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LE PIAGHE DELLA CHIESA POCO PRIMA DEL CONCILIO,DURANTE E SUBITO DOPO

Ultimo Aggiornamento: 18/04/2015 10:35
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[SM=g1740758] Cari amici, per una analisi attenta di fatti ed eventi storici oggettivi..... e dopo aver dato voce ai fatti avvenuti DOPO IL CONCILIO che trovate cliccando qui, è doveroso affrontare o andare alle radici di alcuni problemi .....

E la Chiesa cadde in mano agli intellettuali (Teologi e Concilio PARTE 2, qui la prima parte)

Concilio

E LA CHIESA

CADDE IN MANO

AGLI INTELLETTUALI 2

 

Teologi e pre-Concilio. Teologi e Concilio. Teologi e post-Concilio

Un breve tentativo di analisi. PARTE 2

 

Contrordine compagni: la crocifissione “è un fiasco”; Schillebeeckx, il Catechismo Olandese. Giovanni XXIII fece il vero guaio, non Paolo VI. Henri de Lubac. Dio confonde i sapienti o i “sapienti” confondono Dio? Dice il Signore: “E’ necessario che gli scandali avvengano”… ma “guai” a chi dà scandalo. Essere “progressisti” è doveroso… nel senso: “Quanto ora io vi dico lo comprenderete a poco a poco”. Che il progresso non sia mutamento. Il guaio è che i modernisti e non i progressisti si impadronirono del Concilio

 

 

Il “Catechismo Olandese” è la modernità dei suoi concetti di religione e fede, adattata alle esigenze dell’uomo moderno, che deve diventare una vera catechesi. Con questo testo, si scatenò un putiferio. Paolo VI lo definì “il grande scandalo” e un esame del Sant’Uffizio vi identificò 10 gravi eresie e 48 medie eresie miste ad ambiguità di linguaggio. Eppure, ecco un altro paradosso ed un’altra contraddizione montiniana: il “Catechismo” non viene distrutto, se ne lascia la libera pubblicazione con il solo obbligo di una aggiunta di note atte a spiegare gli errori rilevati. Ma, santa pazienza! E’ un catechismo eretico, 10 gravi eresie, 48 medie (“medie” che vuol dire poi? un’eresia è eresia e basta, così come il bianco o è bianco o non è), lo definisci un grande scandalo e tu, Sommo Pontefice, non salvi il piccolo gregge dalla contaminazione? Lo lasci pubblicare solo con l’aggiunta di “note”? Così, la Verità viene fornita nelle note e l’errore viene lasciato nelle pagine dette di catechismo. E ai vescovi “ribelli” non fu richiesta alcuna abiura, non fu fatta alcuna verifica della loro fede. A cosa mirarono? Ad una “Nouvelle Eglise”, la quale, per essere tale, necessita anche di una nuova dottrina, di un nuovo culto, di nuovi movimenti, di un clero che venga pasturato con le loro idee innovatrici. Una “Eglise”, una Chiesa, trasfigurata, che ormai non solo non ha più nulla di cattolico, ma nemmeno di cristiano: è già post-cristiana.  Credo che Chesterton abbia risposto bene alla domanda con due righe: Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell’umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa”.

 

 

di Tea Lancellotti

 

 

CONTRORDINE COMPAGNI: LA CROCIFISSIONE “È UN FIASCO”. SCHILLEBEECKX, IL CATECHISMO OLANDESE

Bastarono queste pagine sataniche ad annientare per sempre nell’arco 12 mesi l’intera gloriosa chiesa d’Olanda

L’intento principale di questi teologi appare spesso più quello di “razionalizzare” la fede che quello di rendere ragione della stessa. E la “razionalizzazione” non è esattamente nel senso tomistico del termine. Questo nel migliore dei casi; nel peggiore si hanno vere e proprie dottrine parallele, che di cattolico hanno ormai ben poco. È il caso, per dirne una, del “Catechismo Olandese” pubblicato a Concilio appena chiuso, e che in pochissimi mesi distrusse l’intera chiesa olandese. Ma questi teologi che che “razionalizzano”, che persino riscrivono a loro arbitrio dottrine e catechismi, a cosa mirano davvero?

Sostanzialmente, molti di questi teologi innovatori miravano a riscrivere la storia della Chiesa. La loro idea non era quella di rinnegare la dottrina, ma… di modificarla completamente!

E’ assai probabile che i pontefici, da Pio XI in poi, siano stati influenzati in parte da questa idea innovatrice, ben vedendo quanto la Chiesa avesse bisogno di una riforma dopo la Questione Romana, dopo il Concordato, dopo le grandi dittature.

L’azione dei pontefici fu effettivamente in buona fede, ma i frutti furono devastanti.

Prendiamo, per esempio, Schillebeeckx Edward Cornelis Florentius Alfonsus, domenicano, amico e confratello di Congar. Egli ha una visione particolare della crocifissione e morte di Gesù, che, calata nel contesto storico, non è da considerare salvatrice. Anzi, per lui, la crocifissione di Gesù è storicamente un fiasco, poiché appare come una vittoria dell’ingiustizia umana, in cui spicca il silenzio di Dio. Inoltre, Schillebeeckx mette in dubbio la “tomba vuota”. Tutte teorie dalle quali Congar prenderà le dovute distanze. Il problema è che non se le tiene per sé. Come domenicano, infatti, si sente in dovere di dirlo alla Chiesa, si sente in diritto di essere ascoltato ed ha infine la superbia e la presunzione che la dottrina debba cambiare secondo le sue personali convinzioni. Non è un caso che Schillebeeckx sia anche uno degli ispiratori del famoso ed ereticoCatechismo Olandese – che riceve l’imprimatur dell’arcivescovo di Utrecht, Bernard Alfrink – nel quale è la modernità dei suoi concetti di religione e fede, adattata alle esigenze dell’uomo moderno, che deve diventare una vera catechesi. Con questo testo, si scatenò un putiferio. Paolo VI lo definì “il grande scandalo” e un esame del Sant’Uffizio vi identificò 10 gravi eresie e 48 medie eresie miste ad ambiguità di linguaggio. Eppure, ecco un altro paradosso ed un’altra contraddizione montiniana: il Catechismo non viene distrutto, se ne lascia la libera pubblicazione con il solo obbligo di una aggiunta di note atte a spiegare gli errori rilevati. Ma, santa pazienza! E’ un catechismo eretico, 10 gravi eresie, 48 medie (“medie” che vuol dire poi? una eresia è eresia e basta, così come il bianco o è bianco o non è), lo definisci un grande scandalo e tu, Sommo Pontefice, non salvi il piccolo gregge dalla contaminazione? Lo lasci pubblicare solo con l’aggiunta di note? Così, la Verità viene fornita nelle note e l’errore viene lasciato nelle pagine dette di catechismo. E ai vescovi ribelli non fu richiesta alcuna abiura, non fu fatta alcuna verifica della loro fede: in compenso Schillebeeckx pagò per tutti. Anche se solo in apparenza, visto che nel 1979 Giovanni Paolo II tentò di venire incontro a lui e a Kung, aprendo un’inchiesta la quale, ovviamente, scatenò il dissenso del mondo protestante, dell’ala modernista e ormai anche progressista cattolica; reazione spinta a tal punto che sembra si riverberi ancora oggi su oltre il 50% di quel che resta dello sciagurato clero olandese, nonché di qualche vescovo, seguaci tuttora del pensiero teologico di Schillebeeckx.

L’indegno primate d’Olanda durante il Concilio: Bernard Alfrink, massimo devastatore della sua chiesa nazionale

A cosa mirarono? Ad una “Nouvelle Eglise”, la quale, per essere tale, necessita anche di una nuova dottrina, di un nuovo culto, di nuovi movimenti, di un clero che venga pasturato con le loro idee innovatrici. Una “Eglise”, una Chiesa, trasfigurata, che ormai non solo non ha più nulla di cattolico, ma nemmeno di cristiano: è già post-cristiana. Credo che Chesterton abbia risposto bene alla domanda con due righe: “Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell’umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa”.

Quanto alla questione tomista, in realtà essi non vollero e non vogliono neppure ora cancellare san Tommaso. Pensano piuttosto di averlo superato: loro, del resto, si ritengono figli dell’Illuminismo e qui sta anche la chiave per comprendere ciò che stiamo vivendo oggi.

[SM=g1740771]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740758] GIOVANNI XXIII FECE IL VERO GUAIO, NON PAOLO VI. HENRI DE LUBAC

Non v’è dubbio che questi teologi saranno, con tutti i loro filistei, i grandi protagonisti del post-concilio. E che la “deviazione” deriverà anche da loro. I loro nomi sono altisonanti, abbiamo visto: i più “grandi” agli occhi del mondo: Congar, Rahner, De Lubac; a seguire Balthasar, Danielou, Haring, Kung, diversi altri. Quando come e perchè decisero di “deviare”? Soprattutto ne erano consapevoli? Qual era la loro visione ecclesiologica?

Con la confusione raggiunta oggi, non è facile rispondere a queste domande perché chi ha provato a farlo, ha ceduto spesso, per stare o da una parte o dall’altra. Ciò che manca al momento è una valutazione ufficiale che, ponendosi al di sopra delle parti, chiarisca una volta per tutte. Magari facendo anche una lista di nomi con tanto di spiegazioni, per chi è rimasto nell’ortodossia e chi no. Con l’avvento del Concilio è stato modificato anche il senso della critica e spesso si confonde una giusta critica con l’ingiusta accusa del “voler giudicare gli altri”: così ti sbattono in faccia il versetto biblico del “non giudicare”! Il punto è che questi teologi non credono di aver deviato quanto piuttosto che sia la Chiesa ad avere avuto la necessità di una deviazione. O peggio: che la Chiesa era deviata e loro l’hanno rimessa in riga. Consapevoli? Senza dubbio sì, naturalmente in nome della “buona fede” e, naturalmente, in nome “dell’umanità e della libertà dell’uomo”. Come se la Chiesa, in questi duemila anni, non avesse fatto nulla o peggio, come se avesse tenuto nascosta all’uomo la verità.

Il volto della Superbia. Il vecchio scarpone domenicano Schillebeeckx, il teologo deviato. Nella sua vecchiaia dissennata

C’è un particolare che va sottolineato. Non fu proprio con Paolo VI che queste persone trovarono spazio nella Chiesa, ma con l’elezione di Giovanni XXIII. Fu proprio il Papa “buono”, infatti, a riabilitare il gruppo che bene o male Pio XII riuscì a tenere a freno e a dare la porpora cardinalizia a Montini che Pio XII non ritenne opportuno dare. Giovanni XXIII fu il vero artefice del rinnovamento e della riforma nella Chiesa: fu lui a riabilitare de Lubac nel 1958 e fu sempre lui a volerlo, nel 1960, quale consulente teologo per la preparazione del Concilio. Ciò che non viene mai spiegato, però, è se de Lubac abbia accettato l’enciclica di Pio XII Humani Generis, nella quale il pontefice condannava le sue teorie pur senza mai nominarlo. Dal momento della sua riabilitazione, diventa il teologo vivente più ascoltato, gli sarà facile avere anche gli altri del gruppo al suo seguito e, nel 1983, Giovanni Paolo II lo nominerà cardinale. Tutto sommato, a de Lubac si attribuisce la massima espressione della Nouvelle Theologie e di aver inciso più d’altri nel Concilio: di fatto, però, de Lubac non fu affatto il “peggiore”, tanto è vero che – come abbiamo detto – persino lui finirà per dissociarsi dalle teorie del domenicano Schillebeeckx, arrivando a ringraziare Giovanni Paolo II “per aver compreso le sue interpretazioni teologiche” e per averle trovate “equilibrate anche se provocatorie”. Dunque, il Papa, di recente beatificato, era d’accordo con la teologia di de Lubac? Sembrerebbe di si. In fondo è de Lubac stesso che affermerà che “un umanesimo esclusivista è un umanesimo disumano perché pretende di essere umano senza l’incarnazione di Dio”, un concetto che riprenderà sovente Ratzinger per parlare del vero umanesimo di oggi e delle sue false interpretazioni e derive.

Eppure tutto questo ci appare incomprensibile perché, come ha spiegato de Lubac stesso, egli prese le distanze dalla teologia di san Tommaso d’Aquino quando, contemporaneamente ai fatti che abbiamo letto – e paradossalmente, aggiungo – sia Paolo VI che Giovanni Paolo II difendevano ad oltranza la teologia dell’Aquinate, definendola «il parametro verso il quale ogni moderna teologia doveva ritrovarsi».

Possiamo pensare ad un de Lubac strumentalizzato? Forse sì. Se, per esempio, prendiamo questa sua frase: “Non è vero che l’uomo, come sembra talvolta si dica, non possa organizzare il mondo terreno senza Dio. È vero però che, senza Dio, non può alla fin dei conti che organizzarlo contro l’uomo”, e ne estrapoliamo solo la prima parte troviamo l’eresia; se la lasciamo integrale troviamo una “ovvia” verità! Ma per dire delle “ovvie” verità era proprio necessario inventarsi una Nouvelle Theologie?

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Fraternamente CaterinaLD

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[SM=g1740758] DIO CONFONDE I SAPIENTI O I “SAPIENTI” CONFONDONO DIO?

Il bel volto di Henri de Lubac

Non v’è neppure dubbio che le università cattoliche e i seminari, dove questi teologi andavano per la maggiore, fino agli anni ’80 e anche dopo, si ridurranno nel luogo deputato dell’opinione, della confusione, dell’apostasia vera e propria. Dove tutto era smarrito: l’ecclesiologia, la teologia, il concetto di peccato, il senso della natura dei sacramenti e Dio stesso, il Dio cattolico. Ne rimase solo cenere e fumo. Spesso questi teologi saranno loro in persona a gettare, dalle loro cattedre, benzina sul fuoco, rivendicando teologie ormai palesemente post-cristiane, ribelli.

Eppure in tutti questi casi che dilagarono (prima sui giornali, nelle librerie e poi direttamente sulle cattedre e dai pulpiti) di deviazionismo, Roma sembrò voler rinunciare a punire. Salvo il caso eclatante di Kung. Come non servisse più a niente rivendicare anche canonicamente i diritti della verità. Perché Roma finito il Concilio rinunciò a punire? Perché lasciò queste persone alle loro cattedre a propalare eresie e non le rimosse? Forse condivideva? Forse riteneva fosse inarrestabile questo movimento?

Quanto abbiamo detto in precedenza, ci porta a fare questa riflessione: che necessità avevamo di complicare la dottrina della Chiesa quando, prima, era più facilmente comprensibile, seminava a pieno ritmo e sfornava fiumi di santi, vocazioni, conversioni e saggi maestri? Se penso, tanto per fare un esempio, alla conversione dell’ebreo Ratisbonne per mezzo di Maria Santissima e alla storia di una medaglia prodigiosa con la teologia bellissima e pura dell’Immacolata Concezione, mi viene in mente una fragrante cascata in mezzo ad un magnifico e sereno paesaggio collinare dove una semplice ragazzina di nome Bernardette diventerà la più grande “teologa” della Vergine, senza per nulla stravolgere il percorso della Chiesa; se penso invece ai frutti di certe moderne teologie e alle loro complicazioni nelle disamine dottrinali, mi vengono in mente un uragano o un fiume che rompe gli argini portando morte e devastazione, il cielo grigio e i vortici delle trombe d’aria a spazzare via tutto ciò che fino ad oggi era stato faticosamente costruito. Quante conversioni sono scaturite dai loro ragionamenti e quanta apostasia, invece, hanno prodotto?

L’immagine dell’Orgoglio. Nei tratti e nelle movenze di Congar c’era un misto di volgarità ed effemminatezza tutte francesi. Fu uno degli astri del deviazionismo conciliare e post

Un’altro esempio? La bellissima storia della Madonna delle Tre Fontane, a Roma, detta anche Madonna della Rivelazione nel cui messaggio, riconosciuto da Pio XII e dal Vicariato di Roma, c’è una sublime dottrina sulla Trinità Santissima, che converte senza troppi giri di parole il protestante Bruno Cornacchiola, la cui moglie, cattolica e con tre figli, passava il tempo a perdonare il marito e a fare i Primi Venerdì del mese al Cuore di Gesù come atto riparatore ma anche per chiedere la conversione del marito. E così avvenne perché le promesse di Gesù sono fedeli! E, ancora, nelle verdi praterie del Portogallo, a Fatima, dove tre bambini di 8, 9 e 10 anni, ricevono le confidenze della Vergine del Rosario, vedono l’Inferno – che questi teologi modernisti spesso rinnegano o che ritengono, a loro giudizio, vuoto – ricevono dalla Madre di Dio drammatiche profezie sulle sorti della Chiesa e sono “custodi” di una promessa: se vogliono andare in Paradiso e piacere a Gesù, devono pregare e fare sacrifici. Dice loro Maria: «Pregate incessantemente per le anime dei peccatori, perché non c’è nessuno che preghi per loro, e molte di queste vanno all’inferno»

Con l’arrivo di certi teologi, invece, tutto è stato rimesso in discussione. Negato financo, con aria di sufficienza, per giunta.

Ma la fede non era dei semplici? Quanti del piccolo gregge” passano davvero il tempo a leggere questi teologi? Il fatto è che questa ci sembra una guerra fra titani, fra i grandi del sapere del nostro tempo, e, quando questi si scontrano, a rimetterci poi sono sempre i piccoli.

E’ evidente che con il Concilio Vaticano II si è data la cattedra anche al suo pensiero opposto. Laddove bastava dire: “O Maria concepita senza peccato originale, pregate per noi, che ricorriamo a Voi”, si è andato a complicare tutto, con una tolleranza, spesse volte inaudita, da parte di certi pastori che non hanno trovato ostacoli nella Chiesa. Una tolleranza esasperata che ha raggiunto lo scopo di far desistere il fedele dalla sua pietà, e, anziché tranquillizzarlo con queste giaculatorie e con le pratiche devozionali, non ha fatto altro che smantellare, con delle pastorali complesse perché infarcite dei vani ragionamenti di questi teologi modernisti, l’autentica fede del credente.

Abbiamo le prove di tutto questo e sono l’insistenza sia di Giovanni Paolo II quanto maggiormente oggi di Benedetto XVI per un ritorno alla semplicità della fede attraverso l’adorazione eucaristica, il ritorno al sacro, la riforma della liturgia, la pratica del santo rosario. Un’insistenza che ci fa ritornare in mente il sogno “delle sue colonne” di san Giovanni Bosco.

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[SM=g1740758] DICE IL SIGNORE: “E’ NECESSARIO CHE GLI SCANDALI AVVENGANO”. MA GUAI A CHI DÀ SCANDALO

Giovanni XXIII celebra la sua messa privata secondo il rito di sempre

Il paradosso o, se volete, la contraddizione che viviamo è che in realtà dallo stesso Giovanni XXIII in poi, nessun Papa voleva questa deriva, ma ognuno di loro ha messo del suo, abbassando di fatto la guardia, perché alla fine avvenisse. Di fronte a queste incomprensioni, non possiamo far altro che tirare in causa Nostro Signore e pensare, ragionevolmente, che Egli stesso abbia permesso questi fatti per cause a noi ignote e che forse risultano chiarissime all’interno del Suo progetto. Rammentiamo infatti il monito di Gesù: “E’ necessario che gli scandali avvengano” (mentre fulmina coloro che scandalizzano).

Gli scandali all’interno della Chiesa sono nati con la Chiesa stessa, come maturano insieme grano e gramigna, come esistono servi giusti e servi infingardi, come crescono senapi rigogliosi e fichi sterili. I Vangeli non nascondono l’uomo all’uomo, anzi, preannunciano un cammino tortuoso e difficile, per nulla agevolato dall’appartenere alla Chiesa.

E questa Santa Chiesa non ha mai conosciuto isole di tranquillità nel suo navigare sulle correnti della storia. Anzi, spesso i venti contrari sono stati più numerosi di quelli favorevoli. Tuttavia, questa Chiesa continua ostinata per la sua strada, rispondendo al mandato di Cristo.

Il problema è che ogni epoca pone in risalto le sue debolezze. Un tempo, la più grande tentazione per i prelati era il potere; poi vennero i soldi e, col Rinascimento, anche la lussuria fece capolino. Comunque, in ogni epoca si saranno consumati, magari a percentuali variabili, i grandi peccati capitali, ora uno, ora l’altro: nulla di nuovo sotto il sole. Oggi assistiamo ad un ritorno della superbia e della presunzione di saperne più di Dio, più della Tradizione della Chiesa, in tema di teologia.

Ha ragione Rino Cammilleri nel voler vedere, nel peccato di turno, la tentazione di turno.

La tentazione coglie l’essere umano là dove le sue difese sono più deboli, le sue mura presentano qualche crepa, la preghiera vigile cede al sonno il suo sguardo verso il fine. Oggi la maggior tentazione è il sapere, la conoscenza, o peggio, la scienza, senza minimamente riflettere sulla autentica “conoscenza dell’uomo stesso” con lo sguardo di Dio, specialmente attraverso i santi che ne furono i confidenti. Si pretende di avanzare con la propria e sola ragione condendola, ogni tanto, di un pizzico di fede giusto per darle quel sapore che possa far riconoscere tale ragione come legittima all’interno della Chiesa. Chi dà, dunque, scandalo, commette un attentato verso il prossimo, commette un atto ingiusto verso i “semplici e i puri di cuore”, verso i piccoli, per i quale se l’Amore di Dio opera per metterli a riparo, è anche vero che la Sua giustizia condannerà a suo tempo l’empietà.

Giovanni XXIII pochi mesi prima della morte

Noi, veri piccoli, non abbiamo risposte a queste domande, noi che viviamo di devozioni come il Santo Rosario quotidiano o come gli appuntamenti dei Primi Sabati e Venerdì del mese per trovare nei Cuori di Gesù e Maria quella vera Pace che altrove non troviamo. Non sappiamo neppure come siamo finiti a dover discutere di eventi più grandi di noi ma che, senza alcun dubbio, sono eventi che non avrebbero dovuto farci sentire così distanti dalla Chiesa, eventi che hanno prodotto l’apostasia. Teologi senza scrupoli che tentando di razionalizzare il nostro umanesimo hanno finito per non farci più credere in Cristo; teologi modernisti come Rahner (ancora oggi insegnato nei seminari), che invece di essere allontanati da noi sono stati premiati e promossi senza però spiegarci come questo sia stato possibile. Teologi le cui dottrine continuano ad annacquare la purezza di quella fede dei santi che tanto seppero fare per guadagnare anime al Divino Crocefisso tanto da farci domandare oggi: ma questi teologi, quante anime hanno portato alla salvezza? O forse dovremmo chiederci: quante anime a causa delle loro speculazioni teologiche si sono rovinate dannandosi?

C’è una promessa di Gesù che ci consola: “Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio.” (Mt 13, 27)

Dunque sembra quasi fatale e inspiegabile quanto abbiamo visto. Ma non agli occhi del Signore, che già tutto aveva “visto” in anticipo. E, infatti, proprio quando ormai questi fenomeni, raggiunto l’acme negli anni ’80, volgevano verso un’agonia oscena ma inevitabile, che però trascinava nell’agonia anche un intero sistema e tutte le istituzioni accademiche cattoliche, proprio allora, invece che essere puniti o almeno rimossi dalla memoria, questi teologi (si pensi a de Lubac, Congar, von Balthasar, e anni prima Danielou ecc.) furono in massa elevati da Giovanni Paolo II alla porpora. Perché? Che senso aveva? Per cosa li premiava? Forse sta proprio nella parole della parabola sopra citata, il senso.

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22/07/2013 13:12
 
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[SM=g1740758] ESSERE “PROGRESSISTI” E’ DOVEROSO. NEL SENSO: “QUANTO ORA IO VI DICO LO COMPRENDERETE A POCO A POCO”

Paolo VI. Solennissima liturgia

Attenzione a quanto abbiamo detto fino a qui, ora è necessario terminare con alcuni basilari chiarimenti che potranno aiutarci a trovare le risposte a queste difficili domande.

E’ fondamentale per noi oggi non rischiare una totale chiusura nei confronti del Concilio stesso, nelle sue intenzioni originali, anche a favore di quella apertura che non mise affatto in pericolo la Verità, le dottrine e i dogmi. Sarebbe infatti assurdo pensare o affermare che la Verità stessa (con la V maiuscola) possa essere uccisa dagli uomini e con i loro ragionamenti.
Senza dubbio, chi attenta alla Verità stessa, la perde, ma non può mai eliminarla.

San Paolo stesso, mentre ci mette in guardia dalle false dottrine, avverte i fedeli di “conservare ciò che è buono, di non gettare via tutto, perché ciò che è buono viene da Dio“: è il famoso discernimento di cateriniana memoria. Si tratta di trovare quel corretto equilibrio che non elimina la ragione stessa, né impedisce alla Chiesa il suo proprio legittimo progresso, anche dottrinale. La Verità stessa infatti, arricchisce chi l’accoglie, ma a sua volta si incrementa per sbriciolare nel tempo l’intera comprensione delle Scritture (“quanto ora io vi dico, lo capire a poco a poco”, disse il Signore), fino al ritorno glorioso di Cristo, come indica il versetto: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13, 52). Quando una teologia è ben fatta e non rigetta la Verità già acquisita, il concetto di nuovo non è affatto illegittimo o illecito: al contrario, diventa una continuità nella Verità e, basandosi sulla Tradizione, l’arricchisce rendendola viva in ogni tempo.

Quando diciamo progressisti, dunque, occorre fare attenzione, invece, a chi ha a cuore l’autentico progresso della Chiesa insito anche e soprattutto nella nuova comprensione del Vangelo all’interno di problematiche tipiche del proprio tempo: ai suoi tempi san Tommaso fu definito un innovatore, bocciato come eretico dal vescovo francese. L’Aquinate aveva incomprensioni anche con san Bonaventura e non è un segreto che tra francescani e domenicani c’è sempre stata una chiara distinzione nell’innovazione stessa. Viviamo in un tempo in cui i termini si sprecano e spesso vengono usati senza rifletterci troppo, rischiando di usarli come etichette o come slogan che invece di aiutare alla comprensione, finiscono per confondere ulteriormente i fedeli.

Diverso è quando parliamo di modernisti: non sono la stessa cosa dei progressisti come si tende a far credere e la condanna di questa ideologia è incisa a chiare lettere nell’Enciclica di san Pio X, Pascendi Dominicis Gregis, con il suo Giuramento antimodernista e, a seguire, la condanna della sua “Nouvelle Theologiae” denunciata da Pio XII nella Humani Generis.

Nel gruppo di coloro che furono a favore di questo progresso troviamo di fatto tutti i pontefici, specialmente a partire dal beato Pio IX, Leone XIII con la Rerum Novarum, in particolare, oggi, Giovanni Paolo II e lo stesso Ratzinger, i quali si batterono, e si batte oggi Benedetto XVI, perché tale “progresso” non si trasformasse piuttosto in progressismo o in modernismo mascherato da progresso. Questo infatti, significò quella rottura con la Tradizione, sfruttando le porte aperte del Concilio, mentre in tutti i documenti troviamo chiara la condanna ad ogni forma di modernismo che si voleva far infiltrare nel concetto di nuovo.

In tal senso, si può comprendere la posizione favorevole dei pontefici nei confronti di alcuni teologi come de Lubac, Congar, von Balthasar, Danielou e lo stesso allora giovane Ratzinger, il quale sarà invece un punto di riferimento importante per valutare fino a che punto avrebbe dovuto e potuto spingersi la “Nova Theologia” e non la “Nouvelle Theologie”. Basta leggere le catechesi, i discorsi, le stesse encicliche di Benedetto XVI per comprendere non solo queste differenze, ma il concetto stesso dell’ermeneutica della continuità.

 

CHE IL PROGRESSO NON SIA MUTAMENTO

Due volte Pietro. Paolo VI e il neo-cardinale di Monaco Joseph Ratzinger

Un modernista è, per esempio, Karl Rahner oppure il domenicano Schillebeeckx o Hans Kung, i quali pretendono di trasformare il Vangelo a seconda delle necessità della modernità, a seconda delle mode del momento (lo stesso vuole anche la Teologia della Liberazione).

Un progressista seinteso correttamente come a favore del progresso, si muove secondo i parametri estesi da san Vincenzo Linirense che diceva:

“Dirà forse qualcuno: non si dà, dunque, progresso alcuno della religione nella Chiesa di Cristo? Altroché se si dà, e grandissimo! Chi vorrà essere tanto ostile agli uomini e tanto odioso a Dio da tentare di impedire un simile progresso? Però avvenga in modo tale da esser veramente un progresso della fede e non un’alterazione. Progredire, infatti, significa che una cosa si amplifica rimanendo se stessa; mutamento, invece, significa che una cosa passa a diventare un’altra cosa. È necessario, dunque, che crescano — e crescano molto gagliardamente — col passare delle generazioni e dei tempi l’intelligenza e la scienza e la sapienza della fede sia nel singolo sia presso la comunità, sia in ciascun cristiano sia in tutta la Chiesa: però la crescita della fede avvenga soltanto ferma restando la sua propria natura, cioè entro l’ambito dello stesso dogma, nel medesimo significato e nella medesima sentenza — in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia” (Commonitorium,23 -PL50,667).

Un vero progressista, dunque, è colui che progredisce ma senza mutare la dottrina. Chi modifica le dottrine, invece, non è un progressista, ossia a favore del progresso, ma è un modernista che si finge progressista, la cui ideologia rimane condannata dalla Chiesa senza mezze misure.

[SM=g1740771]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] IL GUAIO È CHE I MODERNISTI E NON I PROGRESSISTI SI IMPADRONIRONO DEL CONCILIO

Due volte Pietro. Giovanni Paolo II e il futuro Benedetto XVI, suo successore

In sostanza il vero danno sta nella confusione fra coloro che sono per il progresso autentico della Chiesa – e che vengono chiamati erroneamente progressisti – e i modernisti, vera piaga della Chiesa. Senza dubbio l’ultimo Concilio portò con sé questo legittimo progresso che, strumentalizzato da modernisti senza scrupoli, ha dato origine all’uso di termini altrettanto strumentalizzati. Il Concilio fu progresso e non progressismo; il Concilio si aprì alle tematiche del mondo moderno, ma non era modernista!

In tal senso è doveroso fare discernimento sui teologi che vi parteciparono e comprendere così perché alcuni di questi furono protetti dalla Chiesa, furono appunto premiati. Lo stesso Ratzinger dice:Sempre più cresceva l’impressione che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione. Sempre più il Concilio pareva assomigliare a un grosso parlamento ecclesiastico, che poteva cambiare tutto e rivoluzionare ogni cosa a modo proprio. Evidentissima era la crescita del risentimento nei confronti di Roma e della Curia, che apparivano come il vero nemico di ogni novità e progresso. Le discussioni conciliari venivano sempre più presentate secondo lo schema partitico tipico del parlamentarismo moderno [...].

Per i credenti si trattava di un fenomeno strano: a Roma i loro vescovi parevano mostrare un volto diverso da quello di casa loro. Dei pastori che fino a quel momento erano ritenuti rigidamente conservatori apparvero improvvisamente come i portavoce del progressismo – ma era farina del loro sacco? (Card. J. Ratzinger, La mia vita. pp. 97-99.).

Non abbiamo risposte alle mille domande che ci siamo posti e che continuano a sorgere. Abbiamo, però, un segno tangibile della Verità della Chiesa: Ratzinger è divenuto Pontefice!

Teologi del suo spessore e spesso etichettati erroneamente, con fare dispregiativo e confuso, come progressisti dai modernisti, sono invece a favore del legittimo progresso della Chiesa, favorevoli ad una comprensione sempre più nuova del Vangelo, attenti a quell’autentico Spirito Santo che “fa nuove tutte le cose”. Un concetto di nuovo che Benedetto XVI ha spiegato bene nel creare il nuovo Dicastero dedicato alla nuova evangelizzazione: seppur questo termine nuovo lo riscontriamo in ogni pastorale e in ogni documento ufficiale, non significa sempre un fatto negativo.


evangelizzazione, che non significa fare cose nuove, significa rifare nuove le cose di sempre. [SM=g1740721]

Il Papa spiega nel MP Ubicumque et semper:

“La diversità delle situazioni esige un attento discernimento; parlare di nuova evangelizzazione non significa, infatti, dover elaborare un’unica formula uguale per tutte le circostanze. E, tuttavia, non è difficile scorgere come ciò di cui hanno bisogno tutte le Chiese che vivono in territori tradizionalmente cristiani sia un rinnovato slancio missionario, espressione di una nuova generosa apertura al dono della Grazia. Infatti, non possiamo dimenticare che il primo compito sarà sempre quello di rendersi docili all’opera gratuita dello Spirito del Risorto, che accompagna quanti sono portatori del Vangelo e apre il cuore di coloro che ascoltano. Per proclamare in modo fecondo la Parola del Vangelo, è richiesto anzitutto che si faccia profonda esperienza di Dio”.

Dalle stesse parole del Papa, ecco le priorità di questa evangelizzazione:

“…promuovere e favorire, in stretta collaborazione con le Conferenze Episcopali interessate, che potranno avere un organismo ad hoc, lo studio, la diffusione e l’attuazione del Magistero pontificio relativo alle tematiche connesse con la nuova evangelizzazione”.

Insomma, a certe domande non si può rispondere con un sì o con un no, con una condanna o con una promozione: la situazione assai complessa necessita di sano discernimento e di immensa prudenza, senza, spregiudicatamente, dover rigettare tutto. Dare delle specifiche risposte sarebbe presuntuoso da parte nostra, ma ci auguriamo di aver dato del materiale per riflettere, materiale attraverso il quale ognuno potrà trovare la risposta che cerca, non una risposta qualsiasi o risposte sincretiste questo no! Piuttosto delle risposte che possano aiutarci ad alimentare in noi la fede nella Chiesa sulla quale le parole del Cristo, Sommo Pontefice, sono la garanzia che le “porte degli inferi non prevarranno”; fiducia nei Vicari di Cristo che legittimamente si sono succeduti in tutti i duemila anni di storia ecclesiale, specialmente in Benedetto XVI che, senza esagerare, possiamo definire il più grande “Dottore della Chiesa” del nostro tempo!

 




[SM=g1740771]  cliccare QUI PER LA PRIMA PARTE che riguarda di più la figura complessa di Montini divenuto poi Paolo VI..... o se preferite continuate a leggere a seguire


[Modificato da Caterina63 22/07/2013 13:18]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] E la Chiesa cadde in mano agli intellettuali (Teologi e Concilio PARTE 1)

congar-chenu

E LA CHIESA

CADDE IN MANO

AGLI INTELLETTUALI 1

Teologi e pre-Concilio. Teologi e Concilio. Teologi e post-Concilio

Un breve tentativo di analisi. PARTE 1

 

Così nasce l’apologetica. Un po’ di storia. E sotto il trono di Pio XII covavano i modernisti sperando nella sua morte. In questa nuova teologia (che era una nuova ideologia) cadde anche Ratzinger. “Finalmente” Pio XII muore. Quei vescovi finirono fucilati a causa del sostituto Montini?

Negli anni del Concilio Vaticano II balzano agli onori delle cronache i più fulgidi esponenti della “Nouvelle Theologie” (e non solo), teologi francesi, tedeschi, svizzeri in genere. Il Concilio in un certo senso diventa “loro” (o così pensano). In altri concili, così come accadde per altre riforme liturgiche, l’opera di approfondimento e attualizzazione del dogma cattolico è sempre stata ad opera dei santi più che dei teologi. Perché questa improvvisa importanza degli intellettuali?

di Tea Lancellotti

 

COSÌ NASCE L’APOLOGETICA. UN PO’ DI STORIA

“bene scripsisti de Me Thoma”

Prima di avventurarci nei particolari del nostro tempo, è fondamentale chiarire che cosa si intende per “Nouvelle Theologie” (nuova teologia). Una Teologia che si rispetti, infatti, non nasce dal giorno alla notte, ma segue uno sviluppo continuo che poi, a seconda di una più o meno fedele ortodossia, la Chiesa valuterà come attendibile oppure come erronea, quando non proprio eretica. Ricordiamoci che i teologi, seppur non tutti ortodossi e pochi dottori o canonizzati, sono sempre stati considerati i detentori della sapienza a seconda dei carismi “dati ad ognuno”, come spiega san Paolo, e che, a modo loro, hanno comunque aiutato la Chiesa nelle sue riforme storiche.

Faremo qui esclusivamente una breve, ma necessaria, ricostruzione storica. Il primo grande teologo che tutta la Chiesa contempla e mantiene come fondamento è san Paolo, per via delle lettere canoniche entrate nel Nuovo Testamento, quale materiale più antico e completo che abbiamo. Da qui si sviluppa la teologia della Chiesa in campo dottrinale, etico e morale: basti ricordare, come esempio, il primo Concilio di Gerusalemme a cui si accenna nel capitolo 15 degli Atti.

Nei tempi della “patristica”, si avrà uno sviluppo molto controllato della teologia a causa delle tante eresie che continuamente nascevano: severità soprattutto verso il giudaismo per una corretta comprensione della fondamentale necessità della conversione, senza la quale non vi può essere alcuna comunione; severità anche verso l’espansione del paganesimo, così come contro lo gnosticismo che pretendeva un cristianesimo mitologico e dualista. Da questo scaturisce, fin dal I secolo, la cosiddetta apologetica che non è altro che l’eloquenza in difesa della dottrina cristiana.

Non tratteremo qui di Origene e di altri scrittori ecclesiastici, spesso usati in modo distorto e contro la dottrina cattolica. Ci preme avanzare nel tempo per sottolineare come tutto questo fosse in comune, ed univa la chiesa cattolica da Oriente, la cui diversità si esprimeva nel rito greco, ad Occidente, la cui diversità si evidenziava nel rito latino. Con la fioritura dei monasteri e il conseguente avvicinamento agli studi dei monaci, la teologia compirà ulteriori sviluppi nella sua specifica caratteristica: “contemplatio, meditatio, ruminatio” della Sacra Scrittura attraverso gli scritti dei Padri e delle loro interpretazioni approvate dalla Chiesa. In questa nuova teologia, che non vuol dire inventata, ma si riferisce ad un nuovo modo di fare teologia, i monaci introducono le allegorie, figure retoriche in cui ad un’immagine corrisponde un concetto e a questa immagine viene data l’interpretazione necessaria alla sua comprensione, perseguendo costantemente l’ortodossia di tutta la Chiesa, arricchendola.

Con sant’Agostino, san Bernardo da Chiaravalle e con Ugo da san Vittore (tanto per citarne alcuni), agli inizi del XII secolo abbiamo una nuova aggiunta al modo di fare teologia. Senza mai distaccarsi da quella apologetica iniziale e da quanto la Chiesa aveva maturato fino a questo periodo, questi teologi inseriscono all’interno della teologia non più soltanto la Sacra Scrittura, bensì anche tutto il supporto della tradizione orale e di conseguenza anche la cosiddetta “critica storica”.

Nascono le “scuole theologiche”, con la famosa “Scolastica”, che vedrà impegnati gli Ordini “Mendicanti” in nuovi approfondimenti teologici validi per affrontare con innovative predicazioni il proprio tempo, affranto da nuove forme di eresie come quella dei catari-albigesi, del protestantesimo ed altre. Notare come il termine “nuovo” si affaccerà in ogni epoca della Chiesa…

Con san Tommaso d’Aquino, infatti, nel XIII secolo si vedrà un ulteriore e sostanzialmente definitivo sviluppo in questo senso della “Sacra Doctrina”, nella quale la dimensione del senso del sacro irrompe nella teologia dandole quell’impronta fino a noi pervenuta. Impronta che sarà rimessa in discussione dalla cosiddetta “Nouvelle Theologie” che si affaccia nel Novecento per poi esplodere prepotentemente sfruttando il Concilio Vaticano II. Tutto questo, naturalmente, merita un approfondimento che ogni lettore potrà compiere per arricchirsi ulteriormente.






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[SM=g1740758] E SOTTO IL TRONO DI PIO XII COVAVANO I MODERNISTI SPERANDO NELLA SUA MORTE

Alcuni santoni della Nouvelle Thelogie

Negli anni del Concilio Vaticano II balzano agli onori delle cronache i più fulgidi esponenti della “Nouvelle Theologie” (e non solo), teologi francesi, tedeschi, svizzeri in genere. Il Concilio in un certo senso diventa “loro” (o così pensano). In altri concili, così come accadde per altre riforme liturgiche, l’opera di approfondimento e attualizzazione del dogma cattolico è sempre stata ad opera dei santi più che dei teologi. Perché questa improvvisa importanza degli intellettuali?

Perchè questa improvvisa importanza degli intellettuali?

La “Nuova Theologia”, come concetto, non nasce con il Concilio Vaticano II. A fare i pignoli essa comincia a svilupparsi, come concetto moderno, con il Protestantesimo liberale e la sua devastante Sola Scriptura. Con l’Illuminismo (con tutti gli “ismi” raggruppati fino ad oggi), poi, troverà un terreno fertile che esploderà nei primi del Novecento tanto da far intervenire il pontefice san Pio X che, con autentico spirito profetico, condannerà quel concetto di modernismo. Del progressismo ci occuperemo invece più avanti perché i due termini non vanno affatto confusi. La crisi di questa insistente teologia modernista metterà a dura prova anche il venerabile Pio XII, che porrà un freno al suo espansionismo con l’enciclica Humani Generis, ma più che un freno questa sarà solo un tamponamento. Tuttavia distingueremo più avanti anche la liceità di questa “nuova teologia” dall’errata strumentalizzazione scaturita dalla lotta fra cattolici conservatori e modernisti…

Alla morte di Pio XII, nel 1958, si presentò un grande dilemma nella Chiesa.

Da una parte il lungo pontificato di Pacelli era stato segnato dal prestigio indiscutibile di un papa che, più passavano gli anni, più concentrava potere nelle sue mani, anche perché era cosciente delle tensioni che crescevano all’interno del mondo cattolico e che Pacelli sapeva fronteggiare: aspetto, questo, che davvero non piaceva ai modernisti.

Dall’altra parte, la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi totalitarismi ed orrori, aveva aperto il dilemma non soltanto su nuove possibili distruzioni a livello planetario, ma soprattutto sulla necessità di un dialogo più aperto verso un mondo che voleva scardinare i valori tradizionali e perfino Dio.

In questo scenario, si rafforzarono alcuni quadri all’interno della Chiesa che credevano più importante aprirsi al dialogo con il mondo, sacrificando la parte magisteriale, dogmatica e dottrinale della Chiesa (i modernisti), mentre si fecero più pressanti quei gruppi definiti poi conservatori, che ritenevano più importante invece mantenere ad ogni costo la purezza del dogma e della morale cattolica, nonostante il pericolo di naufragare, lasciando annegare ciò che si sarebbe potuto invece salvare. In questi quadri si formarono anche gruppi più moderati che, fedeli al Pontefice ed alla Tradizione della Chiesa, sentivano tuttavia la necessità di sostenere un equilibrato progresso interno alla Chiesa e saranno loro, effettivamente, ad essere quell’ago della bilancia ma anche quel fermento che, sostenendo i conservatori ma lasciandosi fuorviare anche dalle iniziative tentatrici dei modernisti, contribuiranno non poco a portare la Chiesa verso un vistoso sbandamento che avrà il suo apice negli anni Settanta.

Nascono così, negli anni Quaranta e Cinquanta, dei movimenti come quello della Nouvelle Théologie e dei preti operai che mantennero prima una posizione d’avanguardia, tanto da essere tollerati dalla Chiesa, salvo poi, quando furono oggetto di condanna papale, agire più cautamente per poter muoversi efficacemente, cominciando ad infiltrarsi nelle file di coloro che, fedeli ad un corretto e legittimo progresso della Chiesa, diedero sfogo a ciò che venne poi definito progressismo.

Non è un segreto di oggi che molti all’epoca desideravano la morte di Pio XII, considerato il maggior ostacolo alla vera riforma della Chiesa. E non si può negare l’importante ruolo svolto dal cardinale Ottaviani, che si rivelò essere un vero e provvidenziale “angelo custode” per il Pontefice ma anche per la conservazione dottrinale della Chiesa contro la deriva “progressista e modernista”, due correnti che non sono affatto, come dicevamo, la stessa cosa per quanto le si voglia assimilare.

Aderirono alle idee della Nouvelle Théologie teologi come Pierre Teilhard de Chardin, i domenicani Yves Congar ed Edward Schillebeeckx, Hans Küng, Han Urs von Balthasar, Marie-Dominique Chenu, Karl Rahner, Louis Bouyer, Etienne Gilson.


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[SM=g1740758] IN QUESTA NUOVA TEOLOGIA (CHE ERA UNA NUOVA IDEOLOGIA) CADDE ANCHE RATZINGER…

i teologi conciliari Ratzinger e Congar

In questa ideologia caddero in un primo tempo anche Jean Daniélou e persino Joseph Ratzinger. Ebbene, e come da lui stesso raccontato nel libro “La mia vita”, lui e Danièlou si dissociarono successivamente e lo stesso Ratzinger spiega bene come questo lo portò in conflitto, tutt’oggi aperto, con Hans Küng. Spiegò Ratzinger: «Mi si rimproverò di aver abbandonato la nuova teologia, in verità e come spiegai a Küng, fu lui a dissociarsi dalla Teologia della Chiesa che ha nell’Aquinate la massima espressione».

Il comune denominatore della Nuova Teologia lo possiamo ricondurre a questa spiegazione: l’ideale di una maggiore libertà della ricerca teologica, scardinata dalle dottrine esistenti, e un pluralismo teologico capace di rimettere in discussione la storia stessa della Chiesa e delle dottrine emanate. Un ripartire da capo con la possibilità di modificare.

Tutto questo non spiega ancora, anzi, non dà una risposta chiara alla domanda, e probabilmente non avremmo mai una risposta soddisfacente. É ancora oggi inspiegabile ed incomprensibile come sia stato possibile far approdare al Concilio questi moderni teologi in chiaro ed aperto dissenso con il Magistero Ecclesiale.

Ancora oggi Karl Rahner è offerto all’interno dei seminari come materiale da studiare ed imparare: sovente si trovano vescovi che negli scritti usano citarlo per suffragare le loro pastorali. Eppure è ben risaputo come egli si sia in qualche modo allontanato dalla teologia cattolica. Sembrano assai chiare le restrizioni e i richiami dei pontefici ad Hans Küng e al domenicano Schillebeeckx: strano, però, è l’atteggiamento che ebbero, invece, verso altri teologi come il domenicano Congar, e il gesuita de Lubac, premiati con il cardinalato, dei quali parleremo più avanti.

Ciò che possiamo dire è che già con il beato Pio IX ci furono scrittori, da lui incoraggiati, quali Sanseverino, Cornoldi, Gonzalez, ecc. che diedero il via ad una “neo-scolastica”, attraverso cui riportare la fondamentale dottrina rifacendosi alla Scolastica del XIII secolo, dimostrando che le certe verità filosofiche, raggiunte dalla Chiesa, non sono affatto mutabili e non variano secondo le mode dei tempi. Inoltre questi scrittori spiegarono che, se i grandi teologi del Medioevo, come san Tommaso o san Bonaventura, erano riusciti ad armonizzare un sistema filosofico sulle fondamenta dei pensatori filosofi greci come Aristotele, per esempio, allora doveva essere possibile, anche ai giorni nostri, trovare un’armonia tra le verità ottenute, già raggiunte, e le nuovi correnti filosofiche.

Tuttavia, proprio con il confronto dialettico con il pensiero moderno, la neo-scolastica, trovandosi di fronte a problemi sconosciuti nel tempo medievale al quale faceva riferimento, comincia a mutare il suo metodo di lavoro, allontanandosi dall’Aquinate, pur rimanendo ancora in linea con il pensiero costante della Chiesa. In tal senso si spiega l’Enciclica di Leone XIII Aeterni Patris del 1879 che dà “alla Neo-scolastica il suo carattere definitivo e ad accelerarne lo sviluppo, in un’ottica in cui si chiede la fusione di principi universali e immutabili con la sintesi delle nuove conoscenze in continuo progresso“.


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[SM=g1740758] FINALMENTE” PIO XII MUORE

L’ultimo papa interamente romano: Pio XII

Quale che sia la storia, comunque, il perché ci siamo ritrovati nel Concilio Vaticano II questi personaggi va ascritto a Pio XII. Nella sua enciclica Humani Generis, è vero che esprime una chiarissima condanna alla Nouvelle Theologie, ma non fa nomi, non emette scomuniche e al contrario tollera e sollecita coloro che esprimono una teologia inquieta, pur definendoli ribelli, a lavorare non per demolire il corpus dottrinale della Chiesa, «ma per arricchirlo». Se apparentemente questa enciclica fu un colpo durissimo per la Nouvelle Theologie e se è vero che questi teologi furono esclusi dall’insegnamento, va detto che già nel 1959 cominciarono ad essere riabilitati uno dietro l’altro, e non certo per opera di Pio XII, che nel ’58 era “finalmente” (per loro) morto. Tuttavia, se egli avesse apportato delle chiarissime condanne, facendo nomi e cognomi, e avesse espresso chiare scomuniche, probabilmente neppure Giovanni XXIII (e non Paolo VI) avrebbe potuto con tanta facilità farli entrare addirittura al Concilio, alcuni di loro persino come periti, spesso come veri leader e maitre a penser. E’ evidente, dunque, che già ai tempi di Pio XII, il concetto di una nuova teologia non era affatto del tutto condannato dalla Chiesa e non poteva esserlo, dal momento che in tutta la sua storia la Chiesa aveva sempre incoraggiato le “nuove” teologie purché aderissero e restassero fedeli all’insegnamento già in vigore, come spiega l’enciclica di Leone XIII sopra citata. Il vero scontro comincia con la Nouvelle Theologie poiché avanzerà, allontanandosi dal patrimonio dottrinale già acquisito, pretendendo, dello stesso, una mutazione radicale.

QUEI VESCOVI FINIRONO FUCILATI A CAUSA DEL SOSTITUTO MONTINI?

Pio XII e Montini, sostituto

Questi teologi hanno, del resto, la piena simpatia di Paolo VI, che sembra assai affine a certa cultura “francese”. Oltre a questa affinità letteraria, che altre affinità ha con loro? Perché vi ripose tanta fiducia? E particolare predilezione mostrò a Congar, definendolo «la più grande testa della Chiesa». Tuttavia, Congar, ne fu anche il massimo demolitore, della Chiesa.

Comprendere Paolo VI sarebbe come vincere un terno al Lotto! Perdonate il paragone che non nasce da una mancanza di rispetto, ma sorge spontaneo osservando la realtà dei fatti. E’ il Papa che ha combattuto, attraverso le udienze del mercoledì, il dilagare delle false interpretazioni del Concilio, ma al tempo stesso è colui che è sembrato tacere ed applaudire alla devastazione liturgica e sistematicamente dottrinale che avveniva sotto i suoi occhi. Quando andava, per esempio, in visita nelle parrocchie, non vedeva forse come si celebrava la liturgia fra canti sguaiati e il suono delle chitarre? E’ stato il primo Papa a girare il mondo: non vedeva cosa accadeva nella Chiesa e il tutto suffragato proprio da quella Teologia moderna e “Nouvelle” da lui corteggiata attraverso i suoi amici teologi?

C’è, a tal proposito, un aneddoto assai chiarificatore: lo scrittore Julien Green, un anglicano che si convertì al cattolicesimo – per altro, grazie proprio alla Messa antica che sottolineava quella Presenza Reale che fu causa di divisione – stupefatto nel verificare che il nuovo rito era così simile a quello che aveva conosciuto nella sua infanzia protestante, si girò verso la sorella, che gli stava accanto, e tristemente le disse: ” Ma allora, perché ci siamo convertiti?”

Me c’è di più! Padre Josè-Apeles Santolaria de Puey y Cruells, che è anche avvocato e giornalista, ha scritto un libro, “Papi in libertà” in cui descrive alcuni aspetti della situazione assai interessanti. Li riporto, anche e un poco condensati, perché vale la pena di leggerli.

Il vero scontro fra l’ala conservatrice e i due estremi della Chiesa, progressista e modernista, non avvenne con il Concilio Vaticano II come molti pensano, ma bensì nel conclave del 1958, durante il quale si pensò di eleggere un Pontefice innovatore, progressista, ma non modernista.

L’uomo chiave dell’ala innovatrice era Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano dal 1954. La sua era, tuttavia, un’elezione (quasi) impossibile, in quanto non era stato fatto cardinale poiché – ed anche qui non è un segreto – Pio XII gli negò la porpora per ragioni che ancora non sono state del tutto chiarite, ma che si possono individuare con il racconto di un vicenda che ci terrà impegnati per un poco ma che è importante conoscere per gettare luce sulla personalità di Montini.

Il bello e nobile tratto di Montini, nel suo “esilio” dorato di Milano. Dove lo aveva mandato Pio XII a seguito di gravi vicende

Negli anni cinquanta, mons. Montini, all’epoca sostituto della Segreteria di Stato, mantenne dei colloqui segreti con il Cremlino, senza che Pio XII ne fosse al corrente.

I fatti furono questi.

Pio XII aveva mandato, in incognito, dall’altra parte della Cortina di ferro, alcuni vescovi, con l’intenzione di aiutare la Chiesa perseguitata nei Paesi dell’Est. A questi aveva anche dato l’incarico di fare alcune consacrazioni di altri vescovi.

Qualcosa, però, andò storto.

Improvvisamente, questi vescovi inviati dal Papa furono tutti arrestati dal governo moscovita: alcuni furono fucilati, altri furono mandati nei gulag della Siberia, senza alcun processo e senza informare la Santa Sede.

Pio XII, appena lo seppe, ne fu profondamente costernato, e pianse lacrime amare. Non si dava pace e non capiva che cosa fosse accaduto, viste le mille precauzioni prese per mantenere segreta la presenza dei vescovi. Nel 1954, però, il mistero fu svelato. L’arcivescovo di Riga (Lettonia) comunicò personalmente a Pio XII una informazione importantissima ricevuta dal vescovo luterano di Uppsala (Svezia) che, a sua volta, l’aveva saputo direttamente dai servizi segreti occidentali: il KGB era venuto a conoscenza della presenza dei vescovi clandestini niente meno che da “informazioni dalla Segreteria di Stato”!

Sembra che Pio XII piangesse amaramente al solo pensiero di essere stato tradito dalla Segreteria più importante. Senza perdersi d’animo, tuttavia, aprì immediatamente un’indagine e scoprì i contatti che c’erano stati tra Montini e il governo dei “rossi” a sua insaputa, ossia “contatti non ufficiali”.

Fu questo il momento in cui, immediatamente e sotto l’apparenza di una promozione, predispose il repentino trasferimento di Montini alla sede ambrosiana. Inoltre, alla consacrazione del nuovo successore di sant’Ambrogio, che ebbe luogo a San Pietro, Pio XII non fu presente e Montini se ne andò appunto, senza il tradizionale “cappello rosso”, un fatto che stupì tutti in Vaticano, ma anche nella sede ambrosiana.

Rimane da chiedersi come mai Pio XII fu così buono con Montini, compiendo una scelta che, nonostante l’allontanamento da Roma, garantiva comunque un certo prestigio al futuro Paolo VI. Il fatto è che probabilmente Pio XII non aveva avuto le prove che cercava. Certo, sapeva che Montini intratteneva “contatti non ufficiali” con l’oltre Cortina, ma non aveva avuto le prove dell’alto tradimento tanto da incolparlo della morte dei vescovi inviati di nascosto dal Pontefice. Se Pio XII avesse avuto prove più sicure di certo avrebbe preso misure più drastiche del promoveatur ut amoveatur.

Dal canto suo e a onore del vero, Montini fu in un certo senso innocente della morte di quei vescovi, ma agì imprudentemente nel prendere la decisione di intrattenersi in colloqui non ufficiali alle spalle del Pontefice!

Il più ributtante e misterioso personaggio dell’ultimo mezzo secolo di storia vaticana: l’ex padre Alighiero Tondo, in arte “Cippico”. In borghese, con altri due fresconi di chierici

Il vero colpevole della drammatica vicenda fu un padre gesuita, Alighiero Tondi, alias “Cippico”, per altro subordinato di Montini, che le guardie, messe da Pio XII a vigilare la Segreteria, scoprirono in flagrante nell’atto di fotocopiare dei documenti segreti. Così padre Tondi venne prima scomunicato e poi consegnato alla giustizia italiana che lo condannò a due anni di prigione, durante i quali si sposò – con rito civile – con l’amante Carmen Zanti, militante del Partito Comunista e obbediente tassativamente a Palmiro Togliatti.

Il seguito della vicenda, tutt’oggi, lascia sbigottiti. Inizialmente, infatti, il Tondi e la sua compagna emigrarono in Germania dell’Est, dove lui divenne segretario del dittatore comunista Walter Ulbricht ed ottenne anche la cattedra di ateismo nell’Università Marxista-Leninista. Poi, quando Paolo VI fu eletto, la coppia ritornò in Italia: mentre la Zanti ricevette incarichi prestigiosi nel Partito Comunista italiano, Tondi venne preso come funzionario civile in Vaticano. Inoltre, Paolo VI legalizzò quel matrimonio canonicamente nel 1965.

Ma non finisce qui: quando la Zanti morì (con il funerale che divenne il pretesto di una grande manifestazione comunista), il Tondi, rimasto vedovo, chiese di essere riabilitato come sacerdote. Concessione che gli venne data niente meno che da Giovanni Paolo II nel 1980! Inoltre, gli venne anche conferito il titolo di monsignore con la carica di “prelato d’onore” e mantenne un importante posto nella curia romana. Se le prostitute ci passano innanzi nel regno dei cieli, pare che pure sulla terra sia la stessa cosa: in Vaticano soprattutto.

Questo epilogo è, per certi versi, incomprensibile dal momento che Paolo VI non giustificò mai, attraverso uno scritto, l’evoluzione di questa situazione, né il Tondi formulò mai le proprie scuse né richieste di perdono, e tantomeno fece mai abiura dei suoi anni vissuti da professore presso la cattedra ateistica dell’Università Marxista. Si dice solo che rimasto vedovo “si ravvide”: nulla di più, però, su tutta la vicenda.

Questa storia, seppur non faccia luce sull’argomento del nostro colloquio, ci aiuta però a comprendere meglio la figura, assai complessa ed enigmatica, di Paolo VI. Ci sono, tuttavia, altre domande che tutti ci poniamo, ma che probabilmente non troveranno mai una risposta eloquente: come mai lo stesso Giovanni Paolo II finì per promuovere le iniziative di Paolo VI come il cardinalato a de Lubac? O il posto in Vaticano al Tondi, nella Curia Romana con il titolo di monsignore?

L’atteggiamento incomprensibile e volubile della complessa personalità di Paolo VI si evince anche quando perfino l’ala progressista, già abbondantemente impregnata dai modernisti che vi si erano infiltrati (lupi travestiti, e neppure tanto, da agnelli) che lo aveva prescelto fin dal conclave del 1958, eleggendo Roncalli solo come transizione in attesa di avere Montini cardinale, rimase da lui profondamente delusa.

Paolo VI, che sembrava il grande innovatore e il propugnatore delle cause dell’ala modernista, si arrestò infatti di fronte alle questioni etiche e morali, difendendo la dottrina della Chiesa categoricamente fino a scrivere la Humanae Vitae, la Mysterium Fidei, la Marialis Cultus, con la proclamazione solenne di Maria Mater Ecclesiae, e pronunciando il famoso “Credo”, a chiusura del Concilio, che salverà lo stesso Pontefice da ogni dubbio circa l’ortodossia della fede, facendolo trasparire come il Papa del progresso della Chiesa, ma non certo modernista, come gli infiltrati avrebbero voluto. Da qui le loro delusioni, ma anche le delusioni da parte dell’ala conservatrice a causa delle ambiguità prodotte dalle azioni del Pontefice che sembravano contraddire, sovente, gli stessi atti ufficiali proclamati attraverso i documenti sopra citati.

In questo modo, Paolo VI si trovò completamente solo, incompreso sia dall’ala progressista (nella quale erano i modernisti a tirare le fila) che lo aveva eletto, sia dall’ala conservatrice che temeva le sue idee innovatrici, spesso improvvise e arbitrarie. Incompreso o meno, resta palese che Paolo VI agì tante volte in modo contraddittorio, con uno stile tutto suo spesso autonomo come quando, appunto, operò di nascosto, alle spalle di Pio XII.

I Papi che seguirono Paolo VI ebbero così a che fare con una eredità gravosa: rendere credibile un’ immagine di Chiesa che, da una parte, si mostrava come “amica del mondo” rinunciando ai fasti e al simbolo del potere temporale e spirituale che era la tiara, e, dall’altra, ne condannava ancora una volta i vizi e i peccati. La capacità della Chiesa di essere credibile non partiva più dalla sua dottrina, ma dalla capacità del Pontefice di renderla credibile.

Quanto questa rivoluzione sia stata giusta o meno lo dirà la storia. Certo è che la crisi della Chiesa comincia proprio da quando ne venne intaccata l’immagine, specialmente a partire dalla Liturgia, ma questa è un altra pagina…


[SM=g1740771]  fine di questo dossier.....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Il linguaggio del Vaticano II

Dopo di che c’è solo da aprire il Vaticano II per constatare che i Padri hanno decisamente rotto con la Tradizione dal linguaggio netto
e senza equivoci.

Non ignoro i pochi testi vigorosamente formali, come la nota praevia, che rimette in ordine certi sviluppi deboli e perniciosi della Lumen Gentium sui poteri episcopali.

Resta nondimeno anzitutto il fatto che la stessa lodevole nota praevia non si dà come definizione di Fede e non comporta nessun anatema, e poi ed anzitutto, che abitualmente il modo di esprimersi proprio del Vaticano II è impreciso, verboso e anche sfuggente.

Qual è, ad esempio, dopo il XXI Concilio, la dottrina politica e sociale della Chiesa cattolica?

Tanto il Sillabo e le Encicliche da Leone XIII a Pio XII ce la espongono chiaramente, tanto la Gaudium et Spes e la Dignitatis Humanae ci lasciano nel vago e nell’incertezza.

Testi di compromesso

Perché meravigliarcene d’altronde? Si sa da un pezzo che sono testi di compromesso.

Si sa anche che una frazione modernista avrebbe voluto imporre una dottrina eretica.

Impedita di raggiungere questo scopo, è riuscita tuttavia a fare approvare dei testi informali.

Questi testi presentono per il modernismo il doppio vantaggio di non potere essere accusati di affermazioni apertamente eretiche e nondimeno di poter essere interpretati in un senso opposto alla Fede.

Ci attarderemo noi a combattere direttamente questi testi? Vi abbiamo pensato.

Ma la difficoltà è che tali testi non offrono appigli all’argomentazione: sono troppo vaghi.

Mentre vi sforzate di mettere alle strette una formula che vi sembra inquietante, ecco che nella stessa pagina ne trovate un’altra irreprensibile.

Mentre cercate di puntellare la vostra predicazione o il vostro insegnamento con un testo conciliare solido, impossibile da distorcere, adatto a trasmettere al vostro uditorio il contenuto tradizionale della Fede e della morale, vi accorgete ben presto che il testo da voi scelto, ad esempio sulla liturgia o sul dovere della società verso la vera Religione, è insidiosamente indebolito da un secondo testo, che, in realtà, svigorisce il primo mentre aveva l’aria di completarlo.

I decreti si succedono alle costituzioni senza offrire alla mente, salvo eccezioni rarissime, una presa sufficiente.

Un’obiezione

Ci si obietta che, per la pastorale e per ricondurre all’ovile gli sviati, il metodo delle definizioni e delle condanne non è buono. Benissimo. Ma ne esiste un altro che sia leale? Senza definizioni, si condurranno gli erranti solo al vago e al pressappoco. Ed io non vedo come si possa pretendere così di “fare della pastorale”, di cercare il bene delle anime, la verità per la mente, la conversione per il cuore.

Certo, ogniqualvolta avrò a che fare con un “fratello separato” spiegherò quanto meglio possibile il contenuto della Fede; cercherò di scoprire il sistema migliore di approccio in modo di andargli incontro esattamente là dove nascono le sue difficoltà.

La spiegazione, però, sarà guidata e contenuta dalla definizione. Per spiegare il dato rivelato non mi servirò necessariamente dello stile impersonale ed astratto, che è proprio delle definizioni; mi sforzerò di adattarmi al mio interlocutore, ma starò anche attento a che l’adattamento non si ripercuota sulla definizione per togliere il benché minimo della sua incisività.

Piegare, poco che sia, sotto il pretesto dell’adattamento spirituale, la formula dogmatica che si cerca di spiegare, significa allontanare proprio da ciò verso cui ci si sforza di condurre.

Immaginiamo che abbiate un incontro con un protestante, il quale cerca luce sul mistero del Sacerdozio. Comincerete col sottolineare la posizione cattolica ricordando gli enunciati del Concilio di Trento; poi passerete certamente all’esame dei testi della Scrittura relativi al Sacerdozio; potrete continuare dicendo al vostro interlocutore che siete d’accordo con lui sull’esistenza di un sacerdozio comune a tutti i battezzati: uomini, donne, fino ai poveri esseri privi dell’uso della ragione, ma rinati in Cristo; converrete anche, probabilmente, sulle deplorevoli prassi di alcune celebrazioni liturgiche, che trascurano tranquillamente l’assemblea e sembrano misconoscere il sacerdozio comune dei cristiani: richiamerete anche le circostanze attenuanti, facendo osservare che non ci sono riti, anche ordinati con molta saggezza e tenendo conto di tutto e di tutti, che si siano perpetuati per duemila anni preservandosi da qualsiasi sbavatura o negligenza.

Finalmente, però, al termine di ogni ricerca, confronto, spiegazione ed esegesi, voi sarete ben costretti, se non volete ingannare il vostro protestante, a tornare al punto di partenza, cioè alla famosa definizione dalla quale eravate partiti e che non c’è mezzo di eliminare o di flettere:
«Se qualcuno dice che nel Nuovo Testamento non c’è un sacerdozio visibile ed esteriore ovvero che non c’è il potere di consacrare, di offrire il vero Corpo e il vero Sangue del Signore e di rimettere o ritenere i peccati, ma soltanto l’ufficio e il semplice ministero di predicare il Vangelo, oppure che coloro che non predicano non sono più sacerdoti, sia scomunicato».

«Se qualcuno dice che l’Ordine o ordinazione sacra non è un vero e proprio sacramento istituito da Cristo Signore, ovvero che è un’invenzione umana, escogitata da uomini inesperti di cose ecclesiastiche oppure che è soltanto un rito per designare i ministri della parola di Dio e dei Sacramenti, sia scomunicato»5.

«Se qualcuno dice che lo Spirito Santo è dato con l’Ordine sacro e che perciò invano i Vescovi dicono: “Ricevi lo Spirito Santo” oppure che con l’ordinazione non s’imprime il carattere e che colui che una volta fu sacerdote può ritornare laico, sia scomunicato»6.

Una pastorale degna di questo nome

Solo il Sacerdozio del prete ha un potere, che, per essere sbalorditivo, non è per questo meno reale ed estremamente definito: offrire il Santo Sacrificio mediante la transustanziazione separata del pane e del vino. Il sacerdozio dei semplici battezzati non ha nulla a che vedere neppure da lontano con questo potere.

È tutt’altra cosa e riguarda un’altra sfera.

In definitiva ciò deriva dal fatto che, essendo la Chiesa per istituzione divina gerarchica, alcuni dei suoi membri, e non tutti indistintamente, godono di determinati poteri.
Inoltre, e sempre per divina istituzione, questi poteri sono conferiti a titolo personale e non delegati ad un collegio a maggioranza di suffragi, dietro consultazione democratica del popolo di Dio.
Benevolenza, pazienza, comprensione, agilità di spirito per ascoltare e spiegarsi, ma al tempo stesso ed anzitutto rigore inflessibile nel proporre le definizioni della Fede: tale fu in ogni tempo e fin dalle origini la duplice legge della pastorale cattolica. E noi non abbiamo nessun desiderio di alterarla, anche se l’ultimo Concilio ha preteso di fare di meglio.

La nostra pastorale, perciò, continuerà ad appoggiarsi sui Concili precedenti che, avendo deliberatamente scelto di definire, cioè di separare il vero dal falso, hanno impugnato l’unico mezzo per condurre le pecore ai pascoli salutari, compiendo con ciò un’opera pastorale degna di questo nome.

No desideriamo, certamente, il ritorno dei protestanti all’integrità e all’unità cattolica. Che questo ritorno, però, si compia onorevolmente, che non si fondi su degli equivoci.

Che i protestanti, perciò, siano subito avvertiti, tra molte altre cose che la Chiesa giudica la loro Cena una corruzione dell’istituzione evangelica e che perciò chiede loro di rinunciarvi.

Così, sempre per desiderio di onestà, diremo ai musulmani che la Chiesa di Gesù Cristo ha come solo vero Dio, non il loro Dio, ma il Suo e nostro Dio: non il Dio, che esclude dal suo mistero la Trinità delle persone e l’Incarnazione del Figlio, non il Dio di Caifa e dell’enigmatico fondatore dell’Islam7, ma il Dio di Abramo e di Gesù Cristo.
Abramo, infatti, senza conoscere la Trinità delle persone, aveva adorato la loro unità con tanta sottomissione ed amore che era disposto a ricevere la piena Rivelazione su Jahveh, ovvero a credere implicitamente nella Santissima Trinità, ovvero a credere implicitamente nella Santissima Trinità. Ricordiamoci, infatti, delle grandi parole di Gesù, il Verbo Incarnato: «Abramo, vostro padre, ha trasalito di gioia al pensiero di vedere il mio girono; l’ha visto e se n’è rallegrato» (Gv 8,56).

Testo tratto da: Padre Roger-Thomas Calmel O.P. Breve Apologia della Chiesa di sempre, ed. Ichthys pp. 33-39 (capitolo III: “Le definizioni dogmatiche e l’ordinanza rituale”).

NOTE

1. Sinodo provinciale tenuto nel 529 sotto la presidenza di San Cesario, ma le cui decisioni furono riprese dal Concilio ecumenico di Trento.

2. Concilio di Trento: Canoni sul Santissimo Sacramento dell’Eucaristia (Dz. 886-887).

3. Concilio di Trento: Canoni sul Santissimo Sacrificio della Messa (Dz. 948, 949, 950).

4. Concilio di Trento: Canoni sul Sacramento dell’Ordine (Dz. 963).

5. Ibidem.

6. Ivi (Dz. 961, 963, 964).

7. Sinodo provinciale tenuto nel 529 sotto la presidenza di san Cesario, ma le cui decisioni furono riprese dal Concilio ecumenico di Trento.


Padre Roger Thomas Calmel O.P.


Fonte> www.conciliovaticanosecondo.it/




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  Breve apologia della Chiesa di sempre



di Padre Roger Thomas Calmel O.P.

Invito alla lettura

Esiste un testo molto prezioso, che oggi dovrebbe essere ricuperato per la sua straordinaria attualità. Si tratta della Breve apologia della Chiesa di sempre di Padre Roger Thomas Calmel (1914-1975) dell’ordine dei Predicatori: è la raccolta di alcune meditazioni sull’attuale crisi della Chiesa, causate dalle idee moderniste infiltratesi con il Concilio Vaticano II.

Padre Calmel illustra, con dottrina e pietà, il dovere dei figli della Chiesa (vescovi, sacerdoti e laici), quale sia l’atteggiamento che un buon fedele deve avere nei confronti del Vicario di Cristo. Gli illuminanti insegnamenti di Padre Calmel sono uno strumento efficace per comprendere quale sia veramente la strada del sincero e devoto cattolico, che vuole realmente e sinceramente appartenere alla Chiesa, senza sentimenti di ira o di amaro zelo, che non appartengono, e non hanno mai appartenuto, al sentire cattolico.

Padre Calmel conduce per mano, passo passo, a comprendere che cosa sia la Chiesa e quale ruolo abbia il Papa.

«Come i poteri della Chiesa derivano dai poteri di Cristo, come la santità della Chiesa è la santità di Cristo “diffuso e comunicato” (Bossuet), così il messianismo: quello di Gesù Cristo, Nostro Signore e Re» e il Suo Regno non appartiene a questo mondo. Il Vangelo in tre precisi punti, dice il padre domenicano,  esprime il grande disegno messianico della Chiesa: «Cercate innanzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù» (Mt 6,33); «Una sola cosa è necessaria; Maria ha scelto la parte migliore, che non le è stata tolta» (Lc 10,42); «Io sono re, ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18, 36-37).

Cristo è Re nel Regno di Dio ed è Re della Chiesa. La Chiesa gli appartiene e su di essa imprime la sua regia autorità. Il Papa è il suo vice in terra. A causa della crisi della Chiesa e delle tempeste che si sono abbattute su di Lei, accade che molti fedeli siano talmente sofferenti, talmente angosciati, talmente delusi da essere tentati di affermare «ma questa non è la mia Chiesa!». Ebbene è una tentazione, una satanica tentazione, dalla quale occorre resistere con tutte le proprie forze.

Padre Calmel afferma che, in effetti, «quando accettiamo di guardare in faccia la realtà, siamo obbligati a dire: «Ah! Roma mi ha fatto male» a causa dei novatori e dei negatori dei mezzi di santificazione che sono penetrati nelle mura vaticane… e si è permesso che esse entrassero, senza opporvi debita resistenza. Ma un giorno Roma guarirà dalla sua malattia: «la Chiesa apparente ben presto sarà smascherata. Tosto cadrà in polvere, perché la sua forza principale nasce dal fatto che la sua intrinseca menzogna passa per la verità, non venendo mai efficacemente sconfessata dall’alto».

Gesù governa la sua Chiesa e, d’altro canto non «c’è Chiesa senza Vicario di Cristo, infallibile ed investito del primato». Nessuno può confutare che c’è «un Capo della Chiesa che è sempre infallibile, sempre senza peccato, sempre santo, che ignora intermittenze o arresti nella sua opera di santificazione. È Lui il solo Capo, perché tutti gli altri, compreso il più alto [il Pontefice], non hanno autorità se non da Lui e per Lui».

Da quando Gesù Cristo è asceso al Cielo si è procurato, fino ad oggi, 265 Papi. Spiega padre Calmel: «Alcuni, un piccolo numero soltanto, sono stati dei Vicari così fedeli che noi li invochiamo quali amici di Dio e Santi intercessori; un numero ancora più ridotto è caduto in mancanze gravissime; il maggior numero dei Vicari di Cristo, invece, furono più o meno convenienti; nessuno di loro, essendo ancora Papa, ha tradito e potrà tradire fino ad insegnare esplicitamente l’eresia nella pienezza della sua autorità.
Tale essendo il rapporto di ogni Papa e della serie dei Papi col Sommo Sacerdote Gesù Cristo, le debolezze di un Papa non debbono farci dimenticare, sia pure per poco, la saldezza e la santità della signoria del nostro Salvatore, impedendoci di vedere la potenza e la sapienza di Gesù, che tiene in mano anche i Papi insufficienti e contiene la loro insufficienza nei limiti invalicabili».

Pensiero lucidissimo, spiegazioni nette e inequivocabili: si tratta davvero di un magnifico libro da leggersi quando lo sconforto assale nel constatare le ferite inferte alla Chiesa. Si comprenderà, allora, che la Chiesa, amatissima Sposa di Cristo, proprio perché malata deve essere ancora più seguita, soccorsa, difesa, protetta. Quando c’è un ammalato, egli va ancor più amato di quando il suo stato era sano. L’amore di Cristo per la Sua Chiesa non muta mai, è costante, è perseverante, è perfetto. E quando è piagata Egli è dolorante per quelle piaghe. I fedeli, chiamati ad imitarLo in tutto, come il Vangelo insegna, possono sì soffrire per Lei, ma non per questo smettere di amarla, ripudiandola.

R.T. Calmel, Breve Apologia della Chiesa di sempre, Editrice Ichthys 2007.
Disponibile nei Priorati e centri di Messa della Fraternità San Pio X (€ 5,00+spese di spedizione)







STABILITAS LOCI

 
[Editoriale di "Radicati nella fede" - febbraio 2014]

Siamo totalmente d'accordo. Tant'è che questa stabilitas loci, chi non ce l'ha la sta cercando. Tuttavia non si può ignorare che c'è un problema che al momento appare umanamente insormontabile: tante, troppe diocesi dove di loci neppure l'ombra.
È cosa buona e giusta mettere in guardia i fedeli dalle situazioni ingannevoli. Tuttavia cerchiamo di distinguere le lamentele sterili dai tentativi di lancio - viste inascoltate le richieste (ché tanto abbiamo pastori sordi e muti per quanto ci riguarda e ciarlieri per tutto il resto) - di una pastorale tradizionale alternativa, proponendo anche testi e riflessioni commestibili a chi non ha altre fonti cui attingere.

E questa non è che la fotografia della realtà. A ognuno trarne le possibili conseguenze nelle rispettive situazioni. Nel frattempo, se non ci fosse la rete cosiddetta 'virtuale', che non può sostituire ma può supportare o in qualche modo incoraggiare le reti concrete e reali sul territorio, forse non saremmo arrivati fin qui e tante anime non sarebbero fuori da situazioni a rischio. 


Se c'è un rischio grande, oggi, è quello di credere di vivere le cose perché le si pensa o perché le si vede. Sì, oggi è questa la grande illusione, l'illusione del “virtuale”. Non vogliamo parlare solo di internet, anche di questo, ma non solo di questo.
 
C'è nel mondo tradizionale chi, navigando sul web, fa il pieno di informazioni sulla vita della Tradizione, partecipa a tutti i più infuocati dibattiti o intervenendo o lasciandosi agitare, e pensa così di vivere la Chiesa secondo la tradizione. C'è poi un altro genere di “virtuali”, fatto da quelli che, amando viaggiare, vanno in cerca dei luoghi più significativi, dove poter vivere qualche intensa esperienza, che faccia loro gustare un pezzetto della Chiesa di sempre: un giorno sono in un convento, l'altro in un priorato, l'altro ancora in una chiesa dove si canta bene la messa. Nell'approssimarsi di una festa dicono: “Dove andiamo a viverla questa volta, dove sarà meglio?”.
Entrambe queste posizioni sono ingannevoli e a lungo andare non costruiscono niente, lasciano a mani vuote, non cambiano la vita. Sono entrambe ingannate dal “virtuale” che non diventa mai “carne e sangue”. È un vagabondare pericoloso, che non ti cambia, che sposta fuori di te il problema.
 
Potremmo applicare a questo genere di persone il giudizio severo che San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, esprimeva sui monaci vaganti:
“C'è infine una quarta categoria di monaci, che sono detti girovaghi, perché per tutta la vita  passano da un paese all'altro, restando tre o quattro giorni come ospiti nei vari monasteri...
 ...sempre vagabondi e instabili, schiavi delle proprie voglie ...
 Lasciamoli quindi da parte ...”
Perché questa sferzante severità da parte del Patriarca del monachesimo? Perché questi monaci, così vagando, non si pongono sotto l'obbedienza di nessuno e sfuggono al primo compito del cristiano, la propria conversione.

I monaci benedettini fanno due voti: quello di stabilità (nel monastero) e quello della conversione dei costumi, conversione della vita. Ma è evidente che i due voti sono collegati strettamente: come fa il monaco a convertire la sua vita, se stabilmente non si mette sotto un'obbedienza santa, se non segue chi può guidarlo al cambiamento della sua vita? E come fa ad obbedire se non è stabile, se il riferimento della sua vita non è stabile?
 
Questo è vero anche per ciascuno di noi, non solo per il monaco. È vero per ogni cristiano. Tanto più per il cristiano che giustamente vuole seguire il Cristianesimo “non modificato”, cioè la Tradizione.
Per questo, e lo abbiamo già detto, dobbiamo riconoscere un luogo di messa tradizionale, dove accanto alla celebrazione della messa ci sia anche la sana dottrina, e farlo diventare il luogo della nostra stabilità. Solo così sarà edificata la nostra vita, sotto un'obbedienza reale che ci converte.
 
Anche nel caso che questo luogo sia molto distante, e quindi impossibile recarvisi tutte le settimane, sarà sempre possibile un riferimento spirituale intenso che ci permetterà un reale seguire. Uno non potrà forse andarci tutte le settimane, ma programmerà il suo esserci nei momenti più intensi dell'anno. Molte volte la difficoltà della distanza invece di essere un inciampo, se aumenta il desiderio, è una grazia: tu che sei distante puoi capire meglio quanta grazia ci sia in quel luogo, che tu non puoi sempre raggiungere.

Ad altri, più fortunati per vicinanza, sarà invece sempre possibile una fedeltà scrupolosa, alle messe e agli incontri dottrinali, fedeltà che, sola, nel tempo produce grandi frutti.
 
La vita cristiana consiste nel seguire Cristo, ma questo seguire passa attraverso quel prolungamento dell'Incarnazione di Nostro Signore che si chiama Chiesa. E nella Chiesa si incarna in volti precisi: quel sacerdote, quel fedele più zelante ecc...
 
Non ha proprio senso il vagabondare spirituale, è sterile e se volete ridicolo: vai in un luogo, vuoi vederci una bella Messa cantata, va bene! ma lo sai che, perché ci sia quella Messa cantata, dei fedeli hanno rinunciato alla loro “libertà”, per essere lì tutte le domeniche a cantarla? ...e altri hanno assicurato il servizio all'altare, tutte le domeniche? ...e un prete è lì stabilmente per celebrarla?
Se tutti questi avessero vagabondato negli anni, per cercare “esperienze” spiritualmente interessanti, tu non avresti trovato un bel nulla. Riflettici su questo.
 
Sì, è chiesta a molti una conversione in questo senso, una decisione per la vita: vuoi la Tradizione? Falla!... secondo l'autorità che il Signore ti ha dato. Sei prete? Inizia a celebrare la messa di sempre. Sei laico? Recati stabilmente dove un sacerdote, sano per dottrina, ha assicurato la messa della Tradizione, e sii fedele a quella chiesa, perché la tua fedeltà edifichi altri e converta il tuo cuore.

Non c'è alternativa a questa stabilità.

Avete mai provato a domandarvi: ma se per un miracolo della Provvidenza, il Papa concedesse libertà totale all'esperienza della Tradizione, sapremmo far frutto di questa libertà? Ci metteremmo, sotto la grazia di Dio, a fare il Cristianesimo secondo la Tradizione? O troveremmo delle scuse per vivere ancora nella recriminazione?
 
Volere che la Chiesa torni alla sua Tradizione, lamentandosi o rimpiangendo, fa buttare il tempo, fa buttare la vita... e la vita passa veloce.






[Modificato da Caterina63 03/02/2014 14:30]
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17/04/2014 22:50
 
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  L'Allocuzione di Giovanni XXIII in apertura del Concilio e la conferma di Paolo VI del "metodo" soggettivista


 


Questo blog ha pubblicato di recente un interessante articolo del Prof. Bernard Dumont, apparso sull'ultimo numero della Rivista francese Catholica, dal titolo Il conflitto irrisoltoIn un passaggio, era stata notata la discrepanza tra la versione francese dell'Allocuzione di apertura del Concilio di Giovanni XXIII e quella italiana. Poiché ho l'abitudine di verificare sempre le fonti, ho scoperto che il testo italiano pubblicato sul sito Vaticano corrisponde a quello francese, ma differisce da una versione, evidentemente l'originale italiano, che avevo pescato sul sito papagiovanni.com fornendo il link al relativo documento, del quale ora non c'è più traccia: il link non è più funzionante. Trascrivo qui il passaggio che ne parla. Di seguito indicherò altri riferimenti che confermano la versione scomparsa,  riformulata in quelle presenti sul sito Vaticano anche nelle versioni in lingua estera. 


[...] La missione attribuita al concilio era offrire risposte adeguate alle angosce nate da questa situazione, ma anche discernere le aspirazioni positive e dar loro una risposta in una formulazione appropriata. Tale era la ragion d'essere del carattere essenzialmente pratico di questo concilio, indicato con l'aggettivo « pastorale » ufficialmente attribuitogli.

Giovanni XXIII era stato chiarissimo a questo riguardo : non si trattava di « discutere di alcuni capitoli fondamentali della dottrina della Chiesa, e dunque di ripetere con maggiore ampiezza ciò che Padri e teologi antichi e moderni hanno già detto », bensì di operare un aggiornamento (è uno dei significati della parola aggiornamento ripetuta così di frequente), un adattamento pedagogico : « È necessario che questa dottrina certa e immutabile, che dev'esser fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo da rispondere alle esigenze del nostro tempo ». (Discorso d'apertura). La traduzione letterale della versione italiana comporta una variante : « [...] sia studiata ed esposta seguendo la ricerca e la presentazione usate dal pensiero moderno », formulazione ambigua, che può intendersi nel senso di una attenzione rivolta alla capacità di comprensione degli uditori oppure di un allineamento alla forme culturali dominanti dell'Occidente.

[N.d.T.: Questa citazione si riferisce ad un'altra versione del testo, rispetto a quella pubblicata sul sito Vatican.va, sul quale appare la versione corrispondente a quella francese, vedi link sopra. Non volendo, ci troviamo di fronte ad un dilemma: dello stesso discorso circolano due versioni diverse: questa riporta la versione citata dal Prof. Dumont. Non faccio commenti, ma se si confrontano le due versioni e non solo per il punto in questione, la cosa è piuttosto intrigante].
Sul sito papagiovanni.com è disponibile il documento in pdf (testo originale dell'Allocuzione di Giovanni XXIII), che consente di confermare la discrepanza; cito: «... studiata ed esposta attraverso le forme dell'indagine e della formulazione letteraria del pensiero moderno ».] E la cosa non finisce qui, perché il testo spagnolo presente sul sito Vatican.va conserva la formulazione riscontrata dall'originale italiano : « ...estudiando ésta y exponiéndola a través de las formas de investigación y de las fórmulas literarias del pensamiento moderno. »  

Anche se nella Allocuzione di Paolo VI di apertura della II Sessione del Concilio, il 23 settembre, è riportata come citazione la dicitura più blanda e generica, una riflessione comunque si impone, soprattutto in rapporto all'intera costruzione della frase.
 
Trascrivo l'incipit del punto 3. dell'Allocuzione, che ha il titolo: Omaggio alla memoria di Giovanni XXIII - « 3 . Tu inoltre hai radunato i Fratelli, successori degli Apostoli, perché fossero ripresi gli studi interrotti e le leggi lasciate in sospeso, ed anche perché essi si sentissero uniti in un unico corpo con il Sommo Pontefice e da lui ricevessero forza e direzione perché «il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace». Ma a questo più nobile scopo del Concilio hai unito anche l’altro, quello cosiddetto pastorale, che al presente sembra più pressante e più propizio del primo. Hai infatti ammonito:
« Il nostro lavoro non consiste neppure, come scopo primario, nel discutere, alcuni dei principali temi della dottrina ecclesiastica [e così richiamare più dettagliatamente quello che i Padri e i teologi antichi e moderni hanno insegnato e che ovviamente supponiamo non essere da voi ignorato, ma impresso nelle vostre menti.... ] », ma piuttosto che essa « sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi ».
In ogni caso, pur nella sua formulazione attenuata, è dunque già qui, in nuce, il principio inaudito nella storia secolare della Chiesa, che non fonda più la ragione del credere sulla Rivelazione, sul pensiero dei Padri e sul munus dogmatico che custodisce e garantisce la certezza della verità insegnata, ma sul metodo dell'indagine autonoma del nuovo-soggetto Chiesa, improntata al soggettivismo personalista, con la conseguenza che si è arrivati a sostituire al Signore-Rivelante la Chiesa-dialogante e le sue dottrine cangianti con l'evolversi nel e del tempo! Mascherarlo con parole attenuate non serve a nulla, anche perché stiamo raccogliendo i frutti delle applicazioni corrispondenti!







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   Brani scelti: VITTORIO G. ROSSI, Il morto è tutto contento d'esser morto (daEpoca, 26 Settembre 1971).

La nuova messa funebre ha perduto quel suo severo vigore che costringeva a riflettere anche chi non è credente.

 

Non si sa più come morire; la Messa da morto come è adesso fa piangere più di prima; ma non fa piangere per il morto: fa piangere per la Messa.

Dico Messa da morto; dovrei dire Messa esequiale: ma io non sono un intellettuale come quelli che hanno fatto la Messa nuova da morto; e allora dire Messa da morto mi fa vedere la cosa; e dire Messa esequiale non me la fa vedere, ci devo pensare su un momento.

Non mi piace parlare di cose della morte; ma la Messa da morto riguarda più i vivi che i morti; quello che riguarda i morti, non lo possiamo sapere. La morte è una cosa tremendamente seria, la più seria di tutte le cose che possono capitare all'uomo; perché l'uomo che ha fatto quel passaggio, potrà diventare angelo o diavolo o niente; ma ha finito di essere uomo, e questa è una perdita, su cui non si piangerà mai abbastanza.

La vecchia Messa da morto faceva sentire quel dramma tremendo; la Messa da morto che c'è adesso, è come andare a cogliere margheritine nel prato e il parasole in mano.

Le hanno cambiato anche il colore; prima era nera, adesso è viola; il nero poteva disturbare l'uomo di adesso, fargli venire i complessi, come si usa adesso; come per le sculacciate ai bambini, una volta si davano come confetti; adesso dicono che l'onda della sculacciata può arrivare al cervello, e uno che stava per diventare un altro Leonardo da Vinci, diventa un cretino da ospizio.

Il viola è come il vino allungato con l'acqua, non è né vino né acqua; non è né caldo né freddo, né vivo né morto; è un piccolo trucco per fare passare la morte come un aperitivo.

Quell'invocazione che si ripeteva lungo tutta la vecchia Messa, requiem aeternam dona eis, Domine, era grandiosa; era una invocazione a Dio nella grandiosa maestà della lingua sacra, non quella volgare di adesso, la stessa che serve per comprare i ravanelli in piazza del mercato; era l'invocazione a Dio di placare la tempesta, e riempiva e scrollava la volta della chiesa e dava un brivido a quelli che provvisoriamente restavano sulla sponda di qua.

Adesso quell'"eterno riposo" della Messa nuova è adatto a uno che va in pensione, e si spera che gliela paghino.

La Messa di adesso è fatta quasi tutta di salmi; e la poesia dei salmi è una grande poesia, grandi blocchi monumentali di poesia; ma trasferita nella lingua per comprare i ravanelli, e tradotta da gente brava a fare le liste della biancheria da mandare in lavanderia, la poesia dei salmi e delle altre letture sacre è diventata la poesia delle liste della biancheria.

"Il giusto, anche nel caso di morte prematura - troverà riposo. - Vecchiaia veneranda non è la longevità - né si calcola dal numero degli anni. - La canizie per gli uomini sta nella sapienza". Era un pezzo del Libro della Sapienza: era poesia, e poesia augusta; è diventato un pezzo di una polizza di assicurazione sulla vita.
E anche in chiesa, anche alla presenza di un morto, non si sa se ridere o piangere.

Per mille anni e più la Chiesa cattolica ha insegnato a pensare a una parte importante del genere umano; ha avuto con sé la grande arte, la grande poesia, la grande musica; ossia mille anni di civiltà occidentale sono stati mille anni cattolici; e ora si è ridotta a fare i rifornimenti nei magazzini del linguaggio dei politici e dei sindacalisti, gente notoriamente piena di sapienza e belle lettere.

E non dice più "la santa Messa"; dice la "Messa comunitaria"; e la messa non sa più di anima, cosa strettamente individuale; sa di mensa aziendale.

Non dice più "i fedeli" o "i credenti", come dice così bene l'islam; dice la "comunità di base"; e sa di comizio e tessera in tasca; ma se Dio ha fatto lui i cieli e la terra con sopra questa bella razza degli uomini, non deve dare molta importanza alle tessere in tasca. E allora la Chiesa cattolica ha potuto togliere tranquillamente dalla Messa le preghiere alla Madonna piene di dolce poesia; togliere il così detto ultimo Vangelo, cioè il principio del Vangelo di Giovanni, quello "In principio era il Verbo. E il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio"; e niente di più spirituale è mai stato detto da bocca d'uomo.

E nello spazio rimasto libero hanno collocato cose spirituali e poetiche come "questo pane, frutto della terra e del nostro lavoro... questo vino, frutto della vite e del nostro lavoro"; ed è roba che sa di cooperativa agricola.

Quando la Chiesa cattolica ha ripudiato il latino, una voce altissima della Chiesa Cattolica ha detto che finalmente quelli che pregavano avrebbero capito quello che pregavano. Quella voce era la voce delle grandi parole; così poteva sembrare che tutti i secoli di preghiere fatte dagli uomini erano andate in fumo, perché essi non sapevano quello che dicevano.

Ma il giorno che un uomo pregante capirà quello che sta dicendo, potrà smettere di pregare; la preghiera è un discorso con le cose invisibili e inconoscibili, cioè col mistero; e se il pregante riesce a sapere che cosa c'è dentro il guscio del mistero, può smettere di pregare e mandargli una cartolina postale; basta che non la mandi con le poste della nota repubblica fondata sul lavoro.
La religione è di là da tutte le spiegazioni; è fuori di tutte le prove sperimentali; i ragionamenti sulle cose che non si possono osservare, sperimentare, misurare, sono spiegazioni che non spiegano niente. Fin che restano idee, le idee non sono né vere né false, né buone né cattive: sono idee, cioè discorsi ben fatti o mal fatti, e si chiamano le dialettiche.
E le dialettiche sono le equazioni differenziali degli imbecilli di oro fino.

Se invece di dire Agnus Dei qui tollis peccata mundi, uno dice "Agnello di Dio, che ti assumi i peccati del mondo", ne sa quanto prima; cioè in qualunque linguaggio lo dica, dice una cosa che è tenuta in piedi non dalle prove, come il così detto principio di Newton, ma dal crederci o non crederci.

Montagne di parole sono state dette e scritte per spiegare che cosa vuol dire o per dire che non vuol dire niente; ma l'uomo che lo dice o lo sente dire, può sentire dentro di sé una grande luce che si apre e splende come un sole; oppure non accendersi niente; dipende da lui, non dalle parole dette o sentite.

Hanno tolto cose poetiche della Messa; e solo la poesia, non le spiegazioni, può fare vedere le cose che non si vedono; e lo spazio tolto alla poesia lo hanno dato alla predica. Facevano la Messa nuova; e si sono lasciati scappare l'occasione gaudiosa di chiudere la bocca ai predicatori.

La Chiesa cattolica non saprà mai quanta gente ha perduto per via dei predicatori.
Il gesuita portoghese padre Vieira era un grande predicatore: 300 anni fa ha fatto la predica ai predicatori; gli ha detto che piuttosto che parlare a quel modo, era meglio tacere che parlare.
San Francesco parlava agli uccelli, e gli uccelli lo ascoltavano perché gli pareva uno che parlava come loro, uno di loro; adesso quando il predicatore predica, mi viene la voglia di essere un grande peccatore, per fare dispetto a quel predicatore.

Quelli che hanno fatto la Messa nuova, hanno capito che non bastava sfrattare il latino, per dare più spiritualità alla Messa; e hanno inventato le strette di mano. É la cosa più comica che sia mai stata fatta in una chiesa cattolica.
Ci sono vecchie pettegole che si voltano indietro alla ricerca di altre mani da stringere; non gli bastano quelle laterali. Ma io guardo in su; non vedo mani da stringere; il teatro in chiesa non mi è mai piaciuto.


Hanno sfrattato il canto gregoriano, e non c'è canto più religioso, religiosamente più puro di quello; hanno sfrattato la grande musica. Forse hanno ascoltato quelli che dicevano che la Chiesa cattolica è un prodotto dell'Occidente; ma anche la scienza e la tecnica sono un prodotto dell'Occidente; eppure gialli e neri adoperano con disinvolto fervore le cose meccaniche, le medicine, i modi di vestire e comportarsi dell'Occidente.

Qualcuno che non era uno stupido, ha detto che hanno fatto più miracoli i santi scolpiti e dipinti, che non i santi vivi; ed è vero; però si è dimenticato della musica, della grande musica.
La grande musica ha portato a Dio più gente, che non tanti secoli di teologia; quel vento misterioso che entra nell'uomo, e lo invade, e lo muove come il vento muove il mare; e l'uomo piange o ride beato, si sente felice o triste, e non sa perché; e quella è la musica, la grande musica; e l'uomo poteva vedere la faccia di Dio, che nessuna descrizione della faccia di Dio è mai riuscita a fargli vedere.
E la Chiesa cattolica, una volta considerata intelligente anche troppo, ha buttato la sua grande musica fuori bordo; ai pesci.
Leonardo diceva che quando suonano le campane, nel suono delle campane l'uomo può mettere tutto quello che vuole; le sue gioie, i suoi dolori, le sue speranze.

Ora nella nuova Messa cantata, quella per i vivi e quella per i morti, i canti nuovi offrono gioielli come questo: "Mi risplenda la luce del ver - e mi guidi sul retto sentier"; o come quest'altro: "... evitiamo di dividerci tra noi - via le lotte maligne, via le liti", e altre stupidaggini come queste, innumerevoli.

E poi la musica, la musica nuova che accompagna quelle stupidaggini, e fa venire le rughe alla pancia.
Il muezzin che dal minareto musulmano chiama alla preghiera dell'aurora, grida ai quattro venti, "è meglio pregare che dormire! ... è meglio pregare che dormire!"; e fa commozione anche a chi non è musulmano; e ora coi suoi nuovi canti e suoni la Chiesa cattolica sembra dire ai suoi fedeli, che è meglio dormire che pregare.

Ma nelle pietre delle chiese cattoliche c'è ancora la eco viva dei vecchi canti, delle vecchie musiche; e il giorno che quella eco gloriosa si sarà spenta, la Chiesa cattolica si potrà mettere a vendere caramelle e pianeti della fortuna. La vecchia liturgia cattolica ha fatto arrabbiare tanta gente; ma non ha mai fatto ridere nessuno.

Dalla Messa da morto hanno tolto il Dies irae.

Devono aver pensato che potevano conturbare le anime gracili di questi tempi svirilizzati; e hanno demolito la Messa da morto. Quando nella Chiesa scoppiava quel canto, "Dies irae, dies illa, solvet saeclum in favilla... Il rimbombare della tromba per i campi seminati di sepolcri... Prostrato a terra, invoco pietà"; quel canto faceva un rimbombo immenso dentro l'uomo che ascoltava, credente o non credente, perché la morte riguarda tutti, credenti e non credenti.
La religione si regge sull'esistenza del dolore e su quella della morte; nessuno può abolire definitivamente dentro l'uomo una religione, se non abolisce il dolore e la morte.
Quel canto tremendo lo metteva con la faccia dentro la faccia della morte; e allora lui cercava disperatamente la faccia di Dio; la faccia di quello che non muore. E il Libera; il Libera che anch'esso doveva essere cantato in latino; perché solo così, con una lingua che non è quella per comprare i ravanelli, l'uomo può dire a Dio la sua disperazione; dirgli che lo liberi dalla morte eterna, "Libera me, Domine, de morte aeterna...  quando verrai a giudicare il mondo col fuoco...".

La Messa da morto era qui, in questi canti terribili e virili; quando si celebrava in una chiesa di villaggio, quella chiesa diventava immensa, una grande cattedrale. Poi l'uomo vivo usciva a testa bassa dalla chiesa dietro il morto, perché quei canti continuavano a rimbombargli dentro, come quando il cielo è pieno di folgori e tuoni.
Ora nella Messa nuova il prete parla lui della morte; lui che non sa che cosa è la vita, dovrebbe spiegare ai vivi che cosa è la morte. Così la Messa da morto è diventata una Messa coi fiori di plastica, e il burro e la marmellata. Il morto cinguetta sul ramo, come un passerotto; e tutto contento che è morto, e ora si metterà a tavola con gli angeli, i santi, i martiri, i patriarchi, il pane e burro e marmellata.

Ma io ho già detto al mio parroco, uomo pio, che se mi celebra quella Messa del pane e burro e marmellata, io mi rifiuterò di morire.

Però la nuova Messa da morto è la Messa di questa Chiesa cattolica di adesso; la grande Caterina da Siena direbbe che essa ha perso l'anima virile; dove i preti fanno quello che vogliono, si travestono come vogliono; e quei teologi nuovi che vogliono una religione cattolica da rivedere continuamente e a rivederla siano i parrocchiani e il loro parroco, e facciano le votazioni, per esempio, votare se oggi che è giovedì nell'ostia consacrata c'è Cristo o non c'è. E quegli uomini di chiesa che parlano del giorno che nel posto di Dio si metterà il Pithecantropus, ossia l'ominide di Giava, perché l'uomo è tutto. Una volta bruciavano anche per cose più piccole di queste; adesso quelli che dicono queste cose, non sono buoni neanche come legna da bruciare.




 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/05/2014 16:57
 
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  Card. Leo Burke: La riforma dei Padri Conciliari è stata in un certo senso impedita, se non tradita

Intervento in scriptis di S. Em. R. Card. Raymond Leo Burke alla quinta Sessione dei Circoli Minori del Sinodo dei Vescovi (23 ottobre 2012). Uno dei pochi esempi di cardinale cattolico, che ama parlare chiaro e senza ambiguità...

L’Instrumentum laboris ci ricorda che la testimonianza della fede cristiana è una risposta sommamente adeguata ai problemi esistenziali, specialmente perché tale testimonianza supera la falsa frattura esistente tra il Vangelo e la vita.

Ma, perché abbia luogo la testimonianza della fede, di cui il mondo oggi ha urgente bisogno, all’interno della Chiesa si richiede la coerenza tra la vita e la fede.

Tra le più gravi ferite della società di oggi si rileva nella cultura giuridica il distacco dalla sua radice obiettiva ovvero metafisica, che è la legge morale.

In questi ultimi tempi questo distacco si è di molto accentuato, manifestandosi come un vero antinomismo, che pretende di rendere legali azioni intrinsecamente cattive, come l’aborto procurato, il concepimento artificiale della vita umana allo scopo di procedere a sperimentazioni sulla vita dell’embrione umano, la cosiddetta eutanasia di coloro che godono del diritto preferenziale alla nostra assistenza, il riconoscimento legale delle unioni di persone dello stesso sesso equiparate al matrimonio, e la negazione del diritto fondamentale della coscienza e della libertà religiosa.

L’antinomismo affermatosi nella società civile purtroppo ha contagiato nel post-Concilio anche la vita ecclesiale, associandosi malauguratamente alle cosiddette novità culturali.

L’euforia postconciliare, tesa all’instaurazione di una Chiesa nuova all’insegna di libertà e amore, ha favorito fortemente un’attitudine di indifferenza verso la disciplina della Chiesa, se non addirittura una ostilità.

Pertanto la riforma della vita ecclesiale auspicata dai Padri Conciliari è stata in un certo senso impedita, se non tradita.

Dediti alla odierna nuova evangelizzazione, abbiamo il compito di porre a fondamento la conoscenza della tradizione disciplinare della Chiesa e il rispetto del diritto nella Chiesa. La cura della disciplina della Chiesa non equivale ad una concezione contraria alla missione della Chiesa nel mondo, ma è una giusta attenzione per poter testimoniare coerentemente la fede nel mondo.

Il servizio, umile certamente, del Diritto Canonico nella Chiesa è anche del tutto necessario. Come potremmo infatti testimoniare la fede nel mondo qualora ignorassimo o trascurassimo le esigenze della giustizia nella Chiesa? La salvezza delle anime, fine principale della nuova evangelizzazione, deve anche essere sempre nella Chiesa “la legge suprema”.

Card. Raymond Leo Burke 

 

(Fonte: CONCILIOVATICANOSECONDO.it)



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20/06/2014 20:31
 
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  È stato pubblicato da poco (questa recensione è di aprile 2002) il nuovo saggio di DON GIANNI BAGET BOZZO: L’Anticristo.  

Scritto con il caratteristico stile dell’Autore, tra l’indagine e la provocazione, anche questo libro presenta le riflessioni su alcuni aspetti della modernità e della moderna crisi della Chiesa. Crisi che, come scrive l’Autore, non c’era prima del Vaticano II: “è il Concilio che ha determinato la crisi.[…] il Concilio ha distrutto un ordine cattolico che non voleva distruggere e ha provocato una crisi dottrinale che prima non c’era” (p. 12). 

Velocemente, ma incisivamente, l’Autore pone in evidenza gli aspetti principali che caratterizzano questa moderna crisi nata dal Concilio. “Sino al Concilio il tema fondamentale della spiritualità della Chiesa era «la salvezza delle anime come suprema legge». … Ciò significava che l’occhio della Chiesa era diretto alla vita oltre la morte, … Non vi è dubbio che questa non è piú la predicazione della Chiesa di oggi. La vita eterna è oggi assente dall’annuncio.” (p.24). 

Il cambiamento di tendenza della predicazione cristiana è tale che “dopo il Concilio [la Chiesa] ha scelto la via della secolarizzazione e ha rivestito gli ultimi panni del moderno: l’utopia.” “Questa utopia nasce dalla rimozione assoluta dal pensiero cristiano del tema del male in tutte le sue forme… Il pensiero cattolico sceglie la via della innocenza del pensiero cosí come quella dell’innocenza del cuore. Questa è la fine del cattolicesimo come cultura.” (p. 26).
 

Questa smania di adeguarsi al mondo e alle sue moderne utopie, fa si che “Su Dio scenda il silenzio. Egli viene presentato non come il Mistero, ma come un aspetto del mondo.” (p. 29). Cosí che non v’è piú alcun bisogno di adorare Dio, perché “Il Dio compassione, il Dio ecclesiastico di oggi, non richiede adorazione.” (p. 29).  

E questo spiega bene perché si sia giunti cosí insistentemente alla nuova liturgia: “Uno dei risultati della riforma liturgica è stato quello di distruggere l’adorazione.” (p. 29).

Tutto è stato pensato, a cominciare dalla trasformazione dell’altare in mensa, con l’accento passato dalla rinnovazione del Sacrificio della Croce alla comunione dei fedeli con il Corpo del Signore. […] La Chiesa diviene cosí comunità in cui il sociale supera il personale, in cui l’unione tra i cristiani non avviene piú tra persone nella Persona divina, nello Spirito Santo, ma nella comunità umana. Tutto diviene prassi e comunità, la socializzazione del personale avviene con detrimento delle vitali radici teandriche del Cristianesimo. E cosí avviene l’evento disastroso centrale nella vita della Chiesa; un evento non voluto, non previsto, non desiderato: la sostituzione della Chiesa a Cristo. Una volta si diceva:  Cristo sí la Chiesa no, ma oggi sembra prevalere il principio contrario: la Chiesa sí Cristo no.” (pp. 47 e 49).

Ma com’è avvenuto tutto questo? 

Quante volte Dio ha lasciato Israele e la Chiesa ai pensieri del loro cuore! Anche questa volta è accaduto. … Qualcosa, anzi qualcuno ha operato in quella direzione. Qualcuno che prima ha diffuso lo spirito del mondo nella chiesa in modo che la secolarizzazione sembrasse un atto d’amore, di carità, di apertura verso il mondo. […] Naturalmente questo processo, che non è nelle mani di nessuno, non ha un leader, un rappresentante; è un fenomeno non afferrabile come fatto umano, tanto è invadente e progressivo, non ha per sola causa la liturgia della Chiesa. Vi è un falso profeta collettivo, quello che chiamiamo l’Anticristo, che è impersonale; ed è in questa figura collettiva di un’opera impersonale … che sentiamo presente l’inafferrabile responsabilità della sovversione della Chiesa.” (pp. 49 e 50).

La riforma liturgica fu applicata in modo autoritario e violento, fu un atto di imposizione della gerarchia sui fedeli, che non domandavano la rivoluzione della liturgia. Nessuna obiezione venne ascoltata. Già operava il «principe di questo mondo» e il fiume anticristico fluiva per passi insensibili. Tutto sembrava cosí innovatore, intelligente, comprensibile: rendere persuasivo il mistero, quale tentazione! … Il risultato è stato il compimento della rivoluzione moderna quando il moderno finiva. E il risultato è che la liturgia della Chiesa postconciliare è una liturgia morente, priva del sacro, del canto, priva di bellezza, di grandezza.” (p. 51).

Perché “L’Anticristo”? 

Nell’immaginario collettivo l’idea dell’Anticristo è legata ad una visione catastrofica dell’esistenza, visione che si scontra fortemente con la sensazione ottimistica di cui è impregnata la concezione moderna del progresso indefinito e migliorativo dell’umanità. Mentre invece, per i nostri padri, la figura di Satana, Principe di questo mondo, era qualcosa di talmente reale da sostenere lo stesso imperativo della Fede. Se nel mondo vi è il male, è Satana che lo produce: la disgrazia, la sofferenza, il dolore, la morte che accompagnano la vita dell’uomo in questo mondo sarebbero inspiegabili senza la pervasiva azione di Satana, delle sue illusioni e dei suoi inganni.
… Satana è il «deuteroagonista» del Cristianesimo, è colui senza il quale il Cristianesimo non sarebbe esprimibile”, dice l’Autore (p. 98). 

Ma questa visione cristiana del mondo e dell’esistenza mal si concilia col mondo moderno, convinto che presto o tardi l’uomo, in quanto tale, possa risolvere tutti i mali del mondo. L’intervento di Dio, la sua azione redentrice, la visione ultramondana del destino dell’uomo, il preminente valore trascendente dell’esistenza umana, sono tutte cose che il mondo moderno ha relegato nell’àmbito della supposta mitologia infantile dei nostri padri, non ancora sufficientemente cresciuti alla consapevolezza della loro onnipotenza.  
E la Chiesa postconciliare si è sforzata in tutti i modi per avvicinare la concezione cristiana a questa moderna concezione umana. 

Il quadro del concilio è la comunità mondiale come si stava allora organizzando sotto l’egida dell’ONU: e la Chiesa intendeva proporsi come una visione religiosa funzionale a un’etica politica omogenea a quel modello. In questa visione il peccato diviene un fatto etico o politico…” (p. 98). 

L’omissione del deuterantagonista distruggeva il Cristianesimo del Giudizio finale, dell’inferno, del paradiso, della resurrezione della carne. (…) Se tutto ciò è pia illusione, mito escatologico, apocalittica giudaica, infine materiale mitologico, allora «vana è la nostra fede», come dice Paolo ai Corinti. Senza il demonio il Cristianesimo perde il suo senso escatologico: e la Chiesa è lontana dall’essere veramente la Chiesa di Cristo se non parla del demonio. E se non ne parla piú, come accade in molte comunità cristiane, allora ciò significa che lo Spirito Santo le ha del tutto abbandonate.” (pp. 99 e 100).

Un tempo si insegnava giustamente che uno degli inganni piú sottili del demonio è costituito dalla diffusione della suggestione che egli non esista.  
Come non riflettere allora sull’evidenza attuale che tale suggestione sia entrata a far parte dei piú profondi convincimenti degli uomini della Chiesa postconciliare?  
Come impedirsi di giungere alla conclusione che Satana abbia riportato una grande vittoria, cosí da accelerare i tempi per l’avvento dell’Anticristo? 

L’esistenza e la potenza del diavolo è una rivelazione propria di Gesú. (…) …chi rivela il demonio è Gesú: i testi che nei Vangeli sinottici parlano degli indemoniati, di Beelzebul, di mammona, di Satana sono i piú significativi. (…) Oggi Satana è per i teologi il nulla, una non persona. Perdere Satana significa perdere il livello teologico del Vangelo, non intendere piú il Vangelo come storia del Figlio di Dio.” (pp. 105 e 106).

GIANNI BAGET BOZZOL’Anticristo, ed. Mondadori, 2001, pp. 137, £ 28.000 (E 14,46)

(4/2002)



Baget Bozzo: Ve lo dico io chi è l'Anticristo

L'ultimo libro del teologo genovese rilancia questa figura enigmatica. Che ha illustri cultori, da Soloviev al cardinale Biffi 

di Sandro Magister



Ci ha provato pochi mesi fa il cardinale Giacomo Biffi. E adesso ci riprova don Gianni Baget Bozzo. A spiegare chi è l'Anticristo. Che è uno dei più grossi enigmi della storia cristiana. Una specie di Satana, sì, ma difficilissimo da riconoscere. Perché senza corna, né zolfo, ne forca. Ma bellissimo e intelligentissimo, teologo sottile, ecumenista insigne, un benemerito dell'umanità.

All'Anticristo don Baget Bozzo ha dedicato il suo ultimo libro, stampato da Mondadori. Per dire che è tra noi. Che impazza nella Chiesa cattolica, nella sua teologia protestantizzata, nella sua liturgia inaridita, nel suo dialogare senza costrutto. Don Baget Bozzo, che quando fa il teologo vola alto, da vertigine, dice chiaro che non inventa niente. Lui si attiene a come l'Anticristo appare nel Nuovo Testamento: nelle lettere di Giovanni, in Paolo, nell'Apocalisse. Testi regolarmente dimenticati e censurati dalla predicazione corrente. Assieme alle pagine dei Vangeli in cui Gesù parla di Satana e con lui combatte, a cominciare dalle memorabili, superintelligenti tentazioni del deserto.

Ciò che distingue l'Anticristo dall'Avversario che aggredisce la Chiesa dal di fuori è il suo essere nemico interno. L'Anticristo è eresia cristiana. La Chiesa s'è sempre difesa da lui recidendolo dalle proprie file. Con l'anatema agli eretici. Ma oggi? Oggi la Chiesa non sa più condannare. A partire dal Concilio Vaticano II, non separa più con nettezza eresia e ortodossia. Tutto diventa ambiguo, reinterpretabile, «mercato degli inganni». E «questa terra di nessuno è la terra dell'Anticristo».

A Giovanni Paolo II, don Baget Bozzo riserva parole d'ammirazione. Ma anche rimproveri. Perché ha fatto scisma con i Lefebvriani ma non con i sostenitori della donna prete. Paolo VI, altro papa troppo esitante, in fin di vita ha almeno riconosciuto i suoi errori, quando ha confessato di vedere il fumo di Satana penetrare nella Chiesa dalle fessure aperte dai progressisti.

Questi ultimi, don Baget Bozzo non li aggredisce. Crede tanto all'Anticristo come essere personale, che i suoi seguaci quasi li perdona: non sanno quel che fanno. Non nomina nemmeno i gerarchi di Chiesa che la pensano un po' come lui. Come il cardinale Joseph Ratzinger. E più ancora il cardinale Biffi.
Quest'ultimo, lo scorso marzo, ha definito «una profezia inascoltata» il 'Racconto dell'Anticristo' scritto cent'anni fa dal russo Vladimir Soloviev: «È stupefacente la perspicacia con cui Soloviev ha descritto la grande crisi che avrebbe colpito il cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento». Don Baget Bozzo, che questa crisi l'ha vista, la racconta nel suo libro. A modo suo, da Savonarola degli ultimi tempi.

 



__________
1.2.2001







[Modificato da Caterina63 20/06/2014 20:40]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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07/02/2015 13:33
 
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   CHE COSA DIRE DEI “TRADIZIONALISTI” (E DI CHI LI CONDANNA IN BLOCCO)


 


Il mio dissenso nei confronti del padre Ariel riguarda solo aspetti esteriori, mentre naturalmente condivido la denuncia di fanatismi ideologici e commistioni politiche riscontrabili nell’area tradizionalista. Nella quale area ci sono, però, anche opinioni legittime e legittime prese di posizione, e io non posso smentire la mia strategia teologica, che consiste nel giudicare solo la dottrina


 


 


Autore Antonio Livi
Autore
Antonio Livi

 

 

 

uccisione guardia
il brutale assassinio della guardia privata già inerme a terra durante l’attentato dei terroristi alla redazione della rivista Charlie Hebdo

In un mio precedente articolo ho già manifestato il mio dissenso dal modo, a mio avviso imprudente, con cui il mio confratello Ariel S. Levi di Gualdo ha trattato l’argomento delle vignette blasfeme di Charlie Hebdo. [vedere qui]. Ora, abusando forse della sua pazienza, torno a dissociarmi da alcuni aspetti della sua maniera di polemizzare con gli esponenti italiani del tradizionalismo militante; egli, infatti, non si limita alla legittima e anzi doverosa critica di certe idee ma passa a pesanti riferimenti personali, facendo i nomi di alcuni pubblicisti (autori di libri e direttori di testate giornalistiche) e anche di alcuni studiosi seri. Tutto ciò nell’articolo intitolato “Siamo al cambio di un’epoca, sul Santo Padre Francesco è necessario sospendere il giudizio e procedere sulle ali della fede” [vedere qui].

Già prima di queste vicende recenti io avevo pubblicato qui, sull’Isola di Patmos, un editoriale nel logo isolaquale – a nome di tutti e tre i redattori della testata – precisavo quella che pensavo dovesse essere il nostro criterio dottrinale e di conseguenza la nostra linea editoriale: “Perché non possiamo dirci tradizionalisti ma nemmeno progressisti” [vedere qui]. L’essenza del discorso che facevo è questa: se parliamo di cose riguardanti la fede della Chiesa e la sua retta interpretazione, non possiamo dogmatizzare quello che è opinabile, ossia assolutizzare ciò che è relativo, perché alla fine viene a essere relativizzato proprio ciò che è assoluto, ossia la verità del dogma. Di conseguenza, L’Isola di Patmos avrebbe dovuto, a mio avviso, riaffermare in ogni occasione la verità del dogma e discernere, tra le tante opinioni teologiche che vengono proposte, quelle che costituiscono una legittima interpretazione/applicazione del dogma da quelle che sono invece incompatibili con il dogma stesso. Così facendo si poteva evitare di assumere posizioni teologicamente confuse, tali da compromettere la funzione di orientamento alla verità del dogma che L’Isola di Patmos deve avere. Per “posizioni teologicamente confuse” intendo quelle che enfatizzano oltre misura una qualsiasi legittima opinione sulla dottrina cattolica, finendo per assumere la qualità epistemica (negativa) dell’ideologia.

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Intervista ad Antonio Livi a cura di Corrispondenza Romana. Cliccare sopra l’immagine per aprire il video

Io, denominando la mia fondazione “Unione apostolica per la difesa scientifica della verità cattolica”, intendevo appunto promuovere un che fosse propriamente scientifico, cioè fondato su principi sicuri e guidato da un metodo appropriato. L’ideologia è proprio il contrario di questo modo di interpretare il dogma, perché confonde acriticamente il dogma con l’opinabile, la limitata e relativa scienza umana con l’assolutezza e definitività della rivelazione divina, così come si trova formalizzata nel dogma, che san Tommaso considerava una partecipazione della «scientia Dei et sanctorum». A quali forme di ideologia mi riferisco? A quelle posizioni ideologiche che oggi nel dibattito teologico si contrappongono polemicamente e che citavo nel titolo dell’articolo: il tradizionalismo e il progressismo.

Noi dell’Isola avremmo dovuto guardarci dall’apparire sostenitori di una di queste contrapposteideologie, e spiegare a tutti le ragioni teologiche di questa nostra presa di distanza. Non però passando dalla critica di certe idee “estremiste” alla denigrazione di singole persone. Perché le singole persone non si indentificano mai con un’idea, e tanto meno con le idee di un gruppo politico, di una corrente di pensiero. E ogni persona ha una sua dignità che non deve essere convolta ingiustamente nella critica delle idee, sue o dell’area culturale di appartenenza. Né devono essere oggetto di critica, in questo contesto dottrinale, le sue ipotetiche intenzioni, e tanto meno i fatti personali e privati.

 

metro goldwyn mayer
Ariel signigica Leone di Dio. Il padre Ariel ha una caratteristica a lui riconosciuta: si diverte a prendersi in giro da solo …

Il mio dissenso nei confronti di Ariel riguarda dunque solo aspetti esteriori, mentre naturalmente condivido la denuncia di fanatismi ideologici e commistioni politiche riscontrabili nell’area tradizionalista. Nella quale area ci sono, però, anche opinioni legittime e legittime prese di posizione, e io non posso smentire la mia strategia teologica, che consiste nel giudicare solo la dottrina (che è qualcosa di conoscibile con sufficiente sicurezza da parte di un credente dotato di criterio teologico), e non la condotta, specie se privata, delle persone (dato che le loro intenzioni e le complesse vicende della loro vita non sono mai conoscibili adeguatamente e quindi non consentono a nessuno di formulare dei giudizi certi ma solo sospetti più o meno legittimi e illazioni più o meno fondate).

Bianchi, molte fedi


Enzo Bianchi durante una conferenza

Io sono stato fedele a questa strategia teologica anche quando ho ritenuto doveroso, per la salvaguardia della fede nel popolo di Dio, disapprovare recisamente dottrine che mi sembravano del tutto incompatibili con il dogma (l’ho fatto, come tutti sanno, denunciando l’incompatibilità con le fede riscontrabile nei discorsi di certi personaggi pubblici, tra i quali laici come Enzo Bianchi e Vito Mancuso, cardinali come Gianfranco Ravasi e Walter Kasper, vescovi come monsignor Bruno Forte, eccetera). In questa linea, mi sono adoperato anche per promuovere nella Chiesa il reciproco rispetto tra tutte le opinioni compatibili con il dogma, quali che siano le divergenze nella sua interpretazione dottrinale o applicazione storica. Proprio per questo motivo mi astengo dal giudicare ciò che non è dottrina ma prassi (prassi pastorale, istituzionale, apostolica eccetera), perché la prassi delle singole persone è fatta di tante scelte prudenziali che il singolo deve operare di fronte alle diverse circostanze concrete e che devono essere guidate, appunto, dalla virtù della prudenza: virtù che io voglio praticare nel mio proprio operato, ma riguardo alla quale non ho elementi per giudicare l’operato altrui.

tradizionalisti 2
Liturgia secondo il vetus ordo missae

Nell’area tradizionalista ci sono e vanno riconosciute anche opinioni legittime. Mi spiego: se di “area” o di “corrente” si può parlare, è perché i vari protagonisti hanno tutti in comune una determinata impostazione ideologica, che consiste nel considerare illegittimo (totalmente o in parte) il magistero del Concilio Vaticano II, in quanto esso avrebbe accolto (totalmente o in parte) le istanze dell’ideologia opposta, quella del progressismo o modernismo. Da qui un’ermeneutica del Vaticano II come radicale “rottura” con la Tradizione, in particolare con i decreti del Concilio di Trento e del Vaticano I, con la condanna del modernismo teologico da parte di san Pio X e con la condanna della “nouvelle théologie” da parte di Pio XII. Da qui anche il rifiuto in blocco di tutta la teologia post-conciliare e il riferimento costante alla sola teologia pre-conciliare. Da qui poi il fatto di considerare dottrinalmente e pastoralmente inaccettabili alcune riforme introdotte dal Vaticano II nella vita della Chiesa, a cominciare dalla riforma liturgica, con il conseguente attaccamento al Vetus Ordo, considerato l’unico modo valido di celebrare l’Eucaristia. Da qui infine la critica sistematica delle scelte pastorali dei papi del post-concilio (il beato Paolo VI, san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e soprattutto il papa attuale, Francesco), considerate come effetti deleteri delle riforme conciliari.

L’Arcivescovo Marcel Lefebvre

Le posizioni più estreme, in questo senso, sono quelle rappresentate dai seguaci di mons. Marcel- François Lefebvre, alcuni dei quali arrivano a parlare di “sede vacante” e di “Chiesa apostatica”. Evidentemente, tali posizioni estreme non sono fatte proprie, tutte insieme, da tutti i rappresentanti del tradizionalismo cattolico, dato che tra essi ci sono anche studiosi seri ed equilibrati, le cui idee – prese una per una – possono e debbono essere apprezzate, anche se non necessariamente condivise, come fondate e legittime interpretazioni del dogma cattolico e della storia della Chiesa. Si tratta cioè di opinioni teologiche oggettivamente rispettabili, e io, quando si presenta l’occasione, trovo del tutto giusto rispettarle, e talvolta anche esprimere il mio apprezzamento. E a chi lavora con me suggerisco di fare altrettanto, ossia di rispettare queste opinioni teologiche oggettivamente rispettabili. Rispettarle – chiarisco – non per il contesto impersonale (socio-culturale) dell’ideologia che costituisce il loro humus, ma nel contesto personale dei retti ragionamenti di chi le propone.

Faccio un primo esempio, tanto per chiarire ulteriormente questo mio criterio. Le ricerche storiografiche di Roberto de Mattei sul Vaticano II costituiscono di per sé — indipendentemente dall’uso ideologico che se ne possa fare — una documentazione che ha un suo indubbio valore scientifico. Io non condivido il suo interesse nell’esaminare il Concilio come “evento”, perché a me interessa il Concilio come Magistero, indipendentemente da come i documenti conciliari siano stati elaborati nelle commissioni e votati in aula; ma ciò non mi impedisce di leggere senza pregiudizi i suoi lavori e di trarne utili indicazioni per l’ermeneutica del Concilio, che per papa Ratzinger porta a riconoscere nel Vaticano II una «riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa». Nemmeno condivido del tutto la sua strategia di intervento dei cattolici nella vita sociale a difesa dei «principi non negoziabili»: ma io so bene che qualche iniziativa nella società civile va pur presa, e la mia diffidenza nei riguardi dell’uso di certi mezzi (l’inevitabile commistione con questioni politiche) non toglie la mia condivisone piena dei fini. Questo è il motivo per cui non ritengo giusto che lo si critichi nell’Isola di Patmos senza distinguere tra le sue valutazioni storiografiche (che rientrano nei limiti della legittima libertà di opinione dei cattolici) e le sue iniziative culturali e socio-politiche (la cui opportunità non tocca noi dell’Isola di Patmos giudicare).

Faccio un altro esempio. Piero Vassallo è un colto intellettuale genovese, buon conoscitore della storia della filosofia moderna, e io e lui ci troviamo d’accordo sulla validità della “filosofia del senso comune” e sulla critica dell’idealismo in teologia; perché mai dovrei rifiutare la sua amicizia in quanto manifesta, quando si occupa di argomenti estranei alla teologia, simpatie per la destra politica? Oltre a non parlare (né bene né male) delle sue convinzioni politiche, dovrei anche additarlo al pubblico disprezzo? E quale argomento teologico dovrei inventarmi per attaccarlo? Dovrei forse dire che la morale cattolica proibisce di avere simpatie per la destra? Ma l’opinione che bisogna essere necessariamente di sinistra per essere buoni cattolici non ha alcun fondamento teologico: è la classica opinione dei “fondamentalisti” (che possono essere cattolici di destra, m anche cattolici di sinistra: basti pensare ai teorici della “teologia politica” o “teologia della liberazione”).

 

fuori strada …

I “fondamentalisti” sono teologicamente fuori strada, perché ignorano la complessità delle questioni politiche e lo spazio di libertà che la Chiesa concede ai fedeli nella scelta dei mezzi per operare la necessaria “mediazione” tra i principi dell’etica sociale e le concrete possibilità di promozione del bene comune nella contingenza storica. Io quindi debbo limitarmi a considerazioni di carattere teologico, ricordando a tutti che in politica non ci sono dogmi, e il vero dogma, quello che è alla base della morale cattolica, non obbliga i fedeli ad alcuna opzione politica contingente. I principi della teologia morale (e la dottrina sociale della Chiesa costituisce un capitolo della teologia morale, diceva san Giovani Paolo II) segnalano dei criteri che la coscienza dei fedeli deve seguire, applicandoli con libertà e responsabilità personale alle concrete circostanze storiche in cui ci si trova a operare.

brunero gherardini 2



l’eminente teologo della scuola romana Brunero Gherardini

Un terzo esempio è quello di Brunero Gherardini, teologo della Lateranense ed esponente di quella che fu la celebre “scuola romana”, alla quale i progressisti vollero infliggere la damnatio memoriae. I tradizionalisti invece esaltano Gherardini perché ha messo al centro della discussione teologica del post-concilio proprio la nozione di “Tradizione”, senza peraltro comprenderla appieno nella sua complessità epistemica. Io credo di averla compresa appieno e non mi convince del tutto (lui lo sa perché ci frequentiamo amichevolmente da tanti anni e ci scambiamo opinioni su tanti argomenti), ma ciò nonostante consiglio a tutti lo studio dei suoi testi, ricchi di buona dottrina e di profonda pietà. In uno di questi suoi testi egli conclude la sua analisi dei documenti dottrinali del Vaticano II rilevandone in alcuni casi l’ambiguità: un’ambiguità tale da consentire ai progressisti interpretazioni false e tendenziose, atte a giustificare la loro «ermeneutica della discontinuità», ossia la tesi secondo la quale il Vaticano II segnerebbe una radicale rottura con la Tradizione. Ma qual è la conseguenza che Gherardini trae da questa sua analisi? Non il rifiuto indiscriminato degli insegnamenti conciliari bensì un rispettoso e accorato appello alla suprema autorità del Magistero, il Papa, perché provveda nel modo che crederà opportuno chiarire in quale senso quelle proposizioni ambigue possono e debbono interpretarsi in continuità con il magistero precedente. Io ho ritenuto giusto e doveroso aderire a questa pubblica supplica al Papa, anche se personalmente ho sempre pensato che il problema delle ambiguità contenute in alcuni testi conciliari va risolto con il criterio ermeneutico della “analogia fidei”, ossia presupponendo che la Chiesa di Cristo – unico soggetto permanente nelle mutevoli contingenze storiche – non intende mai contraddirsi, sicché nelle intenzioni della Chiesa docente ogni evoluzione del dogma è sempre in armonia sostanziale con la Tradizione (si tratta di una «evoluzione omogenea», come diceva Marin Sola).

E potrei fare tanti altri esempi, ma questi bastano. Se noi dell’Isola di Patmos condanniamo indiscriminatamente le singole persone di una determinata area ideologica, senza salvare gli aspetti oggettivamente positivi delle loro proposte teoretiche, facciamo anche noi un’operazione ideologica, e così la nostra opera di orientamento teologico dell’opinione pubblica viene a esserne fortemente limitata.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Per un sano tradizionalismo


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PER UN SANO TRADIZIONALISMO

I lefebvriani confondono col modernismo, che pure è presente nel cattolicesimo di oggi, quel sano progressismo nella dottrina e nella vita cristiana, che è stato promosso dal Concilio, che può farci parlare di un sano progressismo. Un cattivo tradizionalismo ferma il cammino della storia, non comprende il valore del nuovo, mummifica il perenne, confonde l’immutabile con l’immobilismo, la saldezza con la rigidezza, il solido col pietrificato, il conservare col conservatorismo, la fedeltà con l’arretratezza, il progresso col sovvertimento e, per esser fermo nel passato, non è capace di cogliere i valori e i problemi del presente e le speranze del futuro. 

 

 

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP
Autore
Giovanni Cavalcoli OP
Pio X  1
il Santo Pontefice Pio X

È rimasta famosa la frase di San Pio X, il quale disse, seppur in un colloquio privato e non in un documento ufficiale, che il cattolico non può che essere un tradizionalista. Se la confrontiamo con l’attacco ai “tradizionalisti” fatto da Papa Bergoglio nel suo discorso al recente sinodo dei vescovi sulla famiglia, ci pare che molta acqua sia passata sotto i ponti nel Magistero pontificio. E invece, a parte le legittime o discutibili preferenze od opinioni personali dei due Papi, dobbiamo fare alcune precisazioni, al termine delle quali, spero, ci accorgeremo che la distanza per non dire opposizione non è così grande quanto a tutta prima potrebbe sembrare.

Chiediamoci infatti che cosa i due Papi hanno inteso qui per “amore alla tradizione”. Quale tradizione? Tradizione in che senso? “Amore” come e quanto? Dovrebbe subito apparire evidente, per il cattolico istruito ed attento ai fatti ecclesiali di oggi, che il termine “tradizione” è inteso in due sensi diversi, tanto che, chiarendo i rispettivi significati del medesimo termine, potremmo esser sicuri che i due Papi si sarebbero dati ragione a vicenda.Infatti, mentre Pio X si riferiva chiaramente alla Sacra Tradizione, la quale, insieme con la Scrittura, è fonte della divina Rivelazione custodita e interpretata infallibilmente dal Magistero della Chiesa, Papa Francesco ha evidentemente condannato un certo “tradizionalismo”, che, male interpretando la Sacra Tradizione o prendendola a pretesto, nega l’infallibilità o la verità, ovvero osa accusare di errore o di possibilità di errore il Magistero dottrinale del Concilio Vaticano II e, di conseguenza, il Magistero che ad esso si rifà, dei Papi successivi, fino al presente felicemente regnante.

Se pensiamo alla Sacra Tradizione, è ovvio che il cattolico non può essere che tradizionalista.Infatti, si può dire in certo modo che tutto il contenuto della dottrina della fede è oggetto della tradizione apostolica, secondo il Nuovo Testamento, intesa ad un tempo come atto del trasmettere o del predicare a voce, tradere [Rm 6,17; I Cor 11,23; 15, 3; II Tm 2,2; Gd 3], e contenuto della predicazione, traditum [I Cor 11,2; II Ts 2,15; I Tm 6,20]. Infatti Cristo non ha detto agli apostoli “scrivete” o, come farebbe un maestro di scuola: “prendete appunti”, ma: “predicate”, e per giunta a viva voce, fino alla fine dei secoli, giacchè allora non a esistevano i moderni mezzi tecnici di comunicazione orale. Tuttavia l’annuncio della Parola di Dio a viva voce, nonostante l’esistenza oggi di raffinati e potentissimi mezzi di comunicazione, resta sempre di primaria importanza, che vorremmo dire quasi sacramentale.

omelia
il Santo Padre durante un’omelia

Si pensi all’omelia del sacerdote nella Santa Messa o alle parola del confessore nel corso della confessione. Esse trasmettono una speciale grazia di luce legata al sacramento, si trattasse anche di un sacerdote senza titoli accademici, come un San Giovanni Maria Vianney o un San Pio da Pietrelcina. Per questo la Chiesa ci dice che la Messa ascoltata in TV, quasi fosse un semplice spettacolo, non ha lo stesso valore spirituale di quella ascoltata alla presenza fisica del celebrante e neppure è possibile confessarsi per telefono, così come telefoniamo al medico per chiedergli un parere o un aiuto.

apostoli
Gesù insegna agli Apostoli

È del tutto comprensibile peraltro che gli stessi apostoli, per conservare una migliore memoria, abbiano poi pensato di mettere o far mettere per iscritto le parole del Signore. E così è nato il Nuovo Testamento, ovvero la Scrittura, che si aggiunse a quella dell’Antico Testamento, nata allo stesso modo, benchè non manchino circostanze, nelle quali Dio stesso comanda di scrivere [per es. Dt 6,9; 11,20]. Anche nell’Apocalisse il Signore comanda di scrivere [19,9: 21,5].
Eppure l’ordine di Cristo di predicare e quindi di trasmettere a voce, resta sempre valido. Ed anzi è il Magistero divinamente assistito dallo Spirito Santo, Magistero che, per ordine di Cristo, ha il compito di conservare, di interpretare ed esplicitare infallibilmente i dati sia della Tradizione che della Scrittura: “Chi ascolta voi, ascolta me” [Lc 10,16]. Sbagliò dunque Lutero a voler interpretare la Scrittura senza tener conto della mediazione della Chiesa e sbaglio Monsignor Marcel Lefèbvre a voler interpretare la Tradizione senza tener conto di quegli sviluppi che furono apportati dal Concilio Vaticano II.

È certamente a questo tipo di tradizionalismo che il Papa si è riferito nel suo discorso al sinodo. Tuttavia, dobbiamo dire che non ogni tradizionalismo è sbagliato. Infatti nulla e nessuno impedisce di concepire un sano tradizionalismo, il quale, senza per nulla respingere le dottrine nuove del Concilio rettamente interpretate, provi uno speciale interesse per tradizioni preconciliari tuttora valide, soprattutto se legate all’immutabilità del dogma, le quali potrebbero essere riprese e rivalorizzate con utilità per la Chiesa del nostro tempo.

Tomas Tyn 3
il Servo di Dio domenicano Tomas Tyn

I lefevriani confondono col modernismo — che pure è presente nel cattolicesimo di oggi — quel sano progressismo nella dottrina e nella vita cristiana, che è stato promosso dal Concilio, che può farci parlare di un sano progressismo, come per esempio quello di un Maritain, di uno Spiazzi, di un Ratzinger e di un Congar, accanto a un sano tradizionalismo, come è stato quello del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, al quale ho dedicato una biografia, pubblicata nel 2007 da Fede&Cultura: “Padre Tomas Tyn. Un tradizionalista postconciliare” [vedere qui], un titolo apparentemente strano, che non è stato compreso da tutti, che avevo studiato con la massima attenzione e del quale non mi sono affatto pentito.Esso significa che un sano tradizionalismo non si trova affatto a disagio nella Chiesa del postconcilio, ma, ricordando e conservando ciò che non può perire o mutare, dà un contributo valido ed indispensabile al bene della Chiesa, in reciprocità con un sano progressismo, che scaturisce da ciò che non passa; mentre viceversa un cattivo tradizionalismo ferma il cammino della storia, non comprende il valore del nuovo, mummifica il perenne, confonde l’immutabile con l’immobilismo, la saldezza con la rigidezza, il solido col pietrificato, il conservare col conservatorismo, la fedeltà con l’arretratezza, il progresso col sovvertimento e, per esser fermo nel passato, non è capace di cogliere i valori e i problemi del presente e le speranze del futuro.

fune
il tiro alla fune

Auguriamo al Santo Padre, che si trova in mezzo all’aspro conflitto di modernisti e lefevriani, di poter operare efficacemente, con l’intercessione di Maria Regina Pacis, per la conciliazione tra questi due partiti avversi, che stanno lacerando la Chiesa, affinchè la tradizione e il progresso possano doverosamente lavorare assieme per un sano rinnovamento e una sana modernità espandendo la Chiesa verso sempre più ampli orizzonti di giustizia e di pace.






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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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18/04/2015 10:31
 
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  Il "marketing" della Chiesa funzionava da secoli. Cambiarlo (in peggio) è stato un tragico errore. Parole di esperto di marketing.


 


P 
Fedeli in fuga? Il "principe" brasiliano del marketing (Alex Periscinoto)  spiega ai vescovi il valore della tradizione (IlTimone) e la analizza alla luce delle leggi moderne del marketing: le campane, la croce, il campanile, le processioni, l'orientamento del sacerdote, la talare, il latino sono stati ottimi strumenti di riconoscimento, di fidelizzazione, di "propaganda fide", e pure di "conservanda". 
Incaricato dalla CNBB - Conferenza Nazionale dei Vescovi Brasiliani di studiare la causa dell'abbandono della pratica religiosa, e di suggerire consigli per porre dei rimedi, l'esperto di comunicazione aziendale ha nella sua relazione ha fatto rimanre i vescovi a bocca aperta. E non per il piacere. 

"Voi avevate già un perfetto sistema di "marcheting" - spiega l'esperto laico - Ma cambiando le cose, togliendo il latino, abbandonando la talare, e facendo chiese simili a edifici civili - dice Periscinoto ai vescovi - pensavate di fare cosa gradita ai fedeli, ma avete fatto un gigantesco errore. Modificare la liturgia è stato un disastro", aggiunge.
E non parla da teologo, lo ammette, ma da esperto del marketing.
Cari vescovi infiammati dallo spirito del Concilio, cosa avete da dire ora? Ad ogni causa corrisponde un effetto. E se l'effetto è stato quello di perdere fedeli... 
Certo: il discorso rileva da un punto di immagine e non di fede, ovvio. Quindi nessuno si scandalizzi. Ma non possiamo negare che molto nella liturgia, negli atti di culto e nella esternalizzazione della Fede sia forte anche una valenza di "marketing"(si pensi al trifoglio di San Patrizio o al monogramma di San Bernardino da Siena, per citare solo due dei moltissimi esempi di "logo" cattolici. 
 
Mai come in questo caso mi pare appropriata la vignetta qui a destra. "Il Vaticano II ha aperto la Chiesa..." "... e le persone sono uscite!"

nel testo che segue il s
ottolineato è nostro
Roberto
 
Si può vedere qui, in portoghese la relazione ai Vescovi Brasiliani: "A Jgreja e a propaganda"  (La Chiesa e il marketing), del 23.05.2010, da Criativa Marketing
 
 *

Chiesa e marketing, vince la tradizione da Concilio Vaticano II, del 13.04.2015
 
(Fonte: www.atfp.it di Julio Loredo) 
Pochi paesi hanno sofferto tanto le conseguenze della crisi post-conciliare come il Brasile, dove il numero di cattolici è calato del 35% negli ultimi trent’anni. Qualche anno fa, preoccupati con l’emorragia di fedeli, i vescovi brasiliani hanno arruolato un’importante azienda di marketing, l’ALMAP, il cui presidente, Alex Periscinoto, era stato nominato “miglior marketing manager” del Brasile.
I membri della Commissione esecutiva della Conferenza nazionale dei Vescovi del Brasile si aspettavano da Periscinoto un consiglio su come impostare la pastorale della Chiesa, offrendo una migliore immagine dell’istituzione, al fine di fermare l’emorragia di fedeli che, per lo più, stanno passando alle communità evangeliche.
 
Il risultato è stato sorprendente. Periscinoto ha presentato i risultati del suo studio davanti a duecento tra vescovi e sacerdoti legati alla pastorale. Dire che siano rimasti scioccati dal discorso dell’esperto in marketing, è poco. Forse si aspettavano che egli consigliasse di dipingere le chiese in colori vivaci, di introdurre più musica pop, liturgie aggiornate e via dicendo. Invece…
 
Il primo strumento di marketing della storia del mondo è stato la campana – ha esordito Periscinoto – ed era il migliore. Quando suonava, non solo raggiungeva il 90% degli abitanti, ma ne modificava il comportamento personale. Voi avete poi inventato uno strumento che è ancora utilizzato nel marketing commerciale. Si chiama ‘display’. Il display è qualcosa che utilizziamo per enfatizzare, per proporre con forza qualcosa al pubblico. Quando tutte le case erano basse, voi costruivate chiese con torri e con campanili sei volte più alti. Questo permetteva l’immediato riconoscimento della chiesa: eccola!
 
Voi avete poi inventato il primo logotipo della storia. Il logo è un simbolo utilizzato per far sì che il marchio sia facilmente riconoscibile. Il vostro era il migliore: la Croce. Questo logotipo era collocato sempre sopra il punto più alto e visibile del display. Nessuno poteva sbagliarsi: quella era la chiesa cattolica! Questo logotipo inventato da voi era così efficace che perfino Hitler lo utilizzò, con alcune piccole modifiche, per mobilitare le masse. E quasi vinse la guerra.
 
Voi avete inventato anche la campagna promozionale. Cos’è una processione religiosa? Per un paese di campagna, oppure per un quartiere di una grande città, niente è più promozionale di una processione, per esempio, in onore della Madonna. Quando noi, esperti in marketing, organizziamo un evento promozionale, utilizziamo molto di ciò che la Chiesa ha inventato. Noi sfoggiamo bandiere e stendardi, noi abbigliamo i nostri rappresentanti con costumi particolari per far sì che siano facilmente riconoscibili. Noi cerchiamo di creare una mistica commerciale. Ma la nostra mistica non sarà mai così ricca come la vostra.
 
Purtroppo, voi avete cambiato il modo in cui è celebrata la Messa. Oggi la Messa non è più in latino e non si volgono più le spalle ai fedeli. Pensavate forse di far qualcosa gradita. Invece, ho una brutta notizia da darvi. Mia mamma mai pensò che il sacerdote le volgeva le spalle. Lei pensava invece che tutti, fedeli e celebrante, guardassero Dio. A lei piaceva il latino, anche quando non ci capiva un granché. Per lei, il latino era un linguaggio mistico col quale i ministri della Chiesa parlavano con Dio. Lei si riteneva privilegiata e ricompensata per aver assistito, in ginocchio, a una cerimonia così importante. Secondo me, il cambiamento che voi avete fatto nella liturgia della Messa, è stato un tremendo errore.Posso sbagliare. Io non sono un teologo. Io analizzo il problema dal punto di vista del marketing. E da questo punto di vista, è stato un disastro.
 
“Voi avete tolto il costume particolare, la talare, che contraddistingueva i vostri rappresentati commerciali, i preti. Avete così buttato via un marchio.
 
Voi avete snaturato i vostri display, facendo le chiese sempre più simili ai palazzi civili.
 
“Tutto ciò che voi avete inventato contiene un’offerta, qualcosa che voi volete vendere. Il vostro prodotto si chiama Fede. Ma ho anche una buona notizia da darvi. Questo prodotto, oggi, trova una domanda sempre crescente. Il mercato, forse, non è mai stato tanto propizio per la Fede. Voi, però, parlate più di politica che di Fede. Potete, dunque, lamentarvi se le vostre chiese sono sempre più vuote, mentre i saloni dei gruppi evangelici sono sempre più pieni?”
   
(Fonte: www.atfp.it di Julio Loredo)





[Modificato da Caterina63 18/04/2015 10:35]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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