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Commento-catechesi alla Prima Lettera di S.Giovanni di sant'Agostino

Ultimo Aggiornamento: 05/08/2013 11:20
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05/08/2013 10:54
 
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IV.

ED E' VERACE

Dio parla all'anima

1. Ricordate, fratelli, che la lettura di ieri si è arrestata alle parole: "Voi non avete necessità che alcuno vi istruisca, perché la sua unzione vi istruisce su tutto" (1 Gv. 2, 27). Sono certo che vi ricordate di quanto vi ho spiegato: che cioè noi parliamo ai vostri orecchi dal di fuori e siamo come agricoltori che curano l'albero dall'esterno, incapaci di dare incremento e formare i frutti; colui che invece vi ha creato e redento, che vi ha chiamato ed abita in voi per mezzo della fede e dello Spirito Santo, se non è lui a parlarvi nell'intimo, un vano rumore saranno le nostre parole. Da che cosa risulta questa constatazione? Dal fatto che, pur essendo molti, gli ascoltatori non tutti si persuadono di quanto vien detto; restano persuasi soltanto quelli ai quali Dio stesso parla nell'intimo. Ma Dio parla nell'intimo a quelli che gli fanno posto; ora fanno posto a Dio quelli che non lasciano posto dentro di sè al diavolo. Il diavolo vuole abitare nel cuore degli uomini e da lì suggerire loro parole capaci di ingannarli. Ma sentite che cosa dice il Signore Gesù: "Il principe di questo mondo è stato cacciato fuori" (Gv. 12, 31). Da dove? Dal cielo o dalla terra? Fuori dal mondo creato? No, è stato cacciato via dal cuore dei credenti. Una volta estromesso l'invasore, è il Redentore che deve abitare nei cuori, poiché chi ci ha creati ci ha anche redenti. Il diavolo deve limitarsi ormai a combattere dal di fuori e non può vincere colui che regna nell'intimo. Egli combatte dal di fuori, insinuando tentazioni varie: ama colui al quale Dio parla nell'intimo e possiede quell'unzione di cui vi ho parlato, non lo ascolta.

Fedele è il Signore

2. Essa (la sua unzione) - dice Giovanni - è verace. Cioè, lo Spirito del Signore che ammaestra gli uomini non può mentire. Essa non è menzognera. Rimane nell'insegnamento che essa vi ha dato. O figlioli, rimanete in lui, affinché quando egli si manifesterà, possiamo avere fiducia di fronte a lui e non abbiamo a restare confusi nel giorno del suo ritorno (1 Gv. 2, 27-28). Ecco, fratelli miei: noi crediamo in quel Gesù che i nostri occhi non hanno veduto. A noi Gesù lo hanno annunciato coloro che l'hanno visto, l'hanno toccato con le loro mani, hanno udito le parole uscite dalla sua bocca. E perché comunicassero a tutti gli uomini queste verità, furono inviati da lui; non osarono infatti andare di loro iniziativa. Dove furono mandati? L'avete sentito dalla lettura del Vangelo: "Andate, predicate il Vangelo ad ogni creatura che è sotto il cielo" (Mc. 16, 15).

I discepoli furono dunque inviati in ogni parte del mondo, con la testimonianza di prodigi e segni miracolosi perché gli uomini credessero in loro, dato che riferivano cose da loro stessi viste. Noi crediamo in colui che non abbiamo visto coi nostri occhi, e ne aspettiamo il ritorno. Chiunque lo aspetta con fede, sarà ripieno di gioia, quando tornerà; ma quelli che sono senza fede, resteranno pieni di vergogna, quando tornerà colui che essi ora non vogliono vedere. La loro vergogna non durerà un giorno solo e subito finirà, come solitamente capita quando uno prova vergogna per essere stato sorpreso in qualche colpa ed è investito dal disprezzo degli altri; quella vergogna invece caccerà alla sinistra del giudice quelli che ne saranno colpiti per ascoltare le parole: "Andate al fuoco eterno, che fu preparato per il diavolo e per i suoi angeli" (Mt. 25, 41). Restiamo dunque fedeli alla sua parola, affinché non abbiamo a rimanere confusi quando tornerà. Egli infatti nel Vangelo a quelli che avevano creduto in lui dice: "Se rimarrete nelle mie parole, sarete veramente miei discepoli" (Gv. 8, 31). E quasi gli chiedessero: con quale vantaggio? "Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi" (Gv. 8, 32). Attualmente la nostra salvezza è oggetto di speranza, perché ancora non si è realizzata; ancora non possediamo ciò che è stato promesso, ma speriamo che si compirà. Colui che ha fatto questa promessa è fedele, non ti inganna: tocca a te unicamente non mancargli di fiducia, ma attendere la realizzazione delle sue promesse. La verità non conosce inganni. Non voler essere tu il bugiardo, altra cosa professando ed altra cosa facendo; conserva la fede e lui manterrà fede alla sua promessa. Se non avrai conservato la fede, sarai stato tu a defraudarti, non certo chi ti ha fatto la promessa.

Confessiamoci peccatori

3. Se voi sapete che egli è giusto, sappiate che chiunque si comporta giustamente, è nato da lui (1 Gv. 2, 29). Attualmente la nostra giustizia deriva dalla fede. La giustizia perfetta si trova solo negli angeli, e forse a stento anche in loro, se li paragoniamo con Dio. Ma se esiste una giustizia relativamente perfetta nelle anime e negli spiriti creati da Dio, questa si trova negli angeli buoni, santi e giusti, che non hanno abbandonato Dio con nessun peccato, non sono caduti in atti di superbia, ma sono sempre rimasti fedeli nella contemplazione del Verbo di Dio, non avendo altra consolazione che la visione di colui dal quale sono stati creati. In questi angeli noi troviamo la perfetta giustizia, mentre in noi si trova quella giustizia che ha avuto inizio dalla fede secondo lo Spirito.

Allorché leggevamo il salmo, avete sentito queste parole: "Incominciate a lodare il Signore con la confessione" (Sal. 146, 7). Il salmista dunque ci dice di incominciare: l’inizio della nostra giustizia e la confessione dei nostri peccati. Se hai incominciato a non scusare il tuo peccato, già hai dato inizio alla tua giustificazione: essa diventerà poi perfetta, quando il tuo unico diletto sarà la giustizia, e la morte sarà assorbita nella vittoria, nè più ti attirerà la concupiscenza, né si avrà più in te la lotta contro la carne ed il sangue e tu avrai la corona della vittoria, il trionfo sul nemico: allora ci sarà anche in te la perfetta giustizia. Per il momento dobbiamo ancora combattere e se combattiamo significa che ancora ci troviamo nello stadio; possiamo infliggere ferite ma anche essere feriti, ed aspettiamo di vedere chi sarà il vincitore. Ora vincitore è colui che riesce a ferire, non facendo affidamento sulle sue forze, ma sulla parola di Dio. Il diavolo ci combatte da solo. Noi vinciamo il diavolo, se stiamo vicini a Dio. Se pretendi di opporti da solo al diavolo, sarai sconfitto. Egli è un avversario avveduto ed esperto. Quante vittorie ha al suo attivo! Guarda da quale altezza ci ha precipitati: per farci nascere mortali, riuscì a scacciare dal paradiso i nostri progenitori. Che fare dunque, dal momento che egli è tanto agguerrito? Invochiamo l'Onnipotente contro il diavolo, contro un nemico così agguerrito. Abiti in te colui che non può essere vinto, e certamente vincerai chi è solito vincere. Su chi il diavolo riesce sempre a vincere? Su colui nel quale non abita il Signore. Adamo, infatti, mentre era nel paradiso disprezzò, come sapete, il comando del Signore e divenne superbo, desiderando essere indipendente, non più soggetto alla volontà di Dio; e così decadde dalla sua condizione di immortalità e di beatitudine. Ci fu un tempo un uomo agguerrito, anche se mortale, che, sedendo nello sterco tra putridi vermi, vinse il diavolo: fu Adamo stesso che lo vinse nella persona di Giobbe, essendo questi un suo discendente. Adamo, quando era nel paradiso, subì la sconfitta; quando invece si trovò nello sterco, conseguì la vittoria. Quando era nel paradiso diede ascolto alle parole seducenti della donna, che in lei erano state insinuate dal diavolo; ma quando si trovò in mezzo allo sterco, egli disse ad Eva: "Hai parlato da donnetta stolta" (Giob. 2, 10). Là, nel paradiso si lasciò suggestionare, ma qui seppe rispondere a tono; quando era in condizioni di felicità, si lasciò convincere; ma quando si trovò in mezzo alla prova, ottenne la vittoria. Fate perciò attenzione, fratelli, alle parole successive di questa Epistola; ci viene raccomandato di vincere il diavolo, ma non da soli. "Se sapete che egli è giusto - ci dice l'apostolo Giovanni - sappiate che chi agisce con giustizia è nato da lui cioè da Dio, da Cristo. Parlando di chi "è nato da lui", è a noi che si rivolge. Dunque, per il fatto di essere nati da lui, già siamo perfetti.

Cristiani di nome, non di fatto

4. Ascoltate: Ecco quale amore ci donò il Padre: che siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo in realtà (1 Gv. 3, 1). Quanti vengono chiamati figli e non lo sono, che vantaggio hanno dal nome, se manca in loro la realtà? Quanti si dicono medici, e non sanno curare i malati! Quanti hanno il nome di custodi, ma dormono tutta la notte! Allo stesso modo molti si dicono cristiani, ma in definitiva non lo sono, non sono ciò che il loro nome significa, non lo sono nella vita, non nei costumi, nella fede, nella speranza, nella carità. Ricordate, o fratelli, quanto avete udito: "Ecco quale amore ci donò il Padre: che siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo in realtà". Per questo il mondo non ci conosce; dal momento che il mondo non ha conosciuto il Padre, non conosce neanche noi (1 Gv. 3, 1). Il mondo è tutto cristiano e in pari tempo è tutto empio; gli empi infatti sono sparsi in tutto il mondo e lo stesso si verifica per le persone pie: ma gli uni non conoscono gli altri. Come facciamo a dire che non si conoscono a vicenda? Per questo: che gli empi lanciano insulti contro coloro che vivono bene. Fate bene attenzione perché questi tali si trovano forse anche in mezzo a voi. Ciascuno di voi già vive religiosamente, già disprezza le cose del secolo, non va agli spettacoli, non si ubriaca come si trattasse di un rito, non si degrada nelle impudicizie (e la cosa è molto grave) durante le feste dei santi col pretesto di ottenere il loro patrocinio. Perché mai, dunque, chi non vuole più compiere tali azioni viene insultato da chi le compie? Chi li insulterebbe, se fossero rettamente conosciuti? Perché allora non sono conosciuti? Perché il mondo non conosce il Padre. Chi sono coloro che formano il mondo? Evidentemente quelli che abitano il mondo, così come diciamo "la casa" intendendo parlare dei suoi abitatori. Queste cose già le abbiamo dette e ripetute, né ci stanchiamo di ripeterle. Quando sentite parlare del mondo in senso cattivo, dovete intendere solo gli amatori del mondo. Essi abitano nel mondo in quanto lo amano; e poiché lo abitano, hanno anche meritato di assumerne il nome. Il mondo perciò non ci conosce, perché non conosce il Padre. Gesù stesso camminava per le strade del mondo ed era Dio in carne umana, Dio nascosto nella debolezza della carne. Perché mai non fu riconosciuto? Perché rimproverava a ciascuno i suoi peccati. Gli uomini, attaccati ai piaceri del peccato, non potevano riconoscere Dio: amando ciò che la febbre suggeriva loro, facevano ingiuria al medico.

Siamo figli di Dio

5. Ma noi che faremo? Già siamo nati da lui, ma poiché restiamo ancora nella speranza, l’apostolo ha aggiunto: Dilettissimi, ora siamo figli di Dio. Lo siamo già fin d'ora? Che cosa allora dobbiamo aspettare, se già siamo figli di Dio? Non ancora ci è stato rivelato ciò che saremo. Saremo qualcosa di diverso da ciò che sono i figli di Dio? Ascoltate le parole che seguono: Sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è (1 Gv. 3, 2). Comprenda la vostra Carità la grandezza di questo concetto: "sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è". Fate attenzione e vedete chi è qui indicato con la parola: "è". Già voi sapete chi viene così chiamato. Viene detto "è" non soltanto chi è di nome ma chi è anche di fatto; chi ha un essere immutabile, eterno, incorruttibile; un essere che non migliora perché già perfetto, né diminuisce perché eterno. Che significa: "In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo" (Gv. 1, 1)? Che significano queste altre parole: "Egli pur sussistendo in forma Divina non giudicò un'usurpazione essere uguale a Dio" (Fil. 2, 6)? I cattivi possono vedere Cristo nella sua forma divina, come il Verbo di Dio, l’Unigenito del Padre, l’uguale al Padre; ma i cattivi anche loro invece poterono vederlo come Verbo fatto carne: questo perché nel giorno del giudizio lo vedranno anche loro, perché allora verrà a giudicare, così come era venuto per essere giudicato. Egli è, nella medesima forma, uomo e Dio. Dice la Scrittura: "Sia maledetto l'uomo che mette la sua speranza nell'uomo" (Ger. 17, 5). Egli venne come uomo, per essere giudicato, e come uomo verrà a giudicare. Se fosse impossibile vederlo, perché mai è stato scritto: "Guarderanno a colui che hanno trafitto" (Gv. 19, 37)? Degli empi infatti è detto che lo vedranno e saranno confusi. In che senso allora, non potranno vederlo, quando il Signore metterà alcuni alla sua destra ed altri alla sua sinistra? A quelli che metterà alla sua destra dirà: "Venite, benedetti del Padre mio, possedete il Regno" (Mt. 25, 34). A quelli di sinistra dirà invece: "Andate al fuoco eterno" (Mt. 25, 41). Essi vedranno allora in Cristo solo l'aspetto del servo, non vedranno la sua forma di Dio. Perché? Perché sono empi ed il Signore stesso dice: "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio" (Mt. 5, 8). Godremo dunque di una visione, fratelli, mai contemplata dagli occhi, mai udita dagli orecchi, mai immaginata dalla fantasia: una visione che supererà tutte le bellezze terrene, quella dell'oro, dell'argento, dei boschi e dei campi, del mare e del cielo, del sole e della luna, delle stelle e degli angeli; la ragione è questa, che essa è la fonte di ogni altra bellezza.

Il desiderio di Lui dilata le nostre anime

6. Che saremo dunque, allorché lo vedremo? Che ci è stato promesso? "Saremo simili a lui, perché lo vedremo com'è". La lingua non è riuscita ad esprimersi meglio, ma il resto immaginatelo con la mente. Che cosa sono le rivelazioni di Giovanni messe a confronto con Colui che è? Che cosa possiamo esprimere noi che siamo creature assolutamente impari alla sua grandezza?

Torniamo adesso a parlare della sua unzione, di quell'unzione che ci insegna interiormente ciò che a parole non possiamo esprimere. Non potendo voi ora vedere questa visione, vostro impegno sia desiderarla. La vita di un buon cristiano è tutta un santo desiderio.

Ma se desideri una cosa, ancora non la vedi, e tuttavia, attraverso il desiderio, dilati la tua capacità di comprensione, cosicché potrai essere riempito quando giungerai alla visione. Ammettiamo che tu debba riempire un grosso sacco e sai che è molto voluminoso l'oggetto che ti sarà dato; ti preoccupi di allargare il sacco o l'otre o qualsiasi altro tipo di recipiente, più che puoi; sai quanto hai da metterci dentro e vedi che il recipiente è piccolo; allargandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo Dio con l'attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l'animo e dilatandolo lo rende più capace. Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio, poiché dobbiamo essere riempiti. Ammirate l'apostolo Paolo che dilata le capacità della sua anima, per poter accogliere ciò che verrà. Dice infatti: "Non ch'io abbia già raggiunto il fine o sia perfetto; non penso di avere già raggiunto la perfezione, o fratelli" (Fil. 3, 1). Ma allora che cosa fai, Paolo, in questa vita, se non hai raggiunto la soddisfazione del tuo desiderio? "Una sola cosa faccio: inseguo con tutta l'anima la palma della vocazione celeste, dimentico di ciò che mi sta dietro, proteso invece a ciò che mi sta davanti" (Fil. 3, 13-14). Ha dunque affermato di essere proteso in avanti e di tendere al fine con tutto se stesso. Comprendeva bene di essere ancora incapace di accogliere ciò che occhio umano non vide, né orecchio intese, né fantasia immaginò. In questo consiste la nostra vita: esercitarci col desiderio. Saremo tanto più vivificati da questo desiderio santo, quanto più recideremo i nostri desideri dall'amore del mondo. Già l'abbiamo detto più volte: il recipiente da riempire deve essere svuotato. Tu devi essere riempito dal bene: liberati dunque dal male. Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna gettar via il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura pulire il vaso, pulirlo anche a fatica coi detersivi, perché si presenti atto ad accogliere questa realtà misteriosa. La chiameremo impropriamente oro, la chiameremo vino. In qualunque modo cercheremo di definire questa realtà indefinibile, sappiamo che essa ha un nome: Dio. E quando diciamo Dio, che cosa intendiamo dire? Son forse queste due sillabe tutto quello che aspettiamo? Qualunque cosa dunque siamo stati capaci di dire, essa è al di sotto della realtà: dilatiamo la nostra anima in lui, così che ci possa riempire, quando verrà. "Saremo infatti simili a lui, perché lo vedremo così com'è."

La pazienza rafforza il desiderio

7. Ed ognuno che ha questa speranza in lui... (1 Gv. 3, 3). Vedete come ci ha posto nella speranza. Considerate la perfetta armonia tra il pensiero dell'apostolo Paolo e quello del suo confratello nell'apostolato. "Nella speranza - afferma san Paolo - noi siamo salvati. La speranza che si vede, non è speranza. Se uno vede qualcosa, come può sperarla? Se dunque speriamo ciò che non vediamo, attendiamolo nella pazienza" (Rom. 8, 24-25). La pazienza da parte sua mette in esercizio il desiderio. Anche a te tocca mantenerti costante, dal momento che Dio sempre resta; persevera nel cammino verso di lui, e lo raggiungerai; egli infatti, verso cui sei indirizzato, non si allontanerà. Vedete: "chiunque spera in lui", si rende puro, così come egli è puro (1 Gv. 3, 3). Vedete come Dio non distrugge il libero arbitrio; dice infatti "e si rende puro". Chi ci rende puri, se non Dio? Ma Dio non ti purifica, se tu non lo vuoi. Per il fatto che congiungi la tua volontà alla volontà di Dio, tu rendi puro te stesso. Questo non si verifica in forza della tua capacità, ma per merito di Colui che viene ad abitare dentro di te. Siccome però in questi atti c'è una parte che va ascritta alla tua volontà, anche a te ne è attribuito il merito. Ma in tal modo che tu debba dire col salmo: "Sii tu il mio aiuto, non abbandonarmi" (Sal. 26, 9). Se dici "Sii tu il mio aiuto", significa che qualche cosa stai facendo; perché se nulla fai, in che modo Dio potrebbe aiutarti?

8. Chiunque commette un peccato commette anche una iniquità (1 Gv. 3, 4). Nessuno dica: il peccato è una cosa, l'iniquità è un'altra; nessuno dica: io sono peccatore, ma non una persona iniqua. Perché: "chiunque commette un peccato, commette anche una iniquità". Il peccato è una iniquità. Che faremo dunque dei nostri peccati e delle nostre iniquità? Ascolta che cosa aggiunge Giovanni: Voi sapete che Gesù si è rivelato per togliere via il peccato, e che in lui non c'è peccato (1 Gv. 3, 5). Proprio colui che non ha in se peccato, è venuto a togliere il peccato. Se il peccato si trovasse anche in lui, occorrerebbe toglierlo da lui, ed egli non sarebbe in grado di toglierlo agli altri. Chiunque rimane in lui, non pecca. Nella misura in cui uno rimane in lui, non pecca. Chiunque pecca, non l'ha visto, né l'ha conosciuto (1 Gv. 3, 6). Qui sorge un grande problema: "Chiunque pecca, non l'ha visto, ne l'ha conosciuto". Non c'è da meravigliarsi per questo. Noi non l'abbiamo visto, ma lo vedremo un giorno; non l'abbiamo conosciuto, ma lo conosceremo; noi crediamo però in uno che non abbiamo conosciuto. Forse vuol dire che lo conosciamo per fede ma non lo conosciamo ancora nella visione? No, perché è nella fede che noi l'abbiamo visto e conosciuto. Se non lo vedessimo per mezzo della fede, perché saremmo detti "illuminati"? C’è una illuminazione che si attua con la fede e c’è una illuminazione che si attua nella visione diretta. Finché dura il pellegrinaggio terreno, noi non camminiamo nella visione, ma nella fede. Anche la nostra giustizia si attua dunque nella fede, non già nella visione, e sarà perfetta quando raggiungeremo la visione. Per ora non dobbiamo abbandonare la giustizia che proviene dalla fede, perché "il giusto vive di fede" (Rom. 1, 17), ci dice l'Apostolo. "Chiunque rimane in lui non pecca"; infatti "chi pecca, non l'ha visto, né l'ha conosciuto". Chi pecca è uno che non crede, perché se credesse, per quanto dipende dalla sua fede, non peccherebbe.

Divenire simili a Dio

9. Figlioli, nessuno vi seduca. Chi fa la giustizia e giusto, proprio come lui è giusto (1 Gv. 3, 7). Sentendo dire che noi siamo giusti "come lui", ci riterremo forse uguali a Dio? Dovete capire bene il significato di quel "come". Giovanni aveva detto poco prima: "chi crede in lui si rende puro, così come egli è puro". La nostra purezza sarebbe uguale alla purezza di Dio, la nostra giustizia alla giustizia di Dio? Chi potrebbe affermare ciò? In realtà non sempre il "come" implica una eguaglianza. Poniamo il caso che qualcuno, dopo aver ammirato questa grande basilica, volesse costruirne una più piccola e tuttavia proporzionata alle misure di questa, in modo che se la lunghezza di questa è doppia della larghezza, anche l'altra rispetti le medesime proporzioni: noi potremmo dire che egli ha inteso costruire la seconda basilica come la prima. La prima tuttavia misura cento cubiti, mentre la seconda soltanto trenta; questa, nei confronti dell'altra, è dunque uguale e disuguale ad un tempo. Vedete allora che il "come" non sempre implica parità ed uguaglianza. Eccovi un altro esempio. Notate anche voi quanta differenza passi tra la faccia di un uomo e la sua immagine vista nello specchio: una faccia riflessa nell'immagine ed una che appartiene al corpo reale, l'immagine che è una realtà di imitazione e il corpo che è una vera sostanza. Che dire dunque? In una, come nell'altra, ci stanno gli occhi e così anche gli orecchi. Siamo di fronte a due realtà ben diverse ma il "come" viene usato per indicare una somiglianza. Anche noi dunque portiamo l'immagine di Dio; non è quella che possiede il Figlio, uguale al Padre, e tuttavia se anche noi, secondo la nostra umile proporzione, non fossimo come lui, non si potrebbe assolutamente dire che siamo simili a lui. Egli ci rende puri, come lui è puro: ma egli è puro fin dall'eternità, noi lo siamo per mezzo della fede. Siamo giusti come è giusto lui: ma egli lo è nella immutabilità e perpetuità della sua natura, noi lo siamo attraverso la fede in lui che non vediamo, affinché un giorno possiamo vederlo. E quando sarà perfetta la nostra giustizia, allorché saremo diventati simili agli angeli, neppure allora questa nostra giustizia sarà uguale alla sua. Quanto dunque distiamo da lui, se neppure allora si potrà parlare di uguaglianza?

10. Chi commette il peccato, viene dal diavolo, poiché il diavolo pecca fin dall'inizio (1 Gv. 3, 8). Questa frase, "viene dal diavolo", sapete che significa che il peccatore imita il diavolo. Nessuno di noi è stato fatto dal diavolo; egli non ha generato nessuno; nessuno ha creato; eppure chi imita il diavolo, è come se fosse nato da lui, diventa suo figlio imitandolo, anche se non nasce propriamente da lui. In che modo sei figlio di Abramo? Forse perché ti ha generato? Così i giudei, che erano figli di Abramo, non avendone imitata la fede, sono diventati figli del diavolo: essi sono nati da Abramo secondo la carne, ma non ne hanno imitato la fede. Se essi dunque, che da lui sono nati, sono stati diseredati per non averlo voluto imitare, tu diventi figlio suo, pur non essendo nato da lui, se lo imiti. E se avrai imitato il diavolo nella sua superbia e nella sua empietà contro Dio anche se egli non ti ha creato né ti ha generato, sarai figlio del diavolo, appunto perché lo imiti.

11. Per questo si è manifestato il Figlio di Dio (1 Gv. 3, 8). Tutti i peccatori dunque, fratelli, sono nati dal diavolo, proprio perché peccatori. Adamo fu creato da Dio, ma quando ascoltò il diavolo fu come se in quel momento fosse nato dal diavolo; e generò i suoi discendenti tutti uguali a sé. Siamo nati con la concupiscenza e, prima ancora di aggiungere i nostri debiti, nasciamo con quella condanna. Se nasciamo senza peccato, perché mai corriamo a far battezzare i bambini per liberarli dal peccato? Considerate dunque con attenzione, fratelli, queste due natività: quella di Adamo e quella di Cristo. Sono due uomini di cui l'uno è uomo soltanto, l'altro è uomo-Dio. Siamo peccatori, in quanto discendiamo da colui che è solo uomo, ma veniamo giustificati da colui che è uomo-Dio. La prima natività ci consegnò alla morte, questa ci ha innalzati alla vita; la prima porta con sé il peccato, la seconda ce ne libera. Cristo-uomo è venuto infatti per distruggere i peccati degli uomini. "Per questo si è manifestato il Figlio di Dio", per distruggere le opere del diavolo.

12. Affido alla vostra Carità le parti che rimangono da spiegare, perché non voglio esservi di peso. Perché ci diciamo peccatori? Ecco la questione che ci interessa e per risolvere la quale ci stiamo affaticando. Se uno dice di essere senza peccato è bugiardo. In questa stessa Epistola di Giovanni abbiamo trovato queste parole: "Se dicessimo di non aver alcun peccato inganneremmo noi stessi". Ricordatele bene queste parole, dette dianzi: "Se dicessimo di non aver alcun peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi" (1 Gv. 1, 8). Ed ecco qui lo stesso pensiero, espresso nelle seguenti parole: chi è nato da Dio non pecca: chi fa il peccato non ha visto Dio, ne l’ha conosciuto. Chi fa il peccato viene dal diavolo (1 Gv. 3, 8-9). Il peccato non viene da Dio. Di nuovo, una questione che ci turba. Come è possibile che, essendo nati da Dio, ci confessiamo peccatori? Dovremmo dire che non siamo nati da Dio? Che cosa allora producono i Sacramenti nei bambini? Giovanni non ci ha forse detto che "chi nasce da Dio, non pecca"? Ma in altra occasione egli ci ha ammonito: "Se dicessimo di non aver alcun peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi". La questione è grave e difficile. Richiamo l'attenzione della vostra Carità, perché v'impegniate a risolverla. La discuteremo domani nel nome del Signore e secondo i lumi che egli ci darà.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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