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San Pio X Lettera Enciclica Acerbo Nimis In troppo ingrati e difficili tempi

Ultimo Aggiornamento: 28/11/2013 20:18
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28/11/2013 20:12
 
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III. Dall'ignoranza della religione è da ripetersi l'odierna corruttela dei costumi.


Ciò posto, Venerabili Fratelli, qual meraviglia che si veda oggi nel mondo, e non già diciamo fra i barbari, ma in mezzo alle nazioni cristiane, e cresca ogni giorno più la corruttela dei costumi e la depravazione delle abitudini? Intimava l'Apostolo scrivendo agli Efesii: «La fornicazione poi ed ogni immondezza, o l'avarizia, neppur si nomini fra voi, come si addice ai santi: o la turpitudine, o lo stoltiloquio» (Ephes. V, 3 s.).


Ma egli a fondamento di questa santità e del pudore, che infrena le passioni, poneva la sapienza soprannaturale: «Guardate dunque, o fratelli, come dobbiate camminar cautamente non quasi stolti, ma come sapienti. Perciò non vogliate essere spensierati, ma intendete bene quale sia la volontà di Dio» (Ibid. 15 ss.).


E ciò con ragione. Infatti la volontà umana conserva appena alcun che di quell'amore dell'onesto e del retto, che Dio creatore le infuse e che quasi la trascinava al bene non apparente ma verace. Depravata per la corruzione della colpa primiera, e pressoché dimentica di Dio, suo autore, gli affetti suoi rivolge quasi tutti all'amore della vanità e alla ricerca del mendacio. - Fa quindi mestieri a questa volontà fuorviata ed accecata dalle perverse passioni, assegnare una guida, che la scorga perché torni sui male abbandonati sentieri della giustizia. E la guida, non liberamente scelta, ma destinata dalla natura è l'intelletto appunto. Il quale, pertanto, se manchi di vera luce, cioè della cognizione delle cose divine, sarà come un cieco che presti il braccio ad altro cieco, e cadranno entrambi nella fossa. Il santo Davide, lodando Iddio della luce di verità da lui riverberata sulle nostre menti, diceva: «Signore, il lume del volto tuo è segnato sopra di noi» (Ps. IV, 7).


E la conseguenza di questa luce indicò qual fosse, aggiungendo: «Hai infuso allegrezza nel mio cuore»; quell'allegrezza cioè che dilatandoci il cuore, fa che corra la via dei divini comandamenti.


IV. La conoscenza delle cose religiose non è soltanto lume all'intelletto, ma guida e stimolo della volontà.


E che sia difatto così, apparisce manifesto a chi per poco rifletta. Imperocché la dottrina di Gesù Cristo ci disvela Iddio e le infinite perfezioni di lui con assai maggior chiarezza che non lo manifesti il lume naturale dell' umano intelletto. Ma poi? quella stessa dottrina ci impone di onorare Dio con la fede, che è ossequio della mente; colla speranza che è ossequio della volontà; colla carità che è ossequio del cuore; e per tal guisa lega tutto l'uomo e lo soggetta al suo supremo Fattore e Moderatore. Parimente la dottrina di Cristo è la sola che ci manifesti la vera ed altissima dignità dell'uomo, additandocelo come figlio del Padre celeste che è nei cieli, fatto ad immagine di lui e destinato a vivere con lui eternamente beato. Ma da questa stessa dignità e dalla cognizione della medesima Cristo deduce l'obbligo per gli uomini di amor vicendevole come fratelli ch'ei sono, prescrive loro di vivere quaggiù come si avviene a figliuoli della luce «non in bagordi ed ubbriachezze, non in mollezze ed impudicizie, non in risse ed invidie» (Rom. XIII, 13); li obbliga inoltre a riporre in Dio ogni sollecitudine giacché egli ha cura di noi; comanda di stendere la mano soccorritrice al povero, di far bene a quei che ci fan male, di anteporre i vantaggi eterni dell'anima ai beni fugaci del tempo. E per non discendere in tutto al particolare, non è la dottrina di Gesù Cristo che all'uomo, il quale vive di orgoglio, ispira ed impone l'umiltà, origine di gloria verace? «Chiunque si umilierà... questi è il più grande nel regno dei cieli» (Matth., XVIII, 4). Dalla stessa dottrina apprendiamo la prudenza dello spirito, per cui fuggiamo la prudenza della carne: la giustizia, per cui rendiamo il suo diritto ad ognuno; la fortezza che ci fa pronti a patir tutto, e colla quale, con animo generoso, patiamo di fatto ogni cosa per Iddio e per l'eterna felicità; e finalmente la temperanza, con cui giungiamo ad amare financo la povertà, ci gloriamo anzi della croce, non curando il disprezzo. Sta insomma che la scienza del cristianesimo non è solo fonte di luce all'intelletto per la consecuzione del vero, ma fonte eziandio di calore alla volontà, con cui ci solleviamo a Dio e con lui ci uniamo per la pratica delle virtù.


Con ciò siamo ben lungi dal dire che, anche colla scienza della religione, non possa unirsi volontà perversa e sregolatezza di costume. Piacesse a Dio che nol provassero anche troppo i fatti! Sosteniamo però che non potrà mai esser retta la volontà né buono il costume, qualora l'intelletto sia schiavo di crassa ignoranza. Chi ad occhi aperti procede, può certamente uscire dal retto sentiero: ma chi è colto da cecità, è sicuro di andare incontro al pericolo.


Aggiungasi di più che la perversità del costume, ove non sia del tutto estinto il lume della fede, lascia sempre a sperare un ravvedimento; laddove, se alla corruzione del costume si congiunge per effetto dell'ignoranza, la mancanza della fede, il male appena ammette rimedio, ed è aperta la via all'eterna rovina.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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