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L' ESAME DI COSCIENZA.......e la preparazione per una buona Confessione dei peccati! 2

Ultimo Aggiornamento: 23/10/2016 09:19
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21/01/2016 19:01
 
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  Cosa dire quando mi confesso?
dal Numero 25 del 23 giugno 2013
di Don Leonardo M. Pompei

I peccati mortali devono essere sempre tutti confessati, avendo cura di specificare, nella Confessione, alcuni elementi, come di seguito si potrà leggere. È buona abitudine confessare anche i peccati veniali, sebbene non sia obbligatorio.

Il quarto requisito per una buona Confessione è l’accusa sincera dei peccati commessi di cui si ha memoria. Come la Santa Madre Chiesa ha autorevolmente (e dogmaticamente) insegnato, sono oggetto obbligatorio e necessario tutti e ciascuno i singoli peccati commessi da quando si ha l’uso della ragione in poi, i quali vanno confessati bene, ovvero non genericamente, ma per specie, numero e circostanze. L’inosservanza volontaria di tale indicazione, come già visto per ciò che concerne il sincero pentimento, non solo rende la Confessione invalida, ma la trasforma in sacrilega. Cerchiamo di focalizzare bene i dettagli di questo importantissimo ulteriore elemento costitutivo della “quasi materia del Sacramento”.

Bisogna quindi anzitutto distinguere tra oggetto obbligatorio e necessario della Confessione e oggetto consigliato e raccomandato di essa. È strettamente obbligatorio confessare i peccati mortali, ovvero quelli aventi una materia grave (in sé o per le “proporzioni” della trasgressione) e che siano stati commessi con piena avvertenza (rendendosi conto della gravità di ciò che si stava facendo) e deliberato consenso (non sotto la spinta di violenza o altra gravissima causa). 

Tanto per fare qualche esempio di comuni peccati che sono sempre mortali per la gravità della materia in se stessa, possiamo citare i sacrilegi, le irriverenze, le bestemmie, il falso giuramento, l’omessa santificazione del giorno festivo, l’uso di droga, le percosse, l’impurità in tutti i suoi generi e specie, l’inverecondia e l’immodestia. Ci sono invece alcuni peccati che diventano mortali quando la materia da “lieve” diventa “grave”.
Per esempio il furto, che è peccato veniale quando cade su oggetti di scarso valore, mentre è peccato mortale quando l’entità della cosa rubata o ingiustamente trattenuta è considerevole; le mancanze nei confronti dei genitori, che diventano gravi quando sono ingiurie o quando sono disubbidienze in cose di grande entità; le volgarità e le parolacce, che diventano gravi quando sono a sfondo sessuale o quando sono dette con odio per ferire e colpire il prossimo.

Questi peccati vanno confessati non in maniera generica, ma per specie: non basta dire “ho peccato contro il Secondo Comandamento”, perché un conto è la bestemmia, un conto il falso giuramento, un conto la nomina inutile del nome di Dio, della Madonna o dei santi; non basta dire “ho commesso atti impuri”, perché altra cosa è l’adulterio rispetto ai rapporti prematrimoniali, o al peccato impuro solitario, ecc. Va inoltre specificato il numero, perché tanti sono i peccati mortali quante sono le volte che si sono commessi e ciò determina un profondo aggravamento sia della situazione della coscienza sia delle pene dovute per il peccato (che faranno fare il Purgatorio nonostante l’assoluzione). 

Quando non si ricorda il numero preciso, bisogna dare al confessore “l’ordine di grandezza”, avvicinandosi il più possibile alla verità. Se un penitente sa di aver colpevolmente “mandato in vacanza il Padre eterno” durante il periodo estivo, non sarà per lui sufficiente dire “ho mancato alla Santa Messa”, ma dovrà appunto specificare “per tutto il periodo estivo”.

Se si confessa un bestemmiatore abituato, dovrà far chiaramente capire che non è che gli sia scappata una bestemmia in un momento di collera, ma che più volte ha offeso il nome di Dio, ecc. Infine vanno specificate le circostanze quando queste mutano la natura del peccato oppure ne aggravano o diminuiscono la gravità. Se si è bestemmiato dinanzi a un figlio piccolo, bisogna specificarlo, perché questa aggravante (il vero e proprio scandalo dato a un piccolo dal proprio genitore) è quasi più grave del peccato commesso; così come se si è mancati alla Santa Messa, avendo dei figli piccoli che devono avere nei genitori un modello e uno sprone per imparare l’osservanza della Legge di Dio.

Se si è commessa qualche impurità, bisogna specificare se il complice, per esempio, fosse sposato in Chiesa (anche se divorziato), perché l’atto si trasforma immediatamente in adulterio che è molto più grave della fornicazione semplice, ecc.
Similmente se si è mancati alla Santa Messa non per negligenza ma per improvvisi problemi che hanno reso molto difficile la partecipazione (se non addirittura moralmente impossibile: la malattia personale, un incidente stradale, il ricovero improvviso di una persona cara), bisogna specificarlo; così come se fosse scappata una bestemmia in preda all’ira da parte di chi non ha questa abitudine e si è ritrovato con un’espressione blasfema uscitagli dalla bocca senza nemmeno capire come è successo; oppure i peccati che sono stati commessi per ignoranza anche se colpevole (cosa che avviene quando si trasgredisce gravemente la Legge di Dio, senza sapere o avere la piena consapevolezza della gravità del peccato, per difetto di formazione della coscienza, ecc.).

I peccati mortali vanno confessati tutti, anche quelli molto lontani nel tempo, di cui non si abbia la certezza di averli già portati dinanzi al tribunale della divina Misericordia. La Confessione, infatti, copre solo i peccati non confessati per dimenticanza, ma comporta sempre in sé l’obbligo che, qualora affiorino nella memoria peccati anche molto antichi che si è certi o quasi di non aver mai confessato, essi vengano umilmente confessati alla prima Confessione utile. Sembra assai probabile l’opinione di chi ritiene, in caso di peccati molto antichi, che nonostante l’obbligo di confessarli alla prima occasione utile, il fedele possa accostarsi alla Comunione sacramentale, diversamente da ciò che accade qualora, nel presente, si commetta un peccato mortale, nel qual caso non bisogna per nessun motivo accostarsi all’Eucaristia senza premettere la Confessione sacramentale.

Gli altri peccati (quelli veniali) e le imperfezioni morali non costituiscono oggetto obbligatorio di Confessione, ma la Chiesa ne “raccomanda caldamente” la confessione, dato che una coscienza che li sottovaluti si espone grandemente al pericolo di cadere in mancanze gravi e comunque, nel caso di peccati in senso stretto (piccole maldicenze, atti di superbia, bugie, volgarità non eccessive, scatti di collera, ecc.), si offende comunque Dio e si “aumenta” il tempo di purgazione che sarà necessario affrontare in Purgatorio prima di accedere alla visione beatifica. Un’anima poi che voglia santificarsi non può in nessun caso e per nessun motivo prendere alla leggera venialità e imperfezioni, altrimenti cadrà inevitabilmente nelle sciagurate sabbie mobili della mediocrità e della tiepidezza, perderà un numero considerevole di grazie divine, farà molto meno bene (o lo farà molto peggio) di quello che dovrebbe o potrebbe.






  Il dolore che salva in punto di morte
dal Numero 28 del 14 luglio 2013
di Padre Angelomaria Lozzer, FI

Alcuni credono di poter condurre una vita lontani da Dio per poi ricorrere al “pentimento finale”, alle soglie della morte. Ma è un pensiero imprudente e pericoloso. L’ignoranza in materia inganna molti. Perciò sarà utile conoscere la cosiddetta “contrizione”, dono divino alquanto raro.

Nel caso in cui un peccatore, trovandosi in punto di morte impossibilitato a ricevere i Sacramenti, sinceramente pentito, compisse un atto di contrizione perfetta, riceverebbe l’assoluzione delle sue colpe direttamente da parte di Dio e se morisse si salverebbe. Tale contrizione (o dolore perfetto), tuttavia, per essere valida ed ottenere il perdono deve possedere 6 caratteristiche fondamentali, alcune delle quali, eccettuata la quinta, sono proprie anche del dolore necessario per la validità del sacramento della Confessione. 

1) Sommo, in quanto il peccato deve essere ritenuto come il male peggiore e la più grande sciagura possibile su questa terra, perché è la perdita di Dio Sommo Bene. Non significa con ciò che si debba provare un dolore maggiore per intensità di qualsiasi altro, come sarebbe per esempio la perdita di una persona cara, ma “apprezzativamente” sì, al punto che in caso di scelta dovremmo preferire la nostra stessa morte alla perdita di Dio. 

2) Interno, nel senso che il dolore per essere valido non deve necessariamente manifestarsi all’esterno con lacrime e sospiri, ma deve scaturire dall’anima, dalla volontà e dall’intelletto: «Stracciatevi il cuore e non le vesti».

3) Universale, cioè si deve estendere senza eccezioni a tutti i peccati mortali, in quanto tutti offendono Dio e ci privano del Paradiso. 

4) Soprannaturale, perché deve nascere da motivi di fede e non da motivi naturali, come sarebbero il rimorso per aver perduto un’amicizia, il lavoro, i beni terreni o l’essere incorso nell’infamia, nella giustizia civile, ecc. Questi ultimi motivi da soli non sono sufficienti nemmeno per ottenere il perdono nel sacramento della Confessione.

5) Motivato dalla carità perfetta. Non tutti i motivi soprannaturali sono sufficienti per ottenere il perdono al di fuori del sacramento della Confessione, ma solo quello che deriva da un atto perfetto di amor di Dio. Quindi il dolore non dovrà procedere da motivi soprannaturali inferiori, quali sarebbero ad esempio la paura dell’inferno e dei castighi di Dio, perché sebbene siano sufficienti al fine del Sacramento, non lo sono altrettanto al di fuori di esso. Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna tutto ciò espressamente ai numeri 1452-1453: «Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta “perfetta” (contrizione di carità). 
Tale contrizione rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale. La contrizione detta “imperfetta” (o “attrizione”) è, anch’essa, un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo. Nasce dalla considerazione della bruttura del peccato o dal timore della dannazione eterna e delle altre pene la cui minaccia incombe sul peccatore (contrizione da timore). Quando la coscienza viene così scossa, può aver inizio un’evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto l’azione della grazia, dall’assoluzione sacramentale. Da sola, tuttavia, la contrizione imperfetta non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza».

6) Accompagnato dalla volontà di accostarsi al sacramento della Confessione il prima possibile. Tale caratteristica è la prova della sincerità del pentimento; ossia l’anima è disposta a tutto ciò che Dio, l’Offeso, gli chiede per ottenere di nuovo la sua amicizia.

Si capisce allora che compiere un atto di contrizione perfetta non è qualcosa di semplicissimo da fare, né di così scontato, ma anzi è una grazia straordinaria di Dio che la Chiesa ci fa chiedere insistentemente ad ogni Ave Maria: «Prega per noi adesso e nell’ora della nostra morte». Dio la concede a coloro che in vita si sono sforzati di osservare la sua Legge e di conservarsi nella sua grazia, facendo buon uso di quei mezzi di grazia offertici a tale scopo da Dio, quali i Sacramenti e la preghiera (la pratica dei primi nove venerdì del mese e i primi cinque sabati).

Chi ricusa di confessarsi in vita con la scusa di pentirsi in punto di morte e di ottenere così il perdono si inganna. Egli accumula su di sé altri peccati oltre quelli che già ha, mettendosi in una condizione peggiore di prima. Pecca innanzitutto contro la virtù della speranza, perché, come spiega san Tommaso d’Aquino, si può andare contro questa virtù o per difetto o per eccesso: per difetto con la disperazione, per eccesso con la presunzione. La speranza, infatti, è quella virtù teologale che ci fa desiderare e aspettare da Dio con ferma fiducia «la vita eterna e le grazie per meritarla» (CCC 1843). 

Ora, chi si affida ad un intervento finale da parte di Dio trascurando le grazie necessarie per meritarla è simile a chi, dovendo fare un lungo viaggio per mare, rifiuta il passaggio offertogli dalla nave per affidarsi ad un legno che galleggia sull’acqua, sperando in un vento favorevole; è la tentazione del diavolo che dice a Gesù di gettarsi dal pinnacolo perché tanto Dio invierà i suoi Angeli a salvarlo e a cui Gesù risponderà: «Non tenterai il Signore Dio tuo». Infine, l’anima che presume la propria Salvezza rifiutando di servirsi dei Sacramenti aggiunge anche il peccato di ingiuria nei confronti di Cristo che li ha istituiti, perché ripudiandoli o ne nega l’efficacia o comunque ne rende vana l’istituzione. 

Perciò guardiamo sempre di attendere alla nostra Salvezza – come dice san Paolo – «con timore e tremore» (Fil 2,12), facendo buon uso di tutti i mezzi di grazia che il Signore ci ha concesso. Se poi ci capitasse di trovarci in punto di morte senza la possibilità dei Sacramenti, stringiamoci al petto un crocifisso e baciamolo con venerazione, contemplando quelle piaghe d’amore con riconoscenza e pentimento, affidando alla Madonna, Rifugio dei peccatori la nostra povera anima.



  



[Modificato da Caterina63 21/01/2016 19:08]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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