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Interviste concesse dal Papa

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2017 18:49
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10/12/2014 15:14
 
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  Francesco, l’intervista “impossibile”


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L’Osservatore Romano ha pubblicato la traduzione in italiano l’intervista a papa Francesco uscita sul quotidiano argentino La Nación del 7 dicembre.


L’appuntamento è per le 16,30 di giovedì 4 dicembre a Santa Marta. Il tempo vola. L’intervista con Papa Francesco dura cinquanta minuti, poi c’è tempo per parlare e persino per filmare con il cellulare un breve video con un saluto e una benedizione per i primi diplomati del collegio di Alfarcito, la scuola secondaria creata da padre Chifri nella provincia di Salta. Quando ce ne andiamo, Francesco ci sorprende con una grande borsa bianca. Dentro ci sono alcuni regali per i nostri figli, Juan Pablo e Carolina, «perché giochino».


ELISABETTA PIQUÈ


Papa Francesco ed Elisabetta Piqué durante l'intervista.

Papa Francesco ed Elisabetta Piqué durante l’intervista.



Per l’America latina è fonte di orgoglio avere il primo Papa non europeo. Che cosa si aspetta dalla regione?


L’America latina sta percorrendo un cammino da lungo tempo, dalla prima riunione del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), dalla creazione del Celam. Monsignor Larraín, il primo presidente del Celam, gli ha dato un grande impulso. Poi ci sono state le conferenze di Rio, Medellín, Puebla, Santo Domingo e Aparecida. Sono state pietre miliari che l’episcopato latinoamericano ha posto, collegialmente, con metodologie diverse, all’inizio timidamente. Ma questo cammino di cinquant’anni non si può ignorare perché è un cammino di presa di coscienza della Chiesa in America latina e di maturazione nella fede. Insieme a questo cammino, c’è stata anche una grande preoccupazione di studiare il messaggio guadalupano. La quantità di studi sulla Vergine di Guadalupe, sull’immagine, sul meticciato, sul NicanMopoua, è impressionate, è una teologia di fondo. Perciò nel celebrare la Giornata della Vergine di Guadalupe, patrona d’America, il 12 dicembre, e i cinquant’anni della Messa criolla, stiamo commemorando un cammino della Chiesa latinoamericana.


Un recente sondaggio nella regione (del Pew Research Center) ha mostrato che, al di là dell’“effetto Francesco”, ci sono cattolici che continuano ad abbandonare la Chiesa.


Conosco la statistica che hanno stilato ad Aparecida, è l’unico dato che ho. Evidentemente, ci sono vari fattori che intervengono, esterni alla Chiesa. Per esempio, la teologia della prosperità ispira molte proposte religiose che attraggono la gente. Ma poi la gente resta a metà del cammino. Lasciando però fuori ciò che è esterno alla Chiesa, mi domando: quali sono le cose nostre, dentro la Chiesa, che fanno sì che i fedeli non si sentano soddisfatti? Sono la mancanza di vicinanza e il clericalismo. La vicinanza è oggi la chiamata per noi cattolici a uscire e a stare vicino alla gente, ai loro problemi, alle loro realtà. Il clericalismo, l’ho detto ai vescovi del Celam a Rio de Janeiro, ha frenato la maturazione laicale in America latina. Dove i laici sono più maturi in America latina è nell’espressione della pietà popolare. Le organizzazioni laicali hanno però sempre avuto il problema del clericalismo. Ne ho già parlato nellaEvangelii gaudium.


Il rinnovamento della Chiesa alla quale lei invita mira anche a cercare quelle “pecorelle smarrite” e a frenare questa emorragia di fedeli?


Non mi piace usare l’immagine dell’emorragia perché è un’immagine molto legata al proselitismo. Non mi piace usare termini legati al proselitismo perché non è la verità. Mi piace usare l’immagine dell’ospedale da campo: ci sono persone ferite gravemente che stanno aspettando che andiamo a curare le loro ferite, ferite dovute a mille motivi. Bisogna uscire a curare queste ferite.


È quindi questa la strategia per recuperare quanti se ne vanno?


Non mi piace la parola strategia, parlerei invece della chiamata pastorale del Signore, perché sennò sembra tutto una o.n.g. È la chiamata del Signore, quello che oggi chiede alla Chiesa, non come strategia, perché la Chiesa non fa proselitismo. La Chiesa non vuole fare proselitismo perché la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione, come ha detto Benedetto. La Chiesa deve essere un ospedale da campo e uscire a curare ferite, come il buon samaritano. C’è gente ferita per disattenzione, per abbandono della Chiesa stessa, gente che sta subendo orrori.


Lei è un Papa che è solito parlare in modo diretto, il che l’aiuta a mostrare chiaramente qual è la rotta del suo pontificato. Perché crede che ci sono settori che sono disorientati, che dicono che la «barca è senza timone», soprattutto dopo il recente Sinodo sulla famiglia?


Queste frasi mi meravigliano. Non mi risulta che le abbiano dette. Sui media sembra come se l’avessero dette. Ma finché non si chiede all’interessato: «Lei ha detto questo?», io mantengo un dubbio fraterno. Generalmente però è perché non leggono le cose. Uno sì mi ha detto una volta: «Sì, chiaro, il discernimento quanto fa bene, ma noi abbiamo bisogno di cose più chiare». E io gli ho risposto: «Guardi, ho scritto un’enciclica, a quattro mani, e un’esortazione apostolica. Faccio continuamente dichiarazioni e pronuncio omelie, e questo è magistero. Quello che c’è lì è ciò che io penso, e non quello che i media dicono che io penso. Vada lì e lo troverà, ed è ben chiaro; la Evangelii gaudium è molto chiara».


Sui media alcuni hanno parlato della «fine della luna di miele» per la divisione che è venuta alla luce nel sinodo.


Non è stata una divisione che ha avuto come bersaglio il Papa; ossia non avevano come referente il Papa. Perché lì il Papa ha cercato di aprire il gioco e di ascoltare tutti. Il fatto che, alla fine, il mio discorso sia stato accettato con tanto entusiasmo dai padri sinodali indica che il problema non era con il Papa, ma che era tra le diverse posizioni pastorali.


Ogni volta che c’è un cambiamento di status quo, come è accaduto con il suo arrivo in Vaticano, è normale che ci siano resistenze. Dopo poco più di venti mesi, questa resistenza, silenziosa all’inizio, sembra essere più evidente.


La parola l’ha detta lei. Le resistenze ora si evidenziano, ma per me è un buon segno, che si espongano, che non si dicano di nascosto quando uno non è d’accordo. È sano esporre le cose: è molto sano.


La resistenza ha a che vedere con la pulizia che lei sta facendo, con la ristrutturazione interna della curia romana?


Ritengo che le resistenze come punti di vista diversi non siano una cosa negativa. Hanno a che vedere con le decisioni che prendo, questo sì. Chiaro, ci sono decisioni che riguardano questioni economiche, altre questioni più pastorali.


È preoccupato?


No, non sono preoccupato, mi sembra tutto normale, perché sarebbe anormale che non esistessero punti divergenti. Sarebbe anormale che non uscisse nulla.


Il lavoro di pulizia è finito o continua?


Non mi piace parlare di pulizia. Direi di far procedere la curia nella direzione che le congregazioni generali (le riunioni che precedono il conclave) hanno chiesto. No, manca ancora molto. Manca, manca! Perché, nelle congregazioni generali pre-conclave, noi cardinali abbiamo chiesto molte cose e bisogna andare avanti in tutto ciò.


Quello che ha trovato facendo pulizia è peggio di quello che si aspettava?


Primo, non mi aspettavo nulla. Mi aspettavo di tornare a Buenos Aires! E poi credo che, non so, Dio in questo è buono con me, mi dà una sana dose di incoscienza. Sto facendo quello che devo fare.


Come va il lavoro in corso?


È tutto pubblico, si sa. Lo Ior sta funzionando benissimo e la cosa è stata fatta abbastanza bene. Il tema economico sta andando bene. La riforma spirituale è ciò che in questo momento mi preoccupa di più, la riforma del cuore. Sto preparando il discorso di Natale per i membri della curia; terrò due incontri natalizi, uno con i prelati della curia e un altro con tutto il personale del Vaticano, con tutti i dipendenti, nell’Aula Paolo vi, con le loro famiglie, perché anche loro portano avanti le cose. Gli esercizi spirituali per prefetti e segretari sono un passo avanti. È un passo avanti anche il fatto che staremo sei giorni chiusi, a pregare, come lo scorso anno; lo faremo di nuovo la prima settimana di Quaresima. Andremo nella stessa casa.


La settimana che viene si riunirà il g 9 (il gruppo di nove cardinali consultori che lo aiutano nel processo di riforma della curia e nel governo universale della Chiesa). Per il 2015 sarà pronta la famosa riforma della curia?


No, il processo è lento. L’altro giorno abbiamo avuto una riunione con i capi dicastero ed è stata presentata la proposta che hanno fatto insieme i dicasteri dei Laici, Famiglia, Giustizia e Pace. C’è stata una discussione, ognuno ha espresso la propria opinione e così sarà ora nel g9. Vale a dire, la riforma della curia richiede molto tempo, è la parte più complessa.


Vale a dire che non sarà pronta nel 2015?


No, si sta facendo a piccoli passi.


È vero che una coppia sposata potrebbe stare a capo di questo nuovo dicastero che unirebbe i pontifici Consigli dei Laici, della Famiglia e di Giustizia e Pace?


Può essere, non so. A capo dei dicasteri o della segreteria ci sarà la persona più idonea, sia essa uomo, donna o una coppia sposata.


Non necessariamente cardinale o vescovo…


In un dicastero come la Congregazione per la Dottrina della Fede, quella della Liturgia o nel nuovo dicastero che unirà Laici, Famiglia e Giustizia e Pace, ci sarà sempre a capo un cardinale. Conviene che sia così per la vicinanza stessa al Papa, come collaboratore in questo settore. Ma i segretari del dicastero non hanno più motivo di essere vescovi, perché un problema che c’è qui, quando uno deve cambiare un segretario-vescovo è: dove lo manda? Deve cercare una diocesi, ma a volte non sono adatti a una diocesi, ma sono adatti a questo lavoro. Ho nominato solo due vescovi segretari: il segretario del governatorato, che si occupa anche della parte spirituale, e il segretario del sinodo dei vescovi, per quello che l’“episcopalità” significa lì.


È stato un anno intenso: molti viaggi importanti, il sinodo straordinario, la preghiera per la pace per il Medio oriente nei giardini vaticani… Qual è stato il momento migliore e quale il peggiore?


Non saprei. Tutti i momenti hanno qualcosa di buono e qualcosa lì che non è tanto buono, no? Per esempio, l’incontro con i nonni, con gli anziani, è stato di una bellezza impressionante.


C’era anche Benedetto…


Mi è piaciuto molto quell’incontro, ma non è stato il migliore perché tutti sono belli. Non so, non mi viene, non mi è successo di pensarci.


E di essere Papa, cos’è quello che più le piace e quello che più le spiace?


Una cosa, ed è la verità e lo voglio dire: prima di venire qui, stavo per andare in pensione. Ossia, ero rimasto d’accordo con il nunzio che, una volta tornato a Buenos Aires, avrei fatto la terna affinché, alla fine del 2013, subentrasse il nuovo arcivescovo. Avevo la mente concentrata sui confessionali delle chiese dove andavo a confessare. C’era addirittura il progetto di passare due o tre giorni a Luján e il resto a Buenos Aires, perché Luján significa molto per me, e le confessioni lì sono una grazia. Arrivato qui, ho dovuto rinunciare a tutto questo. Una cosa mi sono detto fin dal primo momento: «Jorge non cambiare, continua a essere lo stesso, perché cambiare alla tua età è ridicolo». Per questo ho mantenuto sempre quello che facevo a Buenos Aires. Con gli errori che ciò, certo, può implicare. Ma preferisco andare avanti così come sono. Chiaramente questo ha provocato alcuni cambiamenti nei protocolli, non nei protocolli ufficiali, perché quelli li osservo bene. Ma il mio modo di essere anche nei protocolli è lo stesso che avevo a Buenos Aires, ossia quel «non cambiare» mi ha ben inquadrato la vita.


Al ritorno dalla Corea del Sud, a una domanda ha risposto che si aspettava, entro due o tre anni, di «andare nella casa del Padre». Molti si sono preoccupati per il suo stato di salute, pensando che fosse malato e qualcosa di simile. Come sta? Come si sente? Sembra in ottima forma…


Ho i miei acciacchi, e a questa età gli acciacchi si sentono. Ma sono nelle mani di Dio, finora ho potuto sostenere un ritmo di lavoro più o meno buono.


Un settore conservatore negli Stati Uniti crede che lei ha mandato via il cardinale tradizionalista nordamericano Raymund Leo Burke dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica perché è stato il leader di un gruppo di resistenza a qualunque tipo di cambiamento nel sinodo dei vescovi. È vero?


Il cardinale Burke un giorno mi ha chiesto che cosa avrebbe fatto, perché ancora non era stato confermato nel suo incarico, nell’ambito giuridico, e aveva già pronta la formula donec alitur provideatur (fino a che non si provveda altrimenti). Gli ho risposto: «Mi dia un po’ di tempo perché si sta pensando a una ristrutturazione giuridica nel g9», e gli ho spiegato che ancora non c’era nulla di stabilito e che si stava pensando al tema. Poi è venuta fuori la questione dell’Ordine di Malta, e lì serviva un americano vitale, che si sapesse muovere in quell’ambito e mi è venuto in mente lui per quell’incarico. E glielo ho proposto molto prima del sinodo. Gli ho detto: «Ciò avverrà dopo il sinodo perché voglio che lei partecipi al sinodo come capo dicastero», perché come cappellano di Malta non avrebbe potuto partecipare. Ebbene, mi ha ringraziato molto, in buoni termini, e ha accettato, mi è sembrato addirittura che gli piacesse. Perché lui è un uomo che deve muoversi molto, viaggiare e proprio in questo consisteva il lavoro. Vale a dire che non è vero che l’ho mandato via per come si era comportato nel sinodo.


Cosa ha in mente per il suo settantottesimo compleanno il prossimo 17 dicembre? Lo festeggerà con i senzatetto come lo scorso anno?


I senzatetto non li ho invitati, me li ha portati l’elemosiniere, eh? Ed è stato un bel gesto e anche in quel caso è nato il mito che io avevo fatto colazione con i senzatetto. Ma io ho fatto colazione con tutto il personale della casa e lì c’erano pure alcuni senzatetto. Sono quelle cose folcloristiche che mi attribuiscono. Quando non ho messa giù nella cappella, perché è mercoledì e c’è l’udienza generale, noi della casa mangiamo tutti insieme. Per me è un giorno assolutamente normale, come tutti gli altri.


Il recente sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia ha fatto emergere due visioni della Chiesa, con un settore aperto al dibattito e un altro che è contrario. Cosa ne pensa?


Non direi che le cose stanno proprio così. È vero, semplificando, per spiegare, si potrebbe dire che c’erano alcuni che erano più da un lato o più dall’altro. Lì l’importante è stato il processo sinodale, che non è un processo parlamentare, bensì uno spazio coperto, protetto, affinché lo Spirito Santo operi. E occorrono due qualità chiare: coraggio di parlare e umiltà di ascoltare. E ciò è stato fatto molto bene. È vero che ci sono state posizioni più da un lato o più dall’altro. Ma su un piano di ricerca della verità. Lei mi può chiedere: «Ma, ci sono alcuni che sono completamente ostinati nelle loro posizioni?». Sì, ce ne saranno alcuni. Ma ciò non mi preoccupa. Si tratta di pregare affinché lo Spirito li converta, se ci sono stati. Quello che, sì, si è sentito è stata una ricerca fraterna di come affrontare i problemi pastorali della famiglia. La famiglia è molto sminuita, i giovani non si sposano. Cosa avviene? Dopo, quando vengono per sposarsi, quando già stanno convivendo, crediamo che con tre incontri li prepariamo al matrimonio. Ciò non basta, perché la grande maggioranza non è consapevole di quel che significa impegnarsi per tutta la vita. Benedetto lo ha detto l’ultimo anno due volte: bisognerebbe tener conto per la nullità matrimoniale della fede che aveva quella persona quando si è sposata. Se era una fede generale, sapeva perfettamente cosa era il matrimonio, tanto da offrirlo all’altra persona? È un aspetto che dobbiamo studiare a fondo e vedere come essere d’aiuto. Alcuni giorni fa due fidanzati mi hanno annunciato che si stanno per sposare. Ho detto loro: «Che bello, e vi state preparando bene?». La risposta è stata questa: «Sì, stiamo cercando la chiesa che s’intona meglio con il vestito che indosserò», ha detto lei. «Sì, ci stiamo occupando della questione degli inviti, dei ricordini, e tutto il resto» ha detto lui. «Abbiamo anche il problema della festa, non abbiamo scelta, perché non vogliamo che sia troppo lontana dalla chiesa. E poi i padrini, dato che i miei genitori sono separati, non possono esserci tutti e due». Tante domande riguardo alla cerimonia! Sì, il matrimonio va festeggiato, è vero, perché bisogna aver coraggio per sposarsi e bisogna applaudire chi lo fa. Ma nessuno dei due ha fatto un semplice riferimento a ciò che significava per l’intera loro vita. Cosa voglio dire con ciò? Che, per un buon numero di persone, sposarsi è un fatto sociale. E il lato religioso non affiora. Ebbene, come può la Chiesa essere di aiuto in ciò? Se non sono preparati, chiude loro le porte? È un problema serio.


I settori conservatori, soprattutto negli Stati Uniti, temono uno cedimento della dottrina tradizionale. Dicono che il sinodo ha creato confusione perché, sebbene abbia parlato di elementi positivi nelle convivenze e nelle coppie omosessuali nella bozza, poi è stato fatto un passo indietro…


Il sinodo è stato un processo. E come l’opinione di un padre sinodale era di un padre sinodale, così anche una prima bozza era una prima bozza, dove si raccoglieva di tutto. Nessuno ha parlato di matrimonio omosessuale nel sinodo, non ci è venuto in mente. Quello di cui, sì, abbiamo parlato, è della famiglia che ha un figlio o una figlia omosessuale, come lo educa, come lo affronta, come si aiuta quella famiglia a portare avanti questa situazione un po’ inedita. Ovvero, nel sinodo si è parlato della famiglia e delle persone omosessuali rispetto alla loro famiglia, perché è una realtà che incontriamo spesso nei confessionali: un padre o una madre che hanno un figlio o una figlia così. A me è accaduto diverse volte a Buenos Aires. Ebbene, bisogna capire come aiutare quel padre o quella madre ad accompagnare il figlio o la figlia. Di questo si è parlato nel sinodo. Perciò qualcuno ha parlato di elementi positivi nella prima bozza. Ma era una bozza relativa.


C’è chi teme che la dottrina tradizionale crolli…


Ci sono sempre timori, ma perché non leggono le cose, o leggono una notizia su un giornale, un articolo e non leggono quello che ha deciso il sinodo, quello che è stato pubblicato. Cosa conta del sinodo? La relatio postsinodale, il messaggio postsinodale e il discorso del Papa. Questo è ciò che è definitivo del sinodo, che diviene relativo e provvisorio e si trasforma nei lineamenta per il prossimo sinodo. Lì credo ci sia stato un errore nella spiegazione di alcuni padri con i giornalisti. Avevamo deciso che ognuno poteva fare le interviste che voleva e in totale libertà, non avevamo posto nessun tipo di censura. Avevamo optato per la trasparenza. Perché un briefing e non quello che ha detto la persona? Per due motivi: primo, perché mandavano prima gli interventi scritti, e poi dicevano qualcosa, non dicevano tutto, cambiavano. Allora non era una notizia vera. Secondo, per proteggere la persona. E per me questa è la cosa più importante. Perché, se fosse un parlamento, dovrebbe rendere conto al mandante, ossia alla Chiesa locale. Ma il sinodo non è un parlamento, allora quell’uomo deve avere la libertà totale di dire quello che ha dentro, senza che si sappia che l’ha detto lui. Sì, che si sapesse quanto era stato detto, perciò nel briefing si spiegava che era stato detto questo e quello, e da vari vescovi con posizioni diverse, per andare avanti. Tutto per proteggere il lavoro, affinché lo Spirito Santo potesse andare avanti; e io non ho paura.


Paura di cosa?


Paura di seguire questo cammino, che è il cammino della sinodalità. Non ho paura perché è il cammino che Dio ci chiede. Non solo: il Papa ne è garante, è lì per prendersene cura. Bisogna quindi andare avanti su questa linea. Una cosa interessante, che ho detto anche nel discorso finale, è che non è stato affrontato nessun punto della dottrina della Chiesa sul matrimonio. Nel caso dei divorziati risposati, ci siamo chiesti: Cosa facciamo con loro, quale porta si può aprire loro? Ed è stata una preoccupazione pastorale: allora si darà loro la comunione? Non è una soluzione dare loro la comunione. Solo questo non è una soluzione: la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati, è vero. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture nella messa, non possono dare la comunione, non possono insegnare catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Basta! Così sembrerebbero scomunicati de facto! Allora bisogna aprire un po’ di più le porte. Perché non possono essere padrini? «No, immaginati, che testimonianza daranno al figlioccio». Testimonianza di un uomo e una donna che gli dicono: «Guarda caro, mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, anzi io vado avanti». Più testimonianza cristiana di questa? O se viene uno di quei truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è sposato in chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza darà al figlioccio? Una testimonianza di corruzione? Vale a dire che dobbiamo ricambiare un po’ le cose, nei modelli valutativi.


Cosa ne pensa della soluzione proposta dal cardinale tedesco Walter Kasper?


Kasper nel suo intervento, lo scorso febbraio, ai cardinali ha presentato cinque capitoli, quattro sono una “perla” dei fini del matrimonio, aperti, profondi, e il quinto riguarda il problema dei divorziati risposati, perché sono nostri fedeli. Fa ipotesi, non propone nulla di suo. Cosa è successo? Alcuni teologi si sono spaventati di fronte a quelle ipotesi e questo è nascondere la testa sotto la sabbia. Kasper ha semplicemente detto: «cerchiamo ipotesi», ossia ha aperto la strada. E alcuni si sono spaventati e sono giunti a questo punto: mai la comunione. Sì, quella spirituale. Ditemi: «Non occorre stare in grazia di Dio per ricevere la comunione spirituale? Per questo la comunione spirituale è stata quella che meno voti ha ottenuto nella relatio synodi, perché non erano d’accordo né gli uni né gli altri. Quelli che la sostengono, perché era poco, hanno votato contro. E quelli che non la sostengono e vogliono l’altra, perché non ha valore.


Lei ha da poco annunciato che a giugno 2016 non si recherà al Congresso Eucaristico di Tucumán per la vicinanza con la giornata mondiale della gioventù in Polonia. Ma vi si recherà in un altro momento dell’anno?


Sì, sì. Forse nel 2016. Non nel 2015, perché per quell’anno c’è già il progetto di andare in tre Paesi dell’America latina, che preferisco non dire ancora, non in Argentina, e anche in alcuni Paesi dell’Africa.


Come vive l’alluvione di argentini che le rendono visita, alcuni per farsi una foto con lei per fini politici?


Qui distinguerei. Primo, il turismo argentino in Europa non è aumentato sostanzialmente; è aumentato un po’ ma non sostanzialmente. Gli argentini vengono in Europa, ma ora devono venire anche all’udienza generale del mercoledì. Secondo, spesso sì ho sentito che a volte alcuni turisti vengono a Roma, guardano le opere d’arte, e invece di ammirarle, le fotografano per poi vedere la foto nella propria casa… Ossia, come se non gli interessassi io, bensì la foto. Di questo mi sono reso conto. C’è gente molto buona che viene, gente semplice, ma ci sono sempre quelli che cercano di trarre vantaggio. Ora per esempio ho smesso di ricevere politici.


Le stavo proprio per domandare se è vero che, dopo un primo anno di politica di manica larga, ora ha deciso di porre un freno…


In vista delle prossime elezioni, non ricevo i politici. Se viene qualche politico, che vada nel recinto dell’udienza generale del mercoledì (quello che gioiosamente gli argentini chiamano la Rural). Mi hanno raccontato, non so se è la verità, che uno che ho ricevuto ha ritoccato la foto, come se lo avessi ricevuto in un luogo chiuso per far credere che era stato un incontro privato. L’Argentina deve giungere al termine del mandato in pace. Una rottura del sistema democratico, della Costituzione, in questo momento sarebbe un errore. Tutti devono collaborare in questo ed eleggere poi le nuove autorità. Per non interferire in tutto ciò, non ricevo più politici in udienza privata.


L’infastidisce che ci siano alcuni che continuano a pensare che lei, da Santa Marta, muove i fili politici del Paese?


Che lo pensino… Che si può fare! Non devo giustificare quello che non faccio…


Dopo essere stata ricevuta da lei in udienza privata insieme a suo nipote ritrovato, la presidentessa delle Nonne di Plaza de Mayo, Estela Carlotto, ha riconosciuto che le critiche che le aveva fatto all’inizio, le aveva fatte perché era stata male informata. È sembrato che si riferisse, senza menzionarlo, a Horacio Verbitsky. Come vive questa faccenda su cui si è molto parlato?


Io vedo l’aspetto positivo. Bene, se si erano sbagliati, o mezzi sbagliati, o pensavano un’altra cosa e ora ne vedono un’altra, che Dio sia benedetto. E dimentico quanto accaduto prima. Non mi piace presentare il conto a nessuno. Perché? Non ci guadagniamo nulla. Tutti nella vita ci sbagliamo in tante cose.


È vero che ha mandato via il capo delle Guardie Svizzere, Daniel Rudolf Anring, perché era troppo rigoroso?


No, non è vero. Lo scorso anno, due mesi dopo la mia elezione, è terminato il suo mandato di cinque anni. Allora ho detto al segretario di Stato — che non era ancora Parolin — che non lo potevo nominare o non nominare. Non lo conoscevo, e ho deciso di prorogare il suo mandato donec alitur provideatur, la formula tipica di «fino a che non si provveda altrimenti». Mi sembrava ingiusto prendere una decisione in quel momento, a favore o contro. Poi, ho interiorizzato la questione, ho visitato la caserma, sono stato con loro un intero pomeriggio, sono rimasto anche una sera a cena, ho conosciuto le persone e mi è sembrato più sano un rinnovamento. È stato un mero rinnovamento, perché lui aveva terminato il suo mandato, e fa bene sapere che nessuno resta in eterno. Ho parlato con lui a metà anno e siamo rimasti d’accordo che sarebbe andato via alla fine dell’anno. Lo sapeva da giugno.


Allora non è vero che lo ha mandato via perché era troppo rigoroso?


No, non è vero. È un cambiamento, un normale cambiamento. È una persona eccellente, è un buon cattolico, un uomo che ha un’eccellente famiglia.


Hanno anche detto che lo ha mandato via perché viveva in un appartamento lussuoso. Neanche questo è vero?


Lo scorso anno lui ha fatto ristrutturare gli appartamenti, il suo è sicuramente spazioso, perché ha quattro figli. È un uomo credente, un uomo per bene, ho un eccellente rapporto con lui e sono stato io a spiegargli, e l’ho fatto personalmente, a dirgli: «Guardi, preferisco il rinnovamento». Vale a dire che non c’è nulla di strano, non c’è nessun peccato in lui, nessuna colpa.


© L’OSSERVATORE ROMANO (9 dicembre 2014)





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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