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Interviste concesse dal Papa

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2017 18:49
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15/03/2015 11:12
 
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Ma le devo ricordare che è stata una monaca messicana ad avere una grande intuizione. Lei, il sabato prima dell’elezione, pranzò in casa del suo amico, il cardinale Lozano Barragán, e madre Estela le ha detto: «Eminenza, se la fanno Papa, ci invita a mangiare lassù, eh!».


Madre Estela mi ha detto così. E così è iniziato il conclave. I giornalisti dicevano che al massimo io ero un kingmaker, cioè un elettore, un grande elettore, che avrebbe indicato qualcuno. E sono rimasto tranquillo. È iniziata la prima votazione martedì sera, la seconda mercoledì mattina, la terza mercoledì prima di pranzo. Il fenomeno delle votazioni è sempre interessante, non solo nel conclave. Ci sono candidati forti. Ma anche molta gente che non sa a chi dare il voto. È allora sceglie sei, sette persone che sono i “voti deposito”: io deposito il voto, poi vedo come va e decido. È come una “provvisorietà”. Questo avviene nelle votazioni di gruppi grandi. Sì, io avevo alcuni voti, ma in deposito.


È vero che nel conclave precedente aveva ottenuto una quarantina di voti? Si può dire?


No.


È quello che hanno detto.


Sì, l’hanno detto.


Sì, l’ha detto qualche cardinale.


Bene, lasciamolo a quel cardinale. Anche se potrei dirlo perché ora ho l’autorità per dirlo, ma lasciamo che lo abbia detto il cardinale. Ma nulla, in realtà, nulla fino a quel mezzogiorno. E poi è successo qualcosa, non so. A pranzo ho visto alcuni segni strani. Mi facevano domande sulla mia salute, cose del genere... E quando siamo tornati nel pomeriggio tutto era fatto. Con due votazioni è finito tutto. Ossia, anche per me è stata una sorpresa. Che cosa mi è successo? Nella prima votazione del pomeriggio, quando ho visto che la situazione era ormai irreversibile, avevo accanto — e lo voglio raccontare per una questione d’amicizia — il cardinale Hummes, che per me è un grande. Alla sua età è il delegato della Conferenza episcopale per l’Amazzonia. Lì sale in barca e va a visitare le chiese. Lo avevo accanto, e a metà della prima votazione del pomeriggio — perché ce n’è stata una seconda — quando la cosa era evidente, mi si è avvicinato e mi ha detto: «Non ti preoccupare, così opera lo Spirito Santo». Mi ha fatto sorridere. Quindi, nella seconda votazione, quando si raggiungono i due terzi, si applaude sempre. In tutti i conclavi si applaude. E poi c’è lo scrutinio.
E lui lì mi ha baciato e mi ha detto: «Non ti dimenticare dei poveri». Ho cominciato a pensarci e ripensarci, ed è questo che mi ha portato poi alla scelta del nome. Mentre c’era la votazione, io recitavo il rosario; ero solito recitare i tre rosari giornalieri. Avevo molta pace, direi persino incoscienza. Lo stesso quando è successo. Per me è stato un segno che Dio lo voleva. La pace fino ad oggi non l’ho persa. È qualcosa di interiore, come un regalo. E poi quello che ho fatto non lo so. Mi hanno fermato. Mi hanno chiesto se accettavo. Ho detto di sì. Non so se mi hanno fatto giurare, non mi ricordo. Mi sentivo in pace. Mi sono cambiato l’abito. Sono uscito e ho voluto prima di tutto salutare il cardinale Dias, che era lì sulla sedia a rotelle, e poi ho salutato gli altri cardinali. Quindi ho chiesto al vicario di Roma e al cardinale Hummes, come amico, di accompagnarmi. Il che non era previsto dal protocollo!

Lì sono iniziati i suoi problemi con il protocollo, credo.

Che ne sapevo? Ho fatto così...

Questo è stato il primo di molti...

Siamo andati a pregare nella Cappella Paolina mentre il cardinale Tauran annunciava il nome. Dopo sono uscito e non sapevo che cosa avrei detto. Di tutto il resto voi siete testimoni. Ho sentito nel profondo che un ministro ha bisogno della benedizione di Dio, ma anche di quella del suo popolo. Non ho osato chiedere al popolo di benedirmi. Semplicemente ho detto: «Vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica». Mi è uscito tutto in modo spontaneo. Anche il fatto di pregare per Benedetto. Parlavo, non avevo preparato nulla, veniva da solo.

E le piace essere Papa?

Non mi dispiace!

Uno avrebbe immaginato che non le sarebbe piaciuto essere Papa.

No. Una volta accaduta la cosa, poi si fa.

Che cosa le piace e che cosa non le piace tanto di essere Papa? O le piace tutto?

Sì, l’unica cosa che mi piacerebbe è poter uscire un giorno, senza che nessuno mi riconosca, e andare in una pizzeria e mangiarmi una pizza.

Sarebbe bello.

Lo dico come esempio. A Buenos Aires giravo spesso per le strade. Andavo e venivo dalle parrocchie. È chiaro, cambiare abitudine e stare fermo... mi costa un po’, ma ci si abitua. Si trova un modo diverso di girare per le strade: il telefono...

E il fatto che non le piacesse tanto il Vaticano non è un segreto. Non le piaceva molto venire qui. E ora che sta da due anni qui dentro, le piace un po’ di più o un po’ di meno?

No. Non solo il Vaticano. Questo lo devo chiarire. Credo che la mia grande penitenza siano i viaggi. Non mi piace viaggiare. Sono molto attaccato all’habitat, è una nevrosi. Una volta ho letto un libro molto bello che si chiama Alégrese de ser neurótico (“Contenti di essere nevrotici”). Uno deve scoprire le proprie nevrosi, dar loro del mate tutti i giorni, trattarle bene, perché non gli rechino danno, no? Ebbene, una delle mie nevrosi, o del mio modo d’essere, è quella di essere attaccato all’habitat. Nessun viaggio mi piace. Venivo a Roma e l’ambiente non mi piaceva, l’ambiente dei pettegolezzi. Perciò venivo e me ne andavo subito. Benedetto XVI iniziò il Pontificato con una messa la mattina e nel pomeriggio io ero già sull’aereo di ritorno. Ora non mi dispiace. Qui c’è gente molto buona. Il fatto di vivere qui mi aiuta molto.

Le piace stare qui a Santa Marta?

Sì, semplicemente perché c’è gente. Lì, da solo, non l’avrei sopportato. Non perché fosse lussuoso, come alcuni hanno detto. L’appartamento non è lussuoso. È grande. Ma quella solitudine non l’avrei sopportata. Venire qui, mangiare nel refettorio, dove c’è tanta gente, celebrare una messa alla quale quattro giorni a settimana partecipa gente da fuori, dalle parrocchie, mi dà un po’ di benessere spirituale. Mi piace molto.

Non si sente solo?

No, no. Veramente no.

Abbiamo la sensazione che lei da un lato è come se avesse fretta nel suo modo di agire e dall’altro come se vedesse il suo pontificato a breve termine.

Ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve. Quattro o cinque anni. Non so, o due o tre. Beh, due sono già passati. È come una sensazione un po’ vaga. Le dico, forse no. È come la psicologia di chi gioca e allora crede che perderà per non restare poi deluso. E se vince è contento. Non so che cos’è. Ma ho la sensazione che Dio mi ha messo qui per una cosa breve, niente di più... Ma è una sensazione. Per questo lascio sempre aperta la possibilità.

Lei ci ha anche detto che avrebbe seguito l’esempio di Papa Benedetto...

Beh, ci sono stati alcuni cardinali prima del conclave, durante le congregazioni generali, che si sono posti il problema teologico, molto interessante, molto ricco. Io credo che Papa Benedetto abbia aperto una porta. Settant’anni fa non esistevano i vescovi emeriti. Oggi ne abbiamo 1400. Si è arrivati cioè all’idea che un uomo, dopo i 75 anni, più o meno a quell’età, non può portare il peso di una Chiesa particolare. Credo che Benedetto con grande coraggio abbia aperto la porta ai Papi emeriti. Non bisogna considerare Benedetto come una eccezione. Ma come una istituzione. Forse sarà l’unico per molto tempo, forse non sarà l’unico. Ma è una porta aperta dal punto di vista istituzionale. Oggi il Papa emerito non è una realtà strana, ma si è aperta la possibilità che possa esistere.

Si potrebbe pensare, come per i vescovi, un Papa che rinunci a ottant’anni.

Anche. Si può, ma a me non piace fissare un’età. Credo che il papato ha qualcosa di ultima istanza. È una grazia speciale. Per alcuni teologi il papato è un sacramento, i tedeschi sono molto creativi in tutte queste cose. Io non sono di questo parere, ma questo vuol dire che c’è qualcosa di speciale. Allora parlare di ottant’anni crea una sensazione di fine di pontificato che non farebbe bene, qualcosa di prevedibile. Non sono dell’idea di fissare un’età ma sono dell’idea di Benedetto. L’ho visto l’altro giorno al concistoro. Era felice, contento. Rispettato da tutti. Vado a trovarlo, a volte gli parlo al telefono. Come ho detto è come avere il nonno saggio a casa. Uno può chiedere consiglio. Leale fino alla morte. Non so se ricordate, quando salutammo Benedetto il 28 febbraio nella sala Clementina, ha detto: «Tra voi c’è il mio successore, gli prometto lealtà, fedeltà e obbedienza». E lo sta facendo. È un uomo di Dio.

Una domanda molto personale: incontrare un altro Papa vestito di bianco è stato per lei così normale?

No, no. È stato il 23 marzo a Castel Gandolfo e lì ho sentito come se il mio papà mi portasse e mi insegnasse e mi facesse sedere. È stato l’ospite nel senso più umano della parola.

Per quanto riguarda la Curia abbiamo la sensazione che a lei piacerebbe cambiare molto più delle strutture: la mentalità, il cuore.

È proprio questa la parola.

E come si può ottenere?

Ogni cambiamento inizia dal cuore. Cioè dalla conversione del cuore. Ecco per esempio gli esercizi spirituali chiusi che facciamo già da due anni: andiamo lì, quelli della Curia, i prefetti e i segretari dei dicasteri, circa ottanta persone, e rimaniamo lì chiusi a pregare e ad ascoltare il predicatore. Non è una conversione del cuore? Qualcuno mi sfida per questo ma è anche una conversione del modo di vivere. Credo che questa sia l’ultima corte che rimane in Europa. Le altre corti si sono democratizzate, anche le più classiche. C’è qualcosa nella corte pontificia che mantiene molto una tradizione un po’ atavica. E non lo dico in senso peggiorativo, come una cultura. Questo bisogna cambiare: abbandonare quello che ancora ha della corte ed essere un gruppo di lavoro, al servizio della Chiesa, al servizio dei vescovi. Questo evidentemente implica una conversione personale. Qui ci sono stati problemi. Lei lo sa meglio di me. La pubblicazione dei documenti trafugati e un processo all’aiutante di camera non sono piccolezze. Si parla di problemi morali gravi, c’è una persona in carcere per ragioni economiche e d’altro lato qualche “scandaluccio” morale. Lo sappiamo, è pubblico. Bisogna risanare un po’ questa situazione. C’è bisogno di conversione, cominciando dal Papa ovviamente, che è il primo a doversi convertire. Cambiare di continuo come Dio gli va chiedendo. Io cerco di farlo ma non sempre mi riesce.

L’accentuazione dei simboli che lei ha voluto: l’abitazione, il vestire, la macchina. Questa accentuazione è come ricordare ogni giorno a tutti che qui si può vivere in modo diverso.

Sì, per esempio quando dopo l’elezione sono sceso c’era un ascensore con vari cardinali: «Lei deve andare da solo in quell’ascensore». «No io vado con loro». E quando sono sceso c’era una macchina che mi aspettava, e io ho detto: «No, vado nel pulmino con loro». Mi viene così, non è che io pretenda. Cerco di essere come piace a me, e a volte esagero con qualcosa che può offendere qualcuno. Devo stare attento, ma ci sono i simboli, il modo di essere. C’è la Mercedes, io non posso andare in Mercedes o in Bmw. C’è questa Focus, o non so come si chiama, è quella che uso, è più o meno un’utilitaria alla portata di un impiegato di banca, no? La semplicità: in questo credo che vi sia verità.

Il discorso alla Curia prima di Natale: è così malata la Curia?

Questo va spiegato. Ho parlato di quindici malattie, poi nell’ultimo concistoro un cardinale ha aggiunto una sedicesima che ho trovato molto simpatica. Mi è piaciuta.

Quale?

Quella di chi non ha il coraggio di criticare apertamente. Se uno non è d’accordo con il Papa deve andare a dirglielo. È bello, no? Non c’è questo coraggio. Il quadro del mio discorso — eravamo alla fine dell’anno — era di fare un esame di coscienza. E secondo me le tentazioni o le malattie — le ho usate come sinonimi — più tipiche della Curia sono queste due. Ho pensato per esempio a una a cui nessuno ha fatto caso e per me è la principale: dimenticare il primo amore. Quando cioè uno si trasforma in un buon impiegato e dimentica di avere una missione di identità con Gesù Cristo, che è il primo amore. Ho ripassato le tentazioni che io ho avuto, da arcivescovo perché si verificano in ambienti ecclesiastici, o che ho visto in altri. E le ho chiamate tentazioni o malattie.
Alla fine si è avvicinato un cardinale scherzoso, un po’ più giovane di me, non molto, e mi ha detto: «Mi dica Santità cosa devo fare? Andare a confessarmi o in farmacia?». È un esame di coscienza e ho voluto comunicarlo in questo modo. Forse non è piaciuto. Lo stile non era molto adatto a un messaggio di fine d’anno ma, al contrario, alla fine dell’anno bisogna fare un esame di coscienza. E l’ho detto chiaramente due volte perché ci si confessi. Perché io voglio che qui tutti si confessino. E lo facciamo, no? Credo che in questo siano fedeli. Ma confessioni reali, concrete, no? Chiediamo perdono a Gesù per quelle cose che facciamo male o perché offendiamo qualcuno o siamo ingiusti. È stato un esame di coscienza e ho usato come sinonimi: tentazione e malattia. Ma non è che la Curia stia cadendo a pezzi per tutte queste complicazioni o malattie.

C’è resistenza in Curia?

Le cose devono uscire, no? Ci sono sempre punti di vista diversi, sono legittimi. Voglio che vengano fuori e si dicano: la sedicesima malattia, cioè che si dicano in faccia, che ci sia il coraggio di non tacere. E mai, mai, mai, lo dico davanti a Dio, da quando sono vescovo ho castigato qualcuno per avermi detto le cose in faccia. Questi sono i collaboratori che voglio.

E li ha?

Ci sono qui li ho già incontrati.

Pochi, molti?

Abbastanza. Abbastanza direi. Ce ne sono. E ce ne sono altri che non hanno il coraggio, che hanno paura. Ma bisogna dar tempo al tempo. Io scommetto sulla parte buona della gente. Tutti hanno molto più di buono che di cattivo.

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  continua...........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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