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Avvento-Natale 2013 e Gennaio 2014 con la Santa Madre Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 07/01/2014 18:25
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26/12/2013 14:58
 
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FESTA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE

PAPA FRANCESCO

ANGELUS 

Piazza San Pietro
Giovedì, 26 dicembre 2013


 

 

Cari fratelli e sorelle buongiorno.

Voi non avete paura della pioggia, siete bravi!

La liturgia prolunga la Solennità del Natale per otto giorni: un tempo di gioia per tutto il popolo di Dio! E in questo secondo giorno dell’ottava, nella gioia del Natale si inserisce la festa di santo Stefano, il primo martire della Chiesa. Il libro degli Atti degli Apostoli ce lo presenta come «uomo pieno di fede e di Spirito Santo» (6,5), scelto con altri sei per il servizio delle vedove e dei poveri nella prima comunità di Gerusalemme. E ci racconta il suo martirio: quando, dopo un discorso di fuoco che suscitò l’ira dei membri del Sinedrio, fu trascinato fuori dalle mura della città e lapidato. Stefano morì come Gesù, chiedendo il perdono per i suoi uccisori (7,55-60).

Nel clima gioioso del Natale, questa commemorazione potrebbe sembrare fuori luogo. Il Natale infatti è la festa della vita e ci infonde sentimenti di serenità e di pace; perché turbarne l’incanto col ricordo di una violenza così atroce? In realtà, nell’ottica della fede, la festa di santo Stefano è in piena sintonia col significato profondo del Natale. Nel martirio, infatti, la violenza è vinta dall’amore, la morte dalla vita. La Chiesa vede nel sacrificio dei martiri la loro “nascita al cielo”. Celebriamo dunque oggi il “natale” di Stefano, che in profondità scaturisce dal Natale di Cristo. Gesù trasforma la morte di quanti lo amano in aurora di vita nuova!

Nel martirio di Stefano si riproduce lo stesso confronto tra il bene e il male, tra l’odio e il perdono, tra la mitezza e la violenza, che ha avuto il suo culmine nella Croce di Cristo. La memoria del primo martire viene così, immediatamente, a dissolvere una falsa immagine del Natale: l’immagine fiabesca e sdolcinata, che nel Vangelo non esiste! La liturgia ci riporta al senso autentico dell’Incarnazione, collegando Betlemme al Calvario e ricordandoci che la salvezza divina implica la lotta al peccato, passa attraverso la porta stretta della Croce. Questa è la strada che Gesù ha indicato chiaramente ai suoi discepoli, come attesta il Vangelo di oggi: «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» (Mt 10,22).

Perciò oggi preghiamo in modo particolare per i cristiani che subiscono discriminazioni a causa della testimonianza resa a Cristo e al Vangelo. Siamo vicini a questi fratelli e sorelle che, come santo Stefano, vengono accusati ingiustamente e fatti oggetto di violenze di vario tipo. Sono sicuro che, purtroppo, sono più numerosi oggi che nei primi tempi della Chiesa. Ce ne sono tanti!  Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o non è pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che sulla carta tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove di fatto i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni. Io vorrei chiedervi di pregare per questi fratelli e sorelle un attimo in silenzio […] E li affidiamo alla Madonna

(Ave Maria …).

Per il cristiano questo non fa meraviglia, perché Gesù lo ha preannunciato come occasione propizia per rendere testimonianza. Tuttavia, sul piano civile, l’ingiustizia va denunciata ed eliminata.

Maria Regina dei Martiri ci aiuti a vivere il Natale con quell’ardore di fede e di amore che rifulge in santo Stefano e in tutti i martiri della Chiesa.

Dopo l'Angelus:

Saluto le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni e i singoli fedeli provenienti da Roma, dall’Italia e da ogni parte del mondo. La sosta di questi giorni presso il presepio per ammirare Maria e Giuseppe accanto al Bambino, possa suscitare in tutti un generoso impegno di amore vicendevole, affinché all’interno delle famiglie e delle varie comunità si viva quel clima di intesa e di fraternità che tanto giova al bene comune.  

Buone feste natalizie




Festa di Santo Stefano, primo martire - "Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro"

 
Dal Vangelo secondo Matteo (10,17-22) 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell'ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato». 

Il Magistero di Benedetto XVI
Angelus, 26 dicembre 2007
Il legame profondo che unisce Cristo al suo primo martire Stefano è la Carità divina: lo stesso Amore che spinse il Figlio di Dio a spogliare se stesso e a farsi obbediente fino alla morte di croce (cfr Fil 2,6-8), ha poi spinto gli Apostoli e i martiri a dare la vita per il Vangelo.
Bisogna sempre rimarcare questa caratteristica distintiva del martirio cristiano: esso è esclusivamente un atto d’amore, verso Dio e verso gli uomini, compresi i persecutori. Perciò noi oggi, nella Santa Messa, preghiamo il Signore che ci insegni "ad amare anche i nostri nemici sull’esempio di [Stefano] che morendo pregò per i suoi persecutori" (Orazione "colletta").
Quanti figli e figlie della Chiesa nel corso dei secoli hanno seguito questo esempio!
Dalla prima persecuzione a Gerusalemme a quelle degli imperatori romani, fino alle schiere dei martiri dei nostri tempi.
Non di rado, infatti, anche oggi giungono notizie da varie parti del mondo di missionari, sacerdoti, vescovi, religiosi, religiose e fedeli laici perseguitati, imprigionati, torturati, privati della libertà o impediti nell’esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunione con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa...
Il martire cristiano, come Cristo e mediante l’unione con Lui, "accetta nel suo intimo la croce, la morte e la trasforma in un’azione d’amore.
Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa un atto d’amore che si dona totalmente. La violenza così si trasforma in amore e quindi la morte in vita" (Omelia a Marienfeld - Colonia, 21 agosto 2005).
Il martire cristiano attualizza la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte. Preghiamo per quanti soffrono a motivo della fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. Maria Santissima, Regina dei Martiri, ci aiuti ad essere testimoni credibili del Vangelo, rispondendo ai nemici con la forza disarmante della verità e della carità.
 
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  Il Natale dei due papi. Spiegato da Papa san Gregorio Magno

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La visita prenatalizia di papa Francesco al suo predecessore Benedetto ha riproposto al mondo l’immagine dei due papi assieme.

Come fatto storico è senza precedenti. Ma qual è il “mistero” che questo fatto nasconde e insieme rivela?

“Factum audivimus, mysterium inquiramus”, diceva papa Gregorio Magno. E proprio in un passaggio delle sue Omelie su Ezechiele c’è forse il senso di questo evento assolutamente straordinario per la vita della Chiesa: la compresenza di due papi in comunione tra loro, sia l’uno che l’altro visibilmente consapevoli di questa misteriosa compresenza predisposta dalla mano di Dio.

Il blog “Papa Gregorio Magno” – curato da un monaco dell’abbazia di Roma fondata nel VI secolo da quel grande padre della Chiesa – ha riproposto nell’imminenza del Natale il suo commento a Ezechiele 1, 8: “Sotto le ali, ai quattro lati, avevano mani d’uomo”. E l’ha corredato con una glossa che applica proprio a Benedetto e Francesco i due paradigmi della vita contemplativa e della vita attiva.

Dice Gregorio:

“Che significa la mano se non la vita attiva? E che significano le ali se non la vita contemplativa? La mano dell’uomo è sotto le loro ali, come a dire che il valore dell’attività è legato al volo della contemplazione. Simboleggiano bene questo le due donne del Vangelo che sono Marta e Maria. Marta era tutta presa dai molti servizi; Maria invece, sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava le sue parole. Una attendeva all’azione, l’altra alla contemplazione. Una era impegnata nella vita attiva con un servizio esteriore, l’altra nella vita contemplativa con il cuore sospeso alla Parola. Ora, quantunque la vita attiva sia buona, tuttavia la vita contemplativa è migliore, perché la prima termina con questa vita mortale, la seconda, invece, raggiunge la sua pienezza nella vita immortale. Per cui è detto: Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta. Siccome la vita attiva è inferiore, per dignità, a quella contemplativa, giustamente qui si dice: Sotto le ali avevano mani d’uomo (Ez 1, 8). Infatti, quantunque per mezzo della vita attiva noi compiamo qualcosa di buono, tuttavia per mezzo della vita contemplativa voliamo con il desiderio verso il cielo”.

E conclude:

“La vita attiva, in ordine di tempo, è prima della vita contemplativa, perché operando bene, si tende alla contemplazione. La vita contemplativa è però maggiore, nel merito, alla vita attiva, perché gusta già, nel suo intimo sapore, il riposo futuro”.

Ma poi riprende. E sorprende:

“In Mosé la vita attiva viene chiamata servitù, mentre quella contemplativa libertà. E benché l’una e l’altra vita siano un dono della grazia, tuttavia, finché viviamo in mezzo al prossimo, una è necessaria e l’altra volontaria. Chi infatti conoscendo Dio può entrare nel suo regno se prima non ha operato il bene? Perciò, senza la vita contemplativa possono accedere alla patria celeste coloro che non trascurano le opere buone che possono compiere; i contemplativi invece non possono accedervi senza la vita attiva, cioè se trascurano le opere buone che possono compiere. La vita attiva, dunque, è necessaria, quella contemplativa è volontaria. Quella si vive in stato di servitù, questa in stato di libertà”.

Commenta a questo punto il monaco di San Gregorio al Celio:

“Dunque la vita contemplativa è ‘maior’, ma non dà accesso alla patria celeste se prima non viene preceduta dalla vita attiva che, pur essendo ‘minor’, ha le chiavi atte ad aprire il regno dei cieli. Per poter accedere alla ‘libertas’ bisogna passare dalla ’servitus’. Geniale papa Gregorio! Siamo negli anni dei due papi: uno attivo e l’altro contemplativo”.

Quando la sera del 21 novembre papa Francesco si recò sull’Aventino nel monastero di Sant’Antonio delle camaldolesi, ramo femminile del monastero “gregoriano” del Celio, e visitò la cella dove aveva vissuto come reclusa una monaca proveniente dagli Stati Uniti, Nazarena, il monaco che cura il blog “Papa Gregorio Magno” ne ricavò questa ulteriore riflessione:

“Sia papa Francesco sia la reclusa Nazarena vengono dalle Americhe: l’una dal Nord e l’altro dal Sud, ma con ruoli rovesciati. Infatti la statunitense sottolinea, con la reclusione, la contemplazione e l’argentino sottolinea, con le sue scelte pastorali, l’azione. Ma poi, al di sopra di loro due, veglia il grande Anziano della Chiesa Benedetto XVI, come segno posto sul monte dell’attesa del regno, che si costruisce, ma non si conclude, qui su questa terra. Che meraviglia di Dio!”.

E pensando al passo compiuto da Benedetto XVI si può ancora far tesoro di queste parole di Gregorio Magno, nella stessa omelia su Ezechiele:

“Ognuno di noi perseveri nella forma di vita intrapresa e vi permanga fino al compimento dell’opera… Ma passa correttamente alla vita contemplativa colui che, durante la vita attiva, non ha mutato in senso deteriore il suo proposito”.

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[Modificato da Caterina63 26/12/2013 16:05]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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