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"Elogio della coscienza" dell'allora cardinale J.Ratzinger nel 1991

Ultimo Aggiornamento: 12/09/2013 21:42
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12/09/2013 21:06
 
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Quanto era stato per me solo marginalmente chiaro in questa discussione, divenne pienamente evidente un po’ dopo, in occasione di una disputa tra colleghi, a proposito del potere di giustificazione della coscienza erronea.
Qualcuno obiettò a questa tesi che, se ciò dovesse avere un valore universale, allora persino i membri delle SS naziste sarebbero giustificati e dovremmo cercarli in paradiso. Essi infatti portarono a compimento le loro atrocità con fanatica convinzione ed anche con un’assoluta certezza di coscienza. Al che un altro rispose con la massima naturalezza che le cose stavano proprio così: non c’è proprio nessun dubbio che Hitler ed i suoi complici, che erano profondamente convinti della loro causa, non avrebbero potuto agire diversamente e che quindi, per quanto siano state oggettivamente spaventose le loro azioni, essi, a livello soggettivo, si comportarono moralmente bene.
Dal momento che essi seguirono la loro coscienza — per quanto deformata —, si dovrebbe riconoscere che il loro comportamento era per loro morale e non si potrebbe pertanto mettere in dubbio la loro salvezza eterna.

Dopo una tale conversazione fui assolutamente sicuro che c’era qualcosa che non quadrava in questa teoria sul potere giustificativo della coscienza soggettiva, in altre parole: fui sicuro che doveva esser falsa una concezione di coscienza, che portava a simili conclusioni. Una ferma convinzione soggettiva e la conseguente mancanza di dubbi e scrupoli non giustificano affatto l’uomo.

Circa trent’anni dopo trovai sintetizzate nelle lucide parole dello psicologo Albert Görres le intuizioni, che da lungo tempo anch’io cercavo di articolare a livello concettuale. La loro elaborazione intende costituire il nucleo di questo contributo. Görres mostra che il senso di colpa, la capacità di riconoscere la colpa appartiene all’essenza stessa della struttura psicologica dell’uomo. Il senso di colpa, che rompe una falsa serenità di coscienza e che può esser definito come una protesta della coscienza contro la mia esistenza soddisfatta di sé, è altrettanto necessario per l’uomo quanto il dolore fisico, quale sintomo, che permette di riconoscere i disturbi alle normali funzioni dell’organismo. Chi non è più capace di percepire la colpa è spiritualmente ammalato, è "un cadavere vivente, una maschera da teatro", come dice Görres. "Sono i mostri che, tra altri bruti, non hanno nessun senso di colpa. Forse ne erano totalmente sprovvisti Hitler o Himmler o Stalin. Forse non ne hanno nessuno i padrini della mafia, ma forse le loro spoglie sono solo ben nascoste in cantina. Anche i sensi di colpa abortiti...
Tutti gli uomini hanno bisogno di sensi di colpa".


Del resto anche solo uno sguardo alla Sacra Scrittura avrebbe potuto preservare da simili diagnosi e da una simile teoria della giustificazione mediante la coscienza erronea. Nel salmo 19, 13 è contenuta quest’affermazione, sempre meritevole di ponderazione: "Chi si accorge dei propri errori? Liberami dalle colpe che non vedo!".
Qui non si tratta di oggettivismo veterotestamentario, ma della più profonda saggezza umana; il non vedere più le colpe, l’ammutolirsi della voce della coscienza in così numerosi ambiti della vita è una malattia spirituale molto più pericolosa della colpa, che uno è ancora in grado di riconoscere come tale. Chi non è più in grado di riconoscere che uccidere è peccato, è caduto più profondamente di chi può ancora riconoscere la malizia del proprio comportamento, poiché si è allontanato maggiormente dalla verità e dalla conversione.

Non per niente, nell’incontro con Gesù, chi si autogiustifica appare come colui che è veramente perduto. Se il pubblicano, con tutti i suoi innegabili peccati, sta davanti a Dio più giustificato del fariseo con tutte le sue opere veramente buone (Lc 18, 9-14), ciò avviene non perché in qualche modo i peccati del pubblicano non siano veramente peccati e le buone opere del fariseo non siano buone opere. Ciò non significa affatto che il bene che l’uomo compie non sia bene davanti a Dio e che il male non sia male davanti a Lui e neppure che ciò non sia poi in fondo così importante. La ragione vera di questo giudizio paradossale di Dio si mostra proprio a partire dalla nostra questione: il fariseo non sa più che anch’egli ha delle colpe. È completamente in pace con la sua coscienza. Ma questo silenzio della coscienza lo rende impenetrabile per Dio e per gli uomini. Invece il grido della coscienza, che non da tregua al pubblicano, lo fa capace di verità e di amore. Per questo Gesù può operare con successo nei peccatori, perché essi non sono diventati, dietro il paravento di una coscienza erronea, impermeabili a quel cambiamento, che Dio attende da essi, così come da ciascuno di noi. Egli non può invece avere successo con i "giusti", precisamente perché ad essi sembra di non aver bisogno di perdono e di conversione; infatti la loro coscienza non li accusa più, ma piuttosto li giustifica.
[SM=g1740721]

Qualcosa di analogo possiamo trovare anche in San Paolo, il quale ci dice che i pagani conoscono molto bene, anche senza legge, ciò che Dio attende da loro (Rm 2, 1-16). Tutta quanta la teoria della salvezza mediante l’ignoranza crolla in questo versetto: c’è nell’uomo la presenza del tutto inevitabile della verità — di una verità del Creatore, la quale è stata poi anche messa per iscritto nella rivelazione della storia della salvezza. L’uomo può vedere la verità di Dio a motivo del suo essere creaturale. Non vederla è peccato. Essa non viene vista, solo quando e perché non si vuole vederla. Tale rifiuto della volontà, che impedisce la conoscenza, è colpevole. Perciò se la spia luminosa non si accende, ciò è dovuto ad un deliberato sottrarsi a quanto non desideriamo vedere.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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