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Commento-catechesi alla Prima Lettera di S.Giovanni di sant'Agostino

Ultimo Aggiornamento: 05/08/2013 11:20
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05/08/2013 10:58
 
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VI.

FIGLIOLI, NON AMIAMO...

Carità incipiente e carità perfetta

1. Ricordate, fratelli, che ieri abbiamo chiuso il nostro discorso con il seguente passo dell'Epistola, che indubbiamente deve essere rimasto e deve rimanere ancora nel nostro cuore, perché fu proprio l'ultimo che avete ascoltato: "Figlioli, non amiamo soltanto con le parole e con la lingua, ma con le opere e la verità". Poi prosegue: A questo segno conosciamo che siamo dalla verità e rassicureremo davanti a lui il nostro cuore: infatti, se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Dio è più grande del nostro cuore e tutto conosce (1 Gv. 3, 18-20). L'apostolo aveva detto: "Non amiamo con le parole soltanto e con la lingua, ma con le opere e la verità!". Il problema è di sapere attraverso quali opere ed attraverso quali verità si riconosce colui che ama Dio ed il proprio fratello. Già in precedenza aveva detto a quali altezze giunge la carità nella sua perfezione, e ciò che anche il Signore dice nel Vangelo: "Non c'è amore più grande di chi dà la propria vita per i suoi amici" (Gv. 15, 13). Anche Giovanni aveva detto la stessa cosa: "Come egli diede la propria vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli" (1 Gv. 3, 16). Questa è veramente la perfezione della carità; e non può essercene una maggiore.

Ma poiché la carità non è perfetta in tutti, colui che ancora non l'ha portata a perfezione, non deve disperare, se essa, destinata poi ad essere perfezionata, già è nata in lui. Se è nata, va nutrita e portata alla sua perfezione con gli alimenti che le sono adatti. Ci siamo domandati da dove trae origine la carità e subito nell'Epistola abbiamo trovato questa risposta: "Se uno possiede dei beni di questo mondo e vede il proprio fratello nel bisogno e gli chiude il cuore, come l'amore di Dio può essere in lui?" (1 Gv. 3, 16-17). Da qui comincia dunque questa carità: dare all'indigente i beni superflui, quando costui si trova stretto dalle angustie; liberare il fratello dalle tribolazioni temporali, usando quei beni temporali di cui disponiamo in abbondanza. Da qui comincia la carità. Se, così iniziata, la nutrirai con la parola di Dio e con la speranza della vita futura, raggiungerai la perfezione della carità che ti renderà pronto a dare la tua vita per i fratelli.

Testimonianza interiore

2. Ma considerando che un tale genere di atti sono compiuti anche da chi ha tutt'altre aspirazioni e non ama i fratelli, richiamiamoci alla testimonianza della coscienza. Come provare che molte di queste azioni vengono compiute da coloro che non amano i fratelli? Quanto sono numerosi quelli che, pur essendo tra gli eretici e gli scismatici, si dicono martiri! Credono di dar la vita per i fratelli. Ma se dessero la vita per i fratelli, non si staccherebbero dalla universale comunità dei fratelli. Inoltre, quanta gente, per ostentazione, non si dà a distribuire e a donare beni e ricchezze: ma in questo loro fare non cercano altro che la lode degli uomini e il plauso popolare fatto di vento, estremamente instabile! Quale sarà il banco di prova della carità fraterna, dato che esistono persone simili? Giovanni vuole che la carità sia sottoposta alla prova e perciò ammonisce: "Figlioli, non amiamo soltanto con la parola e con la lingua, ma con le opere e la verità". Ma quali sono queste opere, in che consiste questa verità? Può esserci un'opera più evidentemente caritatevole del soccorrere i poveri? Molti lo fanno per essere ammirati, non per amore. Può esserci maggiore amore del morire per i fratelli? Molti vogliono far apparire che fanno questo, per l'ambizione di farsi un nome, non per viscere d'amore. Non resta che questa conclusione: ama il fratello colui che, davanti a Dio, là dove soltanto penetra il suo sguardo, rassicura il suo cuore e si chiede nell'intimo se veramente è mosso ad agire così per amore del fratello; e quell'occhio che penetra nel cuore, là dove l'uomo non può giungere, gli rende testimonianza. Per questo l'apostolo Paolo, poiché era pronto a morire per i fratelli, poteva dire: "Io darò tutto per le vostre anime" (2 Cor. 12, 15), ma poiché Dio solo vedeva queste disposizioni del suo cuore, non già gli uomini a cui si rivolgeva, egli dice loro: "Per me conta assai poco essere giudicato da voi o da un tribunale umano" (1 Cor. 4, 3). Egli in un altro passo dimostra ancora che tali gesti clamorosi a volte nascono dalla vanagloria, non dal fondamento della carità: quando infatti fa l'elogio della carità afferma: "Se distribuissi ai poveri tutti i miei beni, e dessi il mio corpo alle fiamme, se non ho la carità, questo non mi giova a nulla" (1 Cor. 13, 3). Può qualcuno fare queste cose, senza avere la carità? Sì, lo può. Quanti non hanno la carità, hanno rotto l'unità: cercate fra loro e vedrete che molti di loro danno tanti dei loro beni ai poveri; vedrete altri pronti ad accettare la morte così che, poiché manca chi li perseguita, essi stessi fanaticamente la ricercano. E' fuori dubbio che questi tali agiscono senza carità.

Ritorniamo dunque alla coscienza, della quale dice l'Apostolo: "La nostra gloria è questa: la testimonianza della nostra coscienza" (2 Cor. 1, 12). Ritorniamo alla coscienza, della quale egli dice ancora: "Ciascuno esamini dunque le sue opere, ed allora "avrà in se stesso l'occasione di gloriarsi, e non in un altro" (Gal. 6, 4). Ognuno di noi dunque esamini le sue opere, se provengono dalla sorgente della carità, se i rami delle buone opere fioriscono dalla radice dell'amore. "Ciascuno dunque esamini le sue opere, ed allora avrà in se stesso l'occasione di gloriarsi e non in un altro": non quando la lingua di un altro dà a lui testimonianza, ma quando gliel'offre la sua coscienza.

Possiamo nasconderci agli uomini, non a Dio

3. Ecco dunque quanto Giovanni ci raccomanda: "A questo segno conosciamo che siamo nati dalla verità" quando cioè amiamo non soltanto con le parole e con la lingua ma con le opere e nella verità —, "e rassicureremo davanti a lui il nostro cuore" (1 Gv. 3, 19). Che significa: "davanti a lui"? Là dove lui solo vede. Per cui il Signore stesso nel Vangelo dice: "Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere veduti da loro, altrimenti non avrete ricompensa dal Padre vostro che è nei cieli" (Mt. 6, 1). Che significano le parole: "La tua sinistra non sappia quel che fa la tua destra" (Mt. 6, 3), se non questo: che la destra rappresenta la coscienza pura, la sinistra invece rappresenta la brama delle cose di questo mondo? Molti fecero cose meravigliose sotto la spinta della cupidigia mondana; ma è questa l'attività della mano sinistra, non della destra. La destra deve operare all'insaputa della sinistra, affinché la concupiscenza di questo mondo non abbia alcuna parte allorquando l'amore ci fa compiere il bene. Ma come saperlo? Sei qui davanti al Signore, ebbene interroga il tuo cuore. Guarda che cosa hai fatto, che cosa hai desiderato nel tuo agire, la tua salvezza oppure la lode degli uomini che si disperde al vento. Guarda dentro la tua coscienza, poiché l'uomo non può giudicare colui che non riesce a vedere. Se vogliamo rassicurare la nostra coscienza, facciamolo davanti a lui. "Se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa" - se cioè ci accusa interiormente, perché non agiamo con quella intenzione che dovremmo avere -, "Dio è più grande del nostro cuore e tutto conosce" (1 Gv. 3, 20). Tu sei capace di nascondere il tuo cuore agli uomini, nascondilo a Dio, se puoi. Come potrai nasconderlo a lui, a cui un certo peccatore, timoroso, confessò: "Dove troverò un rifugio, lontano dal tuo spirito, lontano dal tuo volto?" Costui cercava un luogo dove fuggire e sottrarsi al giudizio di Dio, ma non lo trovava. Dove infatti non è Dio? "Se salirò fino al cielo, là sei tu; se scenderò negli abissi, tu sei presente" (Sal. 138, 7-8). Dove andrai, dove fuggirai? Se vuoi un consiglio, fuggi verso di lui, quando vuoi da lui fuggire. Fuggi presso di lui con fiducia, e non sottrarti al suo sguardo: non lo potresti fare, mentre puoi a lui aprire con fiducia il tuo cuore. Digli dunque: "Tu sei il mio rifugio" (Sal. 31, 7), di te alimenterò quell'amore che solo porta alla vita. Sia la tua coscienza a darti la buona testimonianza che quanto è in te viene da Dio. Se viene da Dio non sbandierarlo con vanto davanti agli uomini: non sono infatti le lodi degli uomini che ti portano in cielo e non sono i loro biasimi che ti fanno escludere dal cielo. Ti veda invece colui che ti darà la corona del premio; ti sia testimone quel giudice che ti darà la palma della vittoria: "Dio è più grande del nostro cuore e tutto conosce".

L'autentica carità ottiene tutto da Dio

4. Carissimi; se la nostra coscienza non ci rimorde, abbiamo piena fiducia in Dio (1 Gv. 3, 21). Qual è il significato di queste parole: "Se la nostra coscienza non ci rimorde"? Che la coscienza ci risponda in tutta verità che noi amiamo i fratelli, che in noi c'è l'amore fraterno, non finto ma sincero, quello che ricerca il bene del fratello, senza aspettare da lui nessuna ricompensa, ma solo la sua salvezza. "Noi abbiamo piena fiducia in Dio"; e qualunque cosa domanderemo, l'avremo da lui, perché ne osserviamo i comandamenti (1 Gv. 3, 21-22). Questo facciamo noi, non davanti agli uomini, ma là dove Dio ci vede, cioè nel cuore. "Noi abbiamo piena fiducia in Dio e qualunque cosa domanderemo, l'avremo da lui"; e questo perché "osserviamo i suoi comandamenti". Quali sono i suoi comandamenti? Bisogna sempre ripeterlo? "Vi dò un comandamento nuovo, che vi amiate l'un l'altro" (Gv. 13, 34). E' la carità questo comandamento di cui si parla e che tanto è raccomandata. Chi dunque avrà la carità fraterna, e l'avrà questa carità davanti a Dio, là dove vede il Signore; chiunque, interrogando il proprio cuore con retto giudizio si sentirà rispondere che la vera radice della carità fraterna, da cui nascono frutti di bontà, è in lui, costui riscuoterà la fiducia piena di Dio, e Dio gli accorderà tutto ciò che gli domanderà, perché egli osserva i suoi comandamenti.

5. Si presenta qui un problema, che non riguarda questa o quella persona, né me, né te; se io chiedo qualcosa al Signore Dio nostro e non ottengo nulla, è facile dire di me: non è stato ascoltato, perché non possiede la carità; cosa che può ripetersi di qualsiasi altra persona che vive oggi. Ma lasciamo che si dica ciò di questo o di quello, il problema si pone quando ci riferiamo a quelle persone che sappiamo che erano sante allorché scrivevano, e che ora si trovano nella pace di Dio. Chi mai può avere la carità se pensassimo che neppure Paolo l'aveva, lui che affermava: "Vi parlo a cuore aperto, Corinti, il mio cuore si è dilatato: non abbiate motivi di angustia per noi" (2 Cor. 6, 11-12); lui che affermava: "Io mi darò tutto per le vostre anime" (2 Cor. 12, 15), e nel quale era tanta grazia divina da dimostrare chiaramente ch'egli aveva la carità? Abbiamo tuttavia scoperto che egli aveva chiesto e non ricevuto. Che cosa dobbiamo dire, fratelli? Qui nasce il problema. Prestate ascolto a Dio. Si tratta di un grosso problema. Riguardo al peccato, quando incontrammo le parole: "Chi è nato da Dio, non pecca" (1 Gv. 3, 9), abbiamo capito allora che si trattava del peccato contro la carità e che in quelle parole era appunto designato questo peccato; così anche adesso ci chiediamo che cosa Giovanni abbia voluto significare. Se fai attenzione alle parole, tutto è chiaro; ma se sposti la tua attenzione sugli esempi, la cosa si fa oscura. Niente di più facile di queste parole: "Qualunque cosa domanderemo, l'avremo da lui; perché osserviamo i suoi comandamenti" e davanti a lui facciamo ciò che a lui piace (1 Gv. 3, 22) . "Qualunque cosa domanderemo" - dice - "l'avremo da Lui".

Queste parole ci mettono in gravi angustie. Ci avrebbe dato difficoltà anche il testo precedente, se avesse inteso parlare di qualsiasi peccato in genere; ma abbiamo trovato una spiegazione, per cui sappiamo che egli ha inteso parlare non di ogni peccato in generale, ma di un peccato ben definito, quel peccato che non commette chiunque è nato da Dio; ed abbiamo trovato che quel peccato appunto è il peccato contro la carità. Abbiamo nel Vangelo un chiaro esempio, quando il Signore dice: "Se non fossi venuto, essi non avrebbero peccato" (Gv. 15, 22). Che vuol dire dunque? Era forse venuto, visto che parla così, in mezzo ad ebrei innocenti? E che, se non fosse venuto, non avrebbero peccato? Allora, la presenza del medico avrebbe ottenuto che si divenisse malati, e non ha tolto la febbre? Neppure un pazzo potrebbe dire ciò. Egli non è venuto se non per curare e sanare i malati. Perché allora disse: "Se non fossi venuto, essi non avrebbero peccato", se non per farci intendere che si tratta di un peccato ben definito? E' quel peccato che in realtà i giudei non avrebbero commesso. Quale peccato? Quello per cui essi non credettero in lui, e per il quale lo trattarono con disprezzo quando era tra loro. Come dunque nell'altro passo parlo di un peccato particolare, e conseguentemente non possiamo intendere che abbia parlato di tutti i peccati, ma di un peccato ben definito; così anche in questo passo non dobbiamo pensare a qualsiasi peccato, perché non ci sia contraddizione con quel passo in cui dice: "Se dicessimo di non avere alcun peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi" (1 Gv. 1, 8); dobbiamo invece pensare ad un peccato ben definito, al peccato contro la carità. Ma qui ci ha posto una condizione più precisa: se domanderemo, se il nostro cuore non ci accuserà e ci testimonierà davanti a Dio che in noi c'è la vera carità, "qualunque cosa domanderemo l'avremo da lui".

6. Vi ho già detto, fratelli carissimi, che la questione non riguarda tanto noi personalmente. Che siamo noi? che siete voi? che altro, se non la Chiesa di Dio, a tutti nota? A lui piacendo ne siamo membri; e noi, che per amore dimoriamo in essa, continuiamo a restarvi con perseveranza, se vogliamo mostrare la carità che è in noi. Che cosa di male potremmo pensare dell'apostolo Paolo? Forse che non amasse i fratelli? Che mancasse la testimonianza della sua coscienza davanti a Dio? Che non ci fosse in Paolo quella radice della carità da cui provengono tutti i buoni frutti? Chi potrebbe affermare tali cose, se non uno stolto? Dove allora troviamo che l'Apostolo ha chiesto e non ha ottenuto? Lui stesso dice: "Perché non mi glori della grandezza delle rivelazioni avute, mi fu dato un pungolo nella mia carne, un ministro di Satana, che mi schiaffeggia; per questo ho pregato tre volte il Signore perché me lo togliesse; ma egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia, perché è nella debolezza che si mostra tutta intera la mia forza" (2 Cor. 12, 7-9).

Così egli non fu esaudito e non gli fu tolto l'angelo di Satana. Ma perché? Perché quella richiesta non gli sarà di vantaggio. Fu dunque esaudito in vista della salvezza, ma non secondo la sua volontà. Comprenda la Carità vostra questo grande mistero, che vi chiediamo di non dimenticare in mezzo alle vostre prove. I santi vengono esauditi in tutto quando si tratta della salute dell'anima. E' la salvezza eterna che essi desiderano, e rispetto ad essa vengono sempre esauditi.

7. Ma passiamo in rassegna i vari modi con cui Dio ci esaudisce. Troviamo infatti alcuni che non vengono esauditi secondo la propria volontà, ma in vista della propria salvezza; d'altra parte troviamo alcuni esauditi secondo la loro volontà e non in vista della loro salvezza. Considerate e tenete presente questo caso, di chi è esaudito non secondo la propria volontà ma in vista della propria salvezza. Consideriamo l'apostolo Paolo; Dio gli mostrò che lo esaudiva in vista della sua salvezza, dicendogli: "Ti basta la mia grazia, perché è nella debolezza che si mostra tutta intera la mia forza". Hai chiesto, hai gridato, tre volte hai ripresentato la tua preghiera; ho udito ciò che hai chiesto ogni volta, e non ho distolto da te le mie orecchie; so quel che faccio: tu vuoi tolto quel medicamento da cui ti senti bruciare ed io conosco l'infermità che ti fa soffrire. Paolo dunque fu esaudito in vista della salvezza, non secondo la sua volontà.

Chi sono quelli che troviamo esauditi secondo la loro volontà, ma non in vista della loro salvezza? Troviamo forse qualche uomo malvagio, qualche empio esaudito da Dio secondo la sua volontà umana, e non invece in vista della sua salvezza? Se portassi l'esempio di qualche uomo, potresti dirmi: per te costui è un malvagio, e invece era un giusto; se non fosse stato un giusto, non sarebbe stato esaudito da Dio. Ma ti porterò l'esempio di un tale della cui iniquità ed empietà nessuno può dubitare. Il diavolo in persona chiese di tentare Giobbe e ne ebbe il permesso. E voi non avete udito proprio in questa Epistola, a proposito del diavolo, che "chi fa il peccato, viene dal diavolo" (1 Gv. 3, 8)? Non già perché lo abbia creato il diavolo, ma perché costui lo imita. Non è stato detto forse del diavolo che "non rimase nella verità" (Gv. 8, 44)? Non è lui appunto quell'antico serpente che, servendosi della donna, propinò il veleno al primo uomo? Fu lui che lasciò in vita la moglie di Giobbe, perché fosse non di conforto al marito, ma causa di tentazione. Il diavolo dunque chiese di tentare quel santo uomo, e ne ebbe il permesso, l'Apostolo chiese invece che gli fosse tolto il pungolo della carne, e non l'ottenne. Eppure fu esaudito più che non il diavolo. L'Apostolo infatti fu esaudito in vista della salvezza; anche se non secondo la propria volontà: il diavolo fu esaudito secondo la sua volontà, ma in vista della sua dannazione. Se Giobbe fu lasciato in balia delle tentazioni di costui, ciò avvenne perché il diavolo si sentisse tormentato dalla costanza di quel giusto nella prova. Troviamo tali esempi, fratelli, non solo nei libri del Vecchio Testamento ma anche nel Vangelo. I demoni chiesero al Signore, quando egli li scacciò da un uomo, di poter entrare nel corpo dei porci. Il Signore non avrebbe forse potuto impedire loro di avvicinarsi a quegli animali? Se non avesse voluto, essi non si sarebbero potuti ribellare contro il re del cielo e della terra. Ma, in forza di un misterioso suo disegno, e per positiva volontà sua, lasciò che i demoni entrassero nei porci, per mostrare che il diavolo domina su quanti conducono una vita simile a quella dei porci. I demoni furono dunque esauditi, e non fu esaudito l'Apostolo? O non è più giusto dire: l'Apostolo fu esaudito e i demoni non lo furono? La volontà dei demoni si è realizzata, ma nell'Apostolo si è compiuta la salvezza.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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