non ho paura di morire. Non sono nata per questa vita!

enfermedad infancia

Come oncologo con 29 anni di esperienza professionale, posso affermare di essere cresciuto e cambiato a causa dei drammi vissuti dai miei pazienti. Non conosciamo la nostra reale dimensione fino a quando, in mezzo alle avversità, non scopriamo di essere capaci di andare molto più in là.

Ricordo con emozione l'Ospedale Oncologico di Pernambuco, dove ho mosso i primi passi come professionista. Ho iniziato a frequentare l'infermeria infantile e mi sono innamorato dell'oncopediatria.

Ho assistito al dramma dei miei pazienti, piccole vittime innocenti del cancro. Con la nascita della mia prima figlia, ho cominciato a sentirmi a disagio vedendo la sofferenza dei bambini. Fino al giorno in cui un angelo è passato accanto a me!

Vedo quell'angelo nelle sembianze di una bambina di 11 anni, spossata da due lunghi anni di trattamenti diversi, manipolazioni, iniezioni e tutti i problemi che comportano i programmi chimici e la radioterapia. Ma non ho mai visto cedere quel piccolo angelo. L'ho vista piangere molte volte; ho visto anche la paura nei suoi occhi, ma è umano!

Un giorno sono arrivato in ospedale presto e ho trovato il mio angioletto solo nella stanza. Ho chiesto dove fosse la sua mamma. Ancora oggi non riesco a raccontare la risposta che mi diede senza emozionarmi profondamente.

“A volte la mia mamma esce dalla stanza per piangere di nascosto in corridoio. Quando sarò morta, penso che la mia mamma avrà nostalgia, ma io non ho paura di morire. Non sono nata per questa vita!”

“Cosa rappresenta la morte per te, tesoro?”, le chiesi.

“Quando siamo piccoli, a volte andiamo a dormire nel letto dei nostri genitori e il giorno dopo ci svegliamo nel nostro letto, vero? (Mi sono ricordato delle mie figlie, che all'epoca avevano 6 e 2 anni, e con loro succedeva proprio questo)”.

“È così. Un giorno dormirò e mio Padre verrà a prendermi. Mi risveglierò in casa Sua, nella mia vera vita!”

Rimasi sbalordito, non sapendo cosa dire. Ero scioccato dalla maturità con cui la sofferenza aveva accelerato la spiritualità di quella bambina.

“E la mia mamma avrà nostalgia”, aggiunse.

Emozionato, trattenendo a stento le lacrime, chiesi: “E cos'è la nostalgia per te, tesoro?”

“La nostalgia è l'amore che rimane!”

Oggi, a 53 anni, sfido chiunque a dare una definizione migliore, più diretta e più semplice della parola “nostalgia”: è l'amore che rimane!

Il mio angioletto se ne è andato già molti anni fa, ma mi ha lasciato una grande lezione che mi ha aiutato a migliorare la mia vita, a cercare di essere più umano e più affettuoso con i miei pazienti, a ripensare ai miei valori. Quando scende la notte, se il cielo è limpido e vedo una stella la chiamo il “mio angelo”, che brilla e risplende in cielo.

Immagino che nella sua nuova ed eterna casa sia una stella folgorante.

Grazie, angioletto, per la vita che ho avuto, per le lezioni che mi hai insegnato, per l'aiuto che mi hai dato. Che bello che esista la nostalgia! L'amore che è rimasto è eterno.

(Dr. Rogério Brandão, oncologo)


[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]
sources: Pensador






[Modificato da Caterina63 09/08/2015 14:00]
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Sant’Elia: il Profeta degli ultimi tempi


(Cristiana de Magistris) Il 20 luglio, festa liturgica – nell’Ordine Carmelitano – del profeta Elia, il sacerdote sale all’altare con i paramenti rossi. Eppure sant’Elia non ha versato il sangue per la fede, anzi – come sappiamo dalla Scrittura – non è ancora morto. Egli tornerà negli ultimi tempi come precursore dell’anticristo a predicare e convertire il popolo ebraico, ed allora, secondo la tradizione, verserà il suo sangue nella città di Gerusalemme. È in vista di questo glorioso martirio che la Liturgia carmelitana adotta – in modo profetico per un profeta – i paramenti rossi.




Elia è il profeta del Dio vivente. Il suo stesso nome, che significa: “JHWH è Dio”, è il vero programma della sua vita. Si tratta di uno dei più grandi uomini dell’Antico Testamento: è colui che sta alla presenza del suo Dio ed è divorato dallo zelo per la Sua gloria. Le parole che si leggono nel primo libro dei Re “Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum” (Sono pieno di zelo per il Signore Dio degli eserciti [1 Re 19,10]) riassumono il tratto essenziale della sua fisionomia – il cui simbolo è il fuoco (Sir 48,1) – che si delinea con straordinaria vivacità nel Testo sacro.

Dopo la morte di Salomone, le dodici tribù di Israele si divisero in due grandi regni: quello di Giuda e quello d’Israele. Il primo formatosi con le due tribù di Giuda e di Beniamino, ebbe per  capitale Gerusalemme; il secondo si compose di dieci tribù con capitale Sichem, poi Samaria. A questo secondo regno appartenne il profeta Elia, che abitava il deserto di Galaad in Samaria. Uomo virtuoso e austero, vestiva una tunica di peli di cammello con ai fianchi una cintura di cuoio: “pieno di zelo per il Dio degli eserciti”, uscì tre volte dal deserto per minacciare Achab, settimo re di Israele, e la regina Iezabele, che avevano pervertito il popolo trascinandolo nell’idolatria; per mandare a morte i 450 profeti di Baal che confuse sul Monte Carmelo; e per annunciare al re, impossessatosi della vigna di Naboth, che sarebbe stato ucciso, e, alla regina, che il suo sangue sarebbe scorso ove era scorso il sangue di Naboth e i cani avrebbero divorate le sue carni. Per tutti questi motivi, Elia fu perseguitato dagli Israeliti, da Achab e da Iezabele e dovette fuggire sul monte Horeb per scampare alla morte. Quando più tardi Ochozia, figlio di Achab, divenne re, Elia gli fece dire di non consultare Belzebu, il dio di Accaron, come aveva intenzione di fare, ma il Dio d’Israele. Ochozia allora gli mandò un capitano con cinquanta soldati per indurlo a scendere dalla montagna e rendergli conto delle sue parole. Elia rispose al capitano: “Se io sono un uomo di Dio, scenda dal cielo un fuoco che divori te e i tuoi cinquanta”. E scese il fuoco e divorò lui e i suoi cinquanta uomini.

Più tardi, Elia andò verso il Giordano con Eliseo, e allorché ebbero attraversato il fiume, un carro di fuoco con cavalli di fuoco separò l’uno dall’altro, ed Elia salì al cielo in un turbine. Eliseo allora si rivestì del mantello che Elia aveva lasciato cadere e ricevette doppiamente il suo spirito.

Il doppio spirito che Elia lasciò ad Eliseo si trasmise agli eremiti del monte Carmelo, i quali – con l’avvento dell’atteso Messia – si costituirono gradualmente in Ordine religioso, il cui stemma – in forma di scudo – rivela la sua origine “eliana”. Esso, infatti, è sormontato da un braccio con una spada di fuoco e un nastro con una citazione biblica. Il braccio è quello di Elia, che tiene una spada di fuoco, e il nastro porta l’iscrizione “Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum”. Il braccio e la spada mostrano la passione ardente di Elia per l’assoluto di Dio, la cui “parola bruciava come fiaccola” (Sir 48,1). Per i Carmelitani, Elia è il profeta solitario che coltiva la sete dell’unico Dio e vive alla Sua presenza. Come lui, essi portano “la spada dello spirito, che è la Parola di Dio” (Regola Carmelitana n. 19) ed è per essi modello di azione, ma soprattutto maestro di orazione e di contemplazione.

L’apostolo san Giacomo, nella sua Epistola, ci propone come modello di preghiera l’orazione fervorosa e potente del santo patriarca Elia, che ottenne da Dio prima la completa siccità sui campi d’Israele per tre anni e sei mesi, e poi l’abbondanza della pioggia. Alla sua preghiera i morti risuscitarono; il fuoco cadde dal cielo per tre volte in punizione degli idolatri; sul monte Oreb, il Signore si manifestò per mezzo del venticello leggero; sul monte Carmelo  apparve la piccola nube, simbolo misterioso della Vergine Maria, Madre di Dio. Sant’Isidoro afferma che tutte le azioni della vita di Elia non furono che un’orazione continua, Elias in sancta meditatione assiduus, da cui nacque la santa Famiglia dei contemplativi del Carmelo. Simeone Metafraste (X sec.) – il grande agiografo bizantino – suggerisce a chiunque voglia comprendere lo spirito di un ordine religioso di studiare lo spirito del fondatore, che è il padre spirituale di tutti quei religiosi. Ma in Elia, aggiunge, il fuoco ardente e lo zelo dell’anima sono così intensi che devono essere studiati da tutti.

Alla fine della sua terrena esistenza, fu il fuoco nella forma di carro e cavalli che rapì il profeta Elia trasportandolo in un luogo ignoto. Suarez afferma esser di fede che Elia, come anche Enoch, non è morto. Sant’Agostino conferma che “né Enoch né Elia hanno subito la corruzione in tutto questo tempo”. “Enoch ed Elia ora hanno gli stessi corpi – sostiene S. Girolamo – che avevano quando furono trasportati” (nel luogo del loro misterioso soggiorno). S. Gregorio specifica che “Sant’Elia non è sfuggito alla morte, ma per lui essa è solo ritardata”.

Circa il luogo del suo soggiorno, alcuni autori ritengono che Elia con Enoch si trovi nel Paradiso terrestre che sarebbe sfuggito all’universale diluvio, altri in un luogo ignoto, ma ameno, conosciuto da Dio solo. Quel che è certo, in entrambi i casi, è che essi posseggono uno straordinario potere di contemplazione e di amore in cui si preparano alla loro venuta finale. Elia, nel luogo dove la divina Provvidenza lo ha posto e sul quale i teologi non ci dicono nulla di certo, prega senza posa per gli uomini, essendo – secondo san Gregorio – in continue estasi, in serafiche contemplazioni e in dolci e soavi colloqui. Nell’esercizio di questa sublime orazione, l’estatico Profeta riceve quella luce abbondante e sovrana con cui dovrà un giorno venire a rischiarare il mondo. Ed è per questo che san Bernardo gli conferisce il nome di luce del mondo: orbis lumen.

“Enoch ed Elia sono felici – afferma ancora san Bernardo – poiché vivono solo per Dio e sono occupati in Lui solo, contemplandolo, amandolo e godendo di Lui”. Suarez sostiene essere del tutto consequenziale al loro stato il fatto che essi siano stati confermati in grazia, benché nel tempo del loro lungo soggiorno non possano più meritare. La loro capacità di meritare, infatti, secondo Suarez, sarebbe sospesa fino al loro ritorno, quando completeranno la loro missione con la predicazione e l’effusione del loro sangue. S. Tommaso afferma che Enoch ed Elia “vivranno insieme fino alla venuta dell’anticristo”. Questa verità, che i Padri riconoscono pressoché unanimemente, Suarez ritiene esser de fide o proxima fidei. La missione di Enoch ed Elia, negli ultimi tempi, sarà quella di predicare in abito di penitenza contro l’anticristo. La missione speciale di Enoch sarà di convertire i Gentili, mentre quella di Elia sarà di convertire i Giudei, i quali, tuttora, nella loro liturgia della Pasqua, gli lasciano un posto vuoto proprio per ricordarne la presenza alla fine dei tempi.

Essi verranno in abito di sacco per richiamare le anime alla penitenza e alla povertà. Ed anche, aggiunge l’Aquinate, per indicare che la Chiesa alla fine dei tempi ritornerà ai tempi della sua giovinezza, quando il Battista predicava vestito con peli di cammello. Essi – come mistici ponti – congiungeranno l’inizio della storia alla sua fine.

Sant’Elia sarà dunque predicatore e apostolo di Gesù Cristo nei tempi futuri, quando l’anticristo perseguiterà la Chiesa di Dio, secondo il capitolo 17° del Vangelo di san Matteo, in cui Nostro Signore Gesù Cristo stesso dice che Elia verrà e ristabilirà ogni cosa: Elias quidem venturus et restituet omnia, perché allora, come ha profetizzato Malachia, egli comparirà come precursore del secondo avvento di Gesù Cristo nel mondo.

Contro l’efficace predicazione di Elia e di Enoch, che conquisterà Giudei e Gentili, si scatenerà la rabbia infernale dell’anticristo il quale tenterà di ucciderli: cosa che Dio permetterà, per aggiungere alla loro corona la palma del martirio. Secondo numerosi Padri ed altri importanti autori, questi due ultimi apostoli saranno messi a morte in Gerusalemme come il nostro divin Redentore, ed i loro corpi, gettati sulla piazza, resteranno senza essere sotterrati per tre giorni e mezzo, secondo la profezia di san Giovanni nell’Apocalisse (cap. 11); ma, trascorsi questi tre giorni e mezzo, i due Santi risusciteranno gloriosi e saliranno al cielo in anima e corpo, in una nube luminosa, sotto gli occhi dell’anticristo e dei suoi sostenitori.

Alla morte di Enoch ed Elia seguirà subito la disfatta dell’anticristo, perché – secondo Tertulliano – questi due apostoli degli ultimi tempi “sono riservati per distruggere l’anticristo con il loro sangue”.

Secondo padre Frederick William Faber, fondatore dell’Oratorio di Londra, Elia ebbe un cuore di guerriero e un intelletto di serafino. Lo dimostra la sua fede così eroica che gli meritò di essere sulla terra il suo primo difensore, come san Michele lo era già stato in Cielo contro gli angeli ribelli. Ciò avvenne in quel pubblico “autodafé”, celebrato sul monte Carmelo, allorché, per ordine del re Acab, si trovarono riuniti ottocentocinquanta falsi profeti che Elia confuse con sagace ironia, e debellò, meritando per questo da san Bernardo il titolo di defensor fidei.

L’ardore di questo santo di fuoco, definito dal Crisostomo “angelo della terra e uomo del Cielo”, che fu portato nel luogo del suo misterioso soggiorno da quel fuoco su cui aveva esercitato uno speciale potere sulla terra, ha fatto di lui una sorta di “uomo eterno” che attende l’ora di Dio per incendiare il cuore degli uomini col fuoco del divino amore. Nel luogo in cui vive con Enoch, Elia si prepara alla sua missione finale. Poiché fu il primo devoto della Vergine Santissima, si crede che egli trascorra questo tempo nell’imitazione di Colei che ebbe lo speciale privilegio di vedere adombrata nella misteriosa nuvoletta e che amò con ammirabile anticipazione. È alla scuola della Madre di Dio che il Profeta degli ultimi tempi si prepara ad affrontare l’anticristo, attendendo due cieli: il cielo della terra, dove verserà il suo sangue, e il Cielo dei cieli, dove godrà, infine, della visione di quel Dio la cui gloria ha zelato con impareggiabile ardore.

I tempi tumultuosi che sta vivendo la Chiesa e il mondo, se non sono i tempi dell’anticristo, ne sono certamente una prefigurazione. Il profeta Elia, che attendiamo secondo le profezie scritturistiche, è fin d’ora un modello di azione e di contemplazione, di fede e di speranza, di amore incandescente all’unico vero Dio e di totale rifiuto del compromesso con l’errore. Infine il santo Profeta e Patriarca invita tutti alla generosità più estrema nel servizio di Dio, quella generosità che lo farà tornare sulla terra a versare il suo sangue per il quale ha anticipatamente meritato il titolo di martire. 

Se la moderna cristianità ha relegato (anche) il grande profeta Elia tra i personaggi leggendari, a noi la saggezza di seguire la fede dei nostri Padri che solo la stolta infatuazione dei loro figli si gloria di ignorare. (Cristiana de Magistris)








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