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Il caso drammatico di Andrea Caron, il vescovo rifiutato dalla genova laicista del 1912

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2013 13:13
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24/07/2013 13:13
 
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[SM=g1740758] Il 29 aprile 1912 Andrea Caron  fu trasferito alla sede arcivescovile di Genova ma non poté prendere possesso della sua nuova sede avendo il governo italiano negato l'exequatur alla sua nomina.
Era considerato un rigido antimodernista e, in forza di questa prerogativa, era stato nominato arcivescovo di Genova da papa Pio X.

Alla nomina si oppose, dietro suggerimento del prefetto di Genova, il ministro guardasigilli del Regno d'Italia, Camillo Finocchiaro Aprile.
« La presenza di Caron avrebbe quasi certamente provocato gravi tensioni in una città – allora solidamente amministrata da una giunta radicale e socialista – nella quale forti erano i fermenti innovatori del mondo cattolico (dalla fine del Settecento, con la consistente presenza giansenista, fino all'influenza di padre Semeria) e talvolta – come negli anni Quaranta o ai tempi di monsignor Magnasco – drammatico lo scontro tra credenti e anticlericali. Il confronto tra Genova, Palazzo romano e Oltretevere ebbe aspetti durissimi, a tal punto che Pio X abbatté sulla città l'interdetto, privandola dei sacri riti. »
(Mauro Bocci, Genova e Roma tra Risorgimento e Novecento, in La Casana, nº 4 del 2004)

In realtà il papa non dispose l'interdetto nei confronti della città ma si limitò a disporre che nell'Arcidiocesi fossero sospese tutte le funzioni pontificali proprie del Vescovo dal momento che a questi era stato interdetto di prendere possesso della Cattedra di sua spettanza, quindi fare dei pontificali senza il vescovo mandato dal Papa non avrebbe avuto alcun senso. Tale, provvedimento poi fu ritirato in concomitanza con la nomina di Tommaso Pio Boggiani come amministratore apostolico.
Il nuovo pontefice, il genovese Benedetto XV, si prodigò per risolvere la questione fino ad ottenere l'exequatur per monsignor Caron; tuttavia, su richiesta dello stesso prelato che riteneva inopportuno il suo insediamento a Genova, nel dicembre 1914 elesse nuovo arcivescovo di Genova il mite Ludovico Gavotti.
Monsignor Caron il ricevette il titolo di Calcedonia il 22 gennaio 1915 e si trasferì a Roma dove ricoprì alcuni incarichi curiali prima di ritirarsi a Montecassino dove morì il 29 gennaio 1927.
 Letteralmente exequatur significa "si esegua". L'exequatur era un'antica prerogativa sabauda che consentiva allo stato di esprimere il gradimento sulle nomine ecclesiastiche.

Dopo questa premessa, leggiamo le parole addolorate di San Pio X per la situazione ora descritta....

DISCORSO DEL SANTO PADRE PIO X
AI GENOVESI CONVENUTI A ROMA
PER CHIEDERE ALLE AUTORITÀ CIVILI
DI CONSENTIRE AL NUOVO ARCIVESCOVO
DI PRENDERE POSSESSO
DELL'ARCIDIOCESI DI GENOVA

Sabato, 22 febbraio 1913


 

La vostra visita in questa stagione a costo di disagi e di sacrifici, o figli diletti, Ci è di vero conforto, perchè dimostrate con essa di prendere viva parte al Nostro dolore per la grave tribolazione, alla quale è sottoposta, con l'archidiocesi di Genova, la Chiesa cattolica. La vostra presenza infatti Ci assicura che voi siete persuasi, che Noi soffriamo più di voi per la prolungata vedovanza della Chiesa di Genova, pel bene che viene impedito, e pel male che può derivare dalla mancanza del Pastore, che vegli alla custodia del gregge.

E questo dolore si accresce a dismisura, perchè non sappiamo come recare ad esso il rimedio, non conoscendo i motivi pei quali fu impedita finora la venuta dell'Arcivescovo da oltre dieci mesi da Noi preconizzato; perchè quelli che Ci fecero manifesti i giornali sono tutti a lode del Vescovo, che avrebbe demeritato tale officio, se si fosse altrimenti contenuto. Fra le amarezze, che si fanno sempre più gravi per la condizione a cui siamo ridotti, la quale diviene di giorno in giorno più insopportabile, abbiamo tollerato in silenzio che, senza legge che lo imponga, si impedisca arbitrariamente per molti mesi ai nuovi eletti il governo delle diocesi. Abbiamo tollerato che si esigesse dai nuovi eletti la dimanda di essere ammessi al possesso dei benefici, ma mai all'esercizio di quel ministero avuto dall'unica autorità che lo poteva conferire. Abbiamo tollerato con pazienza gli attacchi vergognosi della stampa, le calunniose imputazioni, nelle pubbliche assemblee, di nemici della patria, colla tacita approvazione e qualche volta coll'applauso dei presenti, senza che alcuno di coloro che ne avevano il dovere insorgesse alla difesa; ma non potevamo mai pensare che si arrivasse per la prima volta, nei dieci anni del nostro Pontificato, al punto di minacciare il rifiuto delle temporalità ad un Vescovo da Noi prescelto fra tanti ottimi per una diocesi così importante: Vescovo pei lunghi suoi precedenti riconosciuto in tutto esemplare, da tutti benamato, ed encomiato dalle stesse autorità, che ebbero con lui relazioni d'officio. Ma accettiamo anche questa nuova tribolazione che permette il Signore; non però senza sentire il grave insulto fatto al Capo della Chiesa nella sua divina missione, e non senza protestare contro la violenza a quella libertà e indipendenza, che non ha dagli uomini, ma da Dio stesso.

Voi quindi potete ben credere quanto conforto Ci rechino oggi colla vostra presenza le testimonianze di filiale affetto e di inalterabile devozione, che con voi Ci dànno tutti i cattolici della diocesi di Genova. Anzi vi ringraziamo dell'assicurazione che Ci date, e della quale non abbiamo mai dubitato, di essere non solo disposti, ma lieti di accogliere subito fra voi l'Arcivescovo, e di provvederlo generosamente di quanto è necessario alla sua persona, alla sua dignità ed al suo ufficio. Ci rincresce però di non poter oggi esaudire la vostra preghiera, perchè Noi saremmo giudicati come autori di disordini (che studiosamente ecciterebbero i vostri e Nostri nemici) e anche come provocatori di nuove offese, che si preparerebbero alla Chiesa.

Perchè Ci offende ancora l'eco di certi discorsi fatti con sprezzante acrimonia, come Ci è impossibile non manifestare l'impressione penosa degli applausi con cui furono accolti: impressione che ha accresciuto a dismisura il Nostro cordoglio. Questa Nostra pena però non Ci toglie il coraggio e la speranza, perchè in qualunque vicenda abbiamo Iddio che Ci protegge e, a Nostro grande conforto, la preghiera. La preghiera è il principale dovere del cristiano in tutti i tempi, ma specialmente nei difficili e burrascosi. La sacra Scrittura per queste situazioni perplesse ha un consiglio, che si trova nelle parole del santo Re Giosafat : quando ignoriamo quello che dobbiamo fare non ci resta che innalzare gli occhi a Dio, da cui solo possiamo avere lumi, ispirazioni e soccorsi: Cum ignoramus quid agere debeamus, hoc solum habemus residui, ut oculos nostros dirigamus ad Dominum (II, Paral., XX, 12).

Oh! non si può sapere né comprendere quanto valgano le preghiere, le invocazioni e i sospiri dei sacerdoti fervorosi, degli umili leviti, delle vergini consacrate e dei pii fedeli! Preghino pertanto i fanciulli impediti a ricevere la santa Confermazione; gli aspiranti al Sacerdozio, che al termine dei loro studi non possono esser promossi agli Ordini sacri; i sacerdoti, che nel maggiore bisogno restano senza guida, senza maestro, senza consigliere; i figli tutti della archidiocesi, che aspettano il padre, che li diriga, li istruisca e li conforti coll'esempio e colla parola. Preghiamo tutti con quella perseverante fiducia, che ci viene insegnata dal libro di Tobia, perchè per quanto sia il potere, che Dio concede agli uomini, questo non avrà mai la prevalenza contro i suoi decreti e consigli; ed ognuno sia certo, che se Iddio ci tiene nella prova, nella tribolazione e nel castigo, lo fa per condurci alla misericordia, alla liberazione e alla corona, per farci godere il sereno dopo la tempesta, per donarci la gioia dopo il dolore, e dopo le lagrime il gaudio (Tob. III, 20, 21, 22).

Questa è la raccomandazione, che facciamo a voi tutti, figli diletti, e che voi porterete ai vostri concittadini e condiocesani, ai quali, come a voi, impartiamo di cuore 1' apostolica benedizione.

[SM=g1740733]




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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