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Interviste concesse dal Papa

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2017 18:49
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13/03/2015 11:23
 
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  Il Papa racconta a Televisa i due anni di Pontificato


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2015-03-13 Radio Vaticana



Migrazioni e narcotraffico, la riforma della Curia e le sfide del Sinodo per la Famiglia. Papa Francesco affronta tutti i temi caldi dei due anni di Pontificato in un’intervista alla giornalista Valentina Alazraki dell’emittente messicana Televisa, manifestando il suo desiderio di compiere un viaggio in Messico. Il servizio di Stefano Leszczynski:


Madonna di Guadalupe
Nella stanza di Santa Marta dove il Papa incontra i suoi più stretti collaboratori, domina un’immagine della Vergine di Guadalupe, una figura di fondamentale importanza e di grande devozione per tutto il Continente latinoamericano. E’ in quella stanza che per espressa volontà del Papa si svolge l’intervista a tutto tondo concessa all’emittente messicana Televisa. La Madonna di Guadalupe è per Francesco “fonte di unità culturale, che porta verso la santità in mezzo a tanto peccato, a tanta ingiustizia, a tanto sfruttamento e a tanta morte".

Dramma delle migrazioni
”I mali del Messico sono del tutto simili a quelli del resto del mondo: il dramma delle migrazioni e i muri eretti per contrastarle. Francesco parla della frontiera tra Usa e Messico, ma ricorda anche i migranti costretti ad attraversare il Mediterraneo in cerca di una vita migliore o in fuga dalle guerre e dalla fame. Sono i sistemi economici distorti a provocare questi grandi spostamenti, la mancanza di lavoro, la cultura dello scarto applicata all’essere umano. E poi la piaga del narcotraffico. Dove ci sono povertà e miseria, il crimine trova terreno fertile. Papa Francesco ricorda i 43 ragazzi trucidati dai narcos a Iguala e svela di aver voluto rendere omaggio alla loro memoria anche nominando cardinale l’arcivescovo di Morelia, “un uomo - dice Francesco - che si trova in una zona molto calda ed è un testimone di vita cristiana”.

Non girarsi dall'altra parte di fronte ai mali del mondo
Il Papa, proprio perché figlio di migranti, si sente spontaneamente portato a dare voce alle vittime della tratta e di una società ingiusta, anche se – nota Francesco – sarebbe infantile attribuire le responsabilità soltanto ai governi. Bisogna imparare a non girarsi dall’altra parte di fronte ai mali del mondo e questo riguarda ciascuno di noi. L’impegno dei cattolici nei confronti degli ultimi richiede un esercizio di prossimità. E’ il terreno sul quale la Chiesa viene sfidata dalle sétte e dai movimenti evangelici, soprattutto in America Latina.

Clericalismo e riforma della Curia
Il Papa ne parla con franchezza quando critica l’incapacità del clero di coinvolgere i laici a causa di un eccessivo clericalismo. Il Pontefice che è venuto dall’altra parte del mondo tocca tutti i temi che hanno caratterizzato i suoi due anni di Pontificato, primo tra tutti l’attenzione ai poveri e ai diseredati. E poi il lavoro di riforma della Curia, non tanto la forma di quella che definisce l’ultima corte d’Europa, ma la sostanza. Ogni cambiamento inizia dal cuore - spiega il Papa - e comporta una conversione nel modo di vivere. Una conversione che coinvolge la stessa figura del Pontefice e che è alla base dei fuori protocollo che tanto entusiasmano il popolo di Dio.

Tempo a disposizione non sembra essere molto
Una semplicità che spiazza, anche quando Francesco ammette che gli manca di poter girare liberamente, magari per poter andare in pizzeria senza essere riconosciuto. Ma il tempo a disposizione non sembra essere molto. Francesco ammette di avere la sensazione che il suo sarà un Pontificato breve, ma afferma anche di potersi sbagliare. All’intervistatrice che accenna all’eventualità di un ritiro per limiti di età, come avviene per i vescovi, il Papa risponde di non condividere una simile evenienza per la figura del Pontefice - definisce il Papato una grazia speciale - ma dice anche di apprezzare la strada aperta da Benedetto XVI riguardo alla figura del Papa emerito. Una scelta coraggiosa la definisce, come coraggiosa fu la decisione di avere reso pubblica la gravità degli abusi commessi da alcuni membri della Chiesa contro i bambini e la necessità di prendersi cura delle vittime. Lo stesso Francesco ne ha ricevute sei in Vaticano e la Commissione istituita ad hoc in Vaticano ha proprio lo scopo di prevenire e tutelare i bambini.

Sinodo sulla famiglia
Tutelare, proteggere, accompagnare. Sono gli stessi imperativi che Francesco attribuisce alla Chiesa quando parla del Sinodo sulla famiglia che si riunirà a ottobre per la sua seconda tappa. Definisce smisurate le aspettative su temi complessi e delicati come quello della Comunione ai divorziati risposati o in materia di omosessualità. Quello che è certo per Francesco è che la famiglia attraversa una crisi mai vista prima e che bisogna ripartire da una pastorale che si rivolga innanzitutto ai giovani e agli sposi novelli. I segnavia del Papa sono tracciati e già Francesco guarda a settembre con l’appuntamento di Filadelfia, la Giornata mondiale della famiglia, e all’Africa che visiterà presto e all’America Latina che lo attende.

(Da Radio Vaticana)


Intervista integrale

È una lunga intervista quella che Papa Francesco ha rilasciato a Valentina Alazraki, vaticanista di Televisa, nel pomeriggio del 6 marzo a Santa Marta, e che la televisione messicana ha iniziato a trasmettere la sera del 12 marzo, alla vigilia dell’inizio del terzo anno di pontificato. In una nostra traduzione pubblichiamo il testo integrale delle risposte del Pontefice e, in forma sintetica, le domande.

Papa Francesco, prima di tutto mille grazie, anche se vivo da molti anni qui, è la prima volta che mi siedo davanti a un Papa per fare un’intervista formale.

Che paura!

Ho molta paura. La verità è che mi sento molto emozionata, ma soprattutto molto grata. La prima cosa che le chiedo è quello che tutti i messicani, o molti, o la maggior parte, si domandano: com’è possibile che non ci visiti quest’anno. Si sperava tanto che lei venisse a settembre...

Pensavo di farlo, perché volevo entrare negli Stati Uniti attraverso la frontiera messicana. Ma se fossi andato a Ciudad Juárez, per esempio, e fossi entrato da lì, o a Morelia, e fossi entrato da lì, si sarebbe creata un po’ di confusione: come mai va lì e non viene a vedere la Signora, la Madre? Inoltre, non si può visitare il Messico a pezzetti. Il Messico richiede una settimana. Prometto un viaggio in Messico come il Paese merita, ma non di fretta e di passaggio. Per questo ho deciso di non passare dal Messico.

Lei ha scelto questa sala dove so che si tengono riunioni molto importanti, qui si decide il futuro della Chiesa. C’è un grande quadro della Morenita. Che cosa rappresenta per lei la Vergine di Guadalupe?

Ha toccato un tema che sento molto. Come si definisce il momento storico del Messico, quando la Vergine visita il Messico, e come l’eredità che lascia? Due volte nel campo Mompúa si presenta a Juan Diego come Madre: sono la Madre di Dio, grazie al quale si vive. E poi, quando lui si mostra un po’ impaurito gli dice: di che cosa hai paura? Non ci sono io che sono tua Madre? È Madre. Poi noi la chiamiamo Regina, Reginetta — lo diceva lo stesso Juan Diego — Imperatrice d’America, ma Lei si definisce come Madre, in un momento in cui l’America rinasceva. Ed è la Madre che porta la buona novella in Messico. È una Madre che sta aspettando un bambino. E in quel momento tragico della conquista, perché all’epoca avvenne di tutto, Lei porta la salvezza. Mostra che porta un bambino. Ma come lo mostra? Come si mostra oltre che incinta? Si mostra meticcia.
È una vera e propria profezia, il nostro meticciato americano. Una profezia della nostra cultura, perciò lei supera i confini del Messico, va molto più in là: è l’unità del popolo americano. È la Madre. L’America non è orfana. Ha una Madre. Una Madre che ci porta Gesù. Ossia, la salvezza che è Cristo viene da una donna e lei volle dimostrarlo attraverso il suo meticciato, lo portava in Messico in modo particolare. E sceglie un figlio di quella cultura per manifestarsi. Non sceglie un bambino spagnolo o un colonizzatore, o una signora graziosa, no, no. Un uomo semplice, sposato, umile. Allora per me Lei è Madre. È Madre meticcia e, oso dirlo, anche altro.
È il principio di una cosa di cui non parliamo molto in America: è l’abbondanza della santità. Ossia nella colonizzazione americana, nella conquista americana, ci sono stati peccati a non finire. Si è peccato molto. Ma ci furono anche molti santi: santa Rosa da Lima, ilnegrito Martín de Porres, quando andrò negli Stati Uniti canonizzerò un uomo santo che evangelizzò la California, Junípero Serra, il quale, prima di recarsi nella missione in California, andò proprio da Lei a chiedere la benedizione. Cioè in qualche modo fu Lei ad aprire la porta a quella corrente di santità. I santi messicani, i santi americani sono molti. Ossia, per me Lei è tutto ciò che ho detto: è Madre, fonte di unità culturale, porta verso la santità, in mezzo a tanto peccato e a tanta ingiustizia, a tanto sfruttamento e a tanta morte. È Madre. È questo che sento quando la vedo.

Tornando dalle Filippine ha detto che le sarebbe piaciuto entrare negli Stati Uniti dalla frontiera con il Messico. Lei è figlio di immigrati, i suoi genitori erano italiani, andarono in Argentina. Lei ha nel sangue quello che significa. Quale sarebbe il significato della sua presenza lì, in quella frontiera?

Gente non solo del Messico, ma del Centroamerica, del Guatemala, che attraversa tutto il Messico per cercare un futuro migliore. Oggigiorno l’emigrazione è frutto del malessere nel senso etimologico del termine, frutto della fame, della ricerca di nuove frontiere. Lo stesso succede in Africa, con tutta quella gente che attraversa il Mediterraneo e che proviene da Paesi che stanno vivendo momenti difficili, sia per la fame sia per le guerre. Ma evidentemente la migrazione oggigiorno è molto legata alla fame, alla mancanza di lavoro, alla tirannia di un sistema economico che mette al centro il dio denaro e non la persona. E allora si scarta la gente. Allora un Paese crea — in America, in Africa, ovunque — una situazione economica imposta, naturalmente, che scarta la gente, che va altrove a cercare lavoro, cibo o benessere. In questo momento il problema migratorio nel mondo è molto doloroso. Ci sono infatti varie frontiere migratorie. Mi rallegro che l’Europa stia rivedendo la sua politica migratoria. L’Italia è stata molto generosa, e voglio dirlo. Il sindaco di Lampedusa si è messa totalmente in gioco, anche a costo di trasformare l’isola da terra di turismo a terra di ospitalità. Con quello che comporta il non guadagnare soldi. Ci sono cioè gesti eroici. Ma ora, grazie a Dio, vedo che l’Europa sta rivedendo la situazione. Tornando alla migrazione lì, in quella zona, si tratta anche di un’area di grandi scontri per il problema del narcotraffico. Gli Stati Uniti mi dicevano — non voglio fare statistiche, che poi mi creerebbero un problema diplomatico — e l’ho letto anche in una rivista, che sono tra i principali consumatori di droga nel mondo. E la frontiera da dove entra la droga, la principale, è la messicana. Allora anche lì si soffre. Morelia, tutta quell’area, è una zona di grande sofferenza dove anche le organizzazioni di narcotrafficanti non scherzano, ossia sanno fare il loro lavoro di morte, sono messaggeri di morte, sia per la droga sia per “pulire” quelli che si oppongono alla droga. E quarantatré studenti in qualche modo stanno chiedendo non dico vendetta, ma giustizia, di venir ricordati. Per questo rispondo forse a una curiosità: ho voluto fare cardinale l’arcivescovo di Morelia perché sta in un punto rovente. È un uomo che sta in una zona molto calda, è una testimonianza di uomo cristiano, di grande sacerdote. Ma sui cardinali possiamo tornare dopo. Qui l’ho solo accennato.

Come primo Papa latinoamericano sente di avere una ulteriore responsabilità, quella di essere la voce di tutti quei milioni di persone che si vedono nella situazione di dover uscire dal proprio Paese, di attraversare frontiere, muri, in America, in Asia, in Europa, ovunque?

Sì. Essere la voce, ma non in modo programmatico. Mi viene spontaneo. Mi viene per la nostra stessa esperienza latinoamericana e anche per il mio sangue di migrante. Mio padre e i miei nonni andarono in Argentina. Avevano buone ragioni per farlo, ma erano ragioni politiche: la nonna era molto impegnata nella nascente Azione cattolica sebbene non le fecero mai bere olio di ricino, perché è questo che si faceva... Decisero di andare a cercare nuove strade. Inoltre i fratelli di mio nonno avevano una buona attività a Entre Ríos, ma loro arrivarono nel 1929 e nel 1932 la crisi li lasciò per strada, senza nulla. Un prete gli prestò duemila pesos con cui comprarono un negozio di alimentari. Mio padre, che era ragioniere, faceva le consegne a domicilio. Quella gente si guadagnò da vivere, si rifece una vita. Riprese a lottare per portare avanti la famiglia. Questo per me vuol dire molto. Tutto questo l’ho respirato in casa.

Da qui le viene tutta la sua sensibilità...

Penso di sì. Sì. Inoltre in Argentina ho visto situazioni difficili. Di povertà e di emarginazione, persino di tossicodipendenza. E sono queste cose a muovermi. Mi viene naturale. Non ideologicamente. Per questo a volte sono un po’ spregiudicato e non mi trattengo nel parlare, ma non importa...

Lei ha fatto riferimento ai quarantatré studenti di Iguala. È stato un momento molto difficile per il Messico, è stato un lutto grave per il nostro Paese. Ricordo che Suárez Inda, il nuovo cardinale di Morelia, diceva che quando c’è una situazione difficile siamo tutti colpevoli e in qualche modo responsabili. La Chiesa non dà soluzioni politiche, tecniche, ma credo che sarebbe necessario un messaggio d’incoraggiamento al Messico.

Questo non è il primo momento difficile che il Messico attraversa. Mi riallaccio qui alla santità. Il Messico ha attraversato momenti di persecuzione religiosa, che hanno generato martiri. Penso che il diavolo castighi il Messico con molta collera. Proprio per questo. Credo che il diavolo non perdoni al Messico il fatto che la Vergine abbia mostrato lì suo Figlio. È una mia interpretazione. Il Messico è privilegiato nel martirio, per aver riconosciuto, difeso sua Madre. E questo lei lo sa molto bene. Ci sono messicani cattolici, non cattolici, atei, ma tutti guadalupani. Cioè tutti si sentono figli. Figli di colei che portò il Salvatore, che distrusse il demonio. Qui s’inserisce anche il tema della santità. Credo che il diavolo abbia presentato un conto storico al Messico. E perciò tutte queste cose: nella storia sono sempre apparsi focolai di grave conflitto. Di chi è la colpa? Del governo?
Questa è la soluzione, la risposta più superficiale. I governi hanno sempre la colpa. Sì, il governo. Tutti abbiamo in qualche modo la colpa, perlomeno quella di non farci carico della sofferenza. C’è gente che sta bene e forse la morte di quei ragazzi non l’ha toccata, l’ha lasciata indifferente: non è toccato a me, grazie a Dio non è toccato a me. Ma la maggior parte del popolo messicano è solidale. E questa è una delle virtù che voi avete. Credo che tutti debbano collaborare, per risolvere il problema in qualche modo. So che è molto difficile denunciare un narcotrafficante. Perché ne va della vita, è una specie di martirio, no? È duro, ma credo che tutti in situazioni simili, in Messico o altrove, dobbiamo collaborare. Dare la colpa a un solo settore, a una sola persona, a un solo gruppo è infantile.

Lei ha inviato un messaggio privato a un amico argentino esprimendogli la sua preoccupazione riguardo alla crescente diffusione del narcotraffico nel suo Paese. Ha utilizzato l’espressione: «Cerchiamo di evitare la messicanizzazione»... Questa espressione ha ferito suscettibilità, sensibilità. Che cosa ha voluto dire?

Sì. Quel ragazzo è un dirigente, un uomo che ha lavorato per la giustizia sociale e lavora molto, un mio amico. Viene dalla sinistra, dal trotzkismo, viene da lì. È un uomo che ha trovato Gesù e lavora per la giustizia sociale, me lo racconta. Mi raccontava come erano riusciti a scoprire alcune reti di narcotraffico, che stavano lottando e che avevano anche chiuso una catena di postriboli. Lui lavora molto nel campo della schiavizzazione delle persone — ossia delle “fabbriche schiave” con migranti a cui viene tolto il passaporto e che vengono tenuti schiavi lì — e in quello della prostituzione e della tossicodipendenza. Mi ha detto: vogliamo evitare di arrivare alla messicanizzazione dell’Argentina. Così mi ha detto. Evidentemente era un’espressione, mi si permetta la parola, “tecnica”. Non ha nulla a che vedere con la dignità del Messico. Come quando parliamo della “balcanizzazione” né i serbi, né i macedoni, né i croati si risentono con noi. Ormai si parla di balcanizzare qualcosa e si usa tecnicamente, i media lo hanno usato molte volte.

Si usava “colombizzazione”, per esempio.

Anche. Per cui io gli ho risposto che avrei pregato, li avrei accompagnati e magari non saremmo arrivati alla messicanizzazione, tecnicamente. Il fatto ha sollevato un polverone ma, secondo le statistiche che mi sono arrivate, fatte da alcuni giornalisti messicani, la maggior parte, il novanta per cento del popolo messicano, non si è sentita offesa da ciò. E questo mi rallegra. Per me sarebbe stato un gran dolore se fosse stato interpretato in quel modo. Lo stesso governo, dopo aver chiesto chiarimenti, ha accettato la spiegazione. Quella vera. Ed è finita lì. Ossia, questo non mi ha chiuso le porte del Messico. Andrò in Messico.

Sappiamo che lei telefona, scrive lettere personali. Ha mai pensato di raccomandare ai suoi interlocutori discrezione, perché si tratta di comunicazioni private?

Normalmente lo faccio. Ma a volte la gente non si trattiene. Questo mio amico mi ha risposto chiedendo perdono, mi ha giurato e rigiurato che non avrebbe mai più pubblicato...

Continua a essere suo amico?

Sì. Anche perché lo ha fatto come per dire «anche il Papa sta lottando contro la droga». È vero che il fatto di toccare un tema così delicato può avere conseguenze per me. Lo devo dire, a volte mi sono sentito usato dalla politica. Politici argentini che mi chiedevano udienza... Sì, capisco la sua domanda e voglio rispondere apertamente, anche se potrebbe procurarmi qualche problema personale nel mio Paese. Ma racconto semplicemente quello che è successo. Chiaro, gli argentini quando hanno visto un Papa argentino si sono dimenticati di quelli che erano favorevoli o contrari al Papa argentino. E noi argentini che non siamo umili, che siamo presuntuosi... Lei sa come si suicida un argentino?

No.

No? Sale sul suo ego e da lì si butta giù!

Avevo sentite molte battute, ma questa mai...

Siamo i campioni del mondo, dopo il campione San Lorenzo...

Beh, io credo che il San Lorenzo sia campione grazie a lei. Le è andata fin troppo bene.

In realtà noi ci facciamo grandi facilmente. Siamo molto poco umili, ossia ci facciamo grandi con facilità: la smisuratezza argentina, propria del nostro modo di essere, il fatto di sentirsi un po’ superiori, i migliori d’America, questo tipo di cose... So che molte persone, la maggior parte senza volerlo, alcuni di proposito, usano il loro venire qui o una mia lettera o una chiamata. Ci sono persone che chiamo e che non raccontano niente. Io ho chiamato e non l’hanno mai detto. Malati ai quali ho inviato una lettera e non l’hanno mai pubblicata. Altri sì. Ma se sento che devo fare una cosa, la faccio e corro il rischio. Che si può fare?

Per esempio le sette, che non sono un problema solo messicano. Come si recuperano queste persone? Perché hanno lasciato la Chiesa e si sono rivolte alle sette?

Una cosa sono i movimenti evangelici; dopo farò una distinzione tra sette e non sette. Ora parliamo di tutto il movimento evangelico, sette e non sette. Quello che offrono in generale è la “prossimità”, la vicinanza. Basta che un giorno partecipi al culto e la domenica dopo ti aspettano sulla porta e sanno il tuo nome e ti salutano. Sei una persona. Noi cattolici molto spesso, essendo “moltitudinari” e soprattutto per un difetto molto grande che abbiamo in America Latina che è il clericalismo, creiamo una distanza. Il clericalismo in America Latina è stato uno degli ostacoli più grandi alla crescita del laicato. Il laicato in America Latina è cresciuto solo nella pietà popolare. È così. Perché lì il laico è libero e creativo, ha le sue processioni, i suoi culti, ma dal punto di vista organizzativo il laico non è cresciuto abbastanza e non è cresciuto un po’ per questo clericalismo che crea distanze.
Allora, tornando alla domanda, una delle cose che nei movimenti evangelici si produce e si crea è la vicinanza. «Ciao, come va?». Poi esiste una distinzione tra movimenti evangelici onesti, buoni, e i movimenti settari. Per esempio ci sono proposte religiose che non sono cristiane e gli stessi evangelici non le vogliono sentire. E ci sono sette, alcune delle quali vengono dalla teologia della prosperità. «Se vieni, ti andrà bene», o cose così. Ricordo una setta a Buenos Aires. Io non ci sono andato ma ho chiesto ad alcuni amici di andare per vedere che cosa succedeva in una liturgia penitenziale. Ebbene, un libero e fervente discorso, una fervida omelia sul peccato e sul fatto che Dio perdona: tutto ben fatto. E hanno detto: «Bene, ora ognuno pensi ai suoi peccati, a cosa ha fatto, ognuno ripercorra i comandamenti e chieda perdono, e per questo deve fare una elemosina di un tanto». Sto semplificando. È ovvio che gli evangelici rifiutano tutto ciò. Gli evangelici seri, però.
Poi c’è il fenomeno di usare le cose religiose come commercio. Come nel caso in cui uno fa un piccolo corso e poi apre un culto. Ma io farei una distinzione. Non farei di tutta l’erba un fascio. Ossia ci sono gruppi che si dicono evangelici e non sono neppure cristiani, e sia gli evangelici sia noi cristiani li riconosciamo. Di ciò una volta ho parlato a lungo con un grande amico mio, con il quale ho condiviso una cattedra di teologia. Di ciò ho parlato anche molto con un mio grande amico luterano, docente della facoltà di teologia luterana, uno svedese, il pastore Anders Root. È morto tre anni fa, in Svezia, perché era tornato in Svezia. Con lui ho condiviso la cattedra di teologia spirituale. L’ho invitato quando insegnava in una facoltà cattolica teologia spirituale. Parlavamo molto. Eravamo grandi amici. Lui fece una tesi, una tesi di abilitazione, non di dottorato. La fece su un movimento sedicente evangelico, ma che in fondo non era cristiano, e dimostrò perché non era cristiano.
So che con gli evangelici e non solo con le Chiese storiche, ma con i movimenti evangelici, siamo d’accordo sul fatto che ci sono alcune sette che non sono nemmeno cristiane e altre sono cachivache(paccottiglia), per usare una parola nostra. Inoltre, vorrei anche fare una precisazione riguardo a una parola equivoca, il pentecostalismo.
Ci sono pentecostali che si avvicinano a questi gruppi che in fondo non sono cristiani, e ci sono pentecostali che lavorano con noi; teniamo riunioni insieme con il movimento di Rinnovamento nello Spirito, cattolico. Ossia, bisogna giudicare caso per caso e saper distinguere. Non possiamo mettere tutti sullo stesso piano. Ebbene, torno alla domanda, perché? Perché offrono questa vicinanza, poi l’annuncio della Parola. Le nostre omelie per esempio...
Mi raccontava un sacerdote romano, che era andato a trovare i suoi genitori che vivono in un paesino vicino a Roma, che il padre un giorno gli ha detto: “Non sai quanto sono contento perché con i miei amici ci ritroviamo in una chiesa dove dicono messa senza l’omelia”. Cioè ci sono omelie che sono un disastro. Sì. Non so se sono la maggioranza, ma non giungono al cuore. Sono lezioni di teologia, oppure astratte oppure lunghe. Perciò nella Evangelii gaudium ho dedicato tanto spazio all’omelia. Ebbene, in generale i pastori evangelici offrono vicinanza e giungono al cuore, e preparano bene l’omelia. Credo che in ciò siamo noi a doverci convertire. Ovviamente il concetto protestante di omelia è più forte di quello cattolico. All’inizio, per Lutero l’omelia era quasi un sacramento. Per noi era una dissertazione o una catechesi, o veniva ridotta a una catechesi.
Grazie a Dio noi cattolici abbiamo ormai scoperto la teologia della predicazione, dove l’omelia ha un ruolo, è come un sacramentale. C’è qualcosa che pone Dio, ed è qualcosa di molto serio. Da un lato, ci sono distanza, clericalismo, omelie noiose; dall’altro si offrono vicinanza, esortazioni a lavorare, a darsi da fare, integrazione nel lavoro, Parola di Dio ardente. E se ne vanno. È un fenomeno che non avviene nelle Chiese o nelle comunità ecclesiali più serie, evangeliche, bensì con quelli che sono un po’ deboli e che non sono cristiani. E alcuni rimangono a metà del cammino. Se ne vanno da casa e poi nemmeno tornano, questo è un problema molto latinoamericano. In Argentina lavoravamo molto insieme ai pastori. A Buenos Aires mi riunivo con un gruppo di pastori amici, pregavamo insieme e organizzavamo tre ritiri spirituali per pastori e sacerdoti insieme, di vari giorni. E veniva e predicava un sacerdote cattolico o un pastore. Una volta ha predicato il Vescovo australiano Gretsch, ora morto, e due volte padre Cantalamessa, da parte cattolica. E da parte loro, pastori altrettanto prestigiosi. Eravamo tutti lì, pastori uomini e donne, sacerdoti, a pregare insieme, a fare il nostro ritiro spirituale. Lo abbiamo fatto tre volte. Ha aiutato molto noi che, più o meno, seguivamo la linea più seria.
Abbiamo anche organizzato tre incontri tra cattolici ed evangelici nel luna park, che può accogliere un po’ più di settemila persone. Incontri di un’intera giornata, in tre anni diversi. Abbiamo anche invitato alcuni pastori di fuori, alcuni sacerdoti di fuori. Anche Cantalamessa una volta ha partecipato. E questo aiutava a lavorare insieme noi che seguivamo una linea seria. Allora, come può vedere, la parola “setta” è come se si diluisse. Mi sono soffermato molto su questo punto per giustizia, per non fare un’ingiustizia. Ci sono fratelli evangelici che lavorano bene.

Questa intervista coincide con il secondo anniversario della sua elezione. Che cosa è successo quel giorno?

La cosa è stata molto semplice. Io ero venuto con una piccola valigetta perché avevo calcolato che il Papa non avrebbe mai cominciato il pontificato nella Settimana Santa. Pertanto, potevo venire tranquillamente e tornare a Buenos Aires per la Domenica delle Palme. Avevo lasciato l’omelia pronta sulla mia scrivania ed ero venuto con lo stretto necessario per quei giorni pensando che potesse essere un conclave molto breve. In ogni modo, anche se fosse stato lungo, avevo preparato tutto. Avevo il biglietto di ritorno: lo potevo cambiare o anticipare. Perlomeno questo era sicuro. Inoltre non ero in nessuna lista di papabili, grazie a Dio, e non mi passava assolutamente per la testa. In questo voglio essere sincero per evitare storie o simili. Nelle scommesse di Londra penso che stavo o al quarantaduesimo o al quarantaseiesimo posto. Un mio conoscente per simpatia ha puntato su di me e gli è andata molto bene!

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  continua.....

[Modificato da Caterina63 15/03/2015 11:10]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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