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Che cosa è l'Amicizia? e l'amicizia spirituale? è possibile essere veri amici?

Ultimo Aggiornamento: 20/08/2013 16:33
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20/08/2013 14:28
 
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La specificità dell’amicizia spirituale

Aelredo: Sono molti quelli che abbracciamo con il nostro affetto, senza però introdurli nell’inti¬mità dell’amicizia, che consiste soprattutto nella rivelazione di tutti i nostri segreti e progetti. Come di¬ce il Signore nel Vangelo: “Non vi chiamo più servi”, “ma amici”. Poi aggiunge la ragione per cui ritiene di chiamarli amici: “Perché”, dice, “tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (cfr. Gv 15,15). E poco prima dice: “Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando” (Gv 15,14).

Con queste parole, come dice sant’Ambrogio, “ci ha dato un modello di amicizia da seguire: fare la volontà dell’amico, confidargli i nostri segreti e tutto quanto abbiamo nel cuore, non ignorare le sue cose più intime. Apriamoci a lui, e che egli ci apra il suo cuore. L’ami¬co, infatti, non nasconde niente. Se è sincero, rivela il suo animo, come il Signore Gesù rivelava i misteri del Padre”. Questo scrive Ambrogio. Sono dunque molti quelli che noi amiamo, però non a tutti conviene esporre in questo modo il nostro ani¬mo, né rivelare il nostro cuore, perché non hanno an¬cora un’età, o una sensibilità, o un criterio tale da renderli capaci di accogliere queste confidenze.
Marco: Non riesco neppure ad aspirare ad un’amicizia talmente grande e perfetta. A me e ad Luca basta quella che ci ha descritto Agostino: parlare e ridere insieme, scambiarsi con affetto dei favori; leggere e discutere insieme, scherzare insieme e fare cose serie; dissentire quando è il caso, senza rancore, come uno fa con se stesso, servirsi anche dei rarissimi contrasti per addolcire le molte cose su cui si è d’accordo; essere l’uno per l’altro maestro e discepolo; desiderare impazientemente chi è assente, accogliere con gioia chi arriva. Con questi e con altri segni che procedono dal cuore di chi ama ed è riamato, con il volto, con la parola, con gli sguardi e con mille altre espressioni di affetto si ravviva il fuoco che fonde gli animi e che di tanti ne fa uno solo. Questo ci sembra si debba amare negli amici. La nostra coscienza si sentirebbe in colpa se non amassimo chi risponde al nostro amore, e se non rispondessimo con l’amore a chi ci ama.
Aelredo: Un’amicizia così è puramente materiale, ed è tipica soprattutto dei giovani, com’era allora sant’Agostino e l’amico di cui parlava. Non è da rifiutare, tranne gli scherzi e le bugie, e nel caso non ci sia alcun comportamento disonesto. Un’amicizia del genere può portare ad una grazia più grande ed è come il principio di un’amicizia santa. Una volta cresciuti nell’amore e nel comune impegno nelle cose dello spirito, diventati con l’età più maturi e più seri e con i sensi spirituali più illuminati, questi amici potranno con un affetto purificato salire verso un traguardo più alto, partendo da una buona base. Del resto, non abbiamo già detto ieri che si può passare più facilmente dall’amicizia umana a quella per Dio, vista la somiglianza che esiste tra le due?

Come coltivare la vera amicizia

Adesso cominciamo a considerare come si coltiva l’amicizia. Il fondamento della stabilità e della costanza nell’amicizia è la fiducia: niente infatti è stabile se non è fondato sulla fiducia. Gli amici devono essere tra loro semplici, aperti, sensibili alle stesse cose, in sintonia: tutto questo riguarda la fedeltà. Non può essere degno di fiducia un carattere complicato e tortuoso. Anche quelli che non sono sensibili alle stesse cose, o non sono d’accordo su cose identiche, non possono essere stabili né fidati. Soprattutto si deve evitare il sospetto, che è il veleno dell’amicizia: non dobbiamo mai pensare male dell’amico, né credere o dare ragione a chi ne parla male. A questo dobbiamo aggiungere un parlare cordiale, un volto lieto, la dolcezza dei modi, la serenità dello sguardo, tutte cose che aiutano molto l’amicizia. L’espressione austera, severa, ha un suo decoro, conferisce solennità, però l’amicizia deve essere in qualche modo più rilassata, più libera e amabile, più disponibile alla serenità e all’indulgenza, senza però che questo si trasformi in superficialità o leggerezza.

La forza dell’amicizia sta anche nel mettere alla pari l’inferiore e il superiore. Spesso capita che una persona eminente accolga nella sua amicizia chi gli è inferiore per grado, ordine, dignità, o scienza. In questo caso bisogna disprezzare e stimare come inutile tutto ciò che non appartiene strettamente alla natura, tenendo costantemente fisso lo sguardo sulla bellezza dell’amicizia in sé, che non si addobba con vestiti preziosi o con gioielli, non cresce con l’aumentare dei possedimenti, non ingrassa nei piaceri, non si dilata con le ricchezze e non sale in dignità con gli onori. Così, tornando continuamente al principio e alle origini, dobbiamo considerare con intelligenza acuta l’uguaglianza che la natura ha stabilito, non i supplementi e le bardature che l’avidità ci offre. Quindi nell’amicizia, che è il dono migliore offerto insieme dalla natura e dalla grazia, chi sta in alto deve scendere, e chi sta in basso deve salire; il ricco deve sentire necessità, e il povero deve sentire la ricchezza; ciascuno deve scambiare con l’altro la propria condizione. È così che si realizza l’uguaglianza, come sta scritto: “Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno” (2Cor 8,15). Non metterti quindi mai davanti all’amico, ma, se ti riconosci superiore in qualche cosa, hai un motivo in più per abbassarti subito davanti a lui, per dargli la tua fiducia, per lodarlo se è timido. E tanto più lo devi onorare quanto meno la sua condizione o la sua povertà lo richiederebbero.

L’esempio di Davide e di Gionata

Il magnifico giovane Gionata, senza tener conto né della gloria regale né del suo diritto al trono, fece un patto con Davide: l’amicizia rese il servo uguale al padrone, ed egli lo preferì a sé quando fu costretto a fuggire da Saul, suo padre, quando dovette nascondersi nel deserto perché condannato a morte e destinato ad essere ucciso. Umiliando se stesso per esaltare lui, disse: “Tu sarai re e io sarò secondo dopo di te”. Che splendido esempio di vera amicizia! Che incredibile meraviglia! Il re s’infuriava contro il servo e gli scatenava dietro tutto il paese quasi fosse un pretendente usurpatore; in base ad un semplice sospetto accusa di tradimento i sacerdoti e li fa trucidare; perlustra i boschi, fruga le valli, assedia con il suo esercito monti e rupi; tutti si impegnano a vendicare l’ira del re; soltanto Gionata, l’unico che aveva tutti i motivi per essere geloso di Davide, decise di resistere al padre, di mettersi dalla parte dell’amico, di offrirgli nella sventura il suo consiglio, e, preferendo l’amicizia al regno gli disse: “Tu sarai re, io sarò secondo dopo di te”.
È noto come il padre cercava di scatenare la gelosia del giovane contro l’amico, attaccandolo con insulti e spaventandolo con la minaccia di privarlo del regno e della dignità. Quando poi il re pronunciò la sentenza di morte contro Davide, Gionata non abbandonò l’amico. Perché, disse, Davide deve morire? In cosa ha peccato? Che ha fatto? Mettendo a rischio la sua vita ha sconfitto il Filisteo, e tu ne sei stato contento. Perché dunque deve morire? All’udire queste parole, al colmo dell’ira, il re tentò con la lancia di inchiodare Gionata al muro, aggiungendo alle minacce gli insulti: Figlio d’una donna perduta, non so io forse che tu prendi le parti del figlio di Iesse, a tua vergogna e a vergogna della nudità di tua madre? Quindi vomitò tutto il veleno che aveva dentro per infonderlo nel cuore del giovane, aggiungendo parole che avrebbero dovuto scatenare la sua ambizione, la gelosia, l’invidia e il rancore amaro: fino a quando vivrà il figlio di Iesse sulla terra, non avrai sicurezza né tu né il tuo regno.


Chi non sarebbe stato scosso da queste parole? Chi non avrebbe provato invidia? Quale amore, quale grazia, quale amicizia poteva resistere parole come queste senza esserne intaccata o sminuita o cancellata? Quel giovane pieno d’amore, fedele al patto dell’amicizia, forte di fronte alle minacce, paziente davanti agli insulti, disprezzò il regno e preferì l’amicizia, non si curò della gloria perché gli stava a cuore la grazia. Tu sarai re, disse, io sarò secondo dopo di te.
Dice Cicerone che si trovano persone che “ritengono ignobile preferire il denaro all’amicizia”, ma che è impossibile trovare “chi antepone l’amicizia al¬le cariche pubbliche, a quelle politiche, ai comandi militari, al potere e alle ricchezze così che quando vengono offerte loro da una parte queste cose e dall’altra il bene dell’amicizia, pochi scelgono quest’ultima. La natura infatti è troppo debole per disprezzare il potere. Dove si troverà”, dice, “chi anteponga l’onore dell’amico al suo”? Ecco, abbiamo trovato Gionata che ha vinto la natura, ha disprezzato la gloria e il potere, ha preferito al proprio l’onore dell’amico. Tu sarai re, disse, e io sarà secondo dopo di te.
Questa è l’amicizia vera, perfetta, stabile ed eterna: non la corrompe l’invidia, non la riduce il sospetto, non la dissolve l’ambizione. Questa amicizia messa alla prova non cadde; assalita non crollò; colpita da tanti insulti rimase inflessibile, provocata da tante ingiurie restò irremovibile. Va, dunque, e anche tu fa lo stesso. Se però pensi che sia duro o perfino impossibile preferire colui che ami a te stesso, cerca almeno di metterlo sul tuo stesso piano se ci tieni ad essere un amico. Chi infatti non mantiene l’uguaglianza con l’altro non pratica l’amicizia in modo giusto.
“Sii rispettoso verso l’amico come con un tuo eguale”, dice Ambrogio, “e non aver vergogna ad anticiparlo nel rendere un servizio. L’amicizia infatti non conosce la superbia. L’amico fedele è davvero una medicina per la vita, una grazia d’immortalità”.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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