È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!

A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Che cosa è l'Amicizia? e l'amicizia spirituale? è possibile essere veri amici?

Ultimo Aggiornamento: 20/08/2013 16:33
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.989
Sesso: Femminile
20/08/2013 14:45
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


L’amicizia e l’attribuzione degli incarichi

Marco: questa distinzione mi piace molto. Però vorrei sapere se un amico che gode di un certo potere, ed è in grado di conferire onori e cariche a chi vuole, deve preferire in queste promozioni quelli che ama e che lo amano, e se tra questi deve anteporre quelli che ama di più a quelli che ama di meno.
Aelredo: È utile esaminare come si deve coltivare l’amicizia su questo punto. Ci sono alcuni che ritengono di non essere amati se non vengono promossi a qualche carica, e si lamentano di essere trascurati se non vengono scelti per qualche funzione di prestigio.


Questo modo di pensare lo sappiamo bene ha provocato grandi discordie tra persone che si ritenevano amiche. Alla rabbia è seguita la separazione e alla separazione gli insulti. Per questo, nel distribuire onori e incarichi, soprattutto ecclesiastici, bisogna osservare molta cautela: non devi guardare a quello che tu puoi offrire, ma se l’altro è in grado di sostenere quello che tu gli offri. Sono molte le persone che meritano di essere amate, ma non per questo meritano di essere promosse; come sono molti quelli che possiamo onestamente abbracciare con la dolcezza del nostro affetto, ma, se affidassimo loro un incarico o un ufficio, faremmo un grave peccato noi, e metteremmo anche loro in grave pericolo. In queste cose si deve sempre seguire la ragione, non il sentimento. Non dobbiamo imporre onori o pesi sulle spalle di coloro che ci sono più amici, ma di quelli che sono più idonei a portarli. A parità di capacità però non mi sentirei di disapprovare una scelta in cui, in qualche modo, l’affetto si intrufola nella decisione.
Nessuno, quindi, deve sentirsi disprezzato se non riceve una promozione, dato che anche il Signore Gesù in un caso simile preferì Pietro a Giovanni, e dando a Pietro il comando non tolse certo a Giovanni l’affetto. A Pietro affidò la sua Chiesa, a Giovanni affidò la sua carissima madre. A Pietro diede le chiavi del suo regno, a Giovanni aprì i segreti del suo cuore.
Pietro, quindi, sta più in alto, ma Giovanni è più al sicuro. Pietro, benché costituito in autorità, quando Gesù dice: “Uno di voi mi tradirà”, trema come gli altri e ha paura; Giovanni invece, fatto audace dalla sua intimità con Gesù, sul cui petto stava reclinato, visto il cenno di Pietro che vuol sapere chi è il traditore, ha il coraggio di interrogare. Pietro, quindi, viene lanciato nell’azione, ma Giovanni è riservato per l’affetto, perché “Così”, dice, “voglio che lui rimanga fino al mio ritorno” (cfr. Gv 21,22). Ci ha dato un esempio, infatti, perché anche noi facciamo così.
Diamo all’amico tutto quanto è in nostro potere in amore, grazia, dolcezza, carità; diamo invece gli onori futili e gli oneri a quelli che ci vengono suggeriti dalla ragione, sapendo che uno non amerà mai veramente un amico se non gli basta l’amico così com’è, e vuole in più da lui queste cose vili e spregevoli.
Però si deve anche stare molto attenti a negare un grande vantaggio perché ostacolati da un affetto troppo tenero. Questo accade quando, presentandosi la possibilità di impiegare meglio persone a cui siamo legati da un grande affetto, non vogliamo separaci da loro né gravarle di pesi. Nell’amicizia ben ordinata la ragione deve governare il sentimento, e si deve guardare non tanto al gradimento dell’amico, quanto piuttosto al bene comune.

Il ricordo di due amici di Aelredo

Ora mi vengono in mente due miei amici che, se anche non sono più in questo mondo, per me sono e saranno sempre vivi. Il primo me l’avevo incontrato agli inizi della mia conversione, quando ero ancora molto giovane, ed eravamo diventati amici per una certa somiglianza di carattere e d’interessi. L’altro l’avevo scelto io quando era ancora giovanissimo, e dopo averlo messo alla prova in tanti modi, quando ormai cominciavo ad avere un po’ di grigio sui capelli, lo accolsi in una profondissima amicizia.
Il primo l’avevo scelto come compagno per condividere con lui le gioie della vita religiosa e le dolcezze dello spirito che allora cominciavo a gustare. Non ero ancora oppresso da alcun incarico pastorale né distratto da preoccupazioni materiali. Non chiedevo né davo altro che affetto, come vuole la carità.


L’altro, che avevo scelto ancora giovane, come assistente, lo ebbi come collaboratore nelle presenti fatiche. Facendo, con l’aiuto della memoria, un confronto fra queste due amicizie, direi che la prima poggiava soprattutto sul sentimento, la seconda sulla ragione, anche se non mancarono né l’affetto nella seconda, né la ragione nella prima. Il primo, perse la vita agli inizi della nostra amicizia, quindi potei solo sceglierlo, non metterlo alla prova, come abbiamo detto che si deve fare; l’altro, che mi fu lasciato, l’ho sempre amato dalla giovinezza all’età matura. Salì con me tutti i gradi dell’amicizia, per quanto fu possibile alla nostra imperfezione.
La prima cosa che attrasse il mio sentimento verso di lui fu l’ammirazione per le sue virtù. Venne dal sud, lo condussi in questa solitudine nordica, e fui il primo a formarlo nella disciplina della vita religiosa. Da allora, vittorioso sulle sue debolezze, capace di sopportare la fatica e la fame, fu per moltissimi un esempio e, suscitando l’ammirazione di molti, divenne per me fonte di vanto e di soddisfazione. Ritenni allora di coltivare la sua amicizia secondo i migliori principi, come era naturale fare con uno che non era di peso a nessuno, ma risultava simpatico a tutti. Obbediva sempre con docilità, sempre umile, mansueto, serio nel comportamento, di poche parole, ignaro di cosa fossero la rabbia, il pettegolezzo, il rancore, la denigrazione.
Camminava come un sordo che non sente, e come un muto che non apre la sua bocca (cfr. Sal 37,14). Lavorava senza temere la fatica, ossequiente all’obbedienza, portando instancabilmente, nella mente e nel corpo, la severità della disciplina ascetica. Una volta, ancora giovanissimo, essendosi ricoverato nell’infermeria, fu rimproverato dal santo abate mio predecessore perché ancora così giovane si era abbandonato troppo presto al riposo e all’inerzia. Divenne tutto rosso per la vergogna, e, uscito immediatamente, si sottopose con tanto fervore alla severità della disciplina che per molti anni, anche quand’era stremato da una grave malattia, non si permise mai di allentare il rigore consueto. Queste cose l’avevano fatto entrare in modo eccezionale nel più intimo del mio cuore, e l’avevano a tal punto introdotto nel mio animo che da inferiore mi divenne compagno, da compagno amico, da amico... amicissimo.
Quando m’accorsi che nella grazia e nella virtù aveva ormai raggiunto diversi fratelli più anziani di lui, udito il loro consiglio, gli affidai l’incarico di vice superiore. Non era certo questo il suo desiderio, ma, poiché si era votato interamente all’obbedienza, accettò docilmente. Tuttavia, parlandomi in privato, cercò in molti modi di farmi accettare le sue dimissioni, portando come ragioni l’età, l’inesperienza, e anche l’amicizia che allora stava spuntando tra noi: temeva che in quella carica avrebbe avuto meno possibilità di amare e di essere amato. Ma poiché, nonostante tutti questi tentativi, non riusciva a ottenere niente, cominciò con piena libertà, anche se con umiltà e moderazione, a rivelare i timori che nutriva per tutti e due, e a dire tutte quelle cose che in me gli piacevano di meno, sperando, come mi confidò in seguito, che questa sua presunzione mi avrebbe offeso, e così mi sarei piegato più facilmente nel concedergli quanto mi chiedeva.
Questa sua libertà di cuore e di parola invece ebbe solo l’effetto di portare al vertice la nostra amicizia: lo volevo come amico, e non come uno qualsiasi. Si rese conto che quello che aveva detto mi rendeva felice e che avevo risposto umilmente ad ogni singola osservazione, dandogli soddisfazione in tutto, e che non solo non avevo trovato motivo alcuno di offendermi, anzi, ne avevo tratto frutti più abbondanti. Allora cominciò anche lui ad amarmi più di prima, a manifestarmi il suo affetto, a riversarsi interamente nel mio cuore. Tutto questo dimostrò a me la sua sincerità e a lui la mia pazienza. Anch’io, dandogli il contraccambio, quando si presentò l’occasione, ritenni di doverlo riprendere con maggior severità, non risparmiandogli parole che sembravano insulti, ma questa mia sincerità non lo rese né impaziente né ingrato. Allora cominciai a rivelargli i miei propositi più intimi, e lo trovai fedele.

Così tra noi si perfezionò l’amore, si accese l’affetto, si rafforzò la carità, fino a che si giunse ad avere un cuor solo e un’anima sola, a volere o non volere le stesse cose in un amore che non conosceva paure, che ignorava l’offesa, era privo di sospetti, detestava l’adulazione.
Non c’erano fra noi finzioni o simulazioni, nessun sentimentalismo, nessuna asprezza sconveniente, nessuna tortuosità e nessuna falsità. Tutto era chiaro e aperto, al punto che talvolta mi sembrava che il mio cuore fosse il suo, e il suo il mio, e questa era anche la sua consapevolezza. Procedendo così, per la via diritta dell’amicizia, la correzione non suscitava indignazione, né il consenso diventava compiacenza. Per cui, dimostrandosi amico in tutto, egli mi offriva, per quanto poteva, pace e serenità. Era lui a esporsi ai pericoli e ad affrontare gli ostacoli sul nascere. A volte, quando era già malato, desideravo dargli un po’ di sollievo; lui però me lo proibiva, dicendo che dovevamo stare attenti a che il nostro amore non fosse misurato in base a un vantaggio materiale, o che il gesto fosse attribuito più al mio affetto umano che alla sua reale necessità, cosa che avrebbe svalutato la mia autorità. Era come la mia mano, il mio occhio... il bastone della mia vecchiaia.
Era il cuscino su cui si riposava il mio spirito, il sollievo delle mie sofferenze. Quando ero stremato dalle fatiche, mi accoglieva nel suo amore; se ero immerso nell’abbattimento e nella tristezza, le sue parole mi ridavano fiducia. Se ero agitato mi riportava alla calma; se ero adirato mi riportava alla serenità. Se capitava qualcosa di triste, lo riferivo a lui, per poter sostenere più facilmente, unito a lui, quello che da solo non riuscivo a sopportare. Che altro posso dire? Non è stato forse un pregustare la felicità del cielo questo modo di amare e di essere amato, di aiutare e di essere aiutato; questo prendere slancio dalla dolcezza della carità fraterna per volare in quel luogo altissimo dove brilla lo splendore dell’amore di Dio e, sulla scala della carità, ora salire verso l’abbraccio di Cristo stesso, ora scendere all’amore del prossimo per una dolce pausa di riposo? Se in questa nostra amicizia, di cui ho parlato per mostrarvi un esempio, trovate qualcosa da imitare, servitevene per il vostro vantaggio.

CONCLUSIONE

Ora per concludere questo nostro colloquio, anche perché il sole sta tramontando, credo che siete convinti che l’amicizia nasce dall’amore. Se uno però non ama se stesso non può neanche amare un altro, perché l’amore del prossimo si costruisce sul modello dell’amore con cui uno ama se stesso. Ma non ama se stesso colui che esige da sé o si propone qualcosa di turpe e di disonesto.
Il primo passo dunque consiste nel purificare se stessi, non indulgendo a niente che sia indegno, né togliendo nulla di quanto può essere utile. Chi ama se stesso in questo modo, può amare anche il prossimo, seguendo la stessa regola. Ma dal momento che questo amore abbraccia molte persone, dobbiamo scegliere tra queste chi possiamo ammettere con un vincolo più familiare nell’intimità dell’amicizia riversando abbondantemente il nostro affetto, aprendo il nostro cuore fino a mettere a nudo, i suoi pensieri e i suoi desideri più profondi.
La scelta va fatta però non dietro l’impulso instabile del sentimento ma con l’acutezza della ragione, in base alla somiglianza dei temperamenti e tenendo conto delle virtù. Offriamoci generosamente per l’amico quindi, evitando ogni superficialità. Tutto deve portare alla gioia, né devono mancare l’aiuto, il rispetto e la cortesia che nascono da una benevolenza e da una carità ben ordinate.



Mettiamo alla prova la fedeltà dell’amico, la sua onestà, la sua pazienza. Quindi passiamo gradualmente alla comunione dei pensieri, all’impegno costante nei comuni interessi, arrivando fino ad una certa conformazione nell’aspetto. Gli amici, infatti, devono essere così conformi che, appena uno vede l’altro, anche l’aspetto del volto di uno si riflette in quello dell’altro, sia quando è triste e abbattuto, sia quando è sereno e gioioso.
Dopo averlo scelto e messo alla prova, accertati che non voglia chiederti niente di sconveniente, né, se richiesto, accordartelo. Verifica se ritiene l’amicizia una virtù, e non un affare redditizio, se rifugge dall’adulazione e detesta le lusinghe, se è sincero e discreto nel parlare, se accetta con pazienza la correzione, se è costante e saldo nel voler bene. Solo allora gusterai quella dolcezza spirituale che fa dire: come è bello e quanta gioia dà vivere insieme, da fratelli (cfr. Sal 132,1). Allora vedrai quanto ci si guadagna a soffrire l’uno per l’altro, a faticare l’uno per l’altro, a portare l’uno i pesi dell’altro, quando ciascuno trova dolce dimenticare se stesso a favore dell’altro, preferire la volontà dell’altro alla propria, andare incontro alle necessità dell’altro prima di pensare alle proprie, esporsi e opporsi alle avversità per risparmiare l’amico. E nello stesso tempo quanta dolcezza nel parlarsi, nel raccontarsi progetti e pensieri, esaminando tutto insieme, e in tutto convergendo su uno stesso parere.
Oltre a questo poi c’è il pregare l’uno per l’altro, una preghiera che, venendo da un amico, è tanto più efficace quanto più carica di affetto si eleva a Dio insieme alle lacrime, generate dal timore o dall’affetto o dal dolore. Così, un amico che prega Cristo per conto dell’amico, e desidera essere esaudito da Cristo per amore dell’amico, finisce per dirigere su Cristo il suo amore e il suo desiderio. Succede allora che rapidamente, in modo impercettibile, si passi da un affetto all’altro e, con la sensazione di toccare da vicino la dolcezza di Cristo stesso, l’amico cominci a gustare e a sperimentare quanto egli è dolce è amabile.
In questo modo, da quell’amore santo con cui si abbraccia il proprio amico, si sale a quello con cui abbracciamo Cristo stesso: si afferra così, nella gioia, a piene mani, il frutto dell’amicizia spirituale, nell’attesa di una pienezza che si realizzerà nel futuro quando, eliminato quel timore che ora ci tiene in ansia e ci fa preoccupare l’uno per l’altro, vinte tutte quelle avversità che ora dobbiamo sostenere l’uno per l’altro, distrutto insieme alla morte il suo pungiglione (cfr. 1Cor 15,54 55), che ora spesso ci sfianca e ci costringe a soffrire l’uno per l’altro, raggiunta la sicurezza, godremo per l’eternità del sommo bene. Allora questa amicizia, alla quale ora ammettiamo solo pochi, sarà trasfusa in tutti, da tutti rifluirà su Dio, e Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28).


--------------------

Nota



La traduzione dai testi latini presi in esame ha richiesto un impegno non indifferente e, considerata l’importanza e la perenne attualità del tema, si è optato per una traduzione dinamica, cioè particolarmente rispondente alla mentalità e al linguaggio odierni. Questa scelta, senza dubbio, ha imposto un certo distacco dall’originale, tuttavia ha reso possibile la stesura di un testo più comprensibile e scorrevole e, almeno in linea teorica, immediatamente recepibile dal lettore comune. Sono state eliminate, per esempio, le ridondanze e i pleonasmi tipici della lingua antica; sono stati sostituiti - per quanto possibile - i modi di dire tipici dell’epoca con quelli attuali; gli stessi nomi di persona - eccetto quelli storicamente noti - sono stati sostituiti con nomi più attuali. Indubbiamente è un’operazione che si presta a non poche critiche, soprattutto dal punto di vista del rigore letterario, per cui è doveroso invitare il lettore alla consultazione del testo latino (MIGNE PL 195, 659-702). L’auspicio è che questo lavoro risponda al fine che si era proposto il nostro amico Aelredo. Nonostante questo sforzo di semplificazione e di attualizzazione il lettore deve tenere presente la statura spirituale e culturale del testo che rimane sempre ad un livello tutt’altro che "comune". È facile cadere nel rischio di grossolane banalizzazioni o di vuoti sentimentalismi. La comprensione dell’amicizia spirituale, cioè della vera amicizia, richiede una grande profondità d’animo e un serio livello di vita spirituale. Un’amicizia che non si radica in una solida vita spirituale e in un’autentica esperienza di fede non potrà mai essere una vera amicizia. L’amicizia di cui parla Aelredo è una delle esperienze più alte che una persona possa fare nella sua vita: è Cristo stesso che si rende visibile e presente attraverso il nostro amico e ci accompagna per tutta la vita. Pochi decenni dopo, nel 1223, Francesco d’Assisi nella sua Regola bollata scriverà: “Ovunque sono e si troveranno i frati, si mostrino familiari tra loro. E ciascuno manifesti con fiducia all’altro le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, con quanto più affetto uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?” (RegB 6,7-9: FF 91).



P. Antonio ATZENI

[SM=g1740733]



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 08:15. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com