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Interviste concesse dal Papa

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2017 18:49
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17/05/2016 16:43
 
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  Immigrazione, guerre, obiezione: Papa a 360°
di Lorenzo Bertocchi
17-05-2016


Il Papa e La Croix

Mentre in Italia il Papa interveniva all’assemblea generale della CEI, al di là delle Alpi il quotidiano cattolico francese La Croix ha pubblicato ieri pomeriggio una lunga intervista esclusiva che lo stesso Francesco ha concesso al direttore Guillaume Goubert e al vaticanista Sébastien Maillard. Di seguito i passaggi più rilevanti.



LE RADICI DELL’EUROPA

«Dobbiamo parlare di radici al plurale perché ve ne sono tante. In questo senso quando sento parlare di radici cristiane dell’Europa, a volte temo il tono, che può essere trionfalista o vendicativo. Questo allora diventa colonialismo. Giovanni Paolo II ne parlava con tono tranquillo. L’Europa sì, ha delle radici cristiane. (…) Il dovere del cristianesimo per l’Europa è il servizio».

ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI

Alla domanda se l’Europa può accogliere così tanti migranti, il Papa ha risposto che questa «è una domanda giusta e responsabile, perché non si possono aprire le porte in modo irrazionale. Ma la questione di fondo da porsi è perché ci sono tanti migranti oggi. Il problema iniziale sono le guerre in Medio Oriente e in Africa e il sottosviluppo del continente africano che provoca la fame. Se ci sono delle guerre è perché ci sono dei fabbricanti di armi - che possono essere giustificati per propositi difensivi - e soprattutto trafficanti di armi. Se c’è così tanta disoccupazione, è per mancanza di investimenti capaci di portare il lavoro di cui l’Africa ha così tanto bisogno».

INTEGRARE E NON GHETTIZZARE

«L’accoglienza peggiore [per i migranti] è ghettizzarli, invece, di integrarli. A Bruxelles i terroristi erano belgi, figli di migranti, ma venivano da un ghetto. A Londra il nuovo sindaco (Sadiq Khan, musulmano, figlio di pachistani NdA) ha prestato giuramento in una cattedrale e sarà senza dubbio ricevuto dalla regina. Questo dimostra per l’Europa l’importanza di ritrovare la sua capacità di integrare. Penso a Gregorio Magno che ha negoziato con quelli che venivano chiamati barbari, che si sono di seguito integrati».

INTEGRAZIONE E DENATALITA’

«Questa integrazione è ancora più necessaria oggi che l’Europa sta vivendo un grave problema di denatalità, a causa di una ricerca egoistica del benessere. Un vuoto demografico si sviluppa. In Francia, invece, grazie a politiche per la famiglia, questa tendenza è mitigata».

L’ISLAM

«Non credo che vi sia oggi una paura dell’islam in quanto tale, ma dell’Isis e della sua guerra di conquista che è in parte tratta dall’islam. È vero che l’idea della conquista appartiene allo spirito dell’islam. Ma si potrebbe interpretare secondo la stessa idea di conquista la fine del Vangelo di Matteo, quando Gesù invia i suoi discepoli a tutte le nazioni. Di fronte al terrorismo islamico, sarebbe meglio interrogarci sul modo in cui un modello troppo occidentale di democrazia è stato esportato in paesi come l’Iraq, dove un governo forte esisteva in precedenza. Oppure, in Libia, dove esiste una struttura tribale. Non possiamo andare avanti senza prendere in considerazione queste culture. (…)
Nel merito, la convivenza tra cristiani e musulmani è possibile. Io vengo da un paese in cui vivono insieme in buona familiarità. I musulmani venerano la Vergine Maria e San Giorgio. In un paese africano, mi è stato segnalato che per il Giubileo della misericordia, i musulmani fanno una lunga coda nella Cattedrale per passare la porta santa e pregare la Vergine Maria. Nella Repubblica Centrafricana, prima della guerra, cristiani e musulmani vivevano insieme e devono impararlo di nuovo oggi. Anche il Libano mostra che è possibile».

IL MERCATO COMPLETAMENTE LIBERO NON FUNZIONA

Secondo il Papa occorre porsi il problema di «un sistema economico mondiale caduto nell’idolatria del denaro. Più dell’80% della ricchezza dell’umanità è nelle mani del 16% della popolazione. Un mercato completamente libero non funziona. I mercati in sé sono un bene ma richiedono una parte terza o uno stato che li monitori e li bilanci. In altre parole ciò che serve è un’economia sociale di mercato».

LO STATO LAICO E LA LIBERTA’ RELIGIOSA.

«Uno Stato deve essere laico. Gli stati confessionali finiscono male. Sono contro la storia. Io credo che una versione della laicità, accompagnata da una solida legge che garantisca la libertà di religione, offra un quadro di riferimento per andare avanti. Siamo tutti figli e figlie di Dio, con la nostra personale dignità. Ognuno deve avere la libertà di esprimere la propria fede. Se una donna musulmana vuole indossare il velo, deve poterlo fare. Allo stesso modo, se un cattolico vuole indossare una croce. Le persone devono essere libere di professare la loro fede nel cuore delle loro proprie culture e non ai loro margini. La modesta critica che io vorrei rivolgere alla Francia riguarda il fatto che esagera con la laicità. Questo porta a considerare le religioni come sotto-culture, piuttosto che culture a pieno titolo con i loro diritti. Temo che questo approccio, un comprensibile patrimonio dei Lumi, continui ad esistere. La Francia ha bisogno di fare un passo avanti su questo tema al fine di accettare il fatto che l’apertura alla trascendenza è un diritto per tutti». 

I CATTOLICI, LE LEGGI E L’OBIEZIONE DI COSCIENZA

«Spetta la parlamento discutere, argomentare, spiegare, dare le ragioni. È così che una società cresce. Tuttavia, una volta che una legge è stata approvata, lo Stato deve anche rispettare le coscienze. Il diritto all’obiezione di coscienza deve essere riconosciuto all’interno di ogni struttura giuridica, perché è un diritto umano. Anche per un funzionario pubblico, che è una persona umana. Lo Stato deve anche prendere in considerazione le critiche. Questa sarebbe una vera e propria forma di laicità. Non si possono accantonare gli argomenti proposti dai cattolici dicendo semplicemente che “parlano come un prete”. No, essi si fondano su quel tipo di pensiero cristiano che la Francia ha così notevolmente sviluppato». 

IL CLERICALISMO

 «E’ lo Spirito Santo il protagonista di ciò che fa la Chiesa, il suo motore. Troppi cristiani lo ignorano. Un pericolo per la Chiesa è il clericalismo. È un peccato che si commette in due, come il tango! I preti vogliono clericalizzare i laici, e i laici domandano di essere clericalizzati con facilità. A Buoenos Aires ho conosciuto numerosi buoni preti che, visto un laico capace, hanno subito esclamato: “Facciamone un diacono!”  e "No, bisogna lasciarlo laico"».

LA FRATERNITA’ S.PIO X

«A Buenos Aires ho sempre parlato con loro. Mi hanno salutato, mi hanno chiesto una benedizione in ginocchio. Si fanno chiamare cattolici. Amano la Chiesa. Fellay è un uomo con cui si può parlare. Questo non è il caso di alcuni altri un po’ strani, come il vescovo Williamson, e altri che si sono radicalizzati. Penso che, come avevo detto in Argentina, questi sono cattolici in cammino verso la piena comunione. Nel corso di questo anno di misericordia, ho sentito che dovevo permettere ai loro confessori di perdonare il peccato di aborto. Mi hanno ringraziato per questo gesto. (…)». A proposito di una riconciliazione e della concessione di una prelatura personale alla Fraternità il Papa ha detto che «sarebbe una soluzione possibile, ma prima ci deve essere un accordo fondamentale con loro. Il Concilio Vaticano II ha il suo valore. Avanziamo lentamente, pazientemente».

IL SINODO SULLA FAMIGLIA E LA SINODALITA’ 

«Nell'esortazione post-sinodale (Amoris laetitia, ndr), ho cercato di rispettare al massimo il Sinodo. Non troverete i dettagli canonici su ciò che si può o non si deve fare. Si tratta di una riflessione serena, tranquilla, sulla bellezza dell'amore, come educare i bambini, come prepararsi per il matrimonio ... 
Al di là di questo processo, noi dobbiamo pensare alla vera sinodalità, almeno a quello che significa la vera sinodalità cattolica. I Vescovi sono cum Pietro, sub Pietro. Questo è diverso dalla sinodalità ortodossa e da quella delle Chiese greco-cattoliche, in cui il patriarca conta solo per un voto. Il Concilio Vaticano II dà un ideale di sinodalità e di comunione episcopale. Eppure dobbiamo farlo crescere, compreso il livello parrocchiale. Ci sono parrocchie che non sono dotate né di un consiglio pastorale o di un Consiglio degli affari economici, mentre il Codice di Diritto Canonico li obbliga. La sinodalità è giocata anche lì».

 



Quaderno N°3989 del 10/09/2016 - (Civ. Catt. III 345-448 )
Articolo

OGGI LA CHIESA HA BISOGNO DI CRESCERE NEL DISCERNIMENTO. UN INCONTRO PRIVATO CON ALCUNI GESUITI POLACCHI 

Papa Francesco 

Durante il suo viaggio apostolico in Polonia in occasione della XXXI Giornata Mondiale della Gioventù (GMG), il 30 luglio 2016 — primi vespri di sant’Ignazio di Loyola — alle ore 17,00 Papa Francesco ha incontrato un gruppo di 28 gesuiti polacchi appartenenti alle due Province della Compagnia di Gesù del Paese e due collaboratori laici, accompagnati dai due padri provinciali, p. Tomasz Ortmann e p. Jakub Kolacz. Erano presenti anche altri tre gesuiti: p. Andrzej Majewski, direttore dei programmi della Radio Vaticana; p. Federico Lombardi, al tempo direttore della Sala Stampa della Santa Sede; e p. Antonio Spadaro, direttore della «Civiltà Cattolica».
L’incontro è avvenuto presso l’Arcivescovado di Cracovia in un clima di grande semplicità, spontaneità, cordialità, e tuttavia non è stato privo di contenuti significativi per la vita dell’Ordine, ma anche per la vita della Chiesa più in generale. Francesco ha salutato tutti i presenti, uno per uno, e si è soffermato in particolare con chi aveva conosciuto in passato. Quindi si è seduto e ha cominciato il dialogo, ascoltando le domande poste e rispondendo in italiano. P. Kolacz ha tradotto le sue parole in polacco, anche se la maggioranza dei presenti comprendeva bene l’italiano. Quindi il Pontefice ha ricevuto alcuni regali. Prima di concludere l’incontro, durato complessivamente circa 40 minuti, il Papa ha voluto aggiungere una raccomandazione facilmente comprensibile in collegamento con il suo Magistero recente. Con l’approvazione del Santo Padre, riportiamo qui il dialogo, nella sua immediatezza, così come è avvenuto, mantenendo anche i ricordi personali.
Esso è da intendersi come testimonianza che — come si leggerà — raccoglie anche alcune impressioni dell’esperienza del Pontefice con i giovani della GMG e fornisce alcune linee pastorali significative.

 

Antonio Spadaro S.I.

Il suo messaggio arriva al cuore dei giovani. Come fa a parlare loro così efficacemente? Potrebbe darci qualche consiglio per lavorare con i giovani?

Quando parlo, devo guardare la gente negli occhi. Non è possibile guardare gli occhi di tutti, ma io guardo gli occhi di questo, di questo, di questo… e tutti si sentono guardati. È qualcosa che mi viene spontaneo. Così faccio con i giovani. Ma poi i giovani, quando parli con loro, fanno domande… Oggi a pranzo, mi hanno fatto alcune domande… Mi hanno persino chiesto come mi confesso! Loro non hanno pudore. Fanno domande dirette. E a un giovane bisogna sempre rispondere con la verità. Oggi a pranzo a un certo punto siamo arrivati a parlare della confessione. Una giovane mi ha chiesto: «Lei come si confessa?». E ha cominciato a parlarmi di sé. Mi ha detto: «Nel mio Paese ci sono stati scandali legati ai preti, e noi non abbiamo il coraggio di confessarci con il tal prete che ha vissuto questi scandali. Non ce la faccio». Vedete: ti dicono la verità, a volte ti rimproverano… I giovani parlano direttamente. Vogliono la verità, o almeno un chiaro «non so come risponderti». Non bisogna mai trovare sotterfugi con i giovani. Così con la preghiera. Mi hanno chiesto: «Come prega lei?». Se tu rispondi una teoria, rimangono delusi. I giovani sono generosi. Ma il lavoro con loro ha bisogno anche di pazienza, tanta pazienza. Uno mi ha domandato oggi: «Che cosa devo dire a un amico o una amica che non crede in Dio perché possa diventare credente?». Ecco: si vede che a volte i giovani hanno bisogno di «ricette». Allora si deve essere pronti a correggere questo atteggiamento di richiesta di ricette e di risposte pronte. Io ho risposto: «Guarda che l’ultima cosa che devi fare è dire qualcosa. Comincia a fare qualcosa. Poi sarà lui o lei che ti chiederà spiegazioni su come vivi e perché». Ecco: bisogna essere diretti, diretti con la verità.

 

Qual è il ruolo dell’Università dei gesuiti?

Una Università retta dai gesuiti deve puntare a una formazione globale e non solamente intellettuale, una formazione di tutto l’uomo. Infatti se l’Università diviene semplicemente una accademia di nozioni o una «fabbrica» di professionisti, o nella sua struttura prevale una mentalità centrata sugli affari, allora è davvero fuori strada. Noi abbiamo in mano gli Esercizi. Ecco la sfida: portare l’Università sulla strada degli Esercizi. Questo significa rischiare sulla verità e non sulle «verità chiuse» che nessuno discute. La verità dell’incontro con le persone è aperta e richiede di lasciarsi interpellare davvero dalla realtà. E l’Università dei gesuiti deve essere coinvolta anche nella vita reale della Chiesa e della Nazione: anche questa è realtà, infatti. Una particolare attenzione deve essere sempre data agli emarginati, alla difesa di coloro che hanno più bisogno di essere protetti. E questo — sia chiaro — non è essere comunisti: è semplicemente essere davvero coinvolti con la realtà. In questo caso, in particolare una Università dei gesuiti deve essere pienamente coinvolta con la realtà esprimendo il pensiero sociale della Chiesa. Il pensiero liberista, che sposta l’uomo dal centro e ha messo al centro il denaro, non è il nostro. La dottrina della Chiesa è chiara e bisogna andare avanti in questo senso.

 

Come mai si è fatto gesuita?

Quando sono entrato in seminario, avevo già una vocazione religiosa. Ma a quel tempo il mio confessore era anti-gesuita. Mi piacevano pure i domenicani e la loro vita intellettuale. Poi mi sono ammalato, ho dovuto subire un intervento chirurgico al polmone. In seguito mi ha aiutato spiritualmente un altro sacerdote. Ricordo che quando poi ho detto al primo sacerdote che entravo dai gesuiti, lui davvero non l’ha presa bene. Ma qui si è mossa l’ironia del Signore. Infatti a quel tempo si ricevevano gli Ordini minori. La tonsura si faceva al primo anno di teologia. Il rettore mi disse di andare a Buenos Aires dal vescovo ausiliare, mons. Oscar Villena, per cercarlo perché venisse a fare la cerimonia della tonsura. Io andai lì alla Casa del clero, ma mi dissero che mons. Villena si era ammalato. C’era al posto suo un altro monsignore, che era proprio quel primo sacerdote che poi era diventato vescovo! E proprio da lui ricevetti la tonsura! E abbiamo fatto la pace dopo tanti anni… Comunque sì, la mia scelta per la Compagnia, posso dire, è maturata da sola…

In questo gruppo ci sono alcuni preti appena ordinati. Ha consigli per il loro futuro?

Tu sai: il futuro è di Dio. Il massimo che noi possiamo fare sono i futuribili. E i futuribili sono tutti del cattivo spirito! Un consiglio: il sacerdozio è una grazia davvero grande; il tuo sacerdozio come gesuita sia bagnato della spiritualità che tu hai vissuto fino ad ora: la spiritualità del Suscipe di sant’Ignazio (1).

 

[In questo momento l’incontro sembra terminare con la consegna al Pontefice di doni da parte di alcuni gesuiti che hanno seguito i giovani legati alla spiritualità ignaziana, che sono venuti da tutto il mondo alla GMG. Francesco però desidera aggiungere una raccomandazione, e tutti si siedono nuovamente]

 

Voglio aggiungere adesso una cosa. Vi chiedo di lavorare con i seminaristi. Soprattutto date loro quello che noi abbiamo ricevuto dagli Esercizi: la saggezza del discernimento. La Chiesa oggi ha bisogno di crescere nella capacità di discernimento spirituale. Alcuni piani di formazione sacerdotale corrono il pericolo di educare alla luce di idee troppo chiare e distinte, e quindi di agire con limiti e criteri definiti rigidamente a priori, e che prescindono dalle situazioni concrete: «Si deve fare questo, non si deve fare questo…». E quindi i seminaristi, diventati sacerdoti, si trovano in difficoltà nell’accompagnare la vita di tanti giovani e adulti. Perché molti chiedono: «Questo si può o non si può?». Tutto qui. E molta gente esce dal confessionale delusa. Non perché il sacerdote sia cattivo, ma perché il sacerdote non ha la capacità di discernere le situazioni, di accompagnare nel discernimento autentico. Non ha avuto la formazione necessaria. Oggi la Chiesa ha bisogno di crescere nel discernimento, nella capacità di discernere. E soprattutto i sacerdoti ne hanno davvero bisogno per il loro ministero. Per questo occorre insegnare ai seminaristi e ai sacerdoti in formazione: loro abitualmente riceveranno le confidenze della coscienza dei fedeli. La direzione spirituale non è un carisma solamente sacerdotale, ma anche laicale, è vero. Ma, ripeto, bisogna insegnare questo soprattutto ai sacerdoti, aiutarli alla luce degli Esercizi nella dinamica del discernimento pastorale, che rispetta il diritto, ma sa andare oltre. Questo è un compito importante per la Compagnia. Mi ha colpito tanto un pensiero del padre Hugo Rahner (2).
Lui pensava chiaro e scriveva chiaro! Hugo diceva che il gesuita dovrebbe essere un uomo dal fiuto del soprannaturale, cioè dovrebbe essere dotato di un senso del divino e del diabolico relativo agli avvenimenti della vita umana e della storia. Il gesuita deve essere dunque capace di discernere sia nel campo di Dio sia nel campo del diavolo. Per questo negli Esercizi sant’Ignazio chiede di essere introdotto sia alle intenzioni del Signore della vita sia a quelle del nemico della natura umana e ai suoi inganni. È audace, è audace veramente quello che ha scritto, ma è proprio questo il discernimento! Bisogna formare i futuri sacerdoti non a idee generali e astratte, che sono chiare e distinte, ma a questo fine discernimento degli spiriti, perché possano davvero aiutare le persone nella loro vita concreta. Bisogna davvero capire questo: nella vita non è tutto nero su bianco o bianco su nero. No! Nella vita prevalgono le sfumature di grigio. Occorre allora insegnare a discernere in questo grigio.

 

[L’incontro termina qui, soprattutto per la necessità di proseguire nel programma della giornata fatta presente al Santo Padre dai suoi collaboratori. Prima di andar via, però, Francesco ha voluto nuovamente salutare uno per uno i gesuiti presenti, concludendo con una benedizione finale]

 

1. Il Suscipe è una preghiera che sant’Ignazio inserisce nei suoi Esercizi Spirituali all’interno della cosiddettaContemplatio ad amorem (n. 234): «Prendi, o Signore, e accetta tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto, la mia volontà, tutto quello che ho e possiedo. Tu me lo hai dato; a te, Signore, lo ridono. Tutto è tuo: tutto disponi secondo la tua piena volontà. Dammi il tuo amore e la tua grazia, e questo solo mi basta». Ricordiamo che anche Benedetto XVI aveva raccomandato il Suscipe ignaziano, rispondendo ai seminaristi durante una visita al Seminario Romano Maggiore, il 17 febbraio 2007.

2. Qui il Pontefice si riferisce a un testo di Hugo Rahner nato in seguito a una sessione di studi sulla spiritualità ignaziana. L’edizione italiana più recente è la seguente:Come sono nati gli Esercizi. Il cammino spirituale di sant’Ignazio di Loyola, Roma, AdP, 2004. Francesco qui si sta riferendo alle riflessioni che Hugo Rahner scrive nel capitolo ottavo del volume. Notiamo che il capitolo terzo dello stesso studio fu citato dal beato Paolo VI il 3 dicembre 1974, parlando alla XXXII Congregazione generale della Compagnia di Gesù.

 

© Civiltà Cattolica pag.345-349



[Modificato da Caterina63 26/08/2016 11:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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