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"Elogio della coscienza" dell'allora cardinale J.Ratzinger nel 1991

Ultimo Aggiornamento: 12/09/2013 21:42
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2. NEWMAN E SOCRATE: GUIDE PER LA COSCIENZA

A questo punto vorrei fare una breve digressione. Prima di tentare di formulare risposte coerenti alle questioni sulla natura della coscienza, occorre che allarghiamo un po’ le basi della riflessione, al di là della dimensione personale da cui abbiamo preso l’avvio.

Per la verità non ho l’intenzione di sviluppare qui una dotta trattazione sulla storia delle teorie della coscienza, argomento sul quale proprio di recente sono stati pubblicati diversi contributi. Preferirei invece mantenermi anche qui ad un approccio di tipo esemplaristico e, per così dire, narrativo. Un primo sguardo deve rivolgersi al cardinale Newman, la cui vita ed opera potrebbero ben essere designati come un unico grande commento al problema della coscienza. Ma neppure Newman potrà essere qui indagato in modo specialistico. In questa cornice non ci è permesso di soffermarci sulle particolarità del concetto newmaniano di coscienza. Vorrei solo cercare di indicare il posto dell’idea di coscienza nell’insieme della vita e del pensiero di Newman.

Le prospettive così guadagnate approfondiranno lo sguardo sui problemi attuali e apriranno collegamenti con la storia, cioè condurranno ai grandi testimoni della coscienza e alle origini della dottrina cristiana sulla vita secondo la coscienza.
A chi non viene in mente, a proposito del tema "Newman e la coscienza", la famosa frase della Lettera al Duca di Norfolk: "Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo — cosa che non è molto indicato fare — allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa"? Secondo l’intenzione di Newman questo doveva essere — in contrasto con le affermazioni di Gladstone — una chiara confessione del papato, ma anche — contro le deformazioni "ultramontanistiche" — un’interpretazione del papato, il quale è rettamente inteso solo quando è visto insieme col primato della coscienza — dunque non ad essa contrapposto, ma piuttosto su di essa fondato e garantito. Comprendere ciò è difficile per l’uomo moderno, che pensa a partire dalla contrapposizione di autorità e soggettività. Per lui la coscienza sta dalla parte della soggettività ed è espressione della libertà del soggetto, mentre l’autorità sembra restringere, minacciare o addirittura negare tale libertà. Dobbiamo quindi andare un po’ più in profondità, per imparare a comprendere di nuovo una concezione, in cui questo tipo di contrapposizione non vale più.


Per Newman il termine medio che assicura la connessione tra i due elementi della coscienza e dell’autorità è la verità.

Non esito ad affermare che quella di verità è l’idea centrale della concezione intellettuale di Newman; la coscienza occupa un posto centrale nel suo pensiero proprio perché al centro c’è la verità. In altre parole: la centralità del concetto di coscienza è in Newman legata alla precedente centralità del concetto di verità e può essere compresa solo a partire da questa. La presenza preponderante dell’idea di coscienza in Newman non significa che egli, nel XIX secolo e in contrasto con l’oggettivismo della neoscolastica abbia sostenuto per così dire una filosofia o teologia della soggettività.

Certamente è vero che in Newman il soggetto trova un’attenzione che non aveva più ricevuto, nell’ambito della teologia cattolica, forse dal tempo di Sant’Agostino. Ma si tratta di un’attenzione nella linea di Agostino e non in quella della filosofia soggettivistica della modernità.
In occasione della sua elevazione al cardinalato, Newman confessò che tutta la sua vita era stata una battaglia contro il liberalismo. Potremmo aggiungere: anche contro il soggettivismo nel cristianesimo, quale egli lo incontrò nel movimento evangelico del suo tempo e che, per la verità, costituì per lui la prima tappa di quel cammino di conversione che durò tutta la sua vita.

La coscienza non significa per Newman che il soggetto è il criterio decisivo di fronte alle pretese dell’autorità, in un mondo in cui la verità è assente e che si sostiene mediante il compromesso tra esigenze del soggetto ed esigenze dell’ordine sociale.
Essa significa piuttosto la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso; la coscienza è il superamento della mera soggettività nell’incontro tra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio.

È significativo il verso, che Newman compose in Sicilia nel 1833: "Amavo scegliere e capire la mia strada. Ora invece prego: Signore, guidami tu!". La conversione al cattolicesimo non fu per Newman una scelta determinata da gusto personale, da bisogni spirituali soggettivi. Così egli si espresse nel 1844, quando era ancora, per così dire, sulla soglia della conversione: "Nessuno può avere un’opinione più sfavorevole della mia sul presente stato dei romano-cattolici".

Ciò che per Newman era invece importante era il dovere di obbedire più alla verità riconosciuta che al proprio gusto, addirittura anche in contrasto con i propri sentimenti e con i legami dell’amicizia e di una comune formazione.
Mi sembra significativo che Newman, nella gerarchia delle virtù sottolinei il primato della verità sulla bontà o, per esprimerci più chiaramente: egli mette in risalto il primato della verità sul consenso, sulla capacità di accomodazione di gruppo.

Direi quindi: quando parliamo di un uomo di coscienza, intendiamo qualcuno dotato di tali disposizioni interiori. Un uomo di coscienza è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante. In questo Newman si ricollega all’altro grande testimone britannico della coscienza: Tommaso Moro, per il quale la coscienza non fu in alcun modo espressione di una sua testardaggine soggettiva o di eroismo caparbio. Egli stesso si pose nel numero di quei martiri angosciati, che solo dopo esitazioni e molte domande hanno costretto se stessi ad obbedire alla coscienza: ad obbedire a quella verità, che deve stare più in alto di qualsiasi istanza sociale e di qualsiasi forma di gusto personale. Si evidenziano così due criteri per discernere la presenza di un’autentica voce della coscienza: essa non coincide con i propri desideri e coi propri gusti; essa non si identifica con ciò che è socialmente più vantaggioso, col consenso di gruppo o con le esigenze del potere politico o sociale.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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