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La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale dei cristiani-cattolici

Ultimo Aggiornamento: 29/06/2014 11:34
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La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale
Lettera della Congregazione per l'Educazione Cattolica del 25 marzo 1988

 

Introduzione

1. La Seconda Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, tenutasi nel 1985 per "la celebrazione, la verifica e la promozione del Concilio Vaticano II",(1) ha affermato la necessità di "dedicare un'attenzione speciale alle quattro Costituzioni maggiori del Concilio"(2) e di mettere in atto una "programmazione [...] che abbia come obiettivo una nuova, più ampia e più profonda conoscenza ed accettazione del Concilio".(3) Da parte sua il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha asserito che l'Anno Mariano deve "promuovere una nuova ed approfondita lettura di ciò che il Concilio ha detto sulla beata Vergine Maria, Madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa".(4) A questa duplice indicazione magisteriale è particolarmente sensibile la Congregazione per l'Educazione Cattolica. Essa, con la presente Lettera circolare - indirizzata alle facoltà teologiche, ai seminari e ad altri centri di studi ecclesiasti ci - intende offrire, infatti, alcune riflessioni sulla beata Vergine e soprattutto rilevare che l'impegno di conoscenza e di ricerca e la pietà nei confronti di Maria di Nazaret non possono essere circoscritti nei limiti cronologici dell'Anno Mariano, ma devono costituire un compito permanente: permanenti, infatti, sono il valore esemplare e la missione della Vergine. La Madre del Signore, infatti, è un "dato della Rivelazione divina" e costituisce una "presenza materna" sempre operante nella vita della Chiesa.(5)


1. La Vergine Maria: un dato essenziale della fede e della vita della Chiesa

La ricchezza della dottrina mariologica

2. La storia del dogma e della teologia attestano la fede e l'incessante attenzione della Chiesa verso la Vergine Maria e la sua missione nella storia della salvezza. Tale attenzione è già manifesta in alcuni scritti neotestamentari e in non poche pagine degli Autori dell'età subapostolica. I primi simboli della fede e, successivamente, le formule dogmatiche dei Concili di Costantinopoli (a. 381), di Efeso (a. 431) e di Calcedonia (a.451) testimoniano il progressivo approfondimento del mistero del Cristo, vero Dio e vero uomo, e parallelamente la progressiva scoperta del ruolo di Maria nel mistero dell'Incarnazione: una scoperta che condusse alla definizione dogmatica della divina e verginale maternità di Maria. L'attenzione della Chiesa verso Maria di Nazaret è proseguita in tutti i secoli, con molti pronunciamenti. Si richiamano solo quelli più recenti, senza con questo sottovalutare la fioritura che la riflessione mariologica ha conosciuto in altre epoche storiche.

 

3. Per il loro valore dottrinale non è possibile non ricordare la Bolla dogmatica Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854) di Pio IX, la Costituzione apostolica Munifìcentissimus Deus (1° novembre 1950) di Pio XII e la Costituzione dogmatica Lumen gentium (21 novembre 1964), il cui capitolo VIII costituisce la più ampia e autorevole sintesi della dottrina cattolica sulla Madre del Signore che sia mai stata compiuta da un concilio ecumenico. Sono pure da ricordare, per il loro significato teologico e pastorale, altri documenti quali la Professio Fidei (30 giugno 1968) e le Esortazioni apostoliche Signum magnum (13 maggio 1967) e Marialis cultus (2 febbraio 1974) di Paolo VI, nonché l'Enciclica Redemptoris Mater (25 marzo 1987) di Giovanni Paolo II.

4. È doveroso, inoltre, ricordare l'azione svolta da alcuni "movimenti" che, avendo suscitato in vario modo e da diversi punti di vista un vasto interesse verso la figura della beata Vergine, hanno avuto un influsso considerevole nella stesura della Costituzione Lumen gentium: il movimento biblico, che ha sottolineato l'importanza primaria della Sacra Scrittura per una presentazione del ruolo della Madre del Signore veramente consona alla Parola rivelata; il movimento patristico, che ponendo la mariologia a contatto con il pensiero dei Padri della Chiesa, le ha consentito di approfondire le sue radici nella Tradizione; il movimento ecclesiologico, che ha contribuito largamente alla riconsiderazione e all'approfondimento del rapporto tra Maria e la Chiesa; il movimento missionario, che ha scoperto progressivamente il valore di Maria di Nazaret, la prima evangelizzata (cfr. Lc 1, 26?38) e la prima evangelizzatrice (cfr. Lc 1, 39?45), come fonte di ispirazione per il suo impeg no nella diffusione della Buona Novella; il movimento liturgico, che istituendo un fecondo e rigoroso confronto tra le varie liturgie, ha potuto documentare come i riti della Chiesa attestino una cordiale venerazione verso la "gloriosa e sempre Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo";(6) il movimento ecumenico, che ha richiesto uno sforzo per comprendere con esattezza la figura della Vergine nell'ambito delle fonti della Rivelazione e per precisare la base teologica della pietà mariana.

L'insegnamento mariologico del Vaticano II

5. L'importanza del capitolo VIII della Lumen gentium consiste nel valore della sua sintesi dottrinale e nell'impostazione della trattazione della dottrina riguardante la beata Vergine, inquadrata nell'ambito del mistero del Cristo e della Chiesa. In questo modo il Concilio:
- si è riallacciato alla tradizione patristica, che privilegia la storia della salvezza quale trama propria di ogni trattato teologico;
- ha posto in evidenza che la Madre del Signore non è figura marginale nell'ambito della fede e nel panorama della teologia poiché essa, per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, "riunisce in sé in qualche modo e riverbera i massimi dati della fede";(7)
- ha composto in una visione unitaria posizioni differenti sul modo di affrontare il tema mariologico.

a) In vista del Cristo

6. Secondo la dottrina del Concilio lo stesso rapporto di Maria con Dio Padre si determina in vista del Cristo. Dio, infatti, "quando venne la pienezza del tempo, mandò il suo Figlio nato da donna... perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4, 4?5).(8) Maria, quindi, che per condizione era l'Ancella del Signore (cfr. Lc 1, 38.48), avendo accolto "nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio" e portato "la Vita al mondo", divenne per grazia "Madre di Dio".(9) In vista di questa singolare missione, Dio Padre la preservò dal peccato originale, la ricolmò dell'abbondanza dei doni celesti e, nel suo sapiente disegno, "volle ... che l'accettazione della predestinata madre precedesse l'Incarnazione".(10)




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  7. Il Concilio, illustrando la partecipazione di Maria alla storia della salvezza, espone soprattutto i molteplici rapporti che intercorrono tra la Vergine e il Cristo:

- di "frutto più eccelso della redenzione",(11) essendo essa stata "redenta in modo così sublime in vista dei meriti del Figlio suo";(12) perciò i Padri della Chiesa, la Liturgia e il Magistero non hanno dubitato di chiamare la Vergine "figlia del suo Figlio"(13) nell'ordine della grazia;
- di madre che, accogliendo con fede l'annuncio dell'Angelo, concepì nel suo grembo verginale, per l'azione dello Spirito e senza intervento di uomo, il Figlio di Dio secondo la natura umana; lo diede alla luce, lo nutrì, lo custodì e lo educò;(14)
- di serva fedele, che "consacrò totalmente se stessa alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di lui e con lui".(15)
- di socia del Redentore: "col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al Padre nel tempio, soffrire col suo figlio morente sulla croce, ella ha cooperato in modo del tutto speciale all'opera del Salvatore, con l'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità";(16)
- di discepola che, durante la predicazione del Cristo, "raccolse le parole, con le quali il Figlio, esaltando il Regno al di sopra dei rapporti e dei vincoli della carne e del sangue, proclamò beati quelli che ascoltano e custodiscono la parola di Dio (cfr. Mc 3, 35; Lc 11, 27?28), come essa fedelmente faceva (cfr. Lc 2, 19 e 51)".(17)

8. In luce cristologica sono da leggere anche i rapporti tra lo Spirito Santo e Maria: essa, "quasi plasmata e resa nuova creatura"(18) dallo Spirito e divenuta in modo particolare suo tempio,(19) per la potenza dello stesso Spirito (cfr. Lc 1,35), concepì nel suo grembo verginale e dette al mondo Gesù Cristo.(20) Nell'episodio della Visitazione si riversano, per mezzo di lei, i doni del Messia salvatore: l'effusione dello Spirito su Elisabetta, la gioia del futuro Precursore (cfr. Lc 1, 41). Piena di fede nella promessa del Figlio (cfr. Lc 24, 49), la Vergine costituisce una presenza orante in mezzo alla comunità dei discepoli: perseverando con loro nella concordia e nella supplica (cfr. At 1,14), implora "con le sue preghiere il dono dello Spirito, che l'aveva già ricoperta nell'annunciazione".(21)

b) In vista della Chiesa

9. In vista del Cristo, e quindi anche in vista della Chiesa, da tutta l'eternità Iddio volle e predestinò la Vergine Maria di Nazaret, infatti:
- è "riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa"(22) per i doni di grazia di cui è adorna e per il posto che occupa nel Corpo mistico;
- è madre della Chiesa, poiché essa è "Madre di Colui, che fin dal primo istante dell'Incarnazione nel suo seno verginale, ha unito a sé come Capo il suo Corpo Mistico che è la Chiesa";(23)
- per la sua considerazione di vergine sposa madre è figura della Chiesa, la quale è anch'essa vergine per l'integrità della fede, sposa per la sua unione con il Cristo, madre per la generazione di innumerevoli figli;(24)
- per le sue virtù è modello della Chiesa, che a lei si ispira nell'esercizio della fede, della speranza, della carità(25) e nell'attività apostolica;(26)
- con la sua molteplice intercessione continua ad ottenere per la chiesa i doni della salvezza eterna. Nella sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora pellegrinanti. Per questo la beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice;(27)
- assunta in corpo e anima al cielo, è l'"immagine" escatologica e la "primizia" della Chiesa(28) che in lei "contempla con gioia ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere"(29) e in lei trova un "segno di sicura speranza e di consolazione".(30)

Sviluppi mariologici del postConcilio

10. Negli anni immediatamente successivi al Concilio l'opera svolta dalla Sede Apostolica, da molte Conferenze Episcopali e da insigni studiosi, che illustrò l'insegnamento del Concilio e rispose ai problemi via via emergenti, ha ridato nuova attualità e vigore alla riflessione sulla Madre del Signore. Particolare contributo a questo risveglio mariologico hanno dato l'Esortazione apostolica Marialis Cultus e l'Enciclica Redemptoris Mater. Non è questo il modo per procedere ad una rassegna particolareggiata dei vari settori della riflessione post?conciliare su Maria. Sembra, tuttavia, utile illustrarne alcuni a titolo di esempio e come stimolo per ulteriori ricerche.

11. L'esegesi biblica ha aperto nuove frontiere alla mariologia, dedicando sempre più largo spazio alla letteratura intertestamentaria. Non pochi testi dell'Antico Testamento e, soprattutto, le pagine neo-testamentarie di Luca e di Matteo sull'infanzia di Gesù e le pericopi giovannee sono stati fatti oggetto di un continuo e approfondito studio che, per i risultati conseguiti, ha rafforzato la base scritturistica alla mariologia e l'ha arricchita considerevolmente dal punto di vista tematico.

12. Nel campo della teologia dogmatica, la mariologia ha contribuito, nel dibattito post?conciliare, ad una più idonea illustrazione dei dogmi: chiamata in causa nelle discussioni sul peccato originale (dogma della Concezione immacolata), sull'incarnazione del Verbo (dogma della concezione verginale del Cristo, dogma della divina maternità), sulla grazia e la libertà (dottrina della cooperazione di Maria all'opera della salvezza), sul destino ultimo dell'uomo (dogma dell'Assunzione), essa ha dovuto studiare criticamente le circostanze storiche in cui quei dogmi furono definiti, il linguaggio con cui furono formulati, comprenderli alla luce delle acquisizioni dell'esegesi biblica, di una più rigorosa conoscenza della Tradizione, delle interpellanze delle scienze umane e respingere, infine, le contestazioni infondate.

13. L'interesse della mariologia ai problemi connessi con il culto della beata Vergine è stato molto vivo: esso si è esplicato nella ricerca delle sue radici storiche,(31) nello studio delle motivazioni dottrinali e dell'attenzione per il suo organico inserimento nell'"unico culto cristiano",(32) nella valutazione della pietà popolare, nonché nell'approfondimento dei loro mutui rapporti.

14. Anche nel campo ecumenico la mariologia è stata oggetto di particolare considerazione. Relativamente alle Chiese dell'Oriente cristiano, Giovanni Paolo II ha sottolineato "quanto la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa e le antiche Chiese orientali si sentano profondamente unite dall'amore e dalla lode per la Theotokos";(33) da parte sua Dimitrios I, Patriarca ecumenico, ha rilevato come le "due Chiese sorelle hanno mantenuto attraverso i secoli inestinguibile la fiamma della devozione alla venerabilissima persona della Tuttasanta Genitrice di Dio"(34) ed ha auspicato che " il tema della mariologia occupi un posto centrale nel dialogo teologico tra le nostre Chiese per il pieno ristabilimento della nostra comunione ecclesiale".(35) Per quanto riguarda le Chiese della Riforma, l'epoca post?conciliare è caratterizzata dal dialogo e dallo sforzo per una reciproca comprensione. Ciò ha consentito il superamento di secolari diffidenze, una migliore conoscenza delle rispettive posizio ni dottrinali e l'attuazione di iniziative comuni di ricerca. Così, almeno in alcuni casi, si sono potuti comprendere, da una parte, i pericoli insiti nell' "oscuramento" della figura di Maria nella vita ecclesiale e, dall'altra, la necessità di attenersi ai dati della Rivelazione. In questi anni, nell'ambito del discorso interreligioso, l'interesse della mariologia si è rivolto all'Ebraismo, da cui proviene la "Figlia di Sion". Inoltre, si è rivolto all'Islamismo, in cui Maria è venerata come santa Madre di Cristo.




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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  15. La mariologia post?conciliare ha dedicato rinnovata attenzione all'antropologia. I Sommi Pontefici hanno ripetutamente presentato Maria di Nazaret come l'espressione suprema della libertà umana nella cooperazione dell'uomo con Dio, che "nel sublime evento dell'incarnazione del Figlio, si è affidato al ministero, libero e attivo di una donna".(37) Dalla convergenza tra i dati della fede e i dati delle scienze antropologiche, allorché queste hanno rivolto la loro attenzione a Maria di Nazaret, è stato più lucidamente compreso che la Vergine è ad un tempo la più alta realizzazione storica del Vangelo (38) e la donna che, per la padronanza di sé, per il senso di responsabilità, l'apertura agli altri e lo spirito di servizio, per la fortezza e per l'amore, si è più compiutamente realizzata sul piano umano.

È stata avvertita, ad esempio, la necessità:
- di "avvicinare" la figura della Vergine agli uomini del nostro tempo, mettendo in luce la sua "immagine storica" di umile donna ebrea;
- di mostrare i valori umani di Maria, permanenti ed universali, in modo che il discorso su di lei illumini il discorso sull'uomo.
In questo ambito il tema "Maria e la donna" è stato più volte trattato; ma esso, suscettibile di molti tipi di approccio, è lungi dal potersi dire esaurito ed attende ulteriori sviluppi.
16. Nella mariologia post?conciliare ci sono stati, inoltre, temi nuovi o trattati da una nuova angolazione: il rapporto tra lo Spirito Santo e Maria; il problema dell'inculturazione della dottrina sulla Vergine e delle espressioni di pietà mariana; il valore della via pulchritudinis per inoltrarsi nella conoscenza di Maria e la capacità della Vergine di suscitare le più alte espressioni nel campo della letteratura e dell'arte; la scoperta del significato di Maria in rapporto ad alcune urgenze pastorali del nostro tempo (la cultura della vita, la scelta dei poveri, l'annuncio della Parola ... ); la rivalutazione della "dimensione mariana della vita dei discepoli del Cristo".(39)

L'Enciclica "Redemptoris Mater" di Giovanni Paolo II

17. Nella scia della Lumen gentium e dei documenti magisteriali del post?Concilio si colloca l'Enciclica Redemptoris Mater di Giovanni Paolo II, la quale conferma l'impostazione cristologica ed ecclesiologica della mariologia, necessaria perché essa riveli tutta la gamma dei suoi contenuti. Dopo aver approfondito, attraverso una prolungata meditazione sull'esclamazione di Elisabetta: "Beata colei che ha creduto" (Lc 1,45) i molteplici aspetti dell'"eroica fede" della Vergine, che egli considera "quasi una chiave che ci dischiude l'intima realtà di Maria",(40) il Santo Padre illustra la "presenza materna" della Vergine nel cammino della fede, secondo due linee di pensiero, una teologica, l'altra pastorale e spirituale:

- la Vergine, che fu attivamente presente nella vita della Chiesa - nel suo inizio (il mistero dell'Incarnazione), nel suo costituirsi (il mistero di Cana e della Croce) e nel suo manifestarsi (il mistero della Pentecoste) - è una "presenza operante" lungo tutta la sua storia, anzi è al "centro della Chiesa in cammino",(41) verso la quale svolge una molteplice funzione: di cooperazione alla nascita dei fedeli alla vita della grazia, di esemplarità nella sequela del Cristo, di "mediazione materna";(42)

- il gesto con cui il Cristo affidò il Discepolo alla Madre e la Madre al Discepolo (cfr. Gv 19, 25?27) ha determinato uno strettissimo rapporto tra Maria e la Chiesa. Per volontà del Signore una "nota mariana" segna la fisionomia della Chiesa, il suo cammino, la sua attività pastorale; e nella vita spirituale di ogni discepolo - rileva il Santo Padre - è insita una "dimensione mariana".(43) Nel suo insieme la Redemptoris Mater può essere considerata l'Enciclica della "presenza materna ed operante" di Maria nella vita della Chiesa:(44) nel suo cammino di fede, nel culto che essa rende al suo Signore, nella sua opera di evangelizzazione, nella sua progressiva configurazione al Cristo, nell'impegno ecumenico.

Il contributo della mariologia alla ricerca teologica

18. La storia della teologia attesta che la conoscenza del mistero della Vergine contribuisce ad una più profonda conoscenza del mistero del Cristo, della Chiesa e della vocazione dell'uomo.(45) D'altra parte, lo stretto vincolo della beata Vergine con il Cristo, con la Chiesa e con l'umanità fa sì che la verità sul Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo illumini la verità concernente Maria di Nazaret.

19. In Maria, infatti, "tutto è relativo a Cristo".(46) Ne consegue che "solo nel mistero del Cristo si chiarisce pienamente il suo mistero",(47) e che, quanto più la Chiesa approfondisce il mistero di Cristo tanto più comprende la singolare dignità della Madre del Signore e il suo ruolo nella storia della salvezza. Ma, in una certa misura, è vero anche il contrario: la Chiesa infatti, attraverso Maria, "testimone eccezionale del mistero di Cristo",(48) ha approfondito il mistero della kenosis del "Figlio di Dio" (Lc 3,38; cfr. Fil 2, 5?8) divenuto in Maria "Figlio di Adamo" (Lc 3,38), ha conosciuto con maggiore chiarezza le radici storiche del "Figlio di Davide" (cfr. Lc 1,32), il suo inserimento nel popolo Ebreo, la sua appartenenza al gruppo dei "poveri del Signore".

20. In Maria, inoltre, tutto - i privilegi, la missione, il destino - è intrinsecamente riferibile anche al mistero della Chiesa. Ne deriva che nella misura in cui si approfondisce il mistero della Chiesa risplende più nitidamente il mistero di Maria. E, a sua volta, la Chiesa, contemplando Maria, conosce le proprie origini, la sua intima natura, la sua missione di grazia, il destino di gloria, il cammino di fede che deve percorrere.(49)

21. In Maria, infine, tutto è riferibile all'uomo, di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Essa ha un valore universale e permanente. "Vera sorella nostra"(50) e "congiunta nella stirpe di Adamo con tutti gli uomini bisognosi di salvezza",(51) Maria non delude le attese dell'uomo contemporaneo. Per la sua condizione di "perfetta seguace di Cristo"(52) e di donna che si è realizzata completamente come persona, essa è una sorgente perenne di feconde ispirazioni di vita. Per i discepoli del Signore la Vergine è il grande simbolo dell'uomo che raggiunge le più intime aspirazioni della sua intelligenza, della sua volontà e del suo cuore, aprendosi per Cristo e nello Spirito alla trascendenza di Dio in filiale dedizione di amore e radicandosi nella storia in operoso servizio ai fratelli. Peraltro "all'uomo contemporaneo - scriveva Paolo VI - non di rado tormentato tra l'angoscia e la speranza, prostrato dal senso dei suoi limiti e assalito da aspirazioni senza confini, turbato nell'animo e diviso nel cuore, con la mente sospesa dall'enigma della morte, oppresso dalla solitudine mentre tende alla comunione, preda della nausea e della noia, la beata Vergine Maria, contemplata nella sua vicenda evangelica e nella realtà che già possiede nella città di Dio, offre una visione serena e una parola rassicurante: la vittoria della speranza sull'angoscia, della comunione sulla solitudine, della pace sul turbamento, della gioia e della bellezza sul tedio e la nausea, delle prospettive eterne su quelle temporali, della vita sulla morte".(53)

22. "Tra tutti i credenti Ella, Maria, è come uno "specchio" in cui si riflettono nel modo più profondo e più limpido 'le grandi opere di Dio' (At 2,11)",(54) che la teologia ha il compito, appunto, di illustrare. La dignità e l'importanza della mariologia derivano dunque dalla dignità e dall'importanza della cristologia, dal valore dell'ecclesiologia e della pneumatologia, dal significato dell'antropologia soprannaturale e dell'escatologia: con questi trattati la mariologia è strettamente connessa.




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  2. La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale

La ricerca mariologica

23. Dai dati esposti nella prima parte di questa Lettera risulta che la mariologia è oggi viva e impegnata in questioni rilevanti nel campo della dottrina e della pastorale. Pertanto, è necessario che essa, insieme con l'attenzione ai problemi pastorali via via emergenti, curi anzitutto il rigore della ricerca, condotta con criteri scientifici.

24. Anche per la mariologia vale la parola del Concilio: "La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla Parola di Dio scritta, insieme con la sacra Tradizione, e in quella vigorosamente si consolida e ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo".(55) Lo studio della sacra Scrittura deve essere dunque come l'anima della mariologia.(56)

25. Inoltre è imprescindibile per la ricerca mariologica lo studio della Tradizione poiché, come insegna il Vaticano II, "la sacra Tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della Parola di Dio affidato alla Chiesa".(57) Lo studio della Tradizione si rivela peraltro particolarmente fecondo per la qualità e la quantità del patrimonio mariano dei Padri della Chiesa e delle diverse Liturgie.

26. La ricerca sulla Scrittura e sulla Tradizione, condotta secondo le metodologie più feconde e con i più validi strumenti della critica, deve essere guidata dal Magistero, perché ad esso è stato affidato il deposito della Parola di Dio per la sua custodia e la sua autentica interpretazione;(58) e dovrà essere, all'occorrenza, confortata e integrata dalle acquisizioni più sicure dell'antropologia e delle scienze umane.

L'insegnamento della mariologia

27. Considerata l'importanza della figura della Vergine nella storia della salvezza e nella vita del popolo di Dio, e dopo le indicazioni del Vaticano II e dei Sommi Pontefici, sarebbe impensabile che oggi l'insegnamento della mariologia fosse trascurato: occorre, pertanto, dare ad esso il giusto posto nei seminari e nelle facoltà teologiche.

28. Tale insegnamento, consistente in una "trattazione sistematica" sarà:

1. organico, inserito, cioè, adeguatamente nel piano di studi del curricolo teologico;

2. completo, in modo che la persona della Vergine sia considerata nell'intera storia della salvezza, cioè nel suo rapporto con Dio; con Cristo, Verbo incarnato, salvatore e mediatore; con lo Spirito Santo, santificatore e datore di vita; con la Chiesa, sacramento di salvezza; con l'uomo - le sue origini e il suo sviluppo nella vita della grazia, il suo destino di gloria -;

3. rispondente ai vari tipi di istituzione (centri di cultura religiosa, seminari, facoltà teologiche ... ) e al livello degli studenti: futuri sacerdoti e docenti di mariologia, animatori della pietà mariana nelle diocesi, formatori di vita religiosa, catechisti, conferenzieri e quanti sono desiderosi di approfondire la conoscenza mariana.

29. Un insegnamento così impartito eviterà presentazioni unilaterali della figura e della missione di Maria, a detrimento della visione d'insieme del suo mistero, e costituirà uno stimolo per ricerche approfondite - attraverso seminari e l'elaborazione di tesi di licenza e di laurea - sulle fonti della Rivelazione e sui documenti del Magistero. Inoltre, i vari docenti, in una corretta e feconda visione interdisciplinare, potranno utilmente rilevare nello svolgimento del loro insegnamento gli eventuali riferimenti alla Vergine.

30. È necessario, quindi, che ogni centro di studi teologici - secondo la propria fisionomia - preveda nella Ratio studiorum l'insegnamento della mariologia in modo definito e con le caratteristiche sopra enunciate; e che, di conseguenza, i docenti di mariologia abbiano una preparazione adeguata.

31. A questo proposito è da rilevare che le Norme applicative della Costituzione apostolica Sapientia christiana prevedono la licenza e la laurea in teologia con specializzazione in mariologia.(59)

Il servizio della mariologia alla pastorale e alla pietà mariana

32. Come ogni disciplina teologica anche la mariologia offre un prezioso contributo alla pastorale. A questo proposito la Marialis cultus sottolinea che "la pietà verso la beata Vergine, subordinatamente alla pietà verso il divin Salvatore ed in connessione con essa, ha un grande valore pastorale e costituisce una forza innovatrice del costume cristiano".(60) Inoltre, essa è chiamata a dare il suo apporto nel vasto campo dell'evangelizzazione.(61)

33. La ricerca e l'insegnamento della mariologia, ed il suo servizio alla pastorale tendono alla promozione di un'autentica pietà mariana che deve caratterizzare la vita di ogni cristiano e particolarmente di coloro che si dedicano agli studi teologici e si preparano al Sacerdozio. La Congregazione per l'Educazione Cattolica intende attirare in special modo l'attenzione degli Educatori dei Seminari sulla necessità di suscitare un'autentica pietà mariana nei seminaristi, in coloro, cioè, che saranno un giorno i principali operatori della pastorale della Chiesa. Il Vaticano II, allorché tratta della necessità per i seminaristi di una approfondita vita spirituale, raccomanda che essi "con fiducia filiale amino e venerino la beatissima Vergine Maria che fu data come Madre da Gesù Cristo, morente in croce, al suo discepolo".(62) Da parte sua, questa Congregazione, in conformità del pensiero del Concilio, ha più volte sottolineato il valore della pietà mariana nella formazione de gl i alunni del seminario:

- nella Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis chiede al seminarista che "ami ardentemente, secondo lo spirito della Chiesa, la Vergine Maria, madre del Cristo, a lui associata in modo speciale nell'opera della redenzione";(63)

- nella "Lettera circolare su alcuni aspetti più urgenti della formazzone spirituale nei seminari" (6 gennaio 1980) osserva che "niente può, meglio della vera devozione alla Vergine Maria, concepita come uno sforzo sempre più completo di imitazione, introdurre nella gioia di credere",(64) così importante per chi dovrà fare della propria vita un continuo esercizio di fede.

Il Codice di Diritto Canonico, trattando della formazione dei candidati al Sacerdozio, raccomanda il culto della beata Vergine Maria, alimentato da quegli esercizi di pietà con cui gli alunni acquistano lo spirito di preghiera e consolidano la vocazione.(65) 



 




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  Conclusione

34. Con questa Lettera, la Congregazione per l'Educazione Cattolica vuole ribadire la necessità di fornire agli studenti di tutti i Centri di studi ecclesiastici e ai seminaristi una formazione mariologica integrale che abbracci lo studio, il culto e la vita. Essi dovranno:

1. acquisire una conoscenza completa ed esatta della dottrina della Chiesa sulla Vergine Maria, che consenta loro di discernere la vera dalla falsa devozione, e l'autentica dottrina delle sue deformazioni per eccesso o per difetto; e soprattutto che dischiuda ad essi la via per contemplare e comprendere la superna bellezza della gloriosa Madre del Cristo;

2. alimentare un amore autentico verso la Madre del Salvatore e Madre degli uomini, che si esprima in genuine forme di venerazione e si traduca in "imitazione delle sue virtù"(66) e soprattutto in un deciso impegno a vivere secondo i comandamenti di Dio e fare la sua volontà (cfr. Mt 7,21; Gv 15,14);

3. sviluppare la capacità di comunicare tale amore con la parola, gli scritti, la vita, al popolo cristiano, la cui pietà mariana è da promuovere e coltivare.

35. Infatti, da una formazione mariologica adeguata, in cui lo slancio della fede e l'impegno dello studio si compongono armonicamente, deriveranno numerosi vantaggi:
- sul piano intellettuale, perché la verità su Dio e sull'Uomo, sul Cristo e sulla Chiesa, viene approfondita ed esaltata dalla conoscenza della "verità su Maria";
- sul piano spirituale, perché tale formazione aiuta il cristiano ad accogliere e introdurre "in tutto lo spazio della propria vita interiore"(67) la Madre di Gesù;
- sul piano pastorale, perché la Madre del Signore sia fortemente sentita come una presenza di grazia dal popolo cristiano.

36. Lo studio della mariologia tende, come a sua ultima meta, all'acquisizione di una solida spiritualità mariana, aspetto essenziale della spiritualità cristiana. Nel suo cammino verso il raggiungimento della piena maturità del Cristo (cfr. Ef 4, 13), il discepolo del Signore, consapevole della missione che Dio ha affidato alla Vergine nella storia della salvezza e nella vita della Chiesa, la assume come "madre e maestra di vita spirituale":(68) con lei e come lei, nella luce dell'Incarnazione e della Pasqua, imprime alla propria esistenza un decisivo orientamento verso Dio per il Cristo nello Spirito, per vivere nella Chiesa la proposta radicale della Buona Novella e, in particolare, il comandamento dell'amore (cfr. Gv 15, 12).

Eminenze, Eccellenze, Reverendi Rettori dei Seminari, Reverendi Presidi e Decani delle Facoltà ecclesiastiche, vogliamo sperare che i brevi orientamenti sopra indicati abbiano la dovuta accoglienza presso i docenti e gli studenti, perché si possano ottenere i frutti auspicati.

Augurando sulle loro Persone l'abbondanza delle divine benedizioni, ci professiamo

devotissimi
WILLIAM Card W. BAUM
Prefetto

ANTONIO M. JAVIERRE ORTAS
Arciv. tit. di Meta
Segretario

Note

(1) SYNODUS EPISCOPORUM, Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi. Relatio finalis (Civitas Vaticana 1985) 1,2.
(2) Ibid, I, 5.
(3) Ibid., I, 6.
(4) IOANNES PAULUS PP. II, Lett. Enc. Redemptoris Mater (25 Martii 1987) 48: A.A.S. 79 (1987) 427.
(5) Cfr. Ibid., 1. 25.
(6) Missale Romanum, Prex Eucharistica I, Communicantes.
(7) Lumen gentium, 65.
(8) Ibid., 52.
(9) Cfr. Ibid., 53.
(10) Ibid., 56.
(11) Sacrosanctum Concilium, 103.
(12) Lumen gentium, 53.
(13) Cfr. Concilium Toletanum XI, 48: DENZINGER ? SCHÖNMETZER, Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum (Barcinone 1976) 536.
(14) Cfr. Lumen gentium, 57. 61.
(15) Ibid., 56.
(16) Ibid., 61. Cfr. ibid, 56. 58.
(17) Ibid., 58.
(18) Ibid., 56.
(19) Cfr. ibid., 53.
(20) Cfr. ibid., 52. 63. 65.
(21) Ibid., 59.
(22) Ibid., 53.
(23) PAULUS PP. VI, Allocutio tertia SS. Concilii periodo exacta (21 Novembris 1964): A.A.S. 56 (1964) 1014?1018.
(24) Cfr. ibid., 64.
(25) Cfr. ibid., 53. 63. 65.
(26) Cfr. ibid., 65.
(27) Cfr. Lumen gentium, 62.
(28) Cfr. Lumen gentium, 68.
(29) Sacrosanctum Concilium, 103.
(30) Lumen gentium, 68.
(31) Sei Congressi Mariologici Internazionali, organizzati dalla Pontificia Accademia Mariana Internazionale, tenutisi dal 1967 al 1987, hanno studiato sistematicamente le manifestazioni della pietà mariana dalle origini fino al XX secolo.
(32) PAULUS PP. VI, Adh. Ap. Marialis cultus (2 Februarii 1974) Intr.: A.A.S. 66 (1974) 114.
(33) Redernptoris Mater, 31.
(34) DIMITRIOS I, Omelia pronunziata il 7 dicembre 1987 durante la celebrazione dei Vespri a Santa Maria Maggiore (Roma): L'Osservatore Romano (7?8 Decembre 1987) 6.
(35) Ibid., 6.
(36) Per una formazione mariologica attenta al cammino ecumenico, preziose indicazioni sono offerte dal Direttorio ecumenico: SECRETARIATUS AD CHRISTIANORUM UNITATEM FOVENDAM, Spiritus Domini (16 Aprilis 1970) A.A.S. 62 (1970) 705?724.
(37) Redemptoris Mater, 46.
(38) Cfr. III CONFERENCIA GENERAL DEL EPISCOPATO LATINO?AMERICANO (Puebla 1979), La evangelización en el presente y en el futuro de America Latina (Bogotá 1979) 282.
(39) Redemptoris Mater, 45.
(40) Ibid., 19.
(41) Titolo della II parte dell'Enciclica Redemptoris Mater.
(42) Titolo della III parte dell'Encilcica Redemptoris Mater.
(43) Cfr. Redemptoris Mater, 45?46.
(44) Cfr. ibid., l. 254.
(45) Cfr. Lumen gentium, 65.
(46) Marialis cultus, 25.
(47) Redemptoris Mater, 4; cfr. ibid., 19.
(48) Ibid, 27.
(49) Cfr. Ibid., 2.
(50) Marialis cultus, 56.
(51) Lumen gentium, 53.
(52) Marialis cultus, 35.
(53) Ibid., 57.
(54) Redeinptoris Mater, 25.
(55) Dei verbum, 24.
(56) Cfr. ibid, 24; Optatam totius, 16.
(57) Dei verbum, 10.
(58) Cfr. Ibid., 10.
(59) Questa Congregazione ha constatato con compiacimento che non sono rare le dissertazioni per la licenza e la laurea in teologia che hanno come oggetto di ricerca un tema mariologico. Ma, persuasa dell'importanza di tali studi e volendo incrementarli, la Congregazione nel 1979 istituì la "licenza e la laurea in teologia con specializzazione in mariologia" [cfr.. IOANNES PAULUS PP. II, Const. Ap. Sapientia Christiana (15 Aprilis 1979) Appendix II ad art. 64 "Ordinationum", n. 12: A.A.S. 71 (1979) 520] che, attualmente, sono conseguibili presso la Pontificia Facoltà Teologica "Marianum" di Roma e presso l'International Marian Research Institute ? University of Dayton ? Ohio, U.S.A., incorporato al "Marianum".
(60) Marialis cultus, 57.
(61) Cfr. Sapientia Christiana, 3.
(62) Optatam totius, 8.
(63) CONGREGATIO PRO INSTITUTIONE CATHOLICA, Ratio fundamentalis Institutionis sacerdotalis (Romae 1985) 54 e.
(64) ID., Lettera circolare su alcunia spetti più urgenti della formazione spirituale nei seminari, II, 4.
(65) Cfr. Codex Iuris Canonici, can. 246 §3.
(66) Lumen gentium, 67.
(67) Redemptoris Mater, 45.
(68) Cfr. Marialis cultus, 21; Collectio missarum de b. Maria Virgine, form. 32.





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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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04/12/2013 13:13
 
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[SM=g1740733] La formazione dei cattolici per una autentica mariologia

Cari Amici, nel 1988, su espressa richiesta dell'allora Pontefice Giovanni Paolo II, la Congregazione per l'Educazione Cattolica divulgò un breve Documento di nove pagine, qui sopra riportate integralmente, nelle quali ha riassunto un eccellente excursus sulla mariologia nella Chiesa, il vero Culto a Maria e di come il Concilio Vaticano II abbia rilanciato l'attenzione verso questo tema così caro a tutta la Chiesa.

Noi abbiamo cercato di riepilogare ulteriormente il Documento cercando di concentrare, in piccole schede, in video ed audio, il cuore dell'insegnamento per una autentica devozione mariana.

it.gloria.tv/?media=535187

Buona meditazione a tutti.

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[SM=g1740717]


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Prima la croce, poi la Madre

Maria Vergine ha sofferto perché la sua scelta è stata quella del Figlio: il servizio nell'amore, il dono totale di sé per l'umanità.

Nonostante la pluriformità delle vie seguite nel corso dei secoli dai missionari e formatori del popolo di Dio, l'esperienza delle prime comunità cristiane non lascia dubbi circa la metodologia e il contenuto primario dell'annuncio evangelico. Il kerigma primitivo, infatti, contenuto dai discorsi di Pietro (At 2,14-39; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32; 10,34-46) e di Paolo (At 13,16-30; 17,22-31), non comincia a narrare la vita di Cristo, ma punta immediatamente sull'annuncio di Cristo morto e risorto. In questa prima fase non si nomina mai Maria.

La ragione di questo silenzio sulla Madre di Gesù è comprensibile: essa rientra nel più vasto silenzio circa l'intero arco della vicenda storica di Cristo perché il centro d'interesse per gli apostoli era l'annuncio del mistero pasquale. In seguito, quando si passa dall'evangelizzazione alla catechesi, si allarga la considerazione del mistero di Cristo, includendo in Paolo l'invio del Figlio di Dio nel mondo e in Matteo e Luca i Vangeli dell'infanzia in cui il discorso sulla Madre è inevitabile. Soprattutto in Luca e in Giovanni Maria emerge in tutta la sua personalità di donna inserita attivamente nella storia della salvezza.

Questo percorso della comunità primitiva è fondamentale e insostituibile, per la ragione che solo in Cristo è possibile comprendere la vocazione dell'uomo e quindi la posizione stessa di Maria nell'economia della salvezza. Non vale qui l'ordine cronologico per cui la madre precede il figlio, ma l'ordine assiologico che pone al sicuro ciò che è più alto nei valori salvifici, cioè Cristo, e solo dopo le altre realtà, tra cui Maria. Prima Cristo, quindi prima la croce nel suo mistero, poi Maria. Questo procedimento metodologico vale nella catechesi come nella vita spirituale. Ed è particolarmente bello convogliare i cuori dei fedeli verso il centro della fede e della predicazione che è Cristo e Cristo crocifisso. Ma ecco che proprio Cristo dall'alto della croce indica la Madre perché sia accolta come un prezioso bene da lui lasciata in eredità agli amati discepoli.

C. Crivelli, La Pietà (sec. XV), chiesa di san Domenico, Ascoli Piceno.

C. Crivelli, La Pietà (sec. XV), chiesa di san Domenico, Ascoli Piceno.

Il legame tra la croce e Maria. E tuttavia la priorità e centralità della croce non emargina la figura di Maria tanto sentita dal popolo. Infatti le tre principali interpretazioni della croce offerte dalla teologia contemporanea hanno rivelato che Maria è intimamente collegata con il mistero di Cristo crocifisso.

Se infatti la croce è la conseguenza della vita di Gesù servo di JHWH che si carica dei peccati del mondo e li espia nella sua passione, Maria è colei che partecipa alla sorte del Figlio con il cuore trafitto dalla spada annunciata da Simeone. Ella ci consola ogniqualvolta la nostra sequela di Cristo nel compiere il bene e nella proclamazione della verità implica incomprensione, persecuzione e dolore. Ci fa comprendere che queste croci sono conseguenze previste di singole scelte cristiane. Maria ha sofferto perché la sua scelta è stata quella del Figlio: il servizio nell'amore, il dono totale di sé per l'umanità. Perciò ella è totalmente dalla parte del Figlio e totalmente dalla parte del popolo messianico, che nella sua persona incarna e simboleggia. Ella ha vissuto profondamente il dramma del popolo lacerato e diviso dal suo Messia. Come persona umana, donna e madre, il suo cuore è stato trafitto dalla spina dolorosa del rifiuto di una parte di Israele.

G. Gelfi, Le nozze di Cana (1994), chiesa parrocchiale del Cristo Re, Saiano (Brescia).

Codice De Predis (1476), La deposizione, minatura, Biblioteca reale, Torino (foto LORES RIVA).

Se, inoltre, la croce assume significato e valore salvifico definitivo dal fatto della risurrezione, con cui il Padre nello Spirito risponde all'obbedienza d'amore del Figlio, Maria è costituita da Cristo madre della vita nuova dei discepoli. Nello schema dell'abbassamentoesaltazione si comprende come alla fase della kenosi, tanto per Cristo che per Maria e per noi, debba seguire la fase dell'innalzamento o glorificazione.

Tradotta in termini antropologici attuali, l'esaltazione indica influsso salvifico sul popolo di Dio. Ciò significa che Maria diviene in Cristo risorto uno spirito vivificante; in altre parole consone alla sua femminilità, ella esercita la sua missione di madre spirituale dei discepoli. Qui si apre il discorso sulle qualità del corpo glorioso di Maria, sganciato dalle leggi spazio-temporali, e quindi presente nel luogo in modo non locale e circoscrittivo, che consentono l'effusione della grazia al di là dei limiti del tempo e dello spazio.

Se, infine, la croce si spiega nell'orizzonte trinitario in quanto rivela l'abbandono e il dolore del Padre che consegna il Figlio per amore dei figli peccatori e lontani, Maria è icona umana della Trinità. L'Addolorata non rappresenta l'«abbandono » del Padre, in qualsiasi senso si voglia interpretare, perché lei è là presso la croce insieme alle donne e al discepolo, per stringersi al frutto delle sue viscere e al suo Salvatore, mentre tutti gli altri sono fuggiti.

Ella è invece immagine della compassione del Padre, segno visibile dell'interiore gemito dello Spirito, riflesso materno del martirio del Figlio. Quale altra espressione del «dolore» trinitario possiamo trovare, all'infuori della passione di Cristo, se non l'angoscia profonda dell'anima di Maria trafitta dalla spada? Non per nulla l'arte cristiana dei vari secoli ha interscambiato nella raffigurazione della Pietà il Padre e la Madre: rappresentando il Padre che accoglie in grembo Gesù morto, essa ha esplicitato il simbolismo contenuto nel fatto storico- salvifico del pianto di Maria sul Figlio deposto dalla croce. Anche sul Calvario Maria è luogo trinitario perché in lei agisce e si rivela Dio unitrino..

Interpellanze di Maria presso la croce. La teologia della croce è una teoria critico- liberante di Dio e dell'uomo, perché mostra il volto di Dio amore e contesta l'ingiustizia umana. Presso la croce Maria diviene "modello antropologico" in quanto illumina la vocazione dell'uomo. Mediante il suo composto dolore, illuminato dalla luce della risurrezione, l'Addolorata riscatta il cordoglio umano dalle opposte deviazioni e lo rende cristiano. La sua immagine svolge una funzione pedagogica in quanto rappresenta la donna forte che come quercia non si lascia abbattere dal dolore per quanto atroce sia, ma lo trasforma in spazio salvifico.

Ma la sua sofferenza diventa interrogazione alla società e alla storia. Dinanzi a Cristo crocifisso e alla Vergine addolorata, l'uomo che da sempre si erge a giudice di Dio diviene lui stesso imputato. Lo ricorda Giovanni Paolo II: «L'eloquenza definitiva del Venerdì santo è la seguente: uomo, tu che giudichi Dio, che gli ordini di giustificarsi davanti al tuo tribunale, pensa a te stesso, se non sia tu il responsabile della morte di questo condannato, se il giudizio su Dio non sia in realtà giudizio su te stesso. Rifletti se questo giudizio e il suo esito – la croce e poi la risurrezione – non rimangano per te l'unica via per la salvezza» (Giovanni Paolo II-V. Messori, Varcare la soglia della speranza, Mondadori 2004, pp. 257, L 10,00).

Maria ai piedi della croce diviene interpellanza materna agli uomini irretiti nelle vie del male fino a trasformarsi in carnefici dei propri simili, perché si liberino dai cerchi diabolici e non si rendano responsabili di altre crocifissioni. La pietà popolare vive il Venerdì santo nella prospettiva della mistica della croce, ma valorizzando la presenza della Madre.

Giuseppe Daminelli
dal mensile Madre di Dio aprile 2011




  

Maria e i sacerdoti

La Madre di Dio, quale "Virgo sacerdos"? «La Madonna non è prete e l'espressione è da prendersi in senso molto metaforico».

Prima del Vaticano II qualcuno amava sottolineare e dotare di motivazioni teologiche il titolo Virgo sacerdos, coniato nel 1706 in un inno alla Vergine per la festa liturgica della Presentazione di Maria bambina al Tempio dal giovane diacono della Diocesi di Rouen, Urbain Rubinet della Compagnia di San Sulpizio, che vedeva nella Vergine colei che guida i presbiteri nella loro oblazione; le ultime parole dell'inno suonano così: «Dux est Virgo sacerdos. Fas sit quo properat sequi».

Il titolo, la teologia, la devozione e l'iconografia della Virgo sacerdos si propagarono progressivamente a vista d'occhio anche per opera della beata Marie Deluil-Martiny (+1884), che contribuì alla riscoperta della partecipazione al sacerdozio di Cristo d'ogni fedele battezzato e, nel medesimo tempo, della singolarità della Vergine nel corpo sacerdotale di Gesù.

A tal riguardo Giuseppe Lanzetta nel 2006 così scrive nella sua documentata tesi di laurea sulla Virgo sacerdos: «La data a cui risale la sua scoperta del sacerdozio di Maria è il 25 dicembre 1868. Proprio nella notte di quel Natale, la Madre – come annota nel suo Diario spirituale – intuì il ruolo privilegiato ed essenziale della Madre di Dio nella vita di Cristo. La sua partecipazione al sacerdozio del Figlio inizia al momento dell'incarnazione e si protrae lungo tutta la sua vita […]. Lo slancio mistico del Natale farà prendere in prestito a Madre Deluil-Martiny l'espressione Virgo sacerdos coniata dal Rubinet […]. L'ardente protagonista della prima fondazione di Madre Deluil-Martiny a Berchem fu mons. Oswald Van den Berghe. Questi, sedotto dalle profonde intuizioni della Madre di Marsiglia, volle scrivere un libro in cui spiegare in modo teologico la nuova dottrina sacerdotale e favorirne la diffusione. Il libro venne alla luce nel 1872 con il titolo Marie et le sacerdoce».

Sappiamo che Van den Berghe pubblicò una seconda edizione del suo volume avvalendosi nel 1875 anche dell'autorevole Breve di approvazione di Pio IX (1846-1878), emanato il 25 agosto 1873; il Pontefice probabilmente non fu avvisato che il titolo innico Virgo sacerdos sarebbe poi stato propagato in francese con l'ancor più controversa espressione di Vierge-Prêtre.

Papa Leone XIII (1878-1903), seppur con titubanza e riluttanza, approvò il titolo inserito nelle Costituzioni delle Figlie del Cuore di Gesù, a titolo provvisorio nel 1897 e a titolo definitivo nel 1902; dopo tali approvazioni si sentirà l'esigenza di raffigurare iconograficamente il sacerdozio oblativo della Vergine, prendendo a modello una delle icone romane più antiche raffigurante la Madre di Cristo orante con le braccia allargate e lo sguardo rivolto verso il cielo, il «cui unico elemento che poteva indurre in equivoco era rappresentato da una dalmatica che copriva fino alle ginocchia la sua tunica bianca».

Pio X con il card. Rafael Merry del Val. (foto EDIZIONI SAN PAOLO).

Pio X con il card. Rafael Merry del Val. (foto EDIZIONI SAN PAOLO).

Pio X (1903-1914) dinanzi alla richiesta delle suore di invocare nelle proprie chiese la Vergine sotto il titolo di Virgo sacerdos, dopo essersi più volte consultato con i suoi collaboratori, l'approva concedendone anche 300 giorni di indulgenza: nella prece piena di invocazioni si asseriva, tra l'altro, che Maria, «dispensatrice dei tesori del Figlio suo, madre di Cristo sommo sacerdote », poteva essere pregata affinché intercedesse per i suoi figli e per tutti i sacerdoti, affinché il Cristo si degni di purificarli e di ammetterli al sacro Convito, «lei che è sacerdos pariter et altare»; ormai il titolo godeva sempre più di accoglienza da parte dei fedeli; ma il Sant'Uffizio con decreto del 1913 (ma reso noto solo nel 1916), ancora vivente Papa Sarto, disapprovò l'iconografia della Virgo sacerdos proibendone l'effige che fu modificata drasticamente senza più far apparire abiti sacerdotali.

A motivo di un articolo apparso nel febbraio 1927 sul periodico della Diocesi di Rovigo Palestra del Clero, che fomentava la devozione alla Virgo sacerdos, il segretario di Stato di Pio X, poi divenuto con Pio XI (1922-1938) segretario della Congregazione del Sant'Uffizio, il card. Rafael Merry del Val (+1930), intervenne presso il Vescovo del luogo riprovando lo studio e ricordando che tale devozione, non essendo stata approvata dal decreto del 1916, non si poteva più propagare.

Arrivati a tal punto, sarà bene dare la parola a Lanzetta: «Il Sant'Uffizio, intervenendo in tal modo sulla questione della Virgo sacerdos – di cui se n'era fatto promotore nella versione francese anche il padre Édouard Hugon dell'Ordine dei Predicatori nel suo La Vierge-Prêtre. Examen théologique d'un titre et d'une doctrine, Pierre Téqui 1911 – chiaramente mette in evidenza le difficoltà correlate al titolo che, mentre nel suo originale latino appare inoppugnabile, nella sua traduzione francese darebbe adito ad interpretazioni piuttosto ambigue. Un'ultima vicenda, correlata al problema in esame, risale ancora al tempo di Pio XI il quale, in una comunicazione privata al pére Frey, superiore del Seminario francese, esprimeva la posizione magisteriale sul problema della Vierge-Prêtre,originatosi d'altronde nel milieux français. "Maria – dirà il Pontefice – non è prete e l'espressione Virgo sacerdos è da prendersi in un senso molto metaforico".

Un ritratto di Pio IX (foto UBALDI).

Un ritratto di Pio IX (foto UBALDI).

Il prete ha dei poteri che lei non ha mai avuto». Nel 1958 si celebrò a Lourdes il terzo Congresso mariologico-mariano dal titolo Maria et Ecclesia, in cui venne affrontato anche il tema del sacerdozio di Maria a partire dai documenti del magistero ecclesiale e dalla presentazione del pensiero di teologi del passato; a Lourdes si proposero anche diversi studi in cui si cercò di raccogliere quanto si era andato ad approfondire fino a quel tempo sulla Virgo sacerdos. Il Congresso lourdiano, in cui già si riverberavano gli aneliti al rinnovamento della mariologia fatti propri dal Concilio Vaticano II, sarà l'ultima grande occasione data alla giustificazione, riproposizione ed approfondimento del tema teologico di Maria, virgo sacerdos.

Salvatore M. Perrella, osm


 
   

 

[Modificato da Caterina63 20/12/2013 09:04]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Per non dimenticare Maria

Una lettura acuta e sistematiica del pensiiero del card. Joseph Ratzinger,, come espresso in alcuni suoi scritti.

Con visione sintetica, il card. Joseph Ratzinger, intervistato dal giornalista Vittorio Messori nel 1985, elenca «sei motivi per non dimenticare Maria», che a loro volta presuppongono una funzione essenzialmente unitiva e comunionale della Vergine in rapporto ai misteri della fede, alla Bibbia e alla Tradizione, all'Antico e al Nuovo Testamento, alla ragione e al cuore, all'uomo e alla donna.

Primo punto: riconoscere a Maria il posto che il dogma e la Tradizione le assegnano significa stare saldamente radicati nella cristologia autentica (Vaticano II: «La Chiesa, pensando a lei con pietà filiale e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, con venerazione penetra più profondamente nell'altissimo mistero dell'incarnazione e si va sempre più conformando con il suo Sposo », Lumen gentium, 65).

È del resto al servizio diretto della fede nel Cristo – non dunque, innanzitutto, per devozione alla Madre – che la Chiesa ha proclamato i suoi dogmi mariani: prima la verginità perpetua e la maternità divina e poi, dopo una lunga maturazione e riflessione, il concepimento senza la macchia del peccato originale e l'assunzione al cielo. Questi dogmi mettono al riparo la fede autentica nel Cristo, come vero Dio e vero uomo: due nature in una sola persona.

Mettono al riparo anche l'indispensabile tensione escatologica, indicando in Maria assunta il destino immortale che tutti ci attende. E mettono al riparo pure la fede, oggi minacciata, in Dio creatore che (è tra l'altro uno dei significati della più che mai incompresa verità sulla verginità perpetua di Maria) può liberamente intervenire anche sulla materia. Insomma, come ricorda anche il Concilio, «Maria, per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i massimi dati della fede» (Lumen gentium, 65).

il card. Joseph Ratzinger a colloquio con Vittorio Messori (da sinistra), Beppe Del Colle, editorialista di Famiglia Cristiana, e don Leonardo Zega, direttore del settimanale paolino. Siamo negli anni '80 (foto TAGLIABUE).

Il card. Joseph Ratzinger a colloquio con Vittorio Messori (da sinistra), Beppe Del Colle, editorialista di Famiglia Cristiana, e don Leonardo Zega, direttore del settimanale paolino. Siamo negli anni '80 (foto TAGLIABUE).

La Parola e la Tradizione. A questo primo punto di ordine essenzialmente cristologico, che pone Maria in connessione con l'autentica fede in Cristo vero uomo e vero Dio, sicché diviene la pietra di paragone dell'ortodossia, Ratzinger ne fa seguire un secondo. Questo consiste nel saldare Parola di Dio e Tradizione ecclesiale, in quanto la figura della Vergine Madre nel suo approfondimento lungo i secoli concentra i dati biblici e il progresso nella conoscenza del mistero operata nella Chiesa.

Secondo punto: la mariologia della Chiesa suppone il giusto rapporto, la necessaria integrazione tra Bibbia e Tradizione. I quattro dogmi mariani hanno la loro base indispensabile nella Scrittura. Ma qui vi è come un germe che cresce e dà frutto nella vita calda della Tradizione così come si esprime nella liturgia, nell'intuizione del popolo credente, nella riflessione della teologia guidata dal Magistero.

Ignoto, Assunzione, miniatura del Corale B (sec. XIV), Biblioteca civica, Montepulciano (Siena, foto BONOTTO).

Ignoto, Assunzione, miniatura del Corale B (sec. XIV), Biblioteca civica, Montepulciano (Siena, foto BONOTTO).

Il terzo punto riguarda la posizione mediana ed unificante della Vergine di Nazaret, che viene storicamente a trovarsi nel crinale dove converge il moto ascensionale del popolo d'Israele e da dove parte il movimento cristiano che si diffonde nel mondo mediante l'opera evangelizzatrice della Chiesa.

Terzo punto: nella sua persona di fanciulla ebrea divenuta madre del Messia, Maria lega insieme in modo vitale e inestricabile antico e nuovo popolo di Dio, Israele e cristianesimo, Sinagoga e Chiesa. È come il punto di giunzione senza il quale la fede (come oggi succede), rischia di sbilanciarsi o sull'Antico Testamento o soltanto sul Nuovo. In lei possiamo invece vivere la sintesi della Scrittura intera.

Ratzinger scorge in Maria il «resto santo» del popolo d'Israele che si tramuta in germe del popolo cristiano. Egli vi giunge per via tipologica: «L'identificazione tipologica dell'Immacolata si ha nella teologia biblico-patristica della Ecclesia immaculata (Ef 5,27 e corrispondenti sviluppi dei Padri). La dottrina dell'Immacolata, al pari di tutta la mariologia successiva, è qui anticipata in primo luogo come ecclesiologia.

L'immagine della Chiesa verginemadre è stata riferita a Maria secondariamente, non viceversa. Ora, se il dogma dell'Immacolata applica a Maria le affermazioni che appartengono anzitutto all'antitetica vecchio-nuovo Israele e se esse sono, in questo senso, un'ecclesiologia sviluppata tipologicamente, ciò significa conseguentemente che Maria viene presentata come l'inizio e la concretezza personale della Chiesa».

Della Robbia (scuola), Assunzione (sec. XVI), Ospedale del Ceppo, Pistoia., foto BONOTTO).

Della Robbia (scuola), Assunzione (sec. XVI), Ospedale del Ceppo, Pistoia., foto BONOTTO).

La vera devozione. La funzione unitiva della Vergine si manifesta nella devozione del popolo di Dio verso di lei: essa collega insieme ragione e sentimento, razionalità e affetto, preservando o liberando il cristianesimo dagli scogli dell'intellettualismo e del sentimentalismo, ambedue sterili.

Quarto punto: la corretta devozione mariana garantisce alla fede la convivenza dell'indispensabile «ragione» con le altrettanto indispensabili «ragioni del cuore», come direbbe Pascal. Per la Chiesa l'uomo non è solo ragione né solo sentimento, è l'unione di queste due dimensioni. La testa deve riflettere con lucidità, ma il cuore deve essere riscaldato: la devozione a Maria («esente da qualunque falsa esagerazione, ma anche da una grettezza di mente che non consideri la singolare dignità della Madre di Dio», come raccomanda il Concilio), assicura alla fede la sua dimensione umana completa.

Alle motivazioni fin qui addotte, Ratzinger ne aggiunge una particolarmente attuale, quasi eco di analogo pensiero del suo collega Hans Urs von Balthasar.

«Allorché il mistero della marianità della Chiesa viene oscurato o sacrificato, il cristianesimo diventa inevitabilmente unisessuale (omosessuale), cioè pan-maschile [...]. Queste trovate tipicamente maschili e astratte non predominano forse perché la femminilità profonda, la marianità della Chiesa è andata smarrita? Senza la mariologia, il cristianesimo minaccia di disumanizzarsi inavvertitamente. La Chiesa diventa funzionalistica, senz'anima, una fabbrica febbrile incapace di sosta, dispersa in rumorosi progetti. E poiché in questo mondo dominato da uomini succedono in continuazione nuove ideologie che si soppiantano a vicenda, tutto diventa polemico, critico, aspro, piatto e infine noioso, mentre la gente si allontana in massa da una Chiesa di questo genere».

Maria contribuisce efficacemente con la sua femminilità e maternità a umanizzare il volto della Chiesa, impedendole di cadere nella burocrazia, nel formalismo astratto e nel legalismo della lettera che uccide.

Quinto punto: per usare le espressioni stesse del Vaticano II, Maria è «figura», «immagine», «modello» della Chiesa. Allora, guardando a lei, la Chiesa è messa al riparo da quel modello maschilista di cui parlavo che la vede come strumento di un programma d'azione socio-politico.

In Maria, sua figura e modello, la Chiesa ritrova il suo volto di Madre, non può degenerare in una involuzione che la trasformi in un partito, in un'organizzazione, in un gruppo di pressione a servizio di interessi umani, anche se nobilissimi.

Se in certe teologie ed ecclesiologie Maria non trova più posto, la ragione è semplice: hanno ridotto la fede ad una astrazione. E un'astrazione non ha bisogno di una madre.

Della Robbia (scuola), Assunzione (sec. XVI), Ospedale del Ceppo, Pistoia., foto BONOTTO).

G. Vasari-C. Ghirardi, La Devozione (1554), chiesa inferiore del Gesù, Cortona (Arezzo, foto BONOTTO).

Un destino altissimo. 

Il sesto ed ultimo motivo per non dimenticare Maria nel nostro tempo è la sua esemplarità per tutti e in special modo per le donne. Ella illumina il loro cammino rimandando alla vocazione e al mistero provenienti da Dio; nello stesso tempo offre l'esempio di una sintesi tra interiorità e annuncio evangelico, consacrazione e missione, coraggio e disponibilità. Sesto punto: con il suo destino, che è insieme di vergine e di madre, Maria continua a proiettare luce su ciò che il Creatore ha inteso per la donna di ogni tempo, il nostro compreso. Anzi, forse soprattutto il nostro, dove – come sappiamo – è minacciata l'essenza stessa della femminilità.
La sua verginità e la sua maternità radicano il mistero della donna in un destino altissimo da cui non può essere scardinata. Maria è l'intrepida annunciatrice del Magnificat; ma è anche colei che rende fecondi il silenzio e il nascondimento. È colei che non teme di stare sotto la croce, che è presente alla nascita della Chiesa; ma è anche colei che, come sottolinea più volte l'Evangelista, «serba e medita nel suo cuore» ciò che le avviene attorno. Creatura del coraggio e dell'obbedienza è (ancora e sempre) un esempio al quale ogni cristiano – uomo e donna – può, deve guardare. La conclusione è ovvia: condannare all'oblio una persona così significativa nella storia dell'umanità come Maria non è arricchirsi, ma impoverirsi spiritualmente, privandosi di una donna che ha dato una svolta positiva e una giusta direzione al cammino umano e quindi è divenuta un paradigma insostituibile per la rivelazione di Dio e per la maturità dei discepoli di Cristo.

 

Stefano De Fioresda
Madre di Dio aprile 2011



Celebrando il Signore lodiamo Maria

  di SERGIO GASPARI, smm


«Il profumo mariano dell'Eucaristia»

Giovedì santo: la continuità salvifica tra "il Corpo dato per noi" e "il Corpo nato dalla Vergine".

La sera del Giovedì santo, nell'invitare i fedeli a sostare in adorazione (fino a mezzanotte) del Santissimo Sacramento, è bene esortarli pure a respirare «il profumo mariano dell'Eucaristia», a contemplare cioè la continuità salvifica tra «il Corpo dato per noi» e «il Corpo nato dalla Vergine». L'Eucaristia richiama l'Annunciazione a Nazaret, ripresenta il Natale di Gesù a Betlemme, ritualizza il sacrificio pasquale della nuova ed eterna alleanza.

Roma, 15.6.2006, Basilica di San Giovanni in Laterano: Benedetto XVI celebra la Messa del Corpus Domini (foto A. GIULIANI).

Roma, 15.6.2006, Basilica di San Giovanni in Laterano: Benedetto XVI celebra la Messa del Corpus Domini (foto A. GIULIANI).

1Maria-Pasqua-Eucaristia. «L'antichità cristiana – osserva Benedetto XVI – designava con le stesse parole Corpus Christi il Corpo di Cristo nato dalla Vergine Maria, il Corpo eucaristico e il Corpo ecclesiale di Cristo» (Sacramentum caritatis, 15). Infatti sant'Ambrogio di Milano (+397), parlando del miracolo dell'Eucaristia che rende presente Cristo nella celebrazione, affermava: «Quello che noi ripresentiamo è il Corpo nato dalla Vergine » (De Mysteriis, 53). Testo così ripreso da san Tommaso d'Aquino (+1274): «Ciò che noi consacriamo è il Corpo nato dalla Vergine» (S. Th. III, q. 75, a. 4).

«Caro Christi, Caro Mariae», esclamerà Ambrogio Auperto (+781): nella Caro Christi, "Carne di Cristo", la fede della Chiesa rivede la Caro Mariae, "Carne di Maria". Senza dubbio il riferimento alla Vergine è garante della retta fede nella presenza reale di Gesù nell'Eucaristia. Quando Berengario(+1088) propose un'interpretazione simbolica dell'Eucaristia, svuotando il realismo del Corpo di Cristo, il Concilio romano del 1079 gli impose di sottoscrivere che il pane e il vino dopo la consacrazione sono «il vero Corpo di Cristo che è nato dalla Vergine» (DS 700). Ma Ratrammo di Corbie (+875) aveva già reagito alla totale identificazione tra corpo storico e corpo sacramentale, osservando la «non piccola differenza tra il corpo che esiste nel mistero e il corpo che ha patito, fu sepolto ed è risorto».

Il corpo storico «è la vera carne di Cristo», mentre il corpo del mistero «è il sacramento della sua carne»; inoltre questo «rappresenta la memoria della passione e morte del Signore» e ingloba tutti i fedeli che formano un solo corpo con lui. Riferendosi alla dimensione pasquale, Giovanni Paolo II nel 2003 precisava: «L'Eucaristia, mentre rinvia alla passione e alla risurrezione, si pone al tempo stesso in continuità con l'incarnazione » (Ecclesia de Eucharistia, 55).

Nella bolla Incarnationis mysterium (1998) il Pontefice aveva puntualizzato: «Da duemila anni, la Chiesa è la culla in cui Maria depone Gesù e lo affida all'adorazione e alla contemplazione di tutti i popoli... Nel segno del Pane e del Vino consacrati, Cristo Gesù risorto e glorificato... rivela la continuità della sua incarnazione» (n. 11).

Il 5.6.1983 Giovanni Paolo II predicava: «Quel Corpo e quel Sangue divino... conserva la sua originaria matrice da Maria... Ogni Messa ci pone in comunione intima con lei, la Madre, il cui sacrificio "ritorna presente", come "ritorna presente" il sacrificio del Figlio». E continuava: «Pane fragrante che porta ancora in sé il sapore e il profumo della Vergine Maria». Nell'enciclica Redemptoris Mater (1987) ribadiva: la maternità divina «è particolarmente avvertita e vissuta » nell'Eucaristia, dove «si fa presente Cristo, il suo vero corpo nato da Maria Vergine» (n. 44).

Roma, 22.2.2000: Giubileo della Curia romana. Celebrazione eucaristica in San Pietro presieduta da Giovanni Paolo II (GIULIANI).

Roma, 22.2.2000: Giubileo della Curia romana. Celebrazione eucaristica in San Pietro presieduta da Giovanni Paolo II (GIULIANI).

2. Sguardo alla tradizione della Chiesa. Come in una polifonia sinfonica Padri, tradizione, riti liturgici, arte e fede popolare si intrecciano armonicamente nel rilevare il nesso Eucaristia-Maria, che ruota attorno a tre cerchi concentrici: Corpo di Cristo nato da Maria, dimensione pasquale dell'Eucaristia corpo sacramentale.

Sant'Ireneo di Lione (ca. +202) afferma che se non si ammette che Cristo è vero uomo nato dalla Vergine, allora «neppure il calice dell'Eucaristia è la comunione con il suo sangue, né il pane che noi spezziamo è la comunione con il suo corpo».

Sant'Efrem Siro (+373) parla del «sacramento di quel corpo unico che (il Signore) prese da Maria», e aggiunge: «Maria ci ha dato il pane che conforta, al posto del pane che affatica datoci da Eva». Rivolgendosi al Cenacolo, Efrem esclama: «Benedetto il luogo, dove fu spezzato quel pane (proveniente) dal venerato covone (Maria). In te fu spremuto il grappolo (proveniente) da Maria, il calice della redenzione».

Ambrogio Auperto (+781) nella festa della Presentazione di Cristo al Tempio predica: il gesto della Madre che offre il Figlio profetizza misticamente l'azione sacramentale della Chiesa anch'essa offerente di Cristo.

Pascasio Radberto (ca. +865) identifica il Corpo eucaristico di Cristo con il Corpo storico avuto da Maria, quando afferma: Idem Corpus quod natum ex Virgine.

Per san Pier Damiani (+1072) il Corpo di Cristo che noi riceviamo nella Comunione eucaristica è il medesimo Corpo che Maria ha concepito, partorito, nutrito e allevato con materna sollecitudine. E conclude: «Eva ha mangiato un cibo a causa del quale ci ha condannati alla fame dell'eterno digiuno; al contrario, Maria ha confezionato un cibo che ci ha spalancato l'ingresso al convito del cielo».

Per san Bernardo di Chiaravalle (+1153) la Madre è unita al Figlio in un'unica offerta: ella sta presso la croce per presentare «la vittima santa, a Dio gradita». E in una mirabile espressione, estasiato dichiara alla Vergine: Filius tecum, qui ad condendum in te mirabile sacramentum, "Il Figlio è con te, per preparare in te il mirabile sacramento".

Arnaldo di Bonneval o di Chartres (+ dopo il 1156), biografo di san Bernardo, afferma: «Unica è la carne di Maria e quella di Cristo, unico è lo Spirito, unica la carità». E aggiunge: fin dalla Presentazione di Gesù al Tempio, si profilano due offerenti: Unum olocaustum ambo (Christus et Maria) pariter offerebant, "Nello stesso tempo ambedue (Cristo e Maria) offrivano un unico olocausto".

Isacco della Stella (ca. +1169), discepolo di san Bernardo, parla di novus Sacerdos, non vetus Melchisedech, neque natus caro de carne... sed novus Iesus natus de Spiritu, cioè l'Eucaristia richiama il mistero nuovo: nuovo annuncio alla Figlia di Sion, nuova maternità, nuova nascita di Cristo, nuovo ed eterno sacerdote.

Nell'Ufficio della primitiva festa del Corpus Domini, composto nel 1246, si afferma che questa vera carne che noi mangiamo è la stessa che Gesù ha preso dalla Vergine.

San Bonaventura (+1274) spiega: siccome il Corpo di Cristo nell'incarnazione ci è stato dato per mezzo di Maria, anche la nostra offerta e Comunione eucaristica devono realizzarsi tramite le mani di lei. Nel sec. XIV viene composta l'antifona Ave, verum Corpus, natum de Maria Virgine, che attraversa i secoli.

Santa Caterina da Siena (+1380) descrive la Vergine «terra fruttifera e germinatrice del fructo» e colei che nell'incarnazione del Verbo dà la «farina sua». Nel Pane eucaristico, frutto sacramentale dell'offerta pasquale di Cristo, la Chiesa riscontra la "farina", l'offerta olocaustica della Madre.

Il francese Giovanni di Gersone (+1429) chiama Maria madre dell'Eucaristia: «Tu sei la Madre dell'Eucaristia, perché ...tu più di tutti gli altri, dopo il Figlio, eri cosciente del sacramento nascosto ai secoli».

La Scuola francese di spiritualità del 1600-700 accentua la continuità tra la maternità di Maria e il ministero del sacerdote.

San Giovanni Eudes (+1680) vede nel sacerdote l'immagine della Vergine Madre, perché per mezzo di entrambi il Cristo è formato, è dato ai fedeli, è offerto in olocausto a Dio.

Sant'Alfonso Maria de' Liguori (+1787) è l'autore del libretto Visite al Santissimo Sacramento e a Maria Santissima.

San Giovanni Bosco (+1888) raccomandava la devozione a Gesù sacramentato e a Maria. Nel suo famoso "sogno delle due Colonne", che sono appunto l'Eucaristia e la devozione alla Vergine Santa, ribadisce la centralità non di due culti separati, ma indivisibili: la Madre conduce la Chiesa, nei figli pellegrinanti, al porto sicuro che è Cristo suo Figlio.

Leone XIII (+1903) parlava dell'Eucaristia come il prolungamento sacramentale dell'incarnazione storica del Signore dalla Vergine.

San Pio X (+1914) chiamava Lourdes «il più glorioso Santuario eucaristico» per rafforzare l'idea che ogni santuario mariano ha il suo centro unico nell'Eucaristia.

Secondo I.A. Schuster (+1954), l'Eucaristia ci "imparenta" con la Madre del Signore. Quando facciamo la Comunione ella «riconosce in noi qualche cosa che è sua e che le appartiene».

Pio XII (+1958) affermava: Maria non ha altro desiderio che di introdurre gli uomini «nel cuore del mistero della redenzione che è l'Eucaristia».

Lo scrittore ateo J.P. Sartre (+1980) fa dire alla Vergine che contempla Gesù bambino: «Questa carne divina è la mia carne... È Dio e mi assomiglia».

Benedetto XVI, domenica 9.9.2007 all'Angelus, puntualizzava: «Come Maria portò Gesù nel suo grembo e gli diede un corpo perché potesse entrare nel mondo, anche noi accogliamo Cristo nel Pane spezzato. E rendiamo il nostro corpo lo strumento dell'amore di Dio».

Sergio Gaspari, smm




 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/12/2013 09:35
 
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  Un nuovo modo di essere

«Ho trovato il mio Cielo sulla terra, perché il Cielo è Dio e Dio è nell'anima mia» (beata Elisabetta della Trinità).

Chissà quanti sono i devoti della Madonna delle grazie! Diciamo che sono certamente tantissimi. «Maria, fammi la grazia di incontrare un bravo giovane». «Che la mia famiglia non si disgreghi». «La grazia di star promosso». «Che mio figlio non prenda una cattiva strada». «Fammi capire la mia vocazione ». «Fa' che riesca bene l'operazione alla mamma». «Fammi vittorioso nella mia purezza ». «Fammi uscire da questa balorda abitudine ». «Dammi un po' di salute». Ecc., ecc.

Ecco, sono alcune delle tantissime grazie per cui ci rivolgiamo alla Madonna delle grazie. Magari accendendo una candela. O con un mazzo di fiori. O facendo quella promessa o quel voto. Certo, sono tutte cose buone quelle che chiediamo. E facciamo bene a ricorrere a questa mamma che «fa le grazie».

Anche Dante lo dice alla Madonna: «Donna, se' tanto grande e tanto vali, / che qual vuol grazia ed a te non ricorre / sua disianza vuol volar sanz'ali». Però… Forse (diciamo così) sono meno numerosi i devoti della Madonna della grazia.

E le Litanie lauretane ci fanno pregare: «Madre della divina grazia, prega per noi». Mentre non accennano a «Madre delle grazie ». Perché, se le grazie sono cose buone ed utili, la grazia è cosa divina e necessaria.

La Madonna è una mamma lieta di ottenere grazie ai figli. Ma ci tiene soprattutto che nei figli ci sia la grazia. E che questa grazia cresca e trionfi. Questa grazia, che viene da Gesù e per la quale la Madonna ha offerto tutta la sua cooperazione quale serva del Signore. Questa grazia, che è la vita divina arrivataci da Gesù, nell'incontro con lui nel Battesimo e che ci ha fatti figli di Dio, veri fratelli tra noi ed eredi del cielo.

Cos'è il tralcio staccato dalla vite? Niente. Destinato a seccare. Unito alla vite, è tutto. È vita. È pampini, fiori e frutti. Perché, unito alla vite, riceve dalla vite la vita.

Dice il Catechismo degli adulti (n. 649): «Tutti i sacramenti, a chi non pone ostacolo con l'attaccamento volontario al peccato, conferiscono la grazia santificante, cioè una partecipazione alla vita divina, che eleva intimamente nell'essere e nell'agire, e abilita al dialogo con le Persone divine nella carità».

La grazia santificante, quindi, è la grazia da avere, da conservare, da accrescere, da far fruttificare, da evangelizzare e diffondere e favorirne l'arrivo ad ogni anima. È il tesoro prezioso, la perla preziosa (cf Mt 13,45-46). È il «Regno di Dio», per cui vale la pena di vendere tutto per possedere questo tesoro, questa perla preziosa. Perciò è cosa buona chiedere alla Madonna le grazie. Ma se chiediamo la grazia, la grazia santificante, noi chiediamo il «Regno di Dio». E, come ci insegna Gesù, chiedendo il «Regno di Dio», le grazie ci saranno date in sovrappiù (cf Mt 6,33).

Barolo (Cuneo): il castello ed i celebri vigneti (foto MARCATO).

Barolo (Cuneo): il castello ed i celebri vigneti (foto MARCATO).

Era seduto sul ciglio di una strada. Addosso, i suoi cenci da mendicante. A fianco, il suo logoro tascapane. E, tra le mani, un tozzo di pane datogli in elemosina. Ed ecco giungere alcune distinte ragazze. Quando si accorgono del poveraccio, affrettano il passo. E una: «Povero disgraziato!». Ma il mendicante ha sentito. Si alza di scatto e: «Signorine, vi sbagliate. Io non sono un disgraziato. Ho con me il Signore. Il vero disgraziato è chi è senza la grazia di Dio».

Quel mendicante si chiamava Benedetto Giuseppe Labre, morto a Roma nel 1703 e canonizzato nel 1883. Era nato in Francia, a Saint-Sulpice d'Amettes, nei pressi di Arras, nel 1748. Aveva ragione il santo mendicante. Le disgrazie sono tante. E le disgrazie sono disgrazie. Ognuna con il suo carico di dolore, di dramma e di tragedia. Però la vera disgrazia è essere senza la grazia. Senza la grazia di Dio.

can. Fiorino Triverio
da Madre di Dio aprile 2011






Fatti e persone:

KAROL WOJTYLA E "IL LIBRICCINO
DEL MONTFORT INTRISO DI SODA"

La beatificazione di Giovanni Paolo II, il 1° maggio, ci richiama al famoso Totus tuus. Cioè ai princìpi mariani di san Luigi Maria Grignion de Montfort, che ispirarono tutta la vita del grande Pontefice.

La beatificazione di Giovanni Paolo II, (foto BRAMBATTI / ANSA).

La beatificazione di Giovanni Paolo II, (foto BRAMBATTI / ANSA).

Il giovane operaio-seminarista Wojtyla, crescendo spiritualmente, sperimentò una specie di "notte" della sua devozione mariana. Anche se questa devozione l'aveva avuta da bambino, da scolaro, da universitario.

«…Ci fu un momento – scrisse lui stesso – in cui misi in qualche modo in discussione la mia devozione mariana ritenendo che essa è posta, in maniera esagerata, prima del culto dovuto a Cristo» (Dar i Tajemnica, pag. 38).

«…Mi era sembrato di dovermi allontanare un po' dalla devozione mariana dell'infanzia, in favore del cristocentrismo» (Varcare la soglia della speranza, pag. 131).

Con il timore «che la devozione mariana facesse da schermo a Cristo», Karol visse per un certo periodo. Grazie al suo direttore spirituale che gli consigliò di meditare sul Trattato della vera devozione del Montfort, il seminarista Wojtyla troverà risposta alle sue perplessità. Doveva, però, percorrere un laborioso cammino.

Molti anni più tardi, da cardinale, durante il pellegrinaggio dell'immagine di Jasna Gora a Borek Falê cki, Karol Wojtyla confessò: «Spesso vedo davanti ai miei occhi un piccolo libriccino con la copertina celeste. Quando ero operaio della Solvay lo portavo con me, insieme con un pezzo di pane… Quel piccolo libriccino, simile a un libretto da Messa, mi servì da lettura per molti giorni e molte settimane. Non solo lo leggevo e lo conservavo. Lo leggevo, se così si può dire, da cima a fondo, e di nuovo da capo… L'ho letto tanto, che tutto, dentro e fuori, era intriso di soda» (Omelia a Jasna Gora, 8.11.1968).

«Il libro è rimasto macchiato di soda – commenta René Laurentin – ma il cuore di Karol illuminato» (Préface à la Mère du Rédempteur, 1987, pag. VIII). Quella lettura, studiata a fondo, aiutò Wojtyla nel suo itinerario spirituale e dottrinale.

In molte occasioni lo testimonierà con tutta chiarezza: «Da questo libriccino ho imparato cosa significa la devozione alla Madonna… Il senso e la profondità di questa devozione me lo ha insegnato questo libriccino» (Omelia a Jasna Gora, 8.11.1968).

«In esso trovai la risposta alle mie perplessità e da esso trassi un grande aiuto» (Lettera ai Monfortani, 8.12.2003).

«La lettura di quel libro ha segnato nella mia vita una svolta decisiva – (dirà ad André Frossard; cf Non abbiate paura, 1982, pag. 36). Mi sono ben presto accorto che al di là della forma barocca del libro, si trattava di qualcosa di fondamentale… Una devozione venuta dal più profondo della mia fede, come dal cuore stesso della realtà trinitaria e cristologica… Alla luce del Trattato di Grignion de Montfort compresi che il nostro rapporto interiore con la Madre di Dio consegue organicamente dal nostro legame col mistero di Cristo. Non c'è pericolo dunque che l'uno impedisca l'altro. Grignion de Montfort mi è parso come il modo migliore di partecipare con frutto ed efficacia a quella realtà, per attingervi e per condividerne con gli altri le ricchezze inesprimibili» (cf K. Mroczek, Totus tuus, Mimep-Docete 2007, pp. 176, H 9,00).

«PERCORRETE LA VIA DELLA BELLEZZA, OVVERO LA "VIA PULCHRITUDINIS"»

Nel messaggio inviato al card. Gianfranco Ravasi per la XV seduta pubblica delle pontificie Accademie romane, Benedetto XVI – rilevando che tale seduta era stata preparata dalla Pontificia Accademia mariana internazionale e dalla Pontificia Accademia dell'Immacolata, «le quali molto opportunamente hanno voluto che in questa solenne adunanza fosse ricordato il 60° anniversario della proclamazione del dogma dell'Assunzione di Maria» – ha evidenziato che «il tema proposto è l'Assunzione di Maria, segno di consolazione e di sicura speranza. Il 1° novembre 1950, infatti, durante un memorabile giubileo, il venerabile Pio XII, promulgando la costituzione apostolicaMunificentissimus Deus, proclamava solennemente, in piazza San Pietro, tale dogma.

Benedetto XVI.

Benedetto XVI (foto ONORATI / ANSA).

Qualche anno prima, nel 1946, padre Carlo Baliæ , ofm, aveva fondato l'Accademia mariana internazionale proprio per sostenere e coordinare il movimento assunzionista… Percorrendo quella via pulchritudinis che il servo di Dio Paolo VI indicò come fecondo itinerario di ricerca teologica e mariologica, vorrei notare la profonda sintonia tra il pensiero teologico e mistico, la liturgia, la devozione mariana e le opere d'arte, che, con lo splendore dei colori e delle forme, cantano il mistero dell'Assunzione di Maria e la sua gloria celeste accanto al Figlio… Colgo, pertanto, questa occasione per invitare gli studiosi di teologia e di mariologia a percorrere la via pulchritudinis ed auspico che, anche ai nostri giorni, grazie a una maggiore collaborazione tra teologi, liturgisti e artisti, si possano offrire all'ammirazione e alla contemplazione di tutti messaggi incisivi, profondi ed efficaci…» (L'Osservatore Romano, 17.12.2010).

«SIA IL ROSARIO IN CIASCUNA GIORNATA DEL SACERDOTE»

«coronamento di quel dono di grazia che l'Anno sacerdotale è stato – scrive il card. Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il clero – l'11 giugno del 2010, circa diciassettemila sacerdoti provenienti dai cinque continenti si sono riuniti a Roma, attorno al Papa, per la Concelebrazione eucaristica più grande della storia.

Al termine Benedetto XVI ha affidato e consacrato tutti i sacerdoti, presenti e del mondo, alla Beata Vergine Maria, venerata con il titolo di Salus populi romani… Ricordo che l'ultima luminosa testimonianza del rosario quale via ad Iesum per Mariam ci è stata offerta dal prossimo beato Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae.

Egli, sulla scorta dei principali insegnamenti di spiritualità mariana, ha indicato, nel proprio motto episcopale, la consacrazione a Maria come la via più sicura ed efficace per la conformazione del discepolo a Cristo Signore: Totus tuus.

Come non riconoscere, soprattutto nella vita ed in ciascuna giornata del sacerdote, la preziosità del rosario, quale memoria della salvezza, o come educazione del cuore all'atto di fede nel definitivo ingresso di Dio nella storia? Prima di ogni altra considerazione, è necessario riconoscere come la preghiera del rosario alimenti la nostra stessa identità sacerdotale.

Se, infatti, nel renderci partecipi del suo sacerdozio – come il Papa ha autorevolmente insegnato (cf Veglia in occasione dell'Incontro internazionale dei sacerdoti, 10.6.2010) – Cristo ci tira dentro di sé e così ci permette di usare il suo stesso "Io", è nella contemplazione dei misteri della sua vita, tramite gli occhi ed il cuore immacolato di Maria, che possiamo conoscerlo di più, apprendere i suoi sentimenti, accogliere la grazia che ci dona nella quotidiana Celebrazione eucaristica e renderci sempre più disponibili a quanto egli dispone per noi» (L'Osservatore Romano, 30.9.2010).

 

Brevi

• «Desidero affidare all'amorosa protezione della Madre di Dio, invocata "Rosa d'aprile", "Madre della mercede", tutti voi… e coloro che con parole ed opere, con il silenzio e la preghiera, hanno reso possibile questo miracolo architettonico». Sono parole di Benedetto XVI alla consacrazione della Sagrada Familia di Barcellona il 7 novembre. In quell'occasione, dell'opera e dell'architetto Gaudì si è detto tutto… Ma nessuno ha ricordato che la Sagrada in origine fu ispirata al Santuario della Madonna di Loreto. Avrebbe dovuto avere anche una riproduzione della Santa Casa. Gaudì però modificò il progetto: non la Santa Casa, ma chi vi abitava, la Sacra Famiglia (Il messaggio della Santa Casa, gennaio 2011)..

La consacrawzione della Sagrada Familia.

La consacrawzione della Sagrada Familia.

• Forse la più grande immagine venerata in un santuario (m. 4,3x2,10) è quella di Montevergine (Avellino). La Madonna, in trono col Bambino e circondata da angeli, risale al sec. XIII ed è attribuita a Montano d'Arezzo. Negli anni '60, con la costruzione del nuovo Santuario e la ricollocazione in esso dell'immagine, i fedeli hanno sentito "lontana" la loro Madonna. È questo un problema di altri santuari come Guadalupe, Aparecida… Se la nuova Basilica era necessaria per «le esigenze liturgiche » dei pellegrinaggi, non lo era «per quelle devozionali» (Il Santuario di Montevergine, dicembre 2010). Gli occhi della Vergine che per secoli «hanno avvinto col loro fascino i fedeli» ora si son fatti nuovamente vicini con il ritorno (e restauro) dell'immagine nel vecchio Santuario.

 Adorare Dio in spirito e verità – Adorazione come accoglienza e impegno" è il tema del primo Simposio internazionale dei sette anni (2011-2017) di preparazione al centenario delle apparizioni di Fatima, che si terrà il 24-26 giugno. Il logo ufficiale di tutte le manifestazioni presenta al centro, stilizzato, il disegno della Basilica. A lato di essa le date: 1917 a sinistra e 2017 a destra. Al posto del secondo 1 del 1917 vi è una croce: per «salientar o caracter cristão », si è spiegato. Sotto il tutto le parole: Centenário das aparições de Fátima. È stato attivato anche un sito per richieste di informazioni in varie lingue: www.fatima2017.org.

• Nuestra Señora de Altagracia è il titolo della patrona di Santo Domingo (Centro America), dove si celebra il quinto centenario dell'erezione di questa Diocesi. La prima del continente. L'immagine di Altagracia fu portata dalla Spagna da due fratelli navigatori di Plasencia. Per le celebrazioni il card. Gianfranco Ravasi ha benedetto a Roma (l'11.1.2011) una copia del quadro della Vergine nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. Sempre nel Centro America, nella vicina Cuba, per la festa della Vergine della carità, il card. Jaime Lucas Ortega ha richiamato con forza il Governo castrista per un ritorno alla libertà religiosa.

Nuestra Señora de Altagracia

Nuestra Señora de Altagracia

• «Giocata sull'intimità tenera e giocosa tra la Vergine, intenta a cucire e il suo bambino che l'aiuta, porgendole il filo dal rocchetto…» è la scena – descritta da Elena de Filippis (La Stampa, 31.1.2011) – di uno dei quadri di Vitale da Bologna, detto "Vitale delle Madonne". È esposto quasi l'intero corpus delle sue Madonne. Questo nel Museo civico medievale di Bologna, mentre nel Castello del Buon Consiglio di Trento, sino al 1° maggio, si tiene la mostra Antiche Madonne d'Abruzzo (dal XII al XIV sec.). Capolavori d'arte e di fede salvati dal terremoto del 2009. E, al museo San Domenico di Forlì nell'esposizione nazionale dedicata a Melozzo (1438-1494), si può finalmente ammirare la famosa Madonna di Senigallia, di Piero della Francesca (1416-1492), appena restaurata.

 «Avevamo constatato problemi di instabilità della roccia…». La "roccia" è quella di Massabielle, a Lourdes, dove "si posò" la Vergine nel 1858 e la "constatazione" è dell'ufficio nazionale Imsrn di Francia. «Faglie d'acqua e gelo fanno cedere verso nord» la parete sovrastante l'attuale statua della Madonna. Dal 4 gennaio all'8 febbraio si è operato per un primo consolidamento. Più a Sud nell'Esplanade – terminato l'Anno del Segno della Croce (il 2011 invece è l'Anno del Padre nostro) – le croci portate a Lourdes nei pellegrinaggi resteranno attorno alla monumentale croce del Calvario bretone. Lo ha stabilito il vescovo di Lourdes, mons. Jacques Perrier. L'idea è venuta dopo un pellegrinaggio a Vilnius (Lituania), dove si trova il famoso "Calvario di croci", creato in opposizione al comunismo..

La "roccia" di Massabielle, a Lourdes.

La "roccia" di Massabielle, a Lourdes (foto Marcato).

 «L'Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua materna è il cristianesimo». Per molti, che l'hanno dimenticato nelle sedi d'Europa a Bruxelles, lo ricorda Johann Wolfgang Goethe. Lo slogan ha aleggiato alla presentazione del primo volume dei Santuari d'Italia. Lazio (De Luca Editori d'Arte 2010, pp. 304, H 80,00). Roma seguirà a parte. In Italia i santuari sono circa 4 mila, di cui ben due terzi mariani. Dopo lunga gestazione, in collaborazione tra università, Beni culturali dello Stato (www.santuaricristiani. ind.beniculturali.it) e Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa, vedranno ora la luce i singoli volumi, regione per regione (L'Osservatore Romano, 7.10.2010).

Johann Wolfgang Goethe

Johann Wolfgang Goethe (foto WWW.WIKIPEDIA.ORG).

• «Proprio qui, nella chiesa della Madonna Granda di Treviso, per ben quarant'anni è stato sacrista». Così il patriarca di Venezia Albino Luciani, futuro Giovanni Paolo I, si esprimeva il 6 ottobre 1973 nella sua visita in ricordo di fratel Righetto (Federico) Cionchi (1857-1923), religioso somasco. Il Cionchi però era originario di San Luca di Montefalco (Perugia) ed è qui che a cinque anni (1862) ebbe delle apparizioni della Madonna. Esemplari le parole della Vergine da Righetto sempre ripetute: «Righetto, sii buono!» (Vita somasca, 4/2010). L'apparizione è all'origine del noto Santuario umbro di Santa Maria della Stella. I Somaschi celebrano quest'anno il quinto centenario della liberazione di san Girolamo Emiliani (1486-1537) e introducono le celebrazioni del 150° delle apparizioni (1862-2012).

• Nell'aprile 2010, un anno fa, in queste pagine richiamavamo l'attenzione sulla Spagna.Non solo per la Gmg – cioè il raduno mondiale dei giovani a Madrid il 16-21 agosto, che sarà presieduto da Benedetto XVI – ma perché il 2011 in Spagna è anche anno mariano 250 anni fa infatti il re di Spagna Carlo III il 16 gennaio 1761 firmava il decreto di proclamazione della Vergine quale patrona della nazione, ponendo sotto l'«universal patronato de Nuestra Señora en la Inmaculada Concepción en todos los reinos de España e Indias» (cf Sol de Fatima, Madrid, enero-febrero 2011).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Esiste l'amore perfetto?

«Il vincolo matrimoniale senza la carità è non-senso e la carità si ottiene con la preghiera».

«Ti amo». È una delle espressioni più usate ogni giorno da milioni di persone. Pronunciata con intensità e trasporto. Coscienza e passione. Ponderatezza e affetto. Una frase che anche i coniugi legati da molto tempo non farebbero male a ripetersi. È una dichiarazione, un'invocazione, un mostrarsi nella semplicità di ciò che si è, disarmati ma forti della propria donazione. Anche se oggi sono parole svuotate spesso dal loro profondo contenuto fatto di sacrificio, donazione di sè, private dalla donazione alla vita concepita, frutto di questo "ti amo".

Parole che temono solo di non reggere ai rovesci della vita e che invocano un fondamento perenne e assoluto che fondi il loro stesso esistere. Parole che anelano all'eterno e che bramano l'immortalità. Nell'istante in cui sono pronunciate, l'Universo sembra vibrare di gioia.

La ferialità dell'inesorabile temprerà l'incandescenza vitale dell'entusiasmo contenuto nella semplicità di questa espressione.Ma ogniqualvolta essa verrà utilizzata, s'imporrà con l'autorità del suo abbandono, poiché ricorda agli umani le possibilità dischiuse dall'amore e indica loro la via verso l'amore perfetto, suscitando nel cuore, nella mente, nei sensi una domanda: ma esiste l'amore perfetto? Esiste un amore di cui non se ne può pensare uno maggiore? Oppure la perfezione nell'amore è come un orizzonte verso cui si cammina, ma mai si raggiunge?

Ignoto, Ultima Cena, miniatura francese del sec. XVI, Biblioteca nazionale, Madrid (foto LORES RIVA).

Ignoto, Ultima Cena, miniatura francese del sec. XVI, Biblioteca nazionale, Madrid (foto LORES RIVA).

La sera del Giovedì santo nelle chiese si proclama il testo del capitolo 13 del Vangelo di Giovanni in cui si dice: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».

Il testo greco «sino alla fine» non significa solo sino al termine della propria vita; indica la consumazione totale del proprio essere, l'offerta esaustiva di sé. Poiché Gesù è l'uomo perfetto, anche l'amore che ha dimostrato è un amore perfetto.

Quando un uomo e una donna accolgono nella loro vita questo amore? Semplicemente quando accolgono la definitività dell'amore. Questa radicale e conclusiva donazione viene sancita nel sacramento del matrimonio. In ogni sacramento è Cristo che agisce mediante il ministro. Ora, nel sacramento del matrimonio, per la Chiesa d'Occidente, i ministri sono gli sposi stessi: attraverso il loro reciproco donarsi, Cristo porta a compimento in loro il suo «amare sino alla fine». In loro, Cristo realizza il suo donarsi all'umanità per sempre. Così Cristo rende gli sposi partecipi del suo stesso amore che è amore infinito ed eterno.

Quando Cristo celebra il matrimonio, rende partecipi i due sposi della definitività insita nel suo amore. Istituisce fra essi un vincolo che li lega in un'appartenenza indistruttibile. Il dovere della fedeltà, la forma giuridica dell'indissolubilità sono conseguenze, non l'essenza di questo vincolo. Gli sposi infatti possono essere infedeli; possono divorziare: ma il vincolo che li unisce l'uno all'altro permane più forte di ogni divisione, poiché, in questo senso, il sacramento è stato istituito da Cristo stesso.

Quando gli sposi accolgono la perennità dell'amore di Cristo, Gesù stesso rende partecipi i due sposi della sua capacità di amare. E poiché ogni sacramento è frutto della Pasqua del Signore e del dono che lui fa ai suoi discepoli nella storia, cioè il dono dello Spirito, allora gli sposi sono mossi dall'azione dello Spirito Santo.

È lo Spirito Santo che ha spinto Cristo a donarsi sulla croce e gli sposi sono resi partecipi di questa stessa forza amorosa: questa partecipazione effusa nel cuore degli sposi è la carità coniugale. È questa l'operazione più preziosa compiuta da Cristo quando celebra il sacramento del matrimonio.

Il vincolo coniugale esige la carità e nello stesso tempo è il vincolo coniugale che abilita gli sposi a ottenere il Vivificante, cioè lo Spirito Santo che porta a compimento e perfeziona il loro amore umano. Il vincolo senza la carità è un non-senso e la carità si ottiene mediante la preghiera. «Io voglio amare te, ma senza l'amore di Dio in me so che il mio amore è fragile e fugace; per questo chiedo a Dio di amare attraverso di me la persona che ho scelto come segno della sua amorosa fedeltà».

Giuseppe Maria Pellizza, sdb


 





Una presenza nascosta

Monache Serve dii Maria: «Un''esistenza ispirata costantemente alla Vergine, madre del Siignore»

Furono e sono sempre presenti le donne nelle esperienze ecclesiali. La tipologia della vita consacrata le incontra ora precedere (emblematica è la comunità pneumale delle quattro figlie del diacono ed evangelista di Cesarea Filippo, vergini e profetesse: Atti, 21,8-9), ora seguire le istituzioni maschili. La femminilità accomuna a Maria madre, vergine, serva, discepola.

Il monachesimo femminile ha scritto e sta scrivendo pagine memorabili nella storia della Chiesa. I monasteri femminili fruivano di propria autonomia, sebbene molto spesso aggregati ad un Ordine maschile.

Le monache Serve di Maria sono inserite nel movimento spirituale dell'Ordine dal quale prendono il nome. I monasteri in Italia sono accomunati nella Federazione guidata da un comune libro di Costituzioni e Statuti (edizione 1990).

La non del tutto implicita discepolanza mariana è sentita come patrimonio e nutrimento d'una vita «ispirata costantemente a Maria, madre e serva del Signore » (artt. 96 e 104: formule di professione), di una fraternità dedicata e di un luogo intitolato alla Madre di Dio (artt. 32-33). L'identità monastica, mediante i voti solenni di castità, povertà e obbedienza, che realizzano una più intima consacrazione a Dio, è un dono cristologico- mariano, perché in essa «abbracciamo – sono consapevoli le monache – lo stesso genere di vita scelto da Cristo e dalla Vergine Maria» (art. 3: completamento di Lumen gentium, 46).

Monache Serve di Maria in preghiera nel monastero di Arco (Trento, foto SCALCIONE).

Monache Serve di Maria in preghiera nel monastero di Arco (Trento, foto SCALCIONE).

La clausura, espressione d'una realistica e continua ricerca del deserto e del monte solitario come luoghi dove Dio rivela i segreti del suo amore (art. 52), è altresì spazio del nascondimento con Cristo in Dio, in cui viene continuata nel tempo l'attività silenziosa e orante della Vergine Madre (art. 2): siffatta impostazione riverbera una felice originalità mariana, pur nella certezza che non fu monastica l'esistenza della Madre di Gesù.

L'icona della Vergine di Nazaret silenziosa avvalora il silenzio monastico, dentro il quale è possibile «accogliere pienamente la Parola e viverla nell'incessante colloquio con il Padre » (art. 20).

Nell'ascolto della Parola ad imitazione di Maria, altissimo esempio di creatura orante, la monaca impara a conoscere i richiami di Dio negli uomini, negli avvenimenti, in tutto il creato (art. 28).

Solo spostando all'interno del testo costituzionale il capitolo sulle "riverenze alla Vergine", che la tradizione peculiare dell'Ordine dei Servi di Maria poneva all'inizio di tutte le redazioni delle Costituzioni sino a quelle post-conciliari, le monache ne riprendono l'articolazione adeguandola alla propria tipologia (cap. IV): si tratta di memorie nella liturgia, di devozioni comuni e tipiche, di custodia delle tradizioni, di controllate creatività, di visibilità iconografiche.

In questo mosaico cultuale e devozionale, brilla la scansione di appuntamenti non solo devozionali. «Nelle riunioni per la preghiera, il Capitolo e la refezione, la fraternità è solita ricordare la Vergine Maria con il saluto angelico o altro analogo, memore del suo esempio di orazione, comunione e servizio. Questo saluto, abitualmente inaugurale, sollecita l'intervento misericordioso della Serva del Signore che, per disegno divino, sorregge e rende più perfetta la nostra attenzione» (art. 36).

L'esperienza della misericordia è evocata anche nell'evento della correzione fraterna, luogo di verifica sulla capacità di essere evangelicamente «misericordiosi come il Padre dei cieli»: «Riconosciamo nella misericordia una delle caratteristiche dei Servi, che continuano nella loro vita l'esempio della Madre di Dio» (art. 43).

Le relazioni delle monache con santa Maria sono, oltre che cultuali, anche culturali: «Dobbiamo approfondire particolarmente la dottrina sulla Madre di Dio nella storia della salvezza, per attuare la nostra specifica missione nella Chiesa» (art. 17). Di Maria, le monache sono, oltre che serve, anche discepole e in qualche modo testimoni.

*Le monache Serve di Maria sono 146 in 15 monasteri. Per informazioni: monastero Serve di Maria, via Monte della Giustizia, 61048 Sant'Angelo in Vado (Pesaro e Urbino). Tel. 0722-81.82.15.

Luigi M. De Candido








Per vivere, per non morire

Il volto dell'altro è essenziale, poiché è qui che occorre scorgere Dio.

L'assolata giornata di ferie sul litorale romagnolo sta per dare l'addio a quel "pallone d'oro", il sole, che ci ha piacevolmente obbligati a restare a lungo sotto l'ombrellone, accarezzati da quella brezza marina ristoratrice e benefica per il fisico, logorato da un anno di intenso e snervante impegno in città. Di ritorno con l'amico Piero verso l'ospitale Casa al mare dell'Opera di don Domenico Masi nel centro vivace di Miramare, ci imbattiamo, mentre discutiamo animatamente su quel nuovo mondo che ci circonda, in una elemosinante ai lati del grande viale Regina Margherita.

Un fugace sguardo e mi viene spontaneo mettere una moneta nel piccolo cesto e con sorpresa vedo che l'amico Piero allunga il passo diretto verso il vicino chiosco del fioraio, compra una rosa, veramente bella, e ritornato sfiora la mano della donna e con un sorriso gliela porge. Un brivido mi attraversa tutto, ma nel gesto geniale dell'amico vedo la "difesa" della sacralità ferita di quella sconosciuta, dignità e sacralità che il mio anonimo gesto, privo del sorriso negli occhi, non è riuscito ad abbracciare. L'amico Piero è un poeta e come i bambini ed i santi sono i custodi del mistero.

«Ora che nelle fosse / con fantasia ritorta / e mani spudorate dalle fattezze umane l'uomo lacera / l'immagine divina…». La mia mano ha strappato via dal volto umano ciò che lo rende umano: l'essere immagine di Dio, cioè una creatura "amata".

Badia fiesolana, Fiesole (Firenze): zingari chiedono l'elemosina. (Foto MAX ROSSI).

Badia fiesolana, Fiesole (Firenze): zingari chiedono l'elemosina. (Foto MAX ROSSI).

Ed è proprio su questo che invece dobbiamo parlare e riflettere, di fatti come il coma del tassista, della donna romena sfigurata dal gesto di un folle, dello scandalo pedofilo, della mafia, comunque si presenti, che ci coinvolge ferocemente in loschi affari e crimini, ecc., cioè arrivare al vero problema centrato dai poeti: la "persona" è calpestata nella sua dignità, se non sappiamo vedere la sacralità nel volto delle "persone".

R. Taurigny, La Carità (1558-1566), coro maggiore della Basilica di santa Giustina, Padova (Foto BONOTTO).

R. Taurigny, La Carità (1558-1566), coro maggiore della Basilica di santa Giustina, Padova (Foto BONOTTO).

Ma esiste un antidoto ai casi come quelli descritti? La vera buona notizia è la novità del cristianesimo, è che Dio ha un volto umano e che noi abbiamo tutti quello stesso volto. Non è questione di tolleranza, incapace di vedere nell'altro che è dotato della mia stessa dignità, ma è questione di "empatia": il prossimo uguale a me stesso.

Infatti, la storia di ogni uomo è sacra in quanto io, lui, tutti, siamo voluti dall'eternità da Dio. Nel prossimo vedere non nemici da eliminare, ma figli dello stesso Padre e fratelli da aiutare. Una cultura, priva del mistero cristiano, non perde Dio, ma perde l'uomo. E Benedetto XVI nel recentemotu proprio Ovunque e sempre sottolinea: «Si è verificata una preoccupante perdita del senso del sacro, giungendo a porre in questione quei fondamenti che apparivano indiscutibili… Se tutto ciò è stato salutato da alcuni come una liberazione, ben presto ci si è resi conto del deserto interiore che nasce là dove l'uomo, volendosi unico artefice della propria natura e del proprio destino, si trova privo di ciò che costituisce il fondamento di tutte le cose».

Il commento dei pagani rivolto ai primi cristiani era: «Guarda come si amano! ». Il compito di chi si professa cristiano è quello di riportare la pienezza del volto di Cristo e superare quella cultura secolarizzata che, come diceva il poeta, «per pensarti, Eterno, / non ha che la bestemmia». È Francesco che in uno slancio di vero amore bacia il lebbroso, quello più colpito nel fisico e senza più speranza e che non è altro che lui, il Cristo sulla croce che pronuncia la salvezza al più incallito peccatore, il ladrone! «Oggi sarai con me in paradiso », mentre poco prima aveva gridato: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!».

G. Gelfi, Il Catechismo e la Carità (1994), parrocchiale del Cristo Re, Saiano (Brescia, foto BBONOTTO).

G. Gelfi, Il Catechismo e la Carità (1994), parrocchiale del Cristo Re, Saiano (Brescia, foto BBONOTTO).

Alla sera, davanti alla grotta di Lourdes per la recita comunitaria del rosario, vediamo avvicinarsi e salire a fatica la scala una donna avvolta in uno scialle scuro, dal passo incerto, con tra le mani una rosa, veramente bella, e lasciarla con un sorriso a lei e rimanere a lungo prostrata sui gradini… e quando suor Pierina spegne le luci della grotta mi avvicino a questa "sorella" e con un largo sorriso le do un bacio in fronte, tra la meraviglia dei presenti, e mentre poi mi allontano, commosso, lentamente pronuncio a fior di labbra: «Abbiamo contemplato, o Dio, il volto del tuo amore!».

Gianni Moralli


 

 


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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      Incontri con Maria

  di MARIA DI LORENZO


«O Regina di ogni promessa...»

«Quando avremo recitato la nostra ultima parte, / quando avremo deposto cappa e mantello, / quando avremo gettato maschera e coltello, / ricorda il nostro lungo peregrinare».

Appartiene a quella incredibile stagione della prima metà del '900 francese che annovera scrittori del calibro di Mauriac, Claudel, Bernanos, Maritain, solo per citarne alcuni. Ma Charles Péguy, in mezzo a loro, è un caso a parte.

Pochi Paesi come la Francia hanno prodotto tra la fine dell'800 e la prima metà del '900 una così imponente messe di scrittori che si sono incontrati (e scontrati) col Vangelo in quella terra che fu la patria dei Lumi. Una vera fucina di cercatori di Dio, di coscienze inquiete e di penne devote, tra cui ha un posto speciale quello che può essere ricordato come uno dei più grandi cantori di Maria: il poeta Charles Péguy.

Nato a Orléans il 7 gennaio 1873, Péguy ancora in fasce perse il padre, falegname, sicché sua madre per sopravvivere dovette imparare il mestiere di impagliatrice di sedie. Charles così potrà studiare grazie alle borse di studio. A vent'anni si trasferisce a Parigi e a quel tempo ha già abbandonato ogni pratica religiosa. È un giovane colto, intelligente, che diventerà discepolo di Bergson. Sensibile alle questioni sociali, è acceso da un ideale che nell'ultimo scorcio dell'Ottocento ha i contorni rivoluzionari del socialismo. Péguy aderisce al credo socialista con tutto l'ardore della gioventù, ma ne resterà presto deluso. Da tale disillusione prenderà corpo la crisi, salutare e risolutiva. È l'irruzione nella sua vita della Grazia. Evento misterioso, come ogni conversione, ma evento indubbiamente segnato da Maria.

La storia di tanti convertiti sta lì a dimostrarlo: dietro ogni "caduta da cavallo", dietro ogni ritorno alla fede, c'è sempre lo zampino di lei, della Madonna. «Ascolta, bimba mia, ora ti spiegherò, ascoltami bene, / ora ti spiegherò perché, / come, in che / la Santa Vergine è una creatura unica, rara. / Di una rarità infinita, fra tutte precellente, / unica fra tutte le creature. / Seguimi bene…».

Lo scrive all'inizio di quell'opera che è un autentico inno a Maria, Il portico del mistero della seconda virtù. Un canto che comincia quasi in sordina per poi avvitarsi, con accenti sempre più appassionati, in uno splendido canto d'amore alla Vergine.

«A colei che è infinitamente grande / perché è anche infinitamente piccola… / A colei che è infinitamente ricca / perché è anche infinitamente povera… /Acolei che è infinitamente alta / perché è anche infinitamente discendente… / A colei che è infinitamente salva / perché a sua volta salva infinitamente… /A colei che è tutta grandezza e tutta fede / perché è anche tutta Carità… / A colei che è la più imponente / perché è anche la più materna… / A colei che è infinitamente celeste / perché è anche infinitamente terrestre… / A colei che è infinitamente gioiosa / perché è anche infinitamente dolorosa… / A colei che è con noi / perché il Signore è con lei… / Colei che è infinitamente regina / perché è la più umile delle creature…».

Un canto affascinante, il suo, che parla della grandezza e del mistero di Maria e che ha l'andamento e il sapore di certe antiche litanie. È Maria che riconduce a Dio, per sentieri segreti e imprevedibili che solo lei conosce. Persino il peccatore più incallito e con un piede già nell'abisso, come ci rammenta il Montfort, si converte ed è salvo per intercessione della Vergine, che sa come sciogliere i cuori più induriti. Come accade appunto al colto e indifferente scrittore di Orléans. A un certo punto, infatti, Péguy scrive all'amico Joseph Lotte, della sua cerchia parigina di intellettuali socialisti, e gli confessa: «Ho ritrovato la fede. Sono cattolico».

Charles Péguy.

Charles Péguy (foto DE CESARE).

Una poesia che si fa preghiera. Nella sua breve, tumultuosa e feconda avventura esistenziale, Péguy ha attraversato la letteratura europea del Novecento come una meteora, ma questa meteora, lungi dall'esaurirsi, brilla ancora. E ci consegna un'eredità di fede davvero straordinaria, capace di toccare le corde più profonde del nostro spirito.

È un cattolicesimo, quello di Péguy, vissuto in forma mistica e rivoluzionaria, che ha il suo centro di luce in Maria, icona della speranza. I suoi versi, spesso ieratici, a volte ridondanti, conservano tracce di echi biblici molto forti, tra l'epico e il profetico.

«Quando avremo recitato la nostra ultima parte, / quando avremo deposto cappa e mantello, / quando avremo gettato maschera e coltello, / ricorda il nostro lungo peregrinare. / Quando ci caleranno nella fossa / e ci avranno offerto assoluzione e Messa, / ricorda, o Regina di ogni promessa, / il nostro lungo cammino, il nostro peregrinare…».

Ma, ci chiediamo, da dove nasceva un elogio tanto appassionato della Vergine? Charles Péguy fu un convertito e del convertito la sua dimensione di scrittore avrà sempre l'impronta, negli aspetti di assoluto rigore come nelle fulminanti accensioni liriche. Come ha efficacemente scritto Carlo Bo, la voce di Péguy «possiede l'esplosivo sufficiente a mandare per aria tutti gli edifici costruiti dalla tranquillità».

Il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, che fu pure un suo grande estimatore, osservò che «tutta l'arte e la teologia di Péguy sfocia sempre più in preghiera. È la forma della teologia come dialogo trinitario, un dialogo che prima di Péguy non è mai stato ideato e in cui il poeta ha potuto avventurarsi solo grazie a uno stile di popolare semplicità che evita ogni apparenza di elevatezza, ma che mai neppure per un attimo degenera in piaggeria o in falsa familiarità. Solo una fede nello Spirito Santo può far parlare Dio così».

La particolare architettura del Tempio nazionale di Monte Grisa (Trieste), dedicato a Maria, madre e regina, e consacrato il 22.5.1966.

La particolare architettura del Tempio nazionale di Monte Grisa (Trieste), dedicato a Maria, madre e regina, e consacrato il 22.5.1966 (foto BONOTTO).

Nell'ora estrema. «Quando avremo lasciato sacco e corda, / quando avremo tremato gli ultimi tremiti, / quando avremo rantolato gli ultimi dolori, / ricorda la tua misericordia. / Nulla ti chiediamo, o Rifugio dei peccatori, / solo l'ultimo posto nel tuo purgatorio, / per piangere a lungo la nostra tragica storia, / e contemplare da lontano il tuo splendore…».

E per Charles quel giorno si fa presto presente nella sua vita, spezzata a soli 41 anni agli albori della prima guerra mondiale: il 5 settembre 1914, primo giorno della battaglia della Marna, Péguy muore combattendo nei pressi di Villeroy.

Solo due anni dopo la sua morte, nel 1916, l'editore parigino Gallimard iniziò a pubblicare tutte le sue opere. Péguy aveva trovato la pace e la serenità così a lungo cercate poche settimane prima della morte: in una lettera a un amico, infatti, egli confidava di aver lasciato Parigi «con le mani pure». In un certo senso era ritornato fanciullo, reso ormai pronto a quell'incontro che aveva temuto e atteso per tutta la vita.

«A tutte le creature – aveva scritto – manca qualche cosa, e non soltanto di non essere creatore. / A quelle che sono carnali, lo sappiamo, manca di essere pure. / Ma a quelle che sono pure, bisogna saperlo, manca di essere carnali. / Una sola è pura essendo carnale. / Una sola è carnale essendo pura. / È per questo che la Santa Vergine non è solo la più grande benedizione che sia caduta sulla terra, / ma la più grande benedizione discesa in tutta la creazione…».

A lei pertanto si ricorre nell'ora estrema della vita per trarne speranza di salvezza, poiché la Madre di Dio, che un giorno è diventata anche madre nostra («Perché il Figlio ha preso tutti i peccati / ma la Madre ha preso tutti i dolori»), ci riceve sempre fra le sue braccia accoglienti e ci guida al porto sicuro della volontà di Dio, se soltanto abbiamo l'ardire – «l'audacia », come la chiamava lui – di affidare a lei la nostra vita, fino all'ultimo respiro. E con tale consolante certezza il poeta di Maria si congedava dal mondo.







La preghiera più antica alla Vergine

«Come madre incrocia lo sguardo bisognoso dei suoi fedeli e come vergine intercede per loro presso suo figlio Gesù» (Agostino Magarotto, sdb).

Nel corso della storia musicale molti sono gli esempi in cui l'accostamento tra poesia e musica crea un'atmosfera intensamente delicata, ma nelle due antifone dedicate a Maria, Ave, Regina caelorum eAlma Redemptoris Mater, la simbiosi e la sintesi artistica sono talmente suggestive da penetrare anche l'animo dell'ascoltatore meno attento e coinvolto.

In Ave, Regina caelorum la melodia si presenta senza ornamenti; si evidenziano solo due scandicus su decora e nobis e su quest'ultima parola, poi, si eleva la nota più acuta di tutto il brano. Il VI modo in cui si presenta l'antifona è proprio dei testi devoti, affettuosi, di fiducia, in cui la luminosità emerge come elemento portante; infatti si celebra la regalità di Maria nel firmamento celeste, la sua luminosità interiore che la rende «bella fra tutte le donne», il suo essere «porta e radice di salvezza».

Ignoto, Incoronazione della Vergine (sec. XIV), Museo civico, Piacenza (foto BONOTTO).

Ignoto, Incoronazione della Vergine (sec. XIV), Museo civico, Piacenza (foto BONOTTO).

L'inciso di apertura ci presenta un saluto espresso con una successione di note che si spinge verso una posizione abbastanza grave, quasi a voler sottolineare come noi peccatori, alla Regina dei cieli, non possiamo che rivolgerci con umiltà, pacatezza, senso di inferiorità.

Negli incisi successivi la melodia si apre verso suoni più acuti e ci permette di irradiare i nostri sentimenti interiori in un saluto più gioioso che sfocia, poi, in un'implorazione piena di fiducia: «Prega per noi».

Nell'antifona Alma Redemptoris Mater la melodia, di modo V, appartiene all'ethos gioioso e lo scandicus prepunctis iniziale, sulla vocale A, ha la chiara funzione modale di portare il percorso dei suoni alla corda strutturale sol.

Lo stile è sillabico: talvolta emergono intervalli di quarta e di quinta, ascendenti e discendenti, che rendono, però, sempre l'insieme compatto e grandioso. È interessante notare come la musica s'ispiri al testo; infatti alle parole surgere qui curat populo il percorso melodico si innalza fino a toccare uno dei punti più acuti dell'intera composizione.

Da notare ancora come l'inciso finale ponga l'attenzione sul testo peccatorum miserere con un susseguirsi di intervalli fino a toccare la finalis do grave. Sub tuum praesidium non appartiene al gruppo delle antifone mariane, ma è il più antico "troparion" devozionale cristiano a Maria, madre di Gesù, risalente al IV sec.

Da un punto di vista teologico questa composizione riveste particolare importanza in quanto esprime il forte sentimento del cristiano che, nei momenti di difficoltà, cerca rifugio sotto il manto della Vergine e a lei, soccorritrice e salvatrice, rivolge spontaneamente la preghiera.

La melodia gregoriana si elabora raccolta e, pur se non particolarmente coinvolgente, emana una luminosità mistica; forse le cadenze simili tra loro creano un andamento un po' monotono che potrebbe essere interpretato come un'insistente richiesta di aiuto. In corrispondenza di confugimus, deprecationes, despicies, compaiono piccole aperture (pes) per sottolineare più marcatamente l'intensità emotiva di queste parole.

Due altri punti in cui si concentra la tensione melodica sono semper (torculus-clivis-torculus) ebenedicta (torculus quilismatico), in cui l'esecutore ha l'opportunità di valorizzare l'aspetto testuale.


DUE ANTIFONE E...


Ave, Regina caelorum;
ave, Domina angelorum:
salve, radix; salve, porta
ex qua mundo lux est orta.
Gaude, Virgo gloriosa,
super omnes speciosa;
vale, o valde decora,
et pro nobis Christum exora.

Alma Redemptoris Mater,
quae pervia coeli porta manes,
et stella maris succurre cadenti,
surgere qui curat populo:
tu quae genuisti, natura mirante,
tuum sanctum Genitorem.
Virgo prius ac posterius,
Gabrielis ab ore sumens illud Ave,
peccatorum miserere.

Sub tuum praesidium confugimus,
Sancta Dei Genitrix.
Nostras deprecationes
ne despicias in necessitatibus,
sed a periculis cunctis
libera nos semper,
Virgo gloriosa et benedicta.


Luisa Tarabra






La Parola: «Esorto vivamente i sacerdoti ad educare i fedeli, con appropriata ed approfondita catechesi, affinché si avvalgano del gran bene delle indulgenze, secondo la mente e l'animo della Chiesa» (Giovanni Paolo II).


INDULGENZE: DONO PREZIOSO
DELLA MISERICORDIA DI DIO.


È risaputo: quanta poca importanza viene attribuita alle indulgenze dalla nostra generazione!

Gli abusi commessi nel passato sono come una macchia che ha imbrattato e discreditato il significato delle indulgenze. Tuttavia, questa misericordia, che ci viene concessa da Dio per mezzo del potere delle chiavi dato da Cristo a Pietro, è un dono prezioso da non sottovalutare. Dobbiamo approfittare con diligenza di questo dono per camminare con più facilità verso la perfezione e per evitare il più possibile sofferenze, tribolazioni e malanni durante la nostra vita terrena e le pene del purgatorio nella vita futura.

Paolo VI, nella costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina (1967), ha scritto parole chiare sulla validità e sul beneficio delle indulgenze per il popolo cristiano: «È dottrina divinamente rivelata che i peccati comportino pene infinite dalla santità e giustizia di Dio da scontarsi sia su questa terra, con i dolori, le miserie e le calamità di questa vita e soprattutto con la morte, sia nell'aldilà anche con il fuoco e i tormenti o con pene purificatrici» (n. 2).

Fatima, 13.5.1982: Giovanni Paolo II incontra suor Lucia Dos Santos (pellegrinaggio apostolico in Portogallo).

G. della Robbia-S. Buglioni, Le sette opere di misericordia corporali: alloggiare i pellegrini (1525 ca.), Ospedale del Ceppo, Pistoia (foto BONOTTO).

«La Chiesa pertanto anche ai nostri giorni invita tutti i suoi figli a ben ponderare e riflettere quanto l'uso delle indulgenze sia di giovamento alla vita dei singoli, anzi di tutta la società cristiana… Difatti l'indulgenza, che viene concessa per mezzo della Chiesa, diminuisce o cancella del tutto la pena, dalla quale l'uomo in certo modo è impedito a raggiungere una più stretta unione con Dio. Esso, se sinceramente pentito, viene liberato dai suoi debiti verso la giustizia divina e viene introdotto al pieno godimento dei beni della famiglia di Dio» (cf n. 9).

«Per l'acquisto di esse si richiede, da una parte, che le opere prescritte siano compiute e, dall'altra, che il fedele abbia le necessarie disposizioni; che, cioè, ami Dio, detesti il peccato, riponga la sua fiducia nei meriti di Cristo e creda fermamente nel grande aiuto che gli viene dalla comunione dei santi» (n. 10).

E a tutti coloro che, reticenti, dubitano della validità e dell'acquisto delle indulgenze, Paolo VI con fermezza dice loro queste inequivocabili parole: «La Chiesa insegna e stabilisce che l'uso delle indulgenze deve essere conservato perché sommamente salutare al popolo cristiano e autorevolmente approvato dai Concili, mentre condanna quanti asseriscono l'inutilità delle indulgenze e negano il potere esistente nella Chiesa di concederle» (n. 8).

Sono molti coloro che pensano che dopo aver confessato i propri peccati e aver soddisfatto alla piccola penitenza che di solito il confessore dà al penitente, tutto sia cancellato e dimenticato. Ma non è così! Se la confessione ci libera dai peccati commessi in quanto alla salvezza eterna, rimane per noi, secondo la gravità delle colpe, l'obbligo di riparare con un'adeguata penitenza che pochi, o forse nessuno, pensano di fare.

La Chiesa, considerando questa difficoltà, ci viene in aiuto con l'istituzione delle indulgenze. Non prendere vantaggio di questo dono di misericordia significa non comprendere quanto siano perniciosi gli abusi e le conseguenze del peccato. Considerando, come dice l'autore dell'Imitazione di Cristo, che «un'ora di pena in purgatorio è più insopportabile che non cento anni di penitenza fatta qui in terra», dobbiamo essere diligenti e non trascurare nel nostro cammino di fede tutte quelle opportunità di misericordia che Dio ci offre con tanta generosità, specialmente con la grazia delle indulgenze.

Diacono Bruno Podestà,
Toronto, Canada


 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/12/2013 10:20
 
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     La parola del Vescovo

  di mons. LUIGI BRESSAN, arcivescovo di Trento


"Dimora consacrata di Dio..."

«Egli ha posto la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14). Dove abita Dio? È la domanda che attraversa la storia dell'umanità e che ha trovato molte e diverse risposte, simili però per un particolare: l'uomo è portato a concepire Dio come un essere lontano e irraggiungibile.

Irrompe allora come una notizia straordinaria l'annuncio degli angeli nella notte di Natale: Dio è qui, il Salvatore è con voi, è presente ed è un bambino. L'Infinito che i cieli dei cieli non possono contenere, colui che supera i tempi e la storia, l'immenso Creatore del mondo, ora ha una casa e questa casa è la nostra umanità.

Beato Angelico (1395 ca.-1455), Madonna con Bambino, angeli e santi, chiesa di san Domenico, Fiesole (Firenze, foto JARACH)

Maria ricorda tutto questo: Dio non ha scelto un palazzo, o una regola perfetta, o un libro per essere presente, ma ha preferito la debole e fragile condizione umana perché nessuno possa sentirsi troppo piccolo e povero da non poterlo incontrare.

Maria è colei che non si impone e preferisce l'accoglienza e la condivisione al parlare arrogante e sapiente. La sua grandezza sta nella scelta di fare spazio a Gesù e di custodire, nelle vicende difficili e tumultuose che la vita nasconde, la capacità di lasciargli sempre un posto, affinché da lui e per lui tutto il resto acquisti un senso.

La conclusione dell'Annunciazione con quel «Si faccia di me secondo la tua parola» mostra la piena disponibilità di Maria d'essere abitata dallo Spirito Santo: è lui infatti che rende santi i nostri corpi (cf Rm 8,11; 1Cor 3,16). Maria accolse Dio non soltanto nel suo corpo, ma soprattutto nel suo cuore, nella sua vita, e quindi è icona della umanità nuova, poiché in essa ora c'è Cristo. Con il suo cammino fin dai primi mesi del concepimento, rende visibile il desiderio di Dio di essere dono per ciascuno.

L'invocazione a Maria con la litania Dimora consacrata di Dio, prega per noi ci aiuti ad essere sempre più casa accogliente per la Parola di Dio e per il fratello più povero che attende speranza.

mons. Luigi Bressan,
arcivescovo di Trento


 




esigenza

«Anima, se ti pare che abbastanza vagabondammo per giungere a sera, vogliamo entrare nella nostra stanza, chiuderla, e fare un po' di primavera?». È l'invito che il poeta Umberto Saba rivolge a se stesso, avvertendo il bisogno di fare silenzio, di raccogliersi nel proprio intimo, solo in compagnia della propria anima, per ritrovare «un po' di primavera», per rinascere, per rinnovarsi.

La suggestiva immagine richiama un'esigenza presente in ciascuno di noi, anche se non sempre ci appare così chiara ed impellente. San Bernardo, sapiente conoscitore dell'umana natura e dei percorsi di fede, raccomandava ai suoi confratelli: «Sia tua cura di sceglierti un luogo a parte in cui, come un porto tranquillo, ti possa, di quando in quando, ricoverare». Riprendendo l'accostamento fra le acque calme e la quiete interiore, san Giuseppe Cafasso così definiva l'importanza del silenzio: «Il cristiano che ama il raccoglimento è come il fiume che sta tranquillo nel suo letto e mantiene le sue acque chiare, limpide e pure».

F. Hayez, Madonna (1869), galleria Tadini, Lovere (Bergamo).

F. Hayez, Madonna (1869), galleria Tadini, Lovere (Bergamo).

Il silenzio della propria camera, la tranquillità del porto, la purezza delle acque rimandano il nostro pensiero alla Vergine Maria e alla sua consuetudine al raccoglimento, in ascolto del suo Signore. Nei bellissimi mosaici creati dall'artista padre Marko Ivan Rupnik spesso la Madonna è ritratta accanto al rotolo della Parola di Dio, in atteggiamento adorante, di adesione, quasi di protezione; a volte il legame è così intenso da evocare una suonatrice d'arpa: Maria fa vibrare le corde del Creatore, ma nello stesso tempo è intenta a sentire la voce che riecheggia dentro di lei. Fare silenzio nella propria anima per poterla riempire di Dio, per far crescere in noi quella sapienza del cuore che lei ha coltivato. Ci ricorda Paolo VI nella Marialis cultus: «La Vergine è stata sempre proposta dalla Chiesa all'imitazione dei fedeli perché, nella sua condizione concreta di vita, aderì totalmente e responsabilmente alla volontà di Dio, ne accolse la parola e la mise in pratica; perché la sua azione fu animata dalla carità e dallo spirito di servizio». Ed è nella contemplazione, non con il ragionamento, che la Madonna ha maturato la sua radicale accoglienza, la docilità consapevole di tutto il suo essere a Cristo. "Pensosa a meditare" la descrive il Vangelo, indicando così un atteggiamento permanente in Maria, sempre disponibile all'ascolto, alla riflessione, alla contemplazione ed alla preghiera..

Per noi, umili figli devoti, è confortante sapere che la Madre ci aiuta a trovare nella nostra giornata quei momenti di raccoglimento che ci permettono di rinnovarci.

Madì Drello
Madre di Dio maggio 2011


 




Lei, cuore della fede

La presenza attiva di Maria contribuisce ad evitare i rischi di visioni particolari della ricerca di Dio e del nostro credere.

Fin dai primi tempi della Chiesa l'educazione dei neofiti si realizzava mediante l'iniziazione cristiana, che comprendeva, oltre agli insegnamenti delle verità da credere (finalizzate attorno a Cristo, centro della storia della salvezza), la mistagogia che svelava gradualmente il significato dei vari segni liturgici, in primo luogo il complesso dei segni battesimali, la conversione dal modo di vivere pagano ad uno configurato a Cristo e, infine, l'esperienza progressiva della vita della comunità ecclesiale e l'inserimento intimo in essa.

Giovanni Paolo II in Oriente (1984): un momento del Battesimo di 72 catecumeni a Kwangju (Corea del Sud).

Giovanni Paolo II in Oriente (1984): un momento del Battesimo di 72 catecumeni a Kwangju (Corea del Sud; foto GIULIANI).

L 'iniziazione cristiana è anche mariana. È facile evidenziare il ruolo di Maria nell'iniziazione cristiana, ruolo legato direttamente al fatto che essa è la madre di Cristo, il Verbo fatto carne che estende la sua opera salvifica nell'esistenza del battezzato. La presenza di Maria è contenuto essenziale della fede professata durante l'immersione nell'acqua battesimale.

La seconda parte della professione di fede riconosce il ruolo di Maria come presenza attiva nella storia della salvezza: «Credi tu in Gesù Cristo, il Figlio di Dio nato dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, che morì e fu sepolto, che risorse vivo dai morti al terzo giorno, che è salito al cielo, che siede alla destra del Padre e che verrà a giudicare i vivi ed i morti? Credo».

Diversi studiosi sottolineano il valore di alleanza di questo momento del rito battesimale: «Il fatto che la formula battesimale sia simultaneamente anche una professione di fede è già sufficiente per qualificare il sacramento come un incontro dell'azione salvifica di Dio con la risposta di fede dell'uomo e per indicare che la salvezza donata nel Battesimo è in ogni caso una salvezza di alleanza».

E Maria, «arca dell'alleanza», è presente sia come madre di Cristo e della Chiesa, sia come contenuto esplicito della nostra fede battesimale. È meraviglioso pensare che, ogni volta che un battezzando professa il suo Credo, tutta la Chiesa sostiene il suo atto di fede cristiano e mariano. La nuova vita battesimale comunicata ad ogni battezzato è vita trinitaria, ecclesiale e mariana.

Sabato santo, 19.4.2003, Duomo di Milano: conferimento del Battesimo ad un adulto da parte del card. Dionigi Tettamanzi (foto BELLUSCHI).

Sabato santo, 19.4.2003, Duomo di Milano: conferimento del Battesimo ad un adulto da parte del card. Dionigi Tettamanzi (foto BELLUSCHI).

Maria: «stella dell'evangelizzazione». La vita battesimale si inserisce e si espande nel mondo e nella storia incarnandosi nelle più svariate culture e lievitandole dall'interno verso una pienezza di vita in Cristo.

Basterebbe il solo paragone tra la liturgia della Chiesa orientale e quella della Chiesa occidentale per riconoscere come l'unica fede mariana si è espressa in modalità tanto diverse e tanto complementari. Lo stesso avviene tutte le volte che il cristianesimo entra in dialogo con le «culture altre» che, anche quando appaiono semplici e primitive, posseggono tale ricchezza intima che solo il dinamismo genuino del Vangelo può adeguatamente ridestare e portare a perfezione.

Certamente nessuno pone sotto silenzio la raccomandazione del Concilio che «esorta caldamente i teologi e i predicatori della Parola ad astenersi con ogni cura da qualunque falsa esagerazione, come pure dalla grettezza di mente, nel considerare la singolare dignità della Madre di Dio»; ma tutti si è convinti, oggi, delle intuizioni di Paolo VI che vedeva in Maria la «stella dell'evangelizzazione », e di un'evangelizzazione intimamente inculturata tra gli uomini di oggi.

Al mattino di Pentecoste, ella ha presieduto con la sua preghiera all'inizio dell'evangelizzazione sotto l'azione dello Spirito Santo: è lei la «stella dell'evangelizzazione» sempre rinnovata che la Chiesa, docile al mandato del suo Signore, deve promuovere e adempiere, soprattutto in questi tempi difficili, ma pieni di speranza. La problematica dell'inculturazione si connette, nei nostri ambienti di antica tradizione cristiana e di profonda devozione mariana, alla problematica della pietà popolare.

Nella cultura odierna assistiamo ad un movimento di ritorno alle origini e alle radici della propria cultura. È lo sforzo di ristabilire un equilibrio con le forze che, d'altra parte, tendono a globalizzare la nostra visione del mondo, degli uomini, della storia e della salvezza.

La presenza attiva di Maria, incarnata nella vita e nella religiosità della gente comune, contribuisce ad evitare i rischi di visioni particolari della ricerca di Dio e della nostra fede. Paolo VI esortava i capi delle comunità ecclesiali a trovare idonee «norme di comportamento nei confronti di questa realtà, così ricca e insieme così vulnerabile. Prima di tutto, occorre esservi sensibili, saper cogliere le sue dimensioni interiori e i suoi valori innegabili, essere disposti ad aiutarla a superare i suoi rischi di deviazione. Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo».

Maria e i contenuti della fede. I contenuti della fede cristiana, a partire dalla centralità del mistero di Cristo, dicono riferimento intrinseco al mistero di Maria. Questo è l'insegnamento del Vaticano II: «Volle il Padre delle misericordie che l'accettazione di colei che era predestinata a essere la madre precedesse l'incarnazione, perché così, come una donna aveva contribuito a dare la morte, una donna contribuisse a dare la vita. E questo vale in modo straordinario della Madre di Gesù, la quale ha dato al mondo la Vita stessa che tutto rinnova» (LG 56).

Per Maria i luoghi dell'apprendimento della scienza di Dio, sotto la guida dello Spirito, non sono state le aule scolastiche, ma i luoghi della vita quotidiana, consumata nell'amore per Dio e per il prossimo: la casa di Nazaret, la casa di Elisabetta, il luogo del parto a Betlemme, la via verso l'Egitto e quella del ritorno a casa, il Tempio di Gerusalemme, la vita nascosta a Nazaret, la festa di nozze a Cana, il Golgota, il Cenacolo.

Sono allora gli atteggiamenti interiori di Maria, quali il silenzio, il custodire nel cuore, la risposta della fede senza riserve, l'andare missionario, l'attenzione ai bisogni del prossimo, la fortezza nell'ora della prova..., a rilevare il lavoro dello Spirito nel cammino spirituale della Madre di Cristo e della Chiesa.

Il silenzio, qualificante il discepolato di Maria più delle parole, è infatti lo spazio per accogliere nei cuori la piena risonanza della voce dello Spirito Santo: occorre far silenzio dentro di sé, affinché possa esprimersi l'Ospite dolce dell'anima, perché egli porti nei cuori la conoscenza e l'esperienza di Dio, dal quale fiorisce la preghiera.

Il cantico del Magnificat, mentre esprime la comprensione di Maria dei misteri di Dio, visibilizza l'efficacia del magistero dello Spirito nell'animo della discepola della Sapienza. Fermarsi soltanto a contemplare in Maria la donna docile alla voce dello Spirito non è tuttavia sufficiente. Occorre dilatarsi all'azione dello Spirito, sul suo esempio e sotto il suo magistero: da discepola dello Spirito ella è diventata maestra nell'insegnare la scienza di Dio, elargita dallo Spirito.

Giuseppe Daminelli, smm








Maria e i sacerdoti

«La Vergine fu il modello di quell'amore materno del quale devono essere animati
tutti i ministri della Chiesa».

Il Vaticano II, pur producendo una vasta e autorevole sintesi dottrinale nella Costituzione dogmatica ecclesiologica su Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa (cf Lumen gentium 52-69), non ha mostrato alcun interesse verso la questione teologica, devozionale ed iconografica della Virgo sacerdos, dando invece molta importanza alla dottrina ecclesiale sul ruolo di Maria in qualità di cooperatrice ed associata a Cristo nella storia della salvezza.

Un'associazione che ha avuto il suo momento cruciale all'immolazione del Calvario ove, come insegnaLumen gentium 58, con animo materno ella si associò al sacrificio del Figlio redentore. Tale associazione è stata anche teologale e teologico consenso della Madre all'oblazione del Figlio. Stando alla scuola del Concilio che ha ricuperato e valorizzato la grande tradizione patristico-mariologica meno legata alla dimensione dogmatica dell'evento mariano e più a quella teologico- teologale, si può ben dire con Lumen gentium 58 che la fede di Maria trova il suo punto culminante nella croce: «La fede – ha scritto Joseph Ratzinger – entra nella sua kenosi più profonda, sta nell'oscurità totale. Ma appunto così essa è partecipazione piena allo spogliamento (Fil 2,5-8) di Gesù».

Cristo sulla croce ha squarciato le dense nubi della storia umana e ha fatto brillare il sole dell'amore misericordioso di Dio. Maria è la traduzione di questo amore infinito; solo in lei l'immagine della croce giunge a compimento, perché essa è la croce accolta, la croce che comunica l'amore, che ci permette ora, nella sua compassione, di sperimentare la compassione di Dio.

Quindi, asserisce il Vaticano II, la Madre di Cristo è invocata nella Chiesa, specialmente e a motivo di questa straordinaria partecipazione al sacrificio di Cristo, «con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice. Ciò però va compreso in modo da non togliere nulla alla dignità ed efficacia dell'unico mediatore Gesù Cristo» (Lumen gentium 62). Questa mediazione della creatura Maria è precisata dal Concilio come una mediazione partecipata e subordinata, cioè partecipazione all'opera di Cristo e subordinazione alla sua persona e ministero universale.

Abbiamo anche l'incisivo testo di Lumen gentium 65, che invita i ministri della Chiesa (vescovi, presbiteri e diaconi) a possedere le qualità teologali e di servizio della Madre di Cristo quando asserisce che anche nella «sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda a colei che generò Cristo, il quale fu concepito da Spirito Santo e nacque dalla Vergine, per poter nascere e crescere per mezzo della Chiesa nel cuore dei fedeli. La Vergine infatti nella sua vita fu il modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini».

Da questo brano conciliare possiamo dedurre che veramente Maria, che ha cooperato e coopera con Cristo e nello Spirito, in Ecclesia, con la sua materna carità alla rigenerazione soprannaturale degli uomini e delle donne (cf Lumen gentium 60-62), incarna le "qualità fondamentali" di quel "sacerdozio universale" di Cristo che si esercita, nella Chiesa, sia attraverso l'esercizio del «culto in spirito e verità» (Gv 4,24), sia attraverso l'offerta, nella vita, di "sacrifici spirituali" da parte di tutti i credenti, che in virtù della "misericordia di Dio", offrono se stessi (i loro corpi) come «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1; cf Lumen gentium 34). Tale esercizio di «culto ed offerta spirituale », non si compie parallelamente all'offerta del sacerdozio ministeriale, ma si esercita, in comunione con esso, in un "unico atto oblativo" con l'unica offerta sacerdotale di Gesù, elevata, nello Spirito, a lode e gloria del Padre e a salvezza dell'umanità. Diciamo pure che nella dottrina mariana del Vaticano II solo remotamente si potrebbe desumere un riferimento e, meno che meno, una riproposta del sacerdozio della Vergine nei termini ad esso precedenti!

Celebrazione eucaristica (anni ’80) ai piedi del Monte Sinai (Egitto).

Celebrazione eucaristica (anni '80) ai piedi del Monte Sinai (Egitto).

Il Vaticano II ha dato alla Chiesa dei nostri giorni una soda dottrina ecclesiologica e mariologica, fornendo, inoltre, orientamenti e criteri per impostare anche una sana "linguistica mariologica" che impedisca il ripetersi di fraintendimenti di ordine teologico, pastorale ed ecumenico. Nel linguaggio teologico pre-conciliare, come nella celebrazione liturgica e nella pietà popolare, la maternità di Maria verso gli uomini era espressa con il termine mediazione universale di tutte le grazie.

Negli anni precedenti alla celebrazione del Vaticano II ci fu un notevole entusiasmo in relazione a questo tema, fino al punto da qualificare questa affermazione come doctrina catholica, de fide proxima e perfino de fide divina. Si pensava alla "definibilità" di questa dottrina come dogma di fede.

Perciò, dopo il Concilio, tenendo presenti gli elementi con cui è stata arricchita la dottrina mariologica nella Chiesa cattolica, l'espressione è stata sfumata e collocata nella sua vera luce. Pure nei documenti del magistero post-conciliare non troviamo più questa espressione che solleva problemi non solo di carattere ecumenico, ma anche teologico.

L'essenzialità della dottrina conciliare, come la ponderata scelta del linguaggio teologico volto a designare e illustrare la cooperazione di Maria alla salvezza di Dio, non solo mostrano Maria come la straordinaria beneficiaria della redenzione (l'Immacolata e l'Assunzione ne sono i due paradigmatici fatti) e come la serva del Redentore associata alla sua redenzione, ma veicolano anche l'idea di Maria quale splendida icona della redenzione, vale a dire il suo essere stata costituita quale rappresentazione concreta e viva dell'efficacia della salvezza operata da Dio in Cristo.

Il Guercino, L'Assunta (1620-1623), chiesa del santissimo rosario, Cento (Ferrara).

Il Guercino, L'Assunta (1620-1623), chiesa del santissimo rosario, Cento (Ferrara).

Salvatore M. PERRELLA osm










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/12/2013 10:30
 
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   Presenza efficace nella nostra storia

Maria è posta nell'intimo della confessione cristiana nel Dio vivente, che non può essere pensato senza la Vergine di Nazaret.

Mai forse come il 26 giugno 2000 la sala stampa vaticana è stata affollata da giornalisti a nome di testate diffuse in tutto il mondo. Clamore mediatico comprensibile perché stava per essere rivelato il terzo segreto di Fatima. E, come si sa, un segreto suscita sempre curiosità.

Lo stesso attentatore Alì Agcà nel colloquio a quattr'occhi con Giovanni Paolo II a Rebibbia nel 1983 gli chiede espressamente: «Che cos'è il terzo segreto di Fatima?», nell'intento di trovare una spiegazione al suo gesto criminale. Scriverà nel libro farneticante Io, Gesù Cristo: «Ho capito di essere al centro di un mistero che cominciava il 13 maggio 1917».

Altri, come il tedesco L. Einrich, giungono a pubblicare nel 1963 in Neues Europa un testo inventato del segreto di Fatima che contiene notizie allarmanti circa cataclismi universali («catastrofe di fuoco e di fiamme») e lotte all'interno della Chiesa, dove «cardinali saranno contro cardinali e vescovi saranno contro vescovi. Satana si metterà in mezzo a loro».

Beato Angelico, Il paradiso, part. del Giudizio universale (1430 ca.), Museo di San Marco, Firenze (foto LORES RIVA).

Beato Angelico, Il paradiso, part. del Giudizio universale (1430 ca.), Museo di San Marco, Firenze (foto LORES RIVA).

Dal segreto alla rivelazione. La rivelazione della terza parte del segreto di Fatima è affidata da Giovanni Paolo II al card. J. Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Tale rivelazione sconfigge ugualmente la mania del sensazionale e il facile allarmismo, suscitando in alcuni delusione, in altri soddisfazione, in altri infine indifferenza.

Delusi rimangono quanti si aspettavano annunci di cataclismi universali e di mali catastrofici. soddisfatti invece si dichiarano quanti vivevano il segreto come un incubo da cui sono finalmente liberati. Indifferenti quanti pensano che nel Vangelo c'è già tutto ciò che è necessario per la salvezza dei singoli e del mondo, incorrendo verosimilmente nel rimprovero biblico a quanti sono insensibili a visioni e profezie: «Eppure il Signore, per mezzo di tutti i suoi profeti e dei veggenti, aveva ordinato…: Convertitevi dalle vostre vie malvagie» (2Re 17,13).

Da vero teologo, il card. Ratzinger ha distinto i due livelli della rivelazione, rivendicando il primato assoluto a quella definitiva, pubblica e necessaria avvenuta una volta per tutte in Cristo, mentre le ulteriori comunicazioni celesti hanno funzione sussidiaria: «L'autorità delle rivelazioni private è essenzialmente diversa dall'unica rivelazione pubblica», ma «la rivelazione privata è un aiuto per questa fede, e si manifesta come credibile proprio perché mi rimanda all'unica rivelazione pubblica».

In ciò che egli chiama «un tentativo di interpretazione del "segreto" di Fatima », Ratzinger spiega innanzitutto come possa costituire «una via di salvezza» qualcosa di «sorprendente per persone provenienti dall'ambito culturale anglosassone e tedesco: la devozione al Cuore immacolato di Maria».

Essa consiste praticamente in un'opzione fondamentale, che sulla scia di Maria inserisce la disponibilità al volere di Dio nel nucleo profondo dell'io umano. Per capire questo può bastare qui una breve indicazione. «Cuore» significa nel linguaggio della Bibbia il centro dell'esistenza umana, la confluenza di ragione, volontà, temperamento e sensibilità, in cui la persona trova la sua unità ed il suo orientamento interiore. Il «cuore immacolato» è secondo Mt 5,8 un cuore, che a partire da Dio è giunto ad una perfetta unità interiore e pertanto «vede Dio». «Devozione» al Cuore immacolato di Maria pertanto è avvicinarsi a questo atteggiamento del cuore, nel quale il Fiat – «Sia fatta la tua volontà» – diviene il centro informante di tutta quanta l'esistenza.

Continuando nell'analisi, il Cardinale comprende che come parola chiave della prima e della seconda parte del «segreto » è quella di «salvare le anime», così la parola chiave della terza parte è il triplice grido: «Penitenza! Penitenza! Penitenza! ».

Tale grido dev'essere situato nel momento storico attuale, «caratterizzato da grandi pericoli, i quali verranno delineati nelle immagini successive». Ed ecco balzare con evidenza la figura luminosa di Maria come efficace antidoto alle perniciose tendenze necrofile in atto nel mondo. Esaminiamo ora un poco più da vicino le singole immagini.

L'Angelo con la spada di fuoco a sinistra della Madre di Dio ricorda analoghe immagini dell'Apocalisse. Esso rappresenta la minaccia del giudizio, che incombe sul mondo. La prospettiva che il mondo potrebbe essere incenerito in un mare di fiamme, oggi non appare assolutamente più come pura fantasia: l'uomo stesso ha preparato con le sue invenzioni la spada di fuoco.

La visione mostra poi la forza che si contrappone al potere della distruzione – lo splendore della Madre di Dio – e, proveniente in un certo modo da questo, l'appello alla penitenza.

Ritornare al cuore di Maria. Come si può notare, esiste uno scontro frontale tra le forze di morte(necrofile), rappresentate dalla spada di fuoco che vorrebbe incenerire il cosmo, e le pulsioni di vita(biofile), condensate paradigmaticamente nello «splendore della Madre di Dio».

Il ritorno al Cuore immacolato di Maria è inevitabile quanto benefico: tutto si risolve con il richiamo alla libertà umana affinché si orienti decisamente al volere divino «in una direzione positiva » per la salvezza e la vita, e non per la distruzione e la morte. In tal modo viene sottolineata l'importanza della libertà dell'uomo: il futuro non è affatto determinato in modo immutabile e l'immagine, che i bambini videro, non è affatto un film anticipato del futuro, del quale nulla potrebbe più essere cambiato.

Tutta quanta la visione avviene in realtà solo per richiamare sullo scenario la libertà e per volgerla in una direzione positiva. Il senso della visione non è quindi quello di mostrare un film sul futuro irrimediabilmente fissato. Il suo senso è esattamente il contrario, quello di mobilitare le forze del cambiamento in bene. La salvezza è dunque ancorata ad un'autentica antropologia, secondo cui al fatalismo si sostituiscono la responsabilità e l'impegno, capaci di cambiare il volto degli esseri umani e il movimento della storia.

L'arcangelo Michele pesa le anime, part. del Giudizio universale (sec. XII), Cattedrale di Autun (Francia, foto BONOTTO).

L'arcangelo Michele pesa le anime, part. del Giudizio universale (sec. XII), Cattedrale di Autun (Francia, foto BONOTTO).

Il problema dell'essere umano. Con lucida visione il filosofo M. Heidegger presenta il problema dell'uomo come la questione fondamentale del nostro tempo. Nessuna epoca ha accumulato conoscenze tanto numerose e diverse concernenti l'uomo come la nostra. Ma nello stesso tempo nessuna epoca ha saputo meno che cos'è l'uomo. Mai l'uomo è apparso tanto misterioso. La ragione del mistero dell'uomo è la sua condizione di essere tra gli estremi: «L'uomo è l'essere della frontiera (Tommaso d'Aquino) tra natura e spirito, tempo ed eternità, tra Dio e il mondo ».

Si comprende perciò perché l'uomo è celato a se stesso e agli altri. È un homo absconditus. È un mistero della speranza e al tempo stesso un mistero della malvagità. Proprio in questa problematica s'innesta la figura di Maria che contribuisce con Cristo a rivelare l'uomo all'uomo. Questo homo revelatus, questa creatura manifestata a se stessa trova la sua icona nella Vergine Maria: su di lei si riverbera come primizia lo splendore del nuovo Adamo, che ella porta nel grembo; in lei, la plasmata dalla grazia, rifulge la creatura «ricreata» nell'immagine perfetta di Dio, il Cristo (cf Gv 1,18; 14,9; Col 1,15).

Beato Angelico (1395 ca.-1455), Cristo giudice, Museo di San Marco, Firenze (foto LORES RIVA).

Beato Angelico (1395 ca.-1455), Cristo giudice, Museo di San Marco, Firenze (foto LORES RIVA).

In questa linea teo-antropologica e storico-salvifica si era posto il contributo di J. Ratzinger, tanto da suscitare una ammirazione per il teologo tedesco che elabora con perspicacia e coerenza unamariologia essenzialmente teologica, più che mai necessaria oggi nell'ambiente della boriosaintellighentia incline a dileggiare la mariologia riducendola al ruolo di cenerentola o disciplina para-teologica.

Di fondamentale significato è da una parte il fatto che Maria con la sua maternità verginale strappa definitivamente il velo del nascondimento di Dio: ormai da Dio lontano egli «diventa il nostro Dio, l'Emmanuele, "Dio con noi"».

D'altra parte non meno pregno di senso è il consenso della Vergine, che mentre rivela il Dio del dialogo nella libertà, manifesta l'essere umano non già come una marionetta mossa dall'alto senza risposta propria, ma come assunto da Dio unitrino alla partecipazione attiva nell'opera di salvezza.

G.B. Tiepolo (1696-1770), La Penitenza e l'Umiltà, Santa Maria del Carmelo, Venezia (foto BONOTTO).

G.B. Tiepolo (1696-1770), La Penitenza e l'Umiltà, Santa Maria del Carmelo, Venezia (foto BONOTTO).

Maria diviene specchio dell'uomo che risponde a Dio offrendo la propria attività per la salvezza del mondo. Ne consegue che eliminare oppure obnubilare Maria immette nella negazione della creazione e nella negazione della realtà della grazia, in una concezione dell'attività solitaria di Dio che trasforma la creatura in una maschera e disconosce quindi anche il Dio della Bibbia, caratterizzato dal fatto che egli è il Creatore e il Dio dell'alleanza.


Padre Stefano de Fiores

da Madre di Dio maggio 2011







Celebrando il Signore lodiamo Maria

  di SERGIO GASPARI, smm


B.V.M. di Fatima (13 maggio)

Continuità tra lle apparizioni dell 1917 nella localliità lusitana e la lliiturgiia del rito romano.

Dio si rivela agli uomini attraverso la parola biblica e l'azione liturgica; talora anche con le rivelazioni private, quasi sempre con le mariofanie, le quali richiamano il Vangelo, ripresentandolo con accentuazioni dottrinali ed un linguaggio conformi al tempo storico in cui esse avvengono.

Nel celebrare il 13 maggio la Memoria facoltativa B.V.M. di Fatima, vogliamo mostrare alcune affinità e sintonie tra le apparizioni mariane a Fatima e gli eventi biblico-liturgici celebrati dalla Chiesa di rito romano, fino ad evidenziarne continuità di linguaggio, di forma e di contenuto.

Scultura in marmo eretta nel 1958 a Loca do Cabeço a ricordo della prima e terza apparizione dell'Angelo (foto QUAGLINO).

Scultura in marmo eretta nel 1958 a Loca do Cabeço a ricordo della prima e terza apparizione dell'Angelo (foto QUAGLINO).

1. Il "preludio angelico" e gli angeli all'incarnazione e alla risurrezione. Le apparizioni mariane sono precedute da un "preludio angelico": le tre apparizioni dell'Angelo (1916) destinate a preparare i veggenti agli eventi grandiosi che li attendono. L'Angelo dopo non tornerà più.

Nell'Annunciazione a Maria è inviato l'angelo Gabriele che, quale messaggero celeste, compie la sua missione e poi parte da lei (Lc 1,26.38). A Betlemme un angelo annuncia ai pastori la nascita del Salvatore (Lc 2,9-14), poi gli angeli si allontanano per tornare al cielo (Lc 2,15).

L'Angelo a Fatima prepara le apparizioni della Vergine. L'Angelo della risurrezione prepara le manifestazioni del Cristo pasquale: gli angeli alla tomba vuota annunciano alle donne la risurrezione(Mt 28,2-5 e par.); dopo di loro si manifesta Cristo risorto (Mt 28,9). Nella liturgia l'Angelo, cooperatore del disegno di salvezza, è l'intercessore celeste che dispone i fedeli all'incontro con il Signore.

Nella Preghiera eucaristica I preghiamo: (Padre) «fa' che questa offerta, per le mani del tuo Angelo santo, sia portata sull'altare del cielo, davanti alla tua maestà divina»..

Ignoto, Annunciazione (sec. XVI), Museo civico, Savigliano (Cuneo).

Ignoto, Annunciazione (sec. XVI), Museo civico, Savigliano (Cuneo).

2La prima apparizione mariana e i riti preparatori all'azione liturgica. La Vergine appare la prima volta il 13 maggio 1917 mentre i pastorelli si trovano al pascolo. Anche il giovane David è chiamato mentre sta al pascolo (1Sam 16,11-13). Cristo risorto a Emmaus si manifesta mentre i due discepoli stanno tornando alla loro vita ordinaria, si fa loro compagno di viaggio, poi comunica l'evento della sua risurrezione e spezza il pane (Lc 24,13-35). Mentre Pietro e gli altri discepoli stanno a pescare sul lago di Tiberiade, il Risorto si manifesta sulla riva e li invita a mangiare (Gv 21,1-14). Nella liturgia, inizialmente il Signore raggiunge i fedeli nella vita di ogni giorno per aiutarli a passare «dalla strada all'"Amen" celebrativo », dalla quotidianità all'incontro divinizzante con lui.

Giovanni Paolo II in preghiera nella Cappella delle apparizioni (pellegrinaggio a Fatima, 12-13.5.2000, foto GIULIANI).

Giovanni Paolo II in preghiera nella Cappella delle apparizioni (pellegrinaggio a Fatima, 12-13.5.2000, foto GIULIANI).

3. Segni prodigiosi nel cielo e la liturgia, "irruzione" del cielo sulla terra. Nella prima apparizione dell'Angelo si parla di un «vento forte». Il 13 maggio d'improvviso una folgore straordinaria percorre l'atmosfera, poi un nuovo bagliore trattiene i ragazzi e appare una luce bianca e abbagliante diffusa dalla Signora. Il 13 luglio ella avverte: «Vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta». Difatti il 13 ottobre avviene il prodigio atmosferico del sole che si mette a roteare su se stesso e dà l'impressione di precipitare sulla terra. In quello stesso giorno, mentre la Signora «si elevava (al cielo), il riflesso della sua stessa luce continuava a proiettarsi nel sole».

Dio si rivela così. La gloria del Signore avvolge di luce i pastori e l'Angelo annuncia la nascita di Cristo(Lc 2,9-11). L'Angelo dà anche il segno del prodigio: «Troverete un bambino che giace in una mangiatoia» (Lc 2,12). Al mattino della risurrezione, mentre le donne vanno al sepolcro sentono «un gran terremoto» (Mt 28,2). L'aspetto di Cristo risorto è «come la folgore» (Mt 28,3). Prima della discesa dello Spirito alla Pentecoste «venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo» (At 2,2). La stessa venuta dello Spirito è accompagnata da «fragore di tuono, vento impetuoso» (Ant. 2, Ufficio di Lettura, in LO 2, 927). Sempre la liturgia è "irruzione" del Cielo sulla terra.

Tutto nella creazione è «abilitato a dare espressione all'inesprimibile ». Le immense energie del cosmo sono poste a servizio dell'uomo e del culto, poiché «Dio ha voluto attuare e comunicare la sua salvezza attraverso il sacramento delle cose» umane.

4. I miracoli a Fatima e nella liturgia. Il 13 luglio Lucia «chiede (alla Vergine) di fare un miracolo perché tutti credano che lei ci appare». La Signora risponde: «A ottobre farò un miracolo che tutti potranno vedere per credere». Il 13 ottobre avviene il prodigio del sole, evento preannunciato il 13 maggio, e in quello stesso giorno la Vergine rivela che alcuni malati saranno guariti.

Fatima esplicita ciò che la liturgia compie quotidianamente, in particolare nei due sacramenti del recupero: il sacramento del perdono, seconda tavola di salvezza dopo il naufragio del peccato, e quello dell'unzione degli infermi, finalizzato alla guarigione spirituale e fisica. Se l'acqua benedetta è portatrice dello Spirito e l'olio sacramentale trasmette la potenza dello Spirito, l'Eucaristia è il "miracolo permanente" con cui il Signore si rende presente agli uomini e opera la salvezza. Come i miracoli del Gesù storico sono salvifici, così la liturgia è il "miracolo" sacramentale con cui il Signore continua a salvare il suo popolo.,

5. Le profezie mariane e la liturgia, profezia in atto. La Vergine profetizza eventi prima che avvengano. Il 13 luglio avverte: «La guerra sta per finire. Ma se (gli uomini) non smetteranno di offendere Dio, nel pontificato di Pio XI ne comincerà un'altra peggiore».

La roteazione del sole, 13 ottobre, è stata preannunciata sei mesi prima. Nel Magnificat la Vergine profetizza per la Chiesa futura. A Cana, ordinando ai servitori: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,4),anticipa il mandato pasquale di Cristo nell'ultima Cena (1Cor 11,24-25). Nella Visitazione ad Elisabetta anticipa la predicazione degli apostoli. Nella Presentazione al Tempio del Figlio preannuncia la Pasqua offertoriale della Chiesa. Fin dallo smarrimento di Gesù nel Tempio vive lo smarrimento del triduo pasquale. La liturgia, in quanto rivelazione celeste e verticalità, è già la terra nel cielo. Fin d'ora essa introduce nell'eternità beata del cielo. «Nella liturgia terrena – afferma il Vaticano II – noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini» (SC 8).

6. Il trionfo del Cuore immacolato di Maria e la vita nuova del Risorto nella liturgia.L'Angelo, che nella seconda apparizione si presenta come «l'Angelo della pace», predispone i veggenti alla missione per il trionfo del Cuore immacolato di Maria. Il 13 luglio ella avverte: «Se (gli uomini) ascolteranno le mie richieste, la Russia si convertirà e ci sarà pace... Finalmente il mio Cuore immacolato trionferà». La roteazione del sole, 13 ottobre, è vista come un chiaro segno del cielo a favore dei fatti avvenuti nei mesi precedenti.

La sera del giorno di Pasqua il Risorto, dicendo ai discepoli: «Pace a voi!», effonde lo Spirito della risurrezione e della remissione dei peccati (Gv 20,19-23; Lc 24,36). Con la risurrezione inizia la creazione nuova per il mondo, la vita pasquale per i discepoli, un'era nuova per la storia umana. La liturgia parla di «cieli nuovi e terra nuova». Come Lucia è impegnata per il trionfo del Cuore immacolato di Maria, così per i discepoli la vittoria di Cristo sulla morte significa impegno coraggioso nella testimonianza e nell'annuncio missionario. Dopo essersi intrattenuti con il Risorto sul lago di Tiberiade, Pietro segue il Maestro e gli altri discepoli gli rendono testimonianza (Gv 21,15-25). Le donne, dopo aver visto Cristo risorto al sepolcro vuoto, corrono «a dare l'annuncio ai suoi discepoli » (Mt 28,8) e i due viandanti di Emmaus si recano nuovamente a Gerusalemme per annunciare il Risorto agli altri nel Cenacolo (Lc 24,33-35). Queste e molte altre affinità, sia linguistiche che contenutistiche tra Fatima e il rito romano, evidenziano l'armonia tra il contesto narrativo-visivo delle apparizioni e quello biblico-liturgico del rito romano.

Sergio Gaspari, smm



 





Dio sceglie ciò che non appare

«Chi è più grande, colui che sta a tavola oppure colui che serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27).

Gesù aveva chiamato i primi discepoli. Tra essi c'è Filippo. Gesù l'aveva incontrato e gli aveva detto: «Seguimi!». E Filippo incontra l'amico Natanaele, che sarà l'apostolo Bartolomeo (Mt 10,3), e gli confida entusiasta: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret». E Natanaele, senza scomporsi: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). E Filippo: «Vieni e vedi». E abbiamo veduto cosa ne è venuto di buono da Nazaret, anche se non godeva di grande fama. Perché, proprio a Nazaret, la città di Maria, fu mandato da Dio l'angelo Gabriele. «L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret» (Lc 1,26).

Part. della facciata della Basilica dell'Annunciazione (1960-1969) a Nazaret (foto MARCATO).

Part. della facciata della Basilica dell'Annunciazione (1960-1969) a Nazaret (foto MARCATO).

Nell'annunciazione di Giovanni – scrive alois Stöger – l'invio dell'Angelo ha come meta il Tempio, il luogo di Dio, santo, chiuso, inaccessibile. Nell'annunciazione di Gesù ha come meta «una città della Galilea», la «Galilea delle genti» (Mt 4,15), confinante con nazioni pagane e frequentata dai loro abitanti; quella parte della Terra Santa che era ritenuta profana e sembrava trascurata da Dio; quella Galilea, dalla quale «non era sorto alcun profeta » (Gv 7,52). Nazaret: la città, sugli ultimi contrafforti dei monti galilei, a circa 140 km a Nord di Gerusalemme, è storicamente senza fama. L'Antico Testamento non ha mai citato questo nome; la cronaca dei giudei (Giuseppe Flavio) non ha nulla da dire su questa città. Ma Dio sceglie ciò che non appare, che è umile, disprezzato dagli uomini. La legge dell'incarnazione è questa: «Gesù… spogliò se stesso» (Fil 2,7). E, per scegliere la Madre di Gesù, Dio posò lo sguardo su questa città.

«Ed ecco – disse poi l'Angelo a Maria – Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei che era detta sterile» (Lc 1,36). Elisabetta era la madre di Giovanni Battista. Ecco come ci informa l'evangelista Luca (1,5-25): «Al tempo di Erode, re della Giudea, vi erano un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abia, e sua moglie, una discendente di Aronne, chiamata Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio… Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni»..

Ma che avvenne? «Avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore (a Gerusalemme)... apparve a lui un angelo del Signore... Gli disse: "Non temere, Zaccaria; la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio e tu lo chiamerai Giovanni". Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni, Elisabetta, sua moglie, concepì».

Intanto Maria, apprese dall'Angelo le notizie su Elisabetta, si era recata a visitare e a servire la cugina. E, trascorsi circa tre mesi, eccola di ritorno a Nazaret (cf Lc 1,56). Rivede il suo Giuseppe, il «falegname» (Mt 13,55), riprende i suoi lavori, la sua vita quotidiana. Dopo la nascita di Gesù a Betlemme e la fuga in Egitto, Giuseppe, «avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo dei Profeti: "Sarà chiamato Nazareno" » (Mt 2,22-23). E l'ignorata Nazaret, residenza di Maria, sarà la residenza di Gesù.

Fiorino Triverio














Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/12/2013 10:35
 
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QUEL TORMENTATO ISLAM
DEVOTO DELLA VERGINE MARIA

sommovimenti politici che stanno scuotendo, al momento in cui scriviamo, tutto il mondo musulmano del Nord Africa e Medio Oriente, spingendolo verso forme di democrazia, ci richiamano l'attenzione alle minoranze cristiane.

Vi è tutto un ambito mariano-islamico che un recente libro dell'arcivescovo di Trento, Luigi Bressan, già nunzio in vari Paesi arabi, ci permette di riscoprire (Maria nella devozione e nella pittura dell'islam, Jaca Book 2011, pp. 232, H 34,00).

Riprendiamo alcuni passi introduttivi. «È un fatto che molti musulmani, soprattutto donne, si soffermano davanti alle grotte innalzate nel mondo per onorare Maria, oppure, passandovi accanto, volgono a lei il pensiero e la invocano. È questo un fatto comune ad esempio in Pakistan, dove la statua della Vergine Maria è completamente velata secondo la cultura locale, mentre il grande pellegrinaggio nazionale di settembre a Mariamabad ("Villaggio di Maria"), riunisce centomila e talvolta oltre duecentomila pellegrini, tra cui moltissimi sono musulmani.

La devozione islamica verso la Madonna si riscontra in modo evidente a chi visiti il Santuario di Nostra Signora del Libano, sopra Beirut, ma essa è un fatto presente nel mondo intero e corrisponde all'eccezionalità della figura di Maryam secondo lo stesso Corano.

(foto GIULIANI).

Foto GIULIANI

Recentemente, cristiani e musulmani del Libano hanno proposto di proclamare il 25 marzo, festa dell'Annunciazione dell'arcangelo Gabriele a Maria, festa nazionale. L'idea è stata ufficialmente accolta dal primo ministro Saad Hariri, musulmano sunnita, e dichiarata, a partire dal 2010, ricorrenza festiva "nazionale islamo-cristiana"…

Dal 18 al 25 maggio ogni anno musulmani e cristiani celebrano in Egitto la nascita di Maria e si recano a centinaia di migliaia (raggiungendo anche i due milioni) al Santuario mariano sul monte Al-Tir (Samallut, provincia di Minya). Qui la "Sacra Famiglia" avrebbe soggiornato per tre notti durante l'esodo in Egitto che, secondo la tradizione musulmana, sarebbe durato 12 anni.

Altri motivi di incontro sono le "apparizioni" di Maria nelle periferie del Cairo: la prima sarebbe stata "fotografata" presso la chiesa copta nel quartiere di Zaytun, il 2 aprile 1968; la seconda sarebbe stata vista, anzitutto, da due meccanici musulmani il 25 marzo 1986 e quindi da molti altri a Shoubra, sempre al Cairo…

Un altro luogo dove si trovano donne in preghiera davanti alla statua di Maria è l'"Altare sabaudo" a Nostra Signora del rosario nella chiesa dei santi Pietro e Paolo a Istanbul (retta dai Domenicani).

Per quanto riguarda il Maghreb va notato che a Casablanca (Marocco) si incontrano molte donne musulmane davanti alla grotta di Nostra Signora di Lourdes al Rond-Point-d'Europe (parrocchia cattolica della città). Migliaia e migliaia di pellegrini musulmani si recano al Santuario di Notre- Dame d'Afrique ad Algeri, noto tra loro spesso come "Madame l'Afrique".

Per non dimenticare Fatima (Portogallo), centro mondiale di pellegrinaggi, che ai musulmani ricorda anche il nome della figlia di Maometto. Certe comunità di immigrati albanesi in Italia (cristiani e musulmani) si riuniscono attorno alla Madonna del buon consiglio, la cui icona, come è noto, si trova a Genazzano (Roma), ma proviene dall'Albania…».

PER «UNA SOCIETÀ ARMONIOSA» CON MARIA, AIUTO DEI CRISTIANI

«Carissimi pastori e fedeli tutti, il giorno 24 maggio, dedicato alla memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani (Auxilium Christianorum) – la quale è venerata con tanta devozione nel Santuario mariano di Sheshan a Shanghai – diventi occasione per i cattolici di tutto il mondo di unirsi in preghiera con la Chiesa che è in Cina».

Sono parole di Benedetto XVI, che anche il dicembre scorso ha invitato a pregare per la Cina.

Benedetto XVI (foto FERRARI / ANSA).

Benedetto XVI (foto FERRARI / ANSA).

In un momento assai difficile, con l'ordinazione di vescovi non fedeli a Roma e imposti dal regime comunista, come è avvenuto a novembre, il Papa rinnova l'esortazione a «chiedere alla Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, di sostenere tutti i vescovi cinesi affinché testimonino la loro fede con coraggio, riponendo ogni speranza nel Salvatore».

E inoltre affida «alla Vergine tutti i cattolici di quell'amato Paese, perché, con la sua intercessione, possano realizzare un'autentica esistenza cristiana in comunione con la Chiesa universale, contribuendo così anche all'armonia e al bene comune del loro nobile popolo».

Benedetto XVI ricorda da una parte che non si può dare «una autentica esistenza cristiana» senza essere in comunione col Papa e dall'altra che non c'è contraddizione fra l'essere cattolici in piena comunione con Roma e l'essere buoni cittadini della Repubblica popolare cinese. E lo fa con una espressione che richiama quella usata frequentemente dal presidente cinese Hu Jintao quando invoca la necessità di costruire «una società armoniosa» (cf Avvenire, 2.10.2010)

FATIMA: «I TRIONFI DI MARIA SONO SILENZIOSI, MA REALI»

Nel libro-intervista Luce del mondo (Libreria Editrice Vaticana 2010, pp. 288, H 19,50) papa Benedetto XVI offre alcune indicazioni per comprendere Fatima e il suo messaggio.

L'intervistatore Peter Seewald ponendo le sue domande afferma: «Il famoso "Terzo segreto di Fatima" – come riportato da Lucia (nella foto), ndr – venne pubblicato solo nell'anno 2000 dal cardinale Joseph Ratzinger su disposizione di Giovanni Paolo II.

(foto ANSA)

(foto ANSA)

Il testo parla di un vescovo vestito di bianco, che cade a terra, ucciso da un gruppo di soldati che gli sparano vari colpi di arma da fuoco, scena questa che venne interpretata come prefigurazione dell'attentato subìto da Giovanni Paolo II.

Ora Lei dice: "Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa". Cosa intende? Significa che il messaggio di Fatima in realtà ancora non si è compiuto?». (Il Papa risponde). «Nel messaggio di Fatima bisogna tenere distinte due cose: vi è da un lato un preciso avvenimento, rappresentato in forma di visione, dall'altro la cosa fondamentale, della quale si tratta. Il punto non era soddisfare una curiosità. In questo caso avremmo dovuto pubblicare il testo molto prima. No, si tratta di accennare ad un punto critico, ad un momento critico nella storia: quello nel quale si scatena tutta la forza del male, che nel XX secolo si è cristallizzata nelle grandi dittature e che, in altra forma, agisce anche oggi. Si trattava poi della risposta a questa sfida. Questa risposta non consiste in grandi azioni politiche, ma in definitiva può giungere solo dalla trasformazione dei cuori: attraverso la fede, la speranza, l'amore e la penitenza. In questo senso il messaggio di Fatima non è concluso, anche se le due grandi dittature sono scomparse. Rimane la sofferenza della Chiesa, resta la minaccia agli uomini e con essa permane anche la questione della risposta; rimane perciò anche l'indicazione che ci ha dato Maria.

Anche ora vi sono tribolazioni. Anche oggi il potere minaccia di calpestare la fede in tutte le forme possibili. Anche oggi è perciò necessaria la risposta della quale la Madre di Dio ha parlato ai bambini… La Chiesa è sempre chiamata a fare ciò per cui Abramo pregò Dio, e cioè avere cura che vi siano abbastanza giusti per tenere a freno il male. Ho voluto dire che le forze del bene possono sempre crescere di nuovo. In questo senso i trionfi di Dio, i trionfi di Maria sono silenziosi, e tuttavia reali» (pp. 228ss).

Brevi

• «Non so quando esso verrà – il momento della morte, ndr – ma come tutto, anche questo momento depongo nelle mani della Madre del mio Maestro: Totus tuus. Nelle stesse mani materne lascio tutto e tutti coloro con i quali mi ha collegato la mia vita e la mia vocazione…».

Sono parole del Primo Testamento, del 3 marzo 1979, a cui farà seguito un testo più ampio del 1980. Karol Wojtyla diventerà papa otto mesi dopo. Qui è già tutto il cuore mariano del suo pontificato, che verrà espresso nell'enciclica Redemptoris Mater del 1987 e poi nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae del 2002. Lo ricordiamo come ideale apertura del mese di maggio 2011, giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II.

Giovanni Paolo II (foto GIULIANI)

Giovanni Paolo II (foto GIULIANI)

• «Le scene della vita di Maria sono una vera e propria sciarada teologicospirituale. È tutto un brulicare di traduzioni pittoriche e simboliche delle litanie lauretane». Così il direttore dei Musei vaticani, Antonio Paolucci, descrive gli affreschi del Pomarancio (al secolo Cristoforo Roncalli) della Sala del Tesoro di Loreto (L'Osservatore Romano, 15.12.2010). Un dottissimo trattato di teologia mariana in 24m. x 14 dipinto quattro secoli fa, tra il 1605 e il 1610. A Padova Giotto, nella Cappella degli Scrovegni, ci aveva dato il "gotico" dei Vangeli dell'infanzia, qui a Loreto il Pomarancio ce ne ha dato la versione "manierista". Il 15 dicembre la Delegazione pontificia del Santuario e la Regione Marche hanno aperto la campagna per il restauro del grande complesso pittorico.

 «Preghiera e penitenza» chiese la Vergine, apparendo a Castelleone (Cremona) a Domenica Zanenga, l'11 maggio di 500 anni fa (1511). Ma nessuno credette alla veggente, che restò per questo muta e storpia. E così anche il sacerdote Giacomo Zoveni, che, dubitando, rimase menomato al braccio. Finalmente la gente comprese, accorse e credette. Il 13 maggio don Zoveni guarì e poi con lui anche la veggente. Altri eventi confermarono le apparizioni e il vescovo Nicolò Sfondrati, futuro Gregorio XIV, nel 1580 riconoscerà la soprannaturalità dei fatti. Le celebrazioni, aperte nel 2010 dal vescovo di Lourdes Jacques Perrier, saranno chiuse il 15 maggio 2011 dal Vescovo di Cremona.

Il cardinale di Hong Kong Joseph Zen (foto EPA / YM YIK)

Il cardinale di Hong Kong Joseph Zen (foto EPA / YM YIK)

 «Il vostro cuore dovrebbe essere nel Santuario mariano di Sheshan», dice Benedetto XVI al cardinale di Hong Kong Joseph Zen. E Zen, sorridendo: «Santità, dato che non posso essere a Sheshan, sono venuto qui». È il 13 maggio 2010. Sono battute di un dialogo, riportato da Asia News, in margine al pellegrinaggio a Fatima (Avvenire, 23.5.2010). Il Papa ricordava che il 24 maggio è la festa di Maria ausiliatrice, in cui tutti i cristiani del mondo pregano per la Cina. E il cardinale Joseph Zen rispondeva che, non potendo andare pellegrino al più importante Santuario del suo paese, la Cina, perché impedito dalle autorità comuniste, era venuto a Fatima a pregare.

 «La Comunione anglicana… nel contesto di una maggior unità tra le due comunità» (anglicana e cattolica) procederà a «studi ulteriori delle questioni sollevate dal documento su Maria e, in particolare, dell'autorità e dello status dei dogmi cattolici dell'Immacolata Concezione e dell'Assunzione…» (L'Osservatore Romano 11.2.2011). Sono soprattutto questi due dogmi mariani a fare problema. La dichiarazione è del vescovo ausiliare di Westminster, George Stack, e fa il punto sulla Dichiarazione di Seattle del 2004 su "Maria, grazia e speranza in Cristo". Dal 17 al 27 maggio riprenderanno i lavori del dialogo ecumenico nell'ambito della Commissione anglicano-cattolica (Arcic) presso il monastero di Bose (Italia).

Victo Hugo

Victo Hugo

 «Fra tutte è la più bella», scrisse Victor Hugo. Il gotico maturo diventa in questa Cattedrale la «summa di pietra, vetro (le vetrate), di fede e conoscenza dell'intero sapere medioevale ». E qui pulsa la storia di Francia: vi furono consacrati 32 re, sino al 1825. Qui Giovanna d'Arco assistette all'incoronazione di Carlo VII. Qui, dopo la seconda guerra mondiale, De Gaulle andò a Messa con Konrad Adenauer suggellando la pace. Dedicata a Notre-Dame come le coeve di Parigi e di Chartres, ha nel portale la "storia" di Maria, dall'Annunciazione all'Assunzione. Stiamo parlando della Cattedrale di Reims che il 6 maggio festeggerà i suoi 800 anni: la posa della prima pietra.

 «Andrò a Guadalupe, a ringraziare la Signora, per le nuove terre che mi ha concesso di scoprire». Sono parole scritte da Cristoforo Colombo nel diario di bordo di una caravella, nel 1493. Colombo aveva scoperto l'America l'anno prima. Guadalupe, il Santuario allora più venerato di Spagna, ricorda un'apparizione del primo '300 quando, in piena lotta contro i mori, la Vergine apparve a un giovane rincuorandolo: «No temas que yo soy la Madre de Dios». Considerata questa Madonna la "Reina de las Españas", ha dato il nome storicamente all'altra, oggi più nota, Guadalupe: cioè il Santuario del Messico, dove la Vergine apparve nel 1531. Nel Santuario spagnolo vennero battezzati i primi indigeni indios portati in Europa. In questa Guadalupe di Colombo si sta celebrando l'anno giubilare di tanta storia.

• Benedetto XVI il 7-8 maggio si recherà nell'antica sede del Patriarcato di Aquileia – che diede vita poi a quello di Venezia – e incontrerà l'Episcopato nella grandiosa Basilica di Santa Maria Assunta, situata a pochi chilometri dal Santuario della Madonna di Barbiana di Grado. Antichissimo centro mariano, sorto nel sec. VI, nell'omonima isoletta. Il Papa vi incontrerà i vescovi di ben 36 Diocesi (erano 56 nel medioevo), un tempo dipendenti dal Patriarcato: e cioè del Veneto, Friuli, Slovenia, Croazia, Austria. Mentre il 17 giugno, in visita nella Repubblica di San Marino, pellegrinerà al Santuario della Madonna delle grazie o della consolazione di Borgomaggiore.

San Francesco di Sales

San Francesco di Sales

• «Ricordatevi, o pietosissima Vergine Maria, che non si è mai inteso al mondo che alcuno ricorresse… e sia stato da voi abbandonato». Lesse la famosa preghiera di san Bernardo, trovata in fondo a una chiesa, e scoppiò in lacrime. Parliamo del futuro vescovo di Ginevra, san Francesco di Sales (1567-1622), che ancora giovane prete stava subendo una grave prova. «Come questo santo, patrono dei giornalisti e notissimo per opere di spiritualità, come la Filotea – ci dice il vescovo di La Spezia, Francesco Moraglia – possiamo anche noi fare grandi progetti e la Vergine sicuramente aiuterà a realizzarli» (Avvenire, 13.2.2011). Come suo solito, ogni primo sabato del mese – e le parole le abbiamo citate dal suo pellegrinaggio alla chiesa della Natività di Maria – Moraglia si reca a un santuario della Diocesi. Un chiaro esempio per vescovi e non.



 



Un testamento spirituale

«Con Maria a Cana ricomprendiamo l'autentico umanesimo e l'importanza di genuine relazioni».

'amore muove al servizio. Maria è madre sollecita nel promuovere la crescita della vita di Gesù in noi; è ausiliatrice che risveglia le risorse facendole convergere verso il servizio della comunione e della gioia, come testimonia l'episodio del banchetto di nozze a Cana di Galilea (cf Gv 2,1-12). L'icona di Cana figura nei misteri della luce, che arricchiscono la corona del rosario. ACana avviene la manifestazione di Gesù, favorita dalla Madre. Ma avviene anche la manifestazione di Maria: «Fate quello che egli vi dirà ». Questa è l'unica parola di Maria indirizzata a noi che i Vangeli ci riferiscono. È dunque quasi un testamento spirituale. La forza di questa parola nasce in Maria dall'esperienza personale. In lei il credere e l'obbedire sono atteggiamenti costanti di vita. È diventata madre perché ha creduto alla parola dell'Angelo. Esperta nel fidarsi della Parola, può ora aiutare gli altri a fare altrettanto.

Ignoto, Le nozze di Cana, miniatura araba del sec. XVII, Biblioteca palatina, Parma (foto LORES RIVA).

Ignoto, Le nozze di Cana, miniatura araba del sec. XVII, Biblioteca palatina, Parma (foto LORES RIVA).

'episodio delle nozze celebrate a Cana mi offre l'opportunità di sottolineare alcune dimensioni che ritengo fondamentali nella vita di ogni cristiano.

 Il discernimento. Con l'intelligenza del cuore Maria scorge il bisogno degli sposi prima che essi lo esprimano come disagio. La visione di Maria è quella del colpo d'occhio che sa focalizzare immediatamente quello che c'è e quello che manca sulla mensa degli sposi: «Non hanno più vino», dice a Gesù. Lo spirito contemplativo, che caratterizza tutta la vita di Maria, le permette di penetrare, di discernere, ossia di creare sintesi facendo memoria, ponendo a confronto elementi, avvenimenti, intuizioni, esperienze.

Il discernimento evidenzia la dimensione mistica della vita di ognuno di noi. Esso richiede la disponibilità a lasciarci convertire dallo Spirito per essere da lui abilitati alla lettura credente della realtà, a scelte evangeliche coerenti. Dinanzi alla complessità odierna, quale testimonianza credente possiamo offrire e quali spazi si aprono per la missione di evangelizzare educando? Abbiamo bisogno, come Maria, di rivolgerci a Gesù con volto implorante e fiducioso per indicare la mancanza di vino.

• Il coordinamento per la comunione. Maria non provvede direttamente alla mancanza di vino; semplicemente la pone in rilievo con una intercessione discreta ed essenziale. Non domanda nulla: si consegna totalmente a Gesù con la fiducia e la speranza che sgorgano dal suo silenzio orante. Dinanzi alla risposta enigmatica del Figlio, non cerca di comprendere a tutti i costi, ma ha la certezza che egli in qualche modo interverrà.

Alla scuola di Gesù, Maria ha imparato ad affidarsi alla volontà di Dio. Gesù è la via; Maria la indica. Conosce la strada per esperienza personale, per questo può aiutare gli altri a percorrerla suscitando il loro coinvolgimento. Lei coordina. Alla festa della vita tutti devono contribuire integrando i servizi: riempire le giare, portarle al maestro. Alla trasformazione dell'acqua in vino penserà Gesù. Tutti nella comunità ecclesiale abbiamo qualcosa da offrire e da integrare con l'apporto diversificato delle diverse vocazioni.

Dov'è Maria, là è la comunione, la valorizzazione delle risorse e l'aiuto a coordinarle per generare speranza.

 Il servizio alla vita e alla gioia. Le anfore vuote poste in disparte vengono richiamate alla loro funzione di essere portatrici di acqua, ad una vocazione di servizio. Ogni vocazione è sempre, misteriosamente, vocazione a prender parte in modo personale, anche costoso e sofferto, al ministero della salvezza.

La vocazione è sempre, infatti, una chiamata a servire e culmina nella scoperta del nome nuovo, pensato da Dio per ciascuno, nel quale è racchiusa la sua vera identità. Ma occorre superare le tentazioni dell'individualismo, scoprire il servizio come manifestazione di libertà e orizzonte per relazioni interpersonali ispirate alla reciprocità. La comunità ecclesiale è chiamata a prolungare la missione materna di Maria, ad essere ausiliatrice tra le giovani generazioni in un tempo di forte emergenza educativa, come ha dichiarato più volte Benedetto XVI.

Potremo farlo se rinnoviamo la passione per Dio e per l'umanità; se osiamo proporre ai giovani l'ideale della comunione che aiuta a superare i pregiudizi, la diffidenza e l'estraneità; libera e potenzia le risorse rendendole disponibili per un servizio alla vita e alla gioia.

A Cana c'era la Madre di Gesù. E avvenne il miracolo. Chiediamo che anche oggi lei sieda con noi a mensa, sia presente nelle nostre comunità, nei luoghi della missione. Si rinnoverà allora il miracolo dell'acqua cambiata in vino: il miracolo della comunione e della solidarietà, vie che costruiscono nuovi rapporti per un mondo di speranza e di pace.

Antonia Colombo, fma












Amici di Dio

di GIANNI MORALLI


Teresa, "l'analfabeta sapiente"

La sua spiritualità «si presenta centrata sulla solida base della pietà eucaristica, della vera devozione alla Madonna e della semplicità francescana».

Se la Chiesa ha ancora oggi il coraggio di parlare di santità e di elevare agli onori degli altari una giovane laica, analfabeta, proveniente da una famiglia numerosa – ben dodici figli! – che lavorava la terra, unica fonte di vita per le tante bocche da sfamare, ma dove «il timor di Dio, la preghiera, l'aiuto vicendevole, la carità, l'esempio» sono sempre vissuti e praticati, vuol dire che lo Spirito Santo alita ancora forte e dove si posa sbocciano "fiori" dai mille colori ed il loro profumo è sempre vivo e fragrante. Uno di questi "fiori" nel giardino della Chiesa è Teresa Manganiello, la cui vita è stata sottolineata da mons. Angelo Amato, sdb, prefetto della Congregazione delle cause dei santi e delegato dal Papa per il rito della sua beatificazione, il 22 maggio 2010, ad Avellino.

La morte di santa Chiara (1962), chiesa di santa Chiara, Villachiara (Brescia. Foto BONOTTO).

La morte di santa Chiara (1962), chiesa di santa Chiara, Villachiara (Brescia. Foto BONOTTO).

«Una vita intensa, profetica, seppure breve, ricordando le testimonianze che la tramandano come la monachella santa che metteva il bene nella testa di tutti. Oggi non si crede nell'inferno, ma si lavora perché la società diventi un inferno e Teresa operava per fare il paradiso in terra. Fu antesignana delle moderne forme di volontariato cristiano curando gli ammalati, accogliendo ed alleviando le sofferenze dei poveri, dei carcerati, degli orfani, dei diseredati. È la sua personalissima Pentecoste vissuta nel senso della preghiera, della penitenza, della carità...»

La beata Teresa Manganiello, prima terziaria francescana di Montefusco (foto WWW.SANTIEBEATI.IT).

La beata Teresa Manganiello, prima terziaria francescana di Montefusco (foto WWW.SANTIEBEATI.IT).

Nasce a Montefusco (Avellino) il 1° gennaio 1849, penultima di dodici figli, da Romualdo e Rosaria Lepore, modesti agricoltori, ma dove i princìpi cristiani erano ben radicati e, come la maggior parte dei bambini del Sud di quel tempo, la piccola Teresa non frequentò le scuole e visse all'ombra della casa colonica, nella semplicità, nella delicatezza, nell'umiltà di un'esistenza fatta di fatica in casa e nei campi, sempre con dedizione e generosità, ed invitava i fratelli ed i vicini di casa a coltivare purezza e amore verso Dio e carità verso il prossimo; la sua vita cresceva come un «fiore di campo». Specie con i bambini, si intratteneva a lungo ed a chi le chiedeva come facesse a tenerli docili fra le tante faccende rispondeva: «Me li quieta la Madonna».

Per i malati, che nella preghiera le strappavano lacrime di sofferenza, aveva allestito in casa sua una piccola "farmacia" con medicinali ricavati dalle erbe che lei stessa coltivava ed era il luogo per quella catechesi, lei analfabeta, per parlare del Signore, della Madonna che tanto amava, della famiglia, «Chiesa domestica », e del valore dei Novissimi, oggi purtroppo quasi dimenticati.

E lei stessa così facendo proseguiva quel cammino ascetico verso la santità eroica riconosciuta dalla Chiesa, approdando all'età di vent'anni al Terz'Ordine francescano, sotto la saggia guida di padre Lodovico Acernese che la condurrà ad essere apostola in una società sbandata e corrotta per la salvaguardia di quei valori che solo il Vangelo poteva offrire. Durante questo cammino di perfezione cristiana maturerà l'idea di fondare una congregazione per donare a tante anime di buona volontà un ideale nuovo di santità e di apostolato a servizio della Chiesa.

Uno scorcio di Montefusco. Foto GIULIANI).

Uno scorcio di Montefusco. Foto GIULIANI).

Teresa, però, non vedrà nascere l'Istituto sognato perché si spense il 4 novembre 1876, a Montefusco, a soli 27 anni, consumata dalla tubercolosi, epilogo di una vita di sacrifici, rinunce, penitenze, dopo «un'esistenza passata tutta a costruire il paradiso tra noi».

La Congregazione delle Suore francescane immacolatine, della quale fu l'ispiratrice, la "pietra angolare", la "matrice spirituale", la "madre", ormai estesa nel mondo con le sue missioni, si caratterizza per una spiritualità francescana e mariana nel carisma di Teresa con un'esistenza di penitenza e di preghiera per far sì che il Vangelo diventi il più possibile norma di vita nella scuola, nella parrocchia, nella famiglia.

"Immacolatine". «La spiritualità delle Suore francescane immacolatine, come già detto, deve dirsi mariana. Naturalmente il riferimento più vistoso all'Immacolata è dato soprattutto dal nome assunto – "Immacolatine" – quasi a sottolineare la specialissima presenza dell'immacolata Madre di Dio anche e particolarmente in ciascuno dei membri, oltre che genericamente nella vita della Congregazione – con l'intento di "praticare ogni giorno un atto novello di religione, in omaggio speciale all'immacolato concepimento di Maria" – come segno di riparazione al Signore per tutti i peccati.

Il mistero della concezione immacolata della Madonna è visto come l'anima stessa della Congregazione. La spiritualità francescana è di per sé già eminentemente mariana. I Francescani scopriranno Maria nella devozione ardente del loro serafico Padre, "folle" di amore per lei per aver reso Dio nostro "fratello" e per averla resa patrona e avvocata dell'Ordine, ma soprattutto nell'approfondimento del primato universale di Cristo. E la vedranno sua Madre immacolata, redenta per prima e in maniera tutta singolare.

Lo si sa, i Francescani si caratterizzeranno in maniera particolare come gli invitti cavalieri di tale sublime privilegio. Padre Lodovico e Teresa vorranno la Congregazione non solo mariana, ma votata, tutta, proprio al privilegio della concezione immacolata. Si ha qui il connubio di due grandi idee. L'amore all'Immacolata, derivato soprattutto dal francescano padre Lodovico, e la penitenza che, specie in Teresa, si estrinseca nelle tremende rinunce e riparazioni» (Antonio Maria Di Monda, ofm conv.).

*Invito all'approfondimento: L. Porsi, Una contadina maestra di vita, Teresa Manganiello, Città Nuova 1998, pp. 232, H 12,50.

Gianni Moralli








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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   Incontri con Maria

di MARIA DI LORENZO


«Avevo... due rosari d'argento»

Ada Negri: un canto di lode a «quella ch'è Vergine Madre, e in sé porta / il pianto di tutte le madri».

Quel mattino in cui era partita da Lodi con «Dio nel cuore» e non sapeva ancora quale sarebbe stato il suo futuro, Ada Negri aveva però una certezza, una sola certezza, ma fatta di granito: il suo destino, la sua missione, era scrivere.

Aveva cominciato a nove anni e, crescendo, i suoi primi versi degni di essere pubblicati erano apparsi nell'Illustrazione popolare diretta da Raffaello Barbiera: avevano subito commosso e stupito i lettori, creando attorno alla giovanissima poetessa lodigiana un alone di profonda simpatia. Le liriche furono radunate in un volume, dal titolo Fatalità, nel 1892 e questa prima raccolta poetica con le edizioni Treves darà un successo strepitoso alla "Portinaretta" di Lodi, che ad appena un anno di vita era rimasta orfana del padre ed era cresciuta in una modesta portineria con la nonna, mentre la madre si sacrificava fino all'eroismo in una fabbrica tredici ore al giorno per permetterle di studiare.

Così Ada poté frequentare nel 1883 la Scuola normale femminile di Lodi ottenendo il diploma di maestra elementare e insegnò, a partire dal 1888, nella scuola elementare Motta Visconti di Pavia. Il grande successo arriso al suo primo libro fece sì che alla Negri venne attribuito il titolo di "professoressa", per poter insegnare nei licei, trasferendosi in seguito con la madre a Milano.

Ma il riscatto sociale non le fece mai dimenticare le sue umilissime origini («Io non ho nome. Io son la rozza figlia / dell'umida stamberga; / plebe triste e dannata è la mia famiglia, / ma un'indomita fiamma in me s'alberga», scrive lei nella lirica Senza nome), e ciò riesce forse a spiegare la sua forte, straordinaria attenzione per i diseredati e la sua accentuata sensibilità verso la vita miserevole del "quarto stato" di cui la Negri divenne la voce poetica del suo tempo.

Una voce che veniva a rompere un silenzio secolare e che si inseriva in un ideale libertario di impronta socialista, a cui l'autrice lodigiana aderì allora con tutto l'ardore dei suoi vent'anni e del suo cuore impulsivo. Anelito civile che poi sarebbe maturato in uno spirito di cristiana compassione negli anni e nelle raccolte successive, a mano a mano che le esperienze della vita le avrebbero dischiuso nuovi orizzonti di riflessione e di canto.

Rosario

Rosario. Foto GIULIANI.

«Gli ho parlato di Dio».

«Avevo due rosari / d'argento, con la piccola medaglia / della Beata Vergine di Lourdes. / Uno a te lo donai perché ti fosse / compagno nelle notti in cui più il male / t'era martirio, e con lo scorrer dolce / dei chicchi fra le dita, nel pensiero / di Dio placasse in te spirito e carne, / fratello».

È la prima strofa di una delle liriche più belle della Negri, I due rosari, composta per ricordare la morte dello scrittore Fernando Agnoletti (1873-1933). La poetessa aveva ricevuto in dono due rosari d'argento dall'amica, il soprano Rosina Storchio. Uno aveva deciso di regalarlo ad Agnoletti che era ricoverato in un ospedale milanese per una malattia terminale, e glielo portò un giorno andandolo a trovare. «Gli ho parlato di Dio – ricorda nell'epistolario – ma bisogna farlo piano e con tono lieve».

Agnoletti infatti era molto lontano dalla pratica religiosa e refrattario a discorsi di tal genere. Ada Negri pregò molto per lui e offrì rosari alla Madonna per la sua salvezza, tanto che alla fine l'amico scrittore chiese i conforti religiosi prima di spirare, volendo portare con sé nella tomba il rosario che gli aveva donato la poetessa lodigiana. Fu così che la Negri scrisse nei suoi versi:

«All'un de' polsi tu volesti / quel rosario scendendo al tuo riposo / primo ed estremo: ché altra sosta al mondo, / fuor della tomba, aver non ti concesse. / Ed io sull'altro a me rimasto senza sgrano / a sera le solinghe Avemarie / te ripensando e le procelle e il santo / vero amor di tua vita, amor di patria / scritto col sangue; e il tuo lungo patire / e il tuo morir, su di te chiamando / la luce eterna».

La Cattedrale (sec. XII) di Lodi, dedicata alla Vergine assunta (foto VISION).

La Cattedrale (sec. XII) di Lodi, dedicata alla Vergine assunta (foto VISION).

Il passaggio. Amata in vita dai suoi lettori, osteggiata e spesso fraintesa dai critici, anche a motivo dei suoi rapporti col fascismo.

Nel 1940, infatti, ormai settantenne, Ada Negri aveva ricevuto la nomina di Accademica d'Italia. Il riconoscimento tributatole avrà un valore ancor più alto perché per la prima volta nella storia dell'Accademia una donna veniva chiamata a farne parte. E veniva in un certo qual modo a "risarcirla" del mancato Nobel, assegnato invece alla Deledda, che forse le era stato rifiutato proprio per "sfregio" al Regime.

Ma alla poetessa che pure in gioventù aveva sognato e assaporato la gloria, tutto questo non interessava più. La morte si impadroniva in quegli anni di ogni cosa, delle persone amate, delle case ridotte ormai a un cumulo di macerie, l'Italia tutta era messa a ferro e fuoco. E lei era già "oltre", proiettata in un'altra dimensione. Una dimensione in cui faceva capolino l'eternità.

La sua scomparsa avvenne quasi all'improvviso, l'11 gennaio 1945, in una Milano devastata dalla guerra. I funerali, seguiti dai familiari e da pochi intimi, furono assai semplici. Verranno tributate in seguito le commemorazioni in suo onore, ma dell'ultimo passaggio della poetessa per le vie gelide di Milano ben pochi si erano accorti. Il Comune dispose la sepoltura nel Famedio del Cimitero monumentale, dal quale fu poi trasferita a Lodi, la "sua" Lodi, nel 1976.

G.F. Manieri, La Madre (sec. XVI), Museo di San Giuseppe, Bologna (foto BONOTTO)

G.F. Manieri, La Madre (sec. XVI), Museo di San Giuseppe, Bologna (foto BONOTTO)

Qual era stata la parabola della sua vita e della sua esperienza poetica? La prima tappa del suo percorso era stata quella di un socialismo lirico e umanitario, senza supporto di ideologie. Di qui era passata a una fase di umanesimo intenso e commosso – basti pensare ai versi di Maternità (1904) – in cui aveva esaltato il ruolo universale della madre sotto il profilo spirituale ed educativo.

Infine, era giunta alla fase più propriamente religiosa, mistica. Quella a cui, inconsciamente, aveva puntato tutta la vita. E non a caso proprio con una preghiera si chiude la postuma Fons Amoris:

«Fammi uguale, Signore, a quelle foglie / moribonde che vedo oggi nel sole / tremar dell'olmo sul più alto ramo. / (...) Fa' ch'io mi stacchi del più alto ramo / di mia vita, / cioè, senza lamento / penetrata di te come del sole». Tutto il suo percorso letterario era stato accompagnato dalla necessità vitale di «scrivere per istinto, come le detta l'anima ».

Un'inappagata brama di vivere, un inesauribile bisogno d'amore e di gloria. Per anni erano stati la fiamma che avevano acceso il suo canto, la sua virile, risentita, poesia civile. Ma quella sua parola poetica dotata di limpidezza estrema, nel travaglio doloroso della vita – in cui non le furono risparmiati lutti, separazioni, malattie e sofferenze – doveva condurla all'incontro rigenerante della fede. La sua giovanile attenzione alla sofferenza degli altri, il suo ribellismo sociale, divenivano infine sincera vocazione a indagare il mistero di Dio, sciogliendosi in canto di lode a Maria: «Quella ch'è Vergine Madre, e in sé porta / il pianto di tutte le madri» (Litanie). Erano avvisi di eternità sulla soglia della vita, dove tutto si ricapitola e trova pace, placandosi, in un salvifico approdo finale: «Quando anch'io sarò / dentro la terra con le mani giunte / sul petto, all'un de' polsi avrò un rosario: / questo. E gran pace, finalmente, in cuore, / fratello».

Invito all'approfondimento: P. Zovatto, Il percorso spirituale di Ada Negri, Centro studi storico-religiosi del Friuli- Venezia Giulia 2009, pp. 168, H 15,00.

Maria Di Lorenzo


 



Grazia, preghiera, fiducia

«Poiché la Vergine Maria fu esaltata ad essere la madre del Re dei re, con giusta ragione la Chiesa l'onora col titolo di "Regina"» (sant'Alfonso Maria de' Liguori).

Regina coeli, insieme a Salve, Regina, Alma Redemptoris Mater e Ave, Regina coelorum, fa parte delle quattro antifone della beata Vergine Maria. Queste composizioni sono considerate relativamente recenti, perché non antecedenti all'XI sec., ed è da sottolineare come non siano antifone nel senso preciso della parola, in quanto non collegate con un salmo o con un cantico. Gli studiosi ci dicono che a partire dal XIII sec. ognuna di esse fu assegnata ad un trimestre dell'anno e cantata a conclusione delle Ore dell'Ufficio. Oggi si sceglie liberamente l'antifona da cantare al termine delle celebrazioni, anche se Regina coeli viene preferibilmente cantata nel tempo pasquale.

Maestri bizantini, Cristo pantocratore (sec. XII), abside centrale della Basilica-Cattedrale di Cefalù (Palermo).

Maestri bizantini, Cristo pantocratore (sec. XII), abside centrale della Basilica-Cattedrale di Cefalù (Palermo).

Il testo emana in sé un fascio d'intensa gioia, resa ancora più viva dalla dolcezza della melodia. Il VI modo ci investe di una luminosità e lucentezza indescrivibili: è la nostra interiorità che si arricchisce di grazia, preghiera, fiducia; sono i sentimenti più profondi che ci conducono a riconoscere, come Chiesa unita, l'esultanza della Vergine per la risurrezione del Cristo; è la fede che ci spinge a passare dal peccato alla vita nuova in Cristo; è ancora la fede che ci invita a invocare l'intercessione di Maria.

La composizione è formata da quattro versetti intercalati dall'alleluia che si presenta, dapprima, con un percorso ad intervalli congiunti discendenti e, successivamente, con un percorso ascendente che si spinge verso una delle note più acute dell'intero brano.

Il primo inciso, pur nella sua composta presentazione, rivela l'entusiasmo con cui ci si rivolge a Maria: «Regina dei cieli, rallegrati»; sono proprio i tre suoni discendenti di laetare che ci invitano a pensare ad un'allegria pervasa da una particolare gioia che si espande dalla misteriosità delle sfere celesti fino agli abissi più profondi della terra, un rallegrarsi per la vittoria del suo Figlio sulla morte.È un figlio nel quale si evidenzia il connubio tra l'umano e il divino: è umano perché è stato portato nel grembo di una donna; è divino perché è risorto alla gloria di Dio.

Questo collegamento testuale emerge anche nella melodia: proprio nel secondo e terzo inciso ricompaiono i suoni più acuti che creano evidente tensione e attenzione esecutiva. Gli intervalli di quinta (ascendente su quia, discendente su sicut e ora) si presentano, anch'essi, in corrispondenza di parole che, contestualizzate, diventano particolarmente significative e quindi richiedono un investimento emotivo maggiore, pur sempre elegante e melodioso.

Il componimento termina con una richiesta di preghiera in cui su nobis Deum si ripete la formula discendente dei primi due alleluia: il richiamo melodico ci stimola a creare collegamenti tra l'acclamazione di gioia dell'alleluia e la gioia che investe l'uomo di fede che si rivolge a Maria per ricevere intercessione presso Dio. Come tutte le melodie gregoriane, anche questa pretende un'esecuzione sciolta, leggera, in cui emergono delicatamente gli accenti tonici delle parole per creare quelle piccole sfumature di colore che favoriscono un'interpretazione testuale profonda ed espressiva.


REGINA COELI


Regina coeli, laetare, alleluia:
quia quem meruisti portare,
alleluia,
resurrexit, sicut dixit, alleluia.
Ora pro nobis Deum, alleluia.
Regina del cielo, rallegrati, alleluia:
Cristo, che hai portato nel grembo,
alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.


Laura Tarabra









Opnioni

  di BRUNO PODESTÀ, diacono

La Parola:«Amare Maria è stato l'ultimo invito rivolto da Cristo morente all'umanità.
È un invito a degli sforzi sempre nuovi per conoscere e apprezzare quella cheè la Madre di Dio
e la Madre dell'umanità redenta» (Jean Galot, sj).


ACCOGLIERE MARIA COME NOSTRA MADRE

Quando Gesù consegnò sua Madre all'apostolo Giovanni intendeva darla anche a ciascuno di noi. La tradizione della Chiesa è costante in questa interpretazione. Maria, come hanno detto i Padri dell'ultimo Concilio, «è nostra madre nell'ordine della grazia».

È una vera madre, che ha cura di tutta la nostra vita; una madre che ama appassionatamente i propri figli e li aiuta in ogni aspetto della vita. Ciascuno di noi è chiamato ad accogliere Maria nella propria esistenza con profonda ed amorevole devozione, come dono preziosissimo del figlio Gesù. È necessario vivere in comunione con Maria, se vogliamo crescere in grazia e santità.

Il Santuario di Maria ausiliatrice a Castelnuovo Don Bosco (Asti), costruito tra il 1915 e il 1918 per il centenario della nascita del grande Santo piemontese (foto CALCIONE).

Il Santuario di Maria ausiliatrice a Castelnuovo Don Bosco (Asti), costruito tra il 1915 e il 1918 per il centenario della nascita del grande Santo piemontese (foto CALCIONE).

Afferma il Santo di Montfort: «Chi vuole avere il frutto ben maturo e formato, deve avere l'albero della vita, che è Maria; chi vuole avere in sé l'operazione dello Spirito Santo, deve avere la sua Sposa fedele e indissolubile, la celeste Maria, che lo rende fertile e fecondo».

Prendere con sé Maria significa vivere in comunione con lei. Ovunque andiamo, qualunque cosa facciamo, lo spirito di Maria deve essere sempre presente nel nostro cuore per aiutarci a glorificare Dio e per fare la sua volontà (sant'Ambrogio; cf L. Gambero [a cura di], Testi mariani del primo millennio, vol. III, Padri e altri autori latini, Città Nuova 1990, pp. 1.024, H 140,00).

Dobbiamo, in qualche maniera, essere come dei bambini che danno la mano alla propria madre, perché li guidi nel loro cammino. I bambini non si allontanano dalle proprie mamme, perché hanno continuamente bisogno di loro. Spiritualmente parlando, anche noi siamo come dei bambini che continuamente hanno bisogno dell'amore materno di Maria e del suo aiuto per essere guidati, corretti, crescere in grazia e virtù. Chi accoglie Maria come sua madre e si affida a lei totalmente, giungerà sicuramente nel Regno dei cieli, ricco di meriti.

È stato detto che «senza una madre, è difficile educarci alla vita. Senza Maria, è difficile educarci al Vangelo!». Un fedele, di quelli che vivono superficialmente la fede e cercano unicamente i propri interessi nella loro devozione, trovandosi in grande necessità si rivolse a Maria santissima con la preghiera: «O Vergine santa, aiutami! Mostrati con me vera madre! ». Interiormente gli sembrò di sentire la voce della Madonna che con amore gli rispondeva: «Sì, io voglio aiutarti; voglio essere sempre per te vera madre amorosa… Ma tu mostrati vero figlio». Se vuoi avere Maria come madre, comportati verso di lei come vero figlio. Non pretendere di fare i tuoi comodi e di ricordarti e ricorrere a lei solo quando sei costretto da necessità urgenti. Tale devozione non piace alla Madonna.

Diacono Bruno Podestà,
Toronto, Canada










La parola del Vescovo

di mons. CARLO MAZZA, vescovo di Fidenza


"Torre della santa città..."

'immaginazione devota non soffre confini. Né in altezza, né in profondità, dal momento che la sua potenza creatrice, illuminata e ispirata dal genio divino della fede, infrange le logiche della ragione e si inerpica o si inabissa nelle zone più inesplorate dello spirito, là dove appare solo la luce della rivelazione.Ciò avviene in virtù di un grande amore, l'amore dell'uomo devoto verso il Trascendente.

Al riguardo, nell'invocazione lauretana Torre della santa città di Davide, ci è dato uno splendido esempio di come è interpellata l'ineffabile "creatività" dell'orante mariano che, ben frequentando i sacri testi della tradizione biblica, scopre assonanze e allitterazioni in paragone alla bellezza e alla maestà di Maria e deliziosamente le trasforma in appellativi di preghiera efficace.

La torre si presenta di fatto come immagine che evoca una sicurezza e una protezione in condizioni di inimicizia tra i popoli e quindi generatrici di paure e minacce rispetto ad eventuali assalti e guerre. D'altro canto non vi è torre che non simboleggi un potere discreto, un'espressione di sovrana volontà, un segno di benevola vigilanza e, per derivazione, una rassicurante abbondanza di beni.

Inoltre la torre di città rimanda ad un popolo aggregato per parentela civile e per legittimi interessi, accomunato da ideali solidi e ben strutturati nel tempo. Che se poi la città è santa, non v'è dubbio di essere di fronte ad una costruzione ben compaginata, adornata di mura e di torri tutelari ben orientata al bene comune. Santa è infatti la città di Dio edificata su fondamenti certi e incrollabili. Santa è la Chiesa, la città dei santi radunati e segnati dal sangue dell'Agnello immolato.

Questa Torre dell'invocazione lauretana appartiene in figura ai significati della regalità di Davide, cioè richiama l'ordine della promessa attesa. È rivelatrice del disegno di salvezza di Dio, manifestatosi nella storia di Israele e reso in pienezza nella regalità di Cristo.

Dunque è Torre davidica, tutta iscritta nel simbolo più alto della fedeltà di Dio verso il suo popolo. Così diventa una torre di riferimento e di sicura speranza, difesa nelle avversità e orgoglio di Sion. In tale prospettiva, con l'applicazione dell'immagine della torre, Maria acquista rilievo nella "storia della salvezza" e compendia in sé, in modo mistico e misterioso, la ricca simbologia della Torre che svetta sulla santa città di Davide la cui ombra si allunga sulla "Gerusalemme nuova" e lambisce l'eternità. Nel raccordo orante emerge la figura di Maria, in allusiva corrispondenza alla bellezza matura della donna amata, vista come "la torre di Davide" nel Cantico dei cantici (cf Ct 4,4). Così la preghiera dei cristiani invoca Maria, la più rassicurante Torre per raggiungere il cielo.

mons. Carlo Mazza,
vescovo di Fidenza








«Ineffabile armonia»

In occasione del Congresso eucaristico-mariano di Faenza, nel 1958, papa Giovanni XXIII, allora patriarca di Venezia, così giustificava il legame tra il culto eucaristico e quello mariano: «Nell'Eucaristia ci alimentiamo precisamente di quel corpo che nacque da Maria e cantiamo commossi Ave, verum corpus natum de Maria Virgine. Un'altra ragione sta nella convinzione dei fedeli, sviluppata dai teologi, che tutte le grazie, e quindi anche l'Eucaristia, vengono concesse con la cooperazione di Maria». Il teologo Hans Urs von Balthasar individua l'origine di questa ineffabile armonia nell'esperienza religiosa della Madonna, infinitamente superiore a quella dei discepoli, perché affonda le sue radici nel mistero della concezione verginale, della sua gestazione: non vi è esperienza umana in lei che non sia esperienza del Cristo e, di conseguenza, di Dio.

Con una felice intuizione, derivata da una profonda devozione eucaristica, san Pietro Giuliano Eymard propose di venerare la Vergine come "Nostra Signora del Santissimo Sacramento", definendola madre premurosa che guida i fedeli all'Eucaristia, in quanto presente in ogni comunità ecclesiale che celebra e vive il Sacrificio, che ascolta la Parola di Dio, che prega, che offre al Padre il Figlio unigenito. Infatti a lei possiamo pensare come la prima adoratrice del Verbo incarnato, del Cristo suo figlio, realmente presente nel Pane consacrato, «il Pane della vita da lei donato, al posto del pane della stanchezza, che ci aveva dato Eva», come canta in un inno Efrem il Siro. E san Pier Damiani prosegue idealmente questo confronto: «Eva si è cibata e noi siamo stati condannati al digiuno eterno; Maria ci ha dato di che cibarci, e l'ingresso alla mensa celeste è stato spalancato dinanzi a noi. Nessun elogio umano può essere all'altezza di colei il cui ventre purissimo ha dato il frutto che è l'alimento della nostra anima».

Eucarestia

foto BARONTINI

Ripercorrendo le tappe dell'esistenza terrena della Vergine, accompagnati dall'evangelista Luca, è possibile individuare non solo una progressiva maturazione umana e materna della Madonna, ma anche una crescente unione con il Figlio e la sua missione di salvezza, quasi una perfetta conformità con lui: da Betlemme, la "Casa del pane", a Cana, dove, per sua intercessione, si bevve il vino, segno anticipatore dell'Eucaristia, fino alla condivisione della mensa, nella prima comunità dei discepoli.

Nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, a Roma, il mosaico del catino absidale ritrae il Signore Gesù Cristo, assiso in trono, che tiene un braccio sulla spalla di Maria sua madre, seduta accanto a lui: un gesto che al primo sguardo appare statico e imperioso, ma che, se rivisitato, evoca il profondo legame tra i due, l'affetto del Figlio che si concretizza in un atto di protezione verso la Madre, madre del suo corpo e madre del Pane di vita che è l'Eucaristia, dono materno per eccellenza, secondo la tradizione patristica. Un devoto anonimo del secolo X, preparandosi a ricevere la Comunione, così pregava: «O Maria, abitacolo della benevolenza divina, conservami senza macchia per ricevere la perla preziosa e santificarmi».

Madì Drello

da Madre di Dio giugno 2011



[Modificato da Caterina63 20/12/2013 10:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  La parola del Vescovo 

 di mons. ALBERTO MARIA CAREGGIO, vescovo di Ventimiglia-San Remo

  
"Madre del buon consiglio..." 
   

Una mariologia di infinita bellezza e ricchezza nelle mani di una devozione popolare: così sono le Litanie lauretane che non finiscono di meravigliare chiunque le assapori nella contemplazione della preghiera. La "Madre del buon consiglio" è Maria, esaltata da Dante nella cantica del Paradiso come «termine fisso d’eterno consiglio». Immutabile nel decreto divino lo è tanto in Dio, che la volle vergine e madre da tutta l’eternità, quanto in se stessa, per aver accolto l’atto definitivo della potenza creatrice e, in tal modo, essere «nobile e alta più che creatura».

Maria nasce dal pensiero infinito ed inaccessibile del "consiglio" di Dio. Così si può dire, usando un’espressione umana e singolare per manifestare la forza misteriosa e intima alla vita trinitaria. I teologi la chiamano pericoresi, parola greca che esprime il modello ed il fondamento della comunità divina strettamente "una", tanto nell’essere quanto nel volere. Di questo dinamismo intra-trinitario Maria non è soltanto un «termine», ma, nel piano della salvezza, è lo «strumento più perfetto e puro» di cui Dio si serve per entrare nel cuore dell’uomo e permettergli di fare l’esperienza del recta sàpere, ossia di poter gustare tutto il bello, il buono e il vero che esiste in Dio e nel mondo.

Raggiunti dall’amore tenero di una madre, non possiamo rimanere insensibili alle sue ispirazioni divine e non fare quanto lo Spirito Santo, di cui Maria è sposa, tramite lei suggerisce o chiede a ciascuno di noi. Gesù stesso è il primo che, nella sua umanità, si è lasciato raggiungere dalle sollecitudini della Madre durante il banchetto delle nozze di Cana e lei stessa consigliò ai servi di fare secondo le indicazioni di Gesù. Questo episodio evangelico giustifica la devozione del popolo di Dio che la invoca Madre del buon consiglio.

Giovanni Paolo II benedice il quadro della Madonna del buon consiglio nel Santuario di Genazzano (22.4.1993).
Giovanni Paolo II benedice il quadro della Madonna del buon consiglio
nel Santuario di Genazzano (22.4.1993 – foto Giuliani).

Sotto questo titolo è venerata in tutto il mondo, ma in modo particolare nel Santuario di Genazzano, cittadina del Lazio, dove il suo culto ha una storia plurisecolare. Secondo la leggenda, l’antica icona proveniva da una chiesa di Scutari, in Albania, da dove fu sottratta per l’intervento di Angeli prima che fosse distrutta dall’invasione dei turchi. Leone XIII, grande papa mariano e nativo di Carpineto, nelle sue frequenti encicliche sul rosario ricorda come fosse solito recarsi a visitare questo non lontano Santuario. Diventato papa, lo arricchì con particolari privilegi e, con decreto del 22 aprile 1903, volle che l’invocazione Madre del buon consiglio fosse inserita nelle Litanie lauretane.

Tenera e comprensiva, come ogni vera madre, la Madonna non cessa di aiutare chiunque si rivolga a lei con cuore di figlio.

Per divina ed eterna disposizione è da considerarsi la prima consigliera, la sicura guida spirituale, tutta sollecita per la salvezza dei propri figli.

Nelle tormentate vicende della vita, quando ogni barlume di speranza si spegne; quando, nella molteplicità dei problemi, non sappiamo più a chi ricorrere e tutto sembra perduto, la "Madre del buon consiglio" è lì e ci aspetta. Forse, ancor prima del nostro ricorso, si è già prodigata per aprirci la mente e il cuore alla luce dello Spirito Santo il quale, col dono del consiglio, illumina ogni capacità di giudizio e di scelta per poter agire secondo il suo santo volere.

 

mons. Alberto Maria Careggio








Vita dello spirito nel Nuovo Testamento
   

Riconoscimento della funzione esemplare di Maria nella storia della salvezza, atteggiamento di lode verso di lei, accoglienza nella fede del suo ruolo materno.
 

Il cristianesimo non si lascia catalogare in formule o concetti, perché è innanzitutto dono, presenza, esperienza, vita. Ciò spiega le molteplici interpretazioni della vita cristiana date dagli autori del Nuovo Testamento secondo l’impatto con le diverse aree culturali e la crescita nella comprensione del mistero di Cristo.

Il bilancio dei testi mariani del Nuovo Testamento è alquanto sobrio: un solo passo nelle 21 lettere apostoliche (Gal 4,4), una menzione negli Atti (At 1,14), due accenni in Marco e paralleli (Mc 3,21.31-35; cf Mt 12,46-50; Lc 8,19-21; 11,27-28; Mc 6,3), due episodi in Giovanni (Gv 2,1-12; 19,26-27), una presenza più accentuata nei Vangeli dell’infanzia (Mt 1-2; Lc 1-2).

Maria non ha dunque un grande rilievo quantitativo nel Nuovo Testamento; tuttavia nonostante questa discrezione, essa vi appare con «un compito unico nella storia della salvezza». Ponendoci dal punto di vista vitale, ossia della risposta dell’uomo al piano salvifico, notiamo nel messaggio neotestamentario un riconoscimento della funzione materna ed esemplare di Maria nella storia della salvezza, un atteggiamento di lode verso di lei e un’accoglienza nella fede del suo ruolo materno: elementi questi che costituiscono il fondamento biblico della presenza di Maria nella vita cristiana.

N. Roselli, L'Annunciazione (sec. XVI), complesso monumentale di san Cristoforo alla Certosa, Ferrara.
N. Roselli, L’Annunciazione (sec. XVI), complesso monumentale di san Cristoforo alla Certosa, 
Ferrara (foto Paolo Ferrari).

Paolo accenna una sola volta alla Madre del Messia, ma in forma anonima, incurante della personalità spirituale della «donna» che inserì Cristo nella stirpe umana (Gal 4,4) in una condizione di kenosi, debolezza e impotenza (cf Gb 14,16).

A. La catechesi evangelica di Marco è dominata dalla polemica antigiudaica, nella quale occorreva sottolineare 1’insufficienza dei legami carnali per ereditare il regno di Dio e l’esclusione di ogni privilegio dei parenti del Signore nella comunità di Gerusalemme: nella famiglia spirituale di Gesù si entra solo facendo la volontà di Dio (Mc 3,35).

In tale contesto un’esaltazione della Madre di Gesù sarebbe stata controproducente: ella perciò rimane confusa nell’ambito del clan familiare ostile a Gesù (cf Mc 6,4), ma chiamato come tutti gli altri gruppi a far parte dei discepoli.

B. Matteo inserisce Maria nel piano della salvezza, presentando la sua maternità verginale per opera dello Spirito Santo (Mt 1,18-25). Ma, ponendosi dalla prospettiva di Giuseppe che percepisce il mistero e non vuole intromettersi arbitrariamente in un’opera divina, menziona la condivisione della sorte del Figlio da parte di Maria (cinque volte usa l’espressione «il bambino e sua madre»), senza però rilevare la partecipazione personale di lei.

C. La valorizzazione piena di Maria è dovuta a Luca e a Giovanni, che la fanno entrare direttamente in scena nei misteri dell’infanzia e della vita pubblica di Cristo, rivelandone la missione e la spiritualità.

A questa visione positiva contribuiscono vari fattori: a) il declino dell’attesa escatologica concentra l’attenzione sui valori messianici e quindi su Maria piena di grazia e adombrata dallo Spirito; b)l’approfondimento cristologico porta a ricercare, oltre all’avvenimento centrale della morte e risurrezione e alla vita pubblica, le origini del Cristo naturalmente legate a sua madre; c) la mentalità ellenistica più aperta alla donna e l’attutimento della polemica antigiudaica rendono più disponibili alla percezione del ruolo di Maria.

Si giunge così ad un recupero dei racconti dell’infanzia fondati probabilmente sui ricordi di Maria stessa ed elaborati in circoli particolari in base alla teologia allusiva e alla meditazione midrashica. Ilmidrash adottato da Luca non ha lo scopo di riportare materialmente gli eventi, ma piuttosto di approfondire la loro portata teologica mediante il ricorso ai testi dell’AT in un gioco di riferimenti, allusioni, procedimenti letterari e alla luce dei fatti accaduti successivamente, soprattutto del mistero pasquale.

Gesù fra i dottori nel Tempio, miniatura francese del sec. XV, British Museum, Londra.
Gesù fra i dottori nel Tempio, miniatura francese del sec. XV, British Museum, Londra (foto Lotres Riva).

Luca supera la concezione biologico-naturale della maternità di Maria, insufficiente a far entrare nel regno di Dio, proponendola come vocazione e funzione salvifica accolta nella fede. L’annuncio dell’Angelo (Lc 1,26-38) è il racconto di una vocazione, di un’elezione da parte di Dio per una missione di salvezza a favore del popolo.

L’inserimento di Maria nella storia della salvezza è ribadito da due espressioni: «Serva del Signore» (Lc 1,38), che pone Maria tra i personaggi prescelti da Dio come strumenti eletti per il compimento dei suoi disegni e che furono fedeli al loro compito (cf Gn 26,24; Nm 12,7; 2Sam 7,5); «Benedetta tu fra le donne» (Lc 1,42), che designa non solo la preferenza data a Maria tra tutte le sue contemporanee come madre del Messia, ma anche la funzione salvifica del suo ruolo materno. Mentre la maledizione sradica dal tronco vivo delle promesse, la benedizione indica la partecipazione ai beni messianici e un apporto alla salvezza.

L’intima partecipazione di Maria all’opera del Figlio viene delineata da Simeone quando annuncia la morte violenta del Messia con una formulazione mariana: la spada che trafigge 1’anima di Maria (Lc 2,35) indica il contraccolpo dell’uccisione del Figlio, punto culminante dell’ostilità contro il Messia. La Madre è associata alla passione e all’esecuzione del giudizio messianico che svela i disegni dei cuori.

L’episodio del ritrovamento di Gesù nel Tempio proietta una luce sul futuro del Messia aggiungendo un elemento nuovo: è un segno profetico della missione di Gesù culminante nel mistero pasquale.

«È ritrovato dopo tre giorni nel Tempio – afferma sant’Ambrogio – perché ci fosse un indizio che dopo il triduo della sua trionfale passione sarebbe risorto». Maria, nei tre giorni di separazione dal Figlio, trascorsi in un dolore vivissimo (Lc 2,48; cf 16,24-25; At 20,38), ha avuto l’esperienza anticipata della morte e risurrezione, anche se la comprensione di questo mistero dovrà essere differita nel futuro (Lc 2,49).

Durante la vita pubblica il ruolo materno di Maria si esprime nella ricerca del Figlio e nell’ascolto della sua parola, che invita a dare il primato ai rapporti di fede e di adesione alla volontà di Dio: la Madre diviene discepola (cf Lc 8,19-20; 11,28).

E. Le Sueur, Maria presenta Gesù al vecchio Simeone (sec. XVII), Notre Dame, Parigi.
E. Le Sueur, Maria presenta Gesù al vecchio Simeone (sec. XVII), Notre Dame, Parigi (foto Giuseppe Soro).

D. Questa prospettiva è accentuata da Giovanni, che situa Maria nei due momenti decisivi della prima manifestazione messianica di Cristo (Gv 2,1-12) e del culmine della sua missione salvifica (Gv 19,26-27): «Nel pensiero dell’evangelista Maria è dunque strettamente associata all’"ora" e alla glorificazione di suo Figlio».

L’episodio delle nozze di Cana ha un signifìcato messianico: è un preludio della nuova alleanza che mette in crisi le istituzioni giudaiche simboleggiate dall’acqua, indicando il banchetto nuziale che riunirà i dispersi fìgli di Dio. Maria concorre certamente a preparare il primo segno suscitatore della fede degli apostoli, anche se la risposta di Gesù esprime un certo distanziarsi di lui da sua Madre. Egli rivendica la sua trascendenza messianica abolendo la dipendenza dalla Madre, chiamata ad esercitare il suo influsso non su Gesù, ma al suo servizio: la Madre diventa la donna, discepola e collaboratrice in ordine alla costituzione del primo nucleo del nuovo popolo di Dio che accetta nella fede l’alleanza con il Signore.

Sul Calvario la relazione della Madre e del Figlio riceve una nuova trasformazione, di cui Gesù prende 1’iniziativa: la maternità fisica di Maria è come abolita dalla morte di Cristo ed è sostituita con una maternità d’altro genere, quella nei riguardi dei discepoli di Cristo, inclusi nel discepolo amato. Lo schema di rivelazione di Gv 19,25-27 proclama questa nuova maternità di Maria: è la Figlia di Sion che genera nel dolore in un sol giorno il nuovo popolo (cf Is 66,7-8; Gv 16,21), è la Gerusalemme-Madre dei dispersi figli di Dio unificati nel tempio della persona di Cristo.

Giuseppe Daminelli








Un segno di speranza
   

Venezuela: sorprendenti scoperte nell’immagine della Madonna di Coromoto. Nota della Conferenza episcopale.
 

Nel corso di una recente conferenza stampa svoltasi nella sede della Conferenza episcopale venezuelana (Cev) in occasione del restauro dell’immagine di Nostra Signora di Coromoto, patrona del Paese, sono state presentate nuove scoperte relative all’icona, collegata alla prima evangelizzazione della Nazione.

Il ruolo della tradizione

Tra la fine del 1651 e l’inizio del 1652 una bella signora appare al capo della tribù Coromoto e a sua moglie dicendo loro: «Andate dai bianchi, perché vi mettano dell’acqua in testa per poter andare in cielo».

Dopo aver fatto quello che la Signora chiedeva, gli indios uscirono dalla foresta e ricevettero gli insegnamenti del Vangelo. Molti vennero battezzati.

Giovanni Paolo II in preghiera dinanzi alla statua della Madonna di Coromoto (viaggio apostolico in Guatemala, Nicaragua, El Salvador e Venezuela, 5-12.2.1996).
Giovanni Paolo II in preghiera dinanzi alla statua della Madonna di Coromoto
(viaggio apostolico in Guatemala, Nicaragua, El Salvador e Venezuela, 5-12.2.1996).

Il capo, tuttavia, sentendo di aver perso la libertà, decise di fuggire nuovamente nella foresta. All’alba dell’8 settembre 1652, la Signora apparve di nuovo a lui, alla moglie, alla cognata e al figlio di questa. Vedendola, il capo le chiese di lasciarlo in pace, dicendo che non avrebbe più obbedito. Si alzò per prendere l’arco e uccidere la Signora, ma lei gli si avvicinò per abbracciarlo, e l’arco gli cadde di mano. L’uomo decise di prendere la Signora per un braccio per farla uscire dalla sua capanna, ma in quel momento avvenne il miracolo: la Signora scomparve, lasciando in mano al capo una sua piccola immagine (cm 2 per cm 2,5) che, nei 357 anni trascorsi dall’apparizione, è stata esposta a vari fattori che ne hanno provocato il deterioramento. Per questo, la fondazione María camino a Jesús, sin dal 2002, ha avviato una campagna di sensibilizzazione al fine di riparare i danni della reliquia.

In laboratorio

Dal 9 al 15 marzo 2009, in un laboratorio appositamente allestito, l’équipe di lavoro ha registrato scoperte inattese.

Il primo aspetto che ha richiamato l’attenzione è stato il fatto che, una volta analizzate le acque impiegate nel trattamento, il pH è risultato inspiegabilmente neutro. È stata poi individuata la presenza di vari simboli di origine indigena. Con l’osservazione al microscopio si è riusciti ad identificare negli occhi della Madonna, di meno di un millimetro, la presenza dell’iride, fatto particolarmente sconcertante se si pensa che gli occhi dell’immagine erano semplicemente dei punti. L’occhio sinistro evidenzia caratteristiche prettamente umane e nell’iride si è notato un piccolo punto di luce. Ingrandendolo, si è potuto osservare che questo sembra formare l’immagine di una figura umana dalle specifiche caratteristiche.

Messa di Papa Wojtyla a Coromoto (10.2.1996).
Messa di Papa Wojtyla a Coromoto (10.2.1996 – foto Giuliani).

Una tappa importante

«Il restauro dell’immagine rappresenta una vera pietra miliare, perché è la prima volta che la venerata icona viene sottoposta a un processo come questo», afferma la Cev in una nota. «Al di là dell’essere l’espressione del risultato dello sforzo di un’équipe multidisciplinare, è un appello a volgere la nostra vita a Dio e a vivere l’invito che la Madonna ha fatto ai nostri antenati quando li ha esortati a riconciliarsi e a unirsi come veri fratelli in Dio, nonostante la cultura spagnola e quella indigena avessero visioni e interessi diametralmente opposti. È un appello alla fraternità e all’accettazione dell’altro; è un segno di speranza, di gioia e di fede» (Zenit, 4.9.2009).

Nieves San Martín

Invito all’approfondimento: 
B. Simonetto, Venezuela. I più importanti santuari della Nazione, in Madre di Dio, giugno 2009, pp. I-IV.









Un nuovo linguaggio sulla mediazione
   

Non è, evidentemente, solo una questione di termini a spingere la mariologia nella ricerca di parole diverse per esprimere lo stesso concetto dell’espressione.
  

Di fronte alla difficoltà di ricorrere al linguaggio di mediazione per esprimere la funzione di Maria nell’opera della salvezza, senza peraltro collocarla nello stesso livello di quella di Cristo, alcuni autori avvertono la necessità di proporre un linguaggio alternativo, più accettabile e consono all’ecumenismo e alla cultura corrente.

La scelta della categoria della "presenza" da sostituire a quella della mediazione è proposta già nel 1978 da R. Laurentin, che ne fa risaltare il vantaggio di esprimere «la relazione della Vergine con gli uomini in modo semplice, limpido. La esprime in modo vitale: si desidera la presenza di quelli che si amano. Tale presenza si vive». Inoltre la mediazione è in voga nella nostra cultura, perché pregna di «attrattiva simbolica» e di «potenza evocatrice», ed è fedele alla Scrittura secondo cui «Maria è presente al Cristo dall’Annunciazione alla vita pubblica, a Cana e al Calvario; è presente nella Chiesa nascente, al Cenacolo (cf At 1,14). Ella è sempre presente con Cristo dopo l’Assunzione: presente in corpo e anima». Infine la mediazione «è fondata nella tradizione».

R. Laurentin aggiunge nel 1996 che la parola «mediatrice» applicata a Maria ha una sua verità testimoniata da vari episodi evangelici, ma l’uso che si fa «materializza l’opera spirituale della nostra divinizzazione, così profondamente percepita come tale dai Padri greci»; è comunque necessario l’impegno dei teologi «a fondare meglio, esprimere più giustamente e penetrare più profondamente il mistero di questa cooperazione di Maria all’opera salvifica di Cristo».

P. Veronese (1528-1588), La lavanda dei piedi, chiesa di san Polo, Venezia.
P. Veronese (1528-1588), La lavanda dei piedi, chiesa di san Polo, Venezia.

Possiamo aggiungere che la presenza diviene «un tema centrale dell’enciclica Redemptoris Mater» che vi ritorna espressamente 35 volte.

Certamente la categoria della presenza va valorizzata in mariologia, tenuto conto che essa è anche un effetto della condizione glorificata del corpo di Maria in analogia con il corpo di Cristo risorto. Nel significato scolastico la presenza è una semplice «occasione», quindi non in grado di esprimere la causalità efficiente insita nella mediazione. Ma anche nel significato moderno di «intercomunicazione personale» essa connota più la comunione intima e amante che non l’azione comunicativa della grazia, implicata nella mediazione.

H. Ott, discepolo e successore di K. Barth nella cattedra di teologia evangelica di Basilea, in un suo articolo sulla costituzione Lumen gentium aveva preso atto che il Concilio «spiega con molto vigore come l’unica mediazione e la singolare dignità del Redentore non sono intimamente compromesse dalla venerazione e invocazione dei santi e di Maria».

Nel Congresso mariologico di Loreto (1995), egli compie ulteriori passi, innanzitutto cercando di comporre «due fondamenti mariologici» posti in primo piano dal Concilio: l’assenso di Maria all’Annunciazione e l’intercessione materna della Madre di Dio: «Se invece di contrapporre queste due affermazioni ufficiali, sulla efficacia della grazia della Madre di Dio, cerchiamo di collegarle l’una all’altra, si ottiene il concetto di una mediazione completamente dipendente da ciò che media. La mediazione di Maria dipende dalla grazia di Cristo, di cui Maria stessa è mediatrice».

A questo punto H. Ott si chiede se non sia il caso di abbandonare il linguaggio di mediazione: «Ma perché, allora, parlare ancora di mediazione? Non si tratta di mediazione nel senso di un mezzo imprescindibile per il raggiungimento di uno scopo. Qui si va oltre le categorie della conditio sine qua non». Basandosi anche su Kant, da cui sappiamo che «non possiamo e non dobbiamo mai usare il prossimo come mezzo per raggiungere uno scopo», Ott tralascia il termine mediazione ritenendolo troppo giuridico e meccanico per esprimere l’ontologia interpersonale della storia della salvezza, e propone una «nuova categoria», un vocabolo sostitutivo come «essenziale accompagnamento»: «In questa sfera la mediazione appare piuttosto come un essenziale accompagnamento (Begleitung) lungo un cammino personale. Così il Creatore ha costituito e collocato, l’una accanto all’altra le persone, nel loro essere e nella loro comunità, in modo che ognuna compia il proprio personale cammino, ma anche in modo che lungo questo cammino possano accompagnarsi a vicenda. Un taleaccompagnamento è una sorta di donum superadditum, un’eccedenza o una sovrabbondanza, ma è proprio questa sovrabbondanza a caratterizzare l’essenza e la ricchezza della vita personale».

Don Giovanni Sandonà, direttore della Caritas di Vicenza.
Don Giovanni Sandonà, direttore della Caritas di Vicenza (foto Sambo).

L’applicazione a Maria non crea difficoltà non solo perché ella «come tutti i santi di Dio ci accompagna nel nostro cammino verso il Figlio, il Dio-uomo», ma anche perché in lei si realizza una «sovrabbondanza» che la definisce «mediatrice della grazia». Infatti «Dio ha comunque collegato la sua irrevocabile decisione di comunicarsi, rivelarsi e donarsi al genere umano, con l’umano consenso, il libero "Sì" pronunciato da Maria in vece dell’umanità. In egual modo, si lascia così intendere l’intercessione della Madre di Dio, il suo pregare con noi che, secondo la Lumen gentium, è efficace solo attraverso Cristo. Anche il libero "Sì" di Maria e il suo pregare con noi sono un accompagnamento e appartengono perciò all’essenziale sovrabbondanza e ricchezza di tutto l’essere personale».

La proposta di H. Ott è apprezzabile sia per la composizione ecumenica dei contenuti della mediazione di Maria, intesi come consenso e intercessione, pur totalmente dipendenti dall’unica mediazione di Cristo, sia per il tentativo di sostituire il linguaggio di mediazione con quello di «accompagnamento essenziale» più accettabile dal punto di vista antropologico. Con sensibilità etica e spirituale Ott rifugge dal considerare l’uomo come mero strumento, poiché con Kant egli lo ritiene un fine. Ma il teologo elvetico sa bene che Kant non esclude la funzionalità della persona in ordine alla storia e al raggiungimento delle finalità universali della vita, in quanto afferma che non è soltanto un mezzo. In tal modo Ott è obbligato a spostare l’accento dal concetto di cooperazione mediativa a quello di compagnia e di comunione (principio di solidarietà): dimensione affine di estrema importanza per la Chiesa e per la società, ma che abbandona la prospettiva iconica, di segno e di efficienza non meno necessaria (principio di sussidiarietà).

Nella sua tesi di laurea in teologia «Ecce Ancilla Domini». La mediazione materna come diakoniadella Madre di Gesù, presentata nel 2004 alla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale (Napoli), G. Cumerlato interpreta la «mediazione materna» nella prospettiva biblico-spirituale del «servizio». Trovando nel «Sì» dell’Ancella del Signore una fondamentale «chiave ermeneutica», presenta la sua cooperazione come «servizio-diakonia materna».

Il ricorso alla diakonia è ispirato da C. Militello che colloca la missione della Madre di Dio in chiave didiakonia all’interno dell’unica ministerialità ecclesiale, di cui parla 1Cor 12,4-6. Tutto è proposto come un ministero-servizio comune dato per l’utilità della comunità, nel quale si coglie il ruolo salvifico di Maria. Anche la sua mediazione materna è riconosciuta diakonia, inserita in quell’unico ministero didiakonia dell’intera Chiesa. In questo servizio al bene della Chiesa, la Vergine Madre diviene, nella paradigmaticità e singolarità del suo accogliere la Parola, modello e tipo della Chiesa.

G. Gelfi, Il Catechismo e la Carità (1994), parrocchiale di Cristo Re, Saiano (Brescia).
G. Gelfi, Il Catechismo e la Carità (1994), parrocchiale di Cristo Re, Saiano (Brescia - foto Bonotto).

Cumerlato applica a Maria una duplice attività di servizio: A) diaconia discendente, come capacità di accogliere-custodire la Parola data dal Padre; come sulla terra Maria è stata la «donna della contemplazione e della memoria» del mistero, ora, glorificata in cielo, è messa in grado, nel mistero della comunione dei santi, di favorire l’accoglienza integrale della grazia e della rivelazione, la meditazione sulla verità rivelata, l’approfondimento della dottrina, ed a sostenere la fermezza della Chiesa nelle lotte della fede contro il dubbio e l’errore; B) diaconia ascendente intercessione materna presso la Trinità in virtù della sua peculiare, discreta ma intensa partecipazione al sacrificio del Figlio sulla croce. Come modello di ogni orante, Maria è figura della Chiesa che prega incessantemente per l’intero popolo di Dio.

Il vantaggio di questa proposta consiste nell’adozione di un linguaggio biblico, quindi potenzialmente ecumenico, fondato sull’autodesignazione di Maria come «serva del Signore», affine al termine diákonos. Ladiakonia infatti, prima di designare un preciso ministero in connessione con gli episcopi (Fil 1,1; 1Tm 3,8-13; cf At 6,1-6), indica l’atteggiamento fondamentale di Cristo e dei discepoli. Anzi, secondo Mc 10,45 e Mt 20,28, servire (diakonéin) «non soltanto designa ogni attività caritativa verso il prossimo, ma viene inteso come compimento di un sacrificio completo, come dono della vita, dono che dal suo canto è l’essenza stessa del servire, dell’esistere per gli altri in vita e in morte». E diakonia indica «ogni attività importante per l’edificazione della comunità». Nessuna difficoltà di applicare tale termine all’attività mediatrice di Maria, se non forse l’uso attuale di riservare in primo luogo la parola diacono al ministero ordinato.

Stefano De Fiores, smm




   

 





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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Un ritratto realistico e motivato
   

«Il significato fondamentale della devozione a Maria è quello di comprenderne e imitarne la fede» 
(Dora Castenetto).
  

La prima di copertina del volume di Frédéric Manns.Una ricostruzione minuziosa e argomentata della figura di Maria, giovane donna ebrea di Nazaret, scelta per essere madre di Dio e di tutti i viventi.

«Per celebrare la bellezza di Maria non è necessario scadere nel romanticismo o nel sentimentalismo devozionale. È sufficiente collocare Maria nel suo contesto autentico, quello della Galilea del primo secolo. Niente di straordinario o eclatante nella vita di questa giovane di Nazaret». Ma è in questa ordinaria quotidianità che Maria è visitata da Dio e diventa figura chiave del mistero di salvezza operato in Gesù.

Basando la sua ricerca su fonti canoniche e no, Frédéric Manns ofm (Beata Colei che ha creduto. Maria, una donna ebrea, Edizioni Terra Santa 2009, pp. 160, D 17,00) traccia un ritratto realistico e ricco di particolari della vita di Maria, «donna ebrea».

«La bellezza di una madre non ha bisogno di parole. Viene dall’amore come la luce proviene dal sole.

L'icona della Madonna delle grazie (1479), venerata nell'omonimo Santuario di Udine.
L’icona della Madonna delle grazie (1479), venerata nell’omonimo Santuario di Udine.

All’inizio i Vangeli proclamavano la morte e resurrezione di Gesù senza attribuire grande importanza a sua madre. Solo quando alcuni miracoli furono aggiunti al nucleo primitivo, la figura di Maria cominciò ad apparire qua e là. Nei Vangeli dell’infanzia, che costituiscono il terzo stadio della redazione dei Vangeli, il suo ritratto si precisa.

L’evangelista Luca scrive che ella conservava tutti quegli avvenimenti meditandoli nel suo cuore. Memoria vivente, lo fu Maria del momento della nascita di Gesù. Lo fu, con ancora maggiore consapevolezza, della nascita della Chiesa.

I Vangeli apocrifi, che provengono dall’ambiente giudeo-cristiano e furono redatti ben più tardi, non possono essere consultati per scrivere la vita di Maria se non dopo essere stati decodificati, il che non è un compito facile. La simbolica che utilizzano è radicata di solito nella Bibbia, ma può attingere anche da altre fonti.

Un ritratto realistico di Maria, donna ebrea, non può prescindere dallo studio del suo contesto religioso, politico e sociale. Lontano dall’essere una figura mitica o distante, Maria diventa così vicina alla condizione umana».

Santuario Maria santissima della Civita di Itri (Latina), l'immagine della Madonna. Vi operano i Padri passionisti.
Santuario Maria santissima della Civita di Itri (Latina), l’immagine della Madonna.
Vi operano i Padri passionisti. Notizie certe del luogo sacro risalgono al 1147.

Accanto alla ricostruzione storica, trova spazio la riflessione teologica a partire dalle grandi domande legate alla figura di Maria: la verginità e la maternità divina, la sua immacolata concezione e la gloriosa assunzione.

La riflessione si allarga poi alla prospettiva ecumenica e interreligiosa: chi è Maria per i cristiani, gli ebrei e i musulmani?

c.s.






Dogma moderno, dottrina antica
   

8 dicembre: Immacolata Concezione. «Non è Maria che ha la fortuna di non essere come noi, ma siamo noi che abbiamo la disgrazia di non essere come lei».
  

Il Prefazio della solennità dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria proclama: «Tu (Dio) hai preservato la Vergine Maria da ogni macchia di peccato originale, perché, piena di grazia, diventasse degna dimora del tuo Figlio».

Il testo liturgico traduce in preghiera il dogma dell’Immacolata Concezione, la cui dottrina affiora dalle Letture del giorno. Nel divino oracolo della prima Lettura, il "Protovangelo", Dio ammonisce Satana: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa» (Gen 3,15). Difatti, vedremo dopo, la tradizione popolare soprattutto nell’arte cristiana, a partire dal 1500, rappresenta Maria immacolata come colei che schiaccia la testa del serpente. Raffigurazione avvalorata dal Vangelo. L’Angelo saluta la Vergine: «Gioisci, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28). L’espressione «Piena di grazia», senza indicazione di limiti di tempo, indica che, fin dal primo istante della sua esistenza, ella è protetta da Dio.

Unica creatura umana non inquinata dal peccato e colei che è germogliata, tuttasanta, dalle mani sante di Dio, l’Immacolata ci mostra la Chiesa già senza macchia né ruga. Ha scritto il francese Roger Guyaut: «Non è Maria che ha la fortuna di non essere come noi, ma siamo noi che abbiamo la disgrazia di non essere come lei». Ma san Paolo nella seconda Lettura (Ef 1,3-12) sostiene che anche per noi c’è un grande disegno di salvezza, nel quale siamo chiamati ad esser nella gloria e nella dignità di figli di Dio. Più che un’eccezione, la Vergine senza peccato va contemplata come un vero recupero dell’uomo preda del peccato, una promessa certa, anzi l’inizio di un mondo nuovo, l’anticipo della vita celeste.

L’Immacolata Concezione è un dogma moderno, ma la dottrina è antica. La tradizione cattolica professa la fede nella grazia che redime dal peccato (i credenti) e nella grazia che preserva dal peccato (l’Immacolata). Vediamone la dottrina in tre momenti.

G. Tiepolo (1696-1770), Immacolata Concezione, Museo del Prado, Madrid.
G. Tiepolo (1696-1770), Immacolata Concezione, Museo del Prado, Madrid.

Da Venanzio Fortunato a...

In un carme latino il poeta Venanzio Fortunato (ca. +600) con una suggestiva immagine definiva la Vergine «il nuovo fiore della terra che il cielo coltiva dall’alto». Agostino d’Ippona (+430) osservava decisamente: quando si tratta del peccato non si parli della Vergine. Poco prima di lui, Ambrogio di Milano (+397) non ammetteva in Maria nessun difetto. Cirillo di Alessandria (+444), grande sostenitore al Concilio di Efeso del titolo di Maria Theotokos (431), asseriva: in Maria immacolata «la creatura caduta nel peccato viene riportata in paradiso».

Anselmo d’Aosta (+1109), padre della Scolastica, mentre verbalmente negava il concepimento immacolato – poiché Cristo è il solo senza peccato – lo affermava implicitamente, allorché dichiarava: «Era conveniente che la Vergine risplendesse di una tale purezza da non poterne immaginare una più grande dopo quella di Dio».

Prevenendo Scoto, Eadmero di Canterbury (+1124), discepolo di sant’Anselmo, è il primo teorico e difensore dell’Immacolata. Egli (spiega il privilegio mariano, ricorrendo al significativo paragone della castagna, frutto eccellente, che nasce e si sviluppa in un involucro circondato da spine, senza esser toccata dai loro aculei), così enuncia il suo ragionamento: Dio «potuit plane et voluit; si igitur voluit, fecit» (in PL 159, 305) e conclude con la descrizione dei benèfici effetti che ne derivano all’umanità.

Nel XII sec. i teologi perlopiù verbalmente negavano l’Immacolata Concezione, ma sostanzialmente l’affermavano. All’Università di Parigi, verso il 1250, la dottrina sull’Immacolata veniva esposta. Pare certo che Tommaso d’Aquino (+1274), domenicano, parlasse di Maria esente sia dal peccato attuale sia dal peccato originale. Il francescano Giovanni Duns Scoto (+1308), «cantore del Verbo incarnato e difensore dell’immacolato concepimento di Maria», tratta della redenzione preventiva della Vergine. È noto il suo assioma: «Potuit, decuit, ergo fecit». Potuit: possibilità da parte di Dio; decuit: era conveniente in base al principio della pietà; ergo fecit: Dio quindi operò il concepimento immacolato.

Nel 1400 a Costantinopoli l’imperatore Manuel II Paleologo (+1425) in un’omelia sulla Dormizione affermava: appena fu concepita, la santa Theotokos fu ricolmata di grazia.

A partire dal 1500

Martin Lutero (+1546) nel 1544 appuntava: «Era necessario che sua Madre fosse vergine, una giovane vergine, una santa vergine, che fu preservata dal peccato originale e purificata per mezzo dello Spirito Santo».

Nell’arte della Chiesa cattolica, a partire dal 1500, Maria immacolata è rappresentata come colei che schiaccia la testa del serpente. Al globo terrestre, sospeso nello spazio, è attorcigliato il serpente, e la Vergine, raggiante e coronata di stelle, domina il globo: con un piede schiaccia la serpe e con l’altro si erge sulla falce della luna collocata sopra il globo del mondo.

Verso la metà del 1600 il fecondo scrittore mariano Ippolito Marracci (+1675) scrive De legitimo fidelium sensu, per dimostrare la definibilità dell’Immacolata Concezione sulla base della fede ininterrotta dei fedeli.

Nel 1700 il Montfort canta la Vergine, splendore di Dio creatore e capolavoro dello Spirito santificatore. Proprio per questo Montfort sosterrà che alla Vergine tuttasanta è riservata «la formazione e l’educazione dei grandi santi, che vivranno verso la fine del mondo» (Vera devozione35).

A far emergere dal patrimonio della tradizione ecclesiale la verità sull’Immacolata fu Pio IX, che l’8 dicembre 1854 procedette alla definizione del dogma, dichiarando: «La beatissima Vergine Maria nel primo istante del suo concepimento, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente ed in vista dei meriti di Gesù Cristo, è stata preservata immune da ogni macchia della colpa originale».

Il 27 novembre 1830, 24 anni prima, la novizia delle suore Figlie della carità, Caterina Labouré, a Parigi vide la Vergine in piedi su di un globo, e dalle sue mani aperte partivano dei raggi. Attorno a questo quadro la veggente poté leggere, scritte a lettere d’oro, queste parole: «O Maria, concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te». Evidente preludio e palese allusione al dogma del 1854.

Tra l’11 febbraio e il 16 luglio 1858 a Lourdes, Bernadette Soubirous ebbe 18 apparizioni dalla Vergine, che alla fine, quasi a conferma della verità definita dalla Chiesa 4 anni prima, si presentò come «l’Immacolata Concezione». Il noto scrittore Alessandro Manzoni (+1873) nell’inno Ognissantiesclamava: «Te sola più su del perdono, l’Amor che può tutto locò».

1 Massimiliano M. Kolbe (1894-1941), 2 Paul Claudel (1868-1955), 3 Josemaría Escrivá de Balaguer (1902-1975), 4 Giorgio La Pira (1904-1977).
1 Massimiliano M. Kolbe (1894-1941), 2 Paul Claudel (1868-1955), 3 Josemaría Escrivá de Balaguer
(1902-1975 – foto Giuliani), 4
 Giorgio La Pira (1904-1977 – foto Fondazione La Pira).

Epoca contemporanea

Nel 1900 Massimiliano M. Kolbe (+1941) con audacia teologica sosteneva: «In certo qual modo possiamo affermare che l’Immacolata è l’incarnazione dello Spirito Santo».

Il poeta francese Paul Claudel (+1955), nella poesia La Vierge à midi ci ha lasciato questi folgoranti versi: «È mezzogiorno. Vedo la Chiesa aperta. Devo entrare /...Io vengo solo, o Madre, per guardarvi /...Perché siete bella e siete immacolata. / La donna nella grazia infine restituita. / La creatura nel suo primo onore e nel suo splendore finale. / Tale quale uscì da Dio il mattino del suo originale splendore. / Intatta ineffabilmente perché siete la Madre di Gesù Cristo».

«Più di te, soltanto Dio», ripeteva Jose-maría Escrivá de Balaguer y Albas (+1975), il santo della chiamata universale alla santità nel quotidiano.

Giorgio La Pira (+1977) appuntava: «Con Maria i popoli battezzati ritornano alle loro origini»: nell’Immacolata riscoprono la loro vocazione originaria alla santità.

Il sacerdote Italo Mancini (+1993) presentava l’Immacolata come «il frutto non avvelenato dal serpente, il paradiso concretizzato nel tempo storico, la primavera i cui fiori e frutti non conosceranno più il pericolo della contaminazione e della putredine».

Paolo VI l’8 dicembre 1963 affermava: l’Immacolata è «una zolla innocente, una fiorita e profumata aiuola, che il Figlio di Dio si riservò nell’immensa palude che è l’umanità».

E Benedetto XVI l’8 dicembre 2005: l’Immacolata «rispecchia la Chiesa, la anticipa nella sua persona... È lei il suo vero centro di cui ci fidiamo».

Ci fidiamo e ci affidiamo a colei che, sola, viene da Dio e vive per Dio.

Sergio Gaspari 
  

Invito all’approfondimento: Pio IX, Ineffabilis Deus. Definizione dogmatica dell’immacolato concepimento della B. V. Maria, Lev 2004, pp. 27, € 1,50.










Un privilegio del Signore onnipotente 
   

«Quando noi diciamo sì al Signore, lui opera cose grandi»
(card. Marco Cé).

Nel rileggere il brano della Genesi nel quale Maria, la madre del Redentore, viene già profeticamente adombrata nella promessa, fatta ai progenitori caduti nel peccato, circa la vittoria sul serpente, la Liturgia della Parola inneggiava festante al trionfo della Vergine immacolata: «Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del tuo amore», amore che, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, e in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, rese la beata Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, immune da ogni macchia di peccato originale.

Riferendosi alle suddette parole della Ineffabilis Deus di Pio IX, che riconoscono nella Immacolata Concezione di Maria un «privilegio di Dio onnipotente», il teologo H.U. von Balthasar fa un’osservazione che propongo al mio lettore.

F. Messina (1900-1995), Adamo ed Eva, scultura in bronzo, Museo d'arte dello splendore (1999-2000), Giulianova (Teramo).
F. Messina (1900-1995), Adamo ed Eva, scultura in bronzo, Museo d’arte dello splendore (1999-2000),
Giulianova (Teramo).

«Nessuno – egli scrive – aspira meno della Madre di Cristo a "privilegi" personali; ella se ne compiace unicamente in quanto tornano a beneficio di tutti i suoi figli nella Chiesa. Tutti i privilegi di Maria vanno approfonditi e spiegati alla luce di tale principio mariano» (in Punti fermi, pag.129).

Esemplificando poi questo principio mariano, così egli dice a proposito del "privilegio" dell’Immacolata Concezione: «Perché – si chiede – Maria fu "concepita immacolata"?

Appunto perché qualcuno doveva pronunziare il sì totale e integrale di Israele a Dio "in rappresentanza dell’intero genere umano" (come scrive Tommaso d’Aquino), affinché la Parola di Dio trovasse un luogo in cui, incarnandosi, potesse scendere sulla terra. In questa purezza Maria pronunziò il sì per tutti noi affinché anche noi, imitandola, potessimo diventare, nell’osservanza della volontà del Padre, fratelli, sorelle e madri di Gesù» (Ivi).

Piazza del Gesù a Napoli caratterizzata dalla "Guglia dell'Immacolata", fatta erigere dai Gesuiti dal 1747 al 1750.
Piazza del Gesù a Napoli caratterizzata dalla "Guglia dell’Immacolata",
fatta erigere dai Gesuiti dal 1747 al 1750 (foto Alessia Giuliani).

Ponendoci così alla scuola di Maria – che come madre della famiglia di Dio fa sentire più intensamente il legame fraterno che unisce tutti i fedeli – vorremmo imparare da lei il suo autentico spirito: spirito che ella stessa apprese dal Figlio suo, mite e umile di cuore; spirito di servizio che la porta a vegliare nascostamente e maternamente per la Chiesa, ed a proteggerne benignamente il cammino, verso la patria, finché giunga il giorno glorioso del Signore.

Forse ella non sentì dalla viva voce di Gesù che «il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Lo vide, però, per lunghi anni sottomesso alla sua autorità materna. Da lui, che stette in mezzo a noi «come colui che serve» (Lc 22,27), ella imparò ad essere la serva dei servi del Signore.

Alberto Rum








«L’IMMACOLATA CI LIBERI DAL MALE
CHE CI INTOSSICA OGNI GIORNO»


Ricordiamo le forti parole del Papa sull’inquinamento morale causato dai mass media. Davanti all’Immacolata di Piazza di Spagna (in foto) Benedetto XVI ha rilevato che «...nel cuore delle città cristiane Maria costituisce una presenza dolce e rassicurante. Con il suo stile discreto dona a tutti pace e speranza nei momenti lieti e tristi dell’esistenza. Nelle chiese, nelle cappelle, sulle pareti dei palazzi: un dipinto, un mosaico, una statua ricordano la presenza della Madre che veglia costantemente sui suoi figli...

Cosa ricorda a tutti noi con la sua presenza? Ricorda che "dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia" (Rm 5,20) – come scrive l’apostolo Paolo. Ella è la Madre immacolata che ripete anche agli uomini del nostro tempo: non abbiate paura, Gesù ha vinto il male; l’ha vinto alla radice, liberandoci dal suo dominio.

Quanto abbiamo bisogno di questa bella notizia! Ogni giorno, infatti, attraverso i giornali, la televisione, la radio, il male viene raccontato, ripetuto, amplificato, abituandoci alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili e, in qualche maniera, intossicandoci, perché il negativo non viene pienamente smaltito e giorno per giorno si accumula. Il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono. Per questo la città ha bisogno di Maria, che con la sua presenza ci parla di Dio, ci ricorda la vittoria della grazia sul peccato e ci induce a sperare anche nelle situazioni umanamente più difficili...

Nel cuore di ognuno di noi passa il confine tra il bene e il male e nessuno di noi deve sentirsi in diritto di giudicare gli altri, ma piuttosto ciascuno deve sentire il dovere di migliorare se stesso! I mass media tendono a farci sentire sempre "spettatori", come se il male riguardasse solamente gli altri e certe cose a noi non potessero mai accadere. Invece siamo tutti "attori" e, nel male come nel bene, il nostro comportamento ha un influsso sugli altri...

Maria immacolata ci aiuti a riscoprire e difendere la profondità delle persone, perché in lei vi è perfetta trasparenza dell’anima nel corpo. È la purezza in persona, nel senso che spirito, anima e corpo sono in lei pienamente coerenti tra di loro e con la volontà di Dio. La Madonna ci insegna ad aprirci all’azione di Dio, per guardare gli altri come li guarda lui: a partire dal cuore. E a guardarli con misericordia, con amore, con tenerezza infinita, specialmente quelli più soli, disprezzati, sfruttati. "Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia..."».

(L’Osservatore Romano, 9.10.2009) 
  

 
   

«...ESORTIAMO AL PIO ESERCIZIO DEL ROSARIO
NELLE CASE, NELLE FAMIGLIE»

  
Il pellegrinaggio di Benedetto XVI a Carpineto Romano (5 settembre) nel ricordo della nascita di Leone XIII (18102010) – a cui è legata la prima grande enciclica sociale Rerum novarum – ci ripropone la figura del Pontefice che in epoca moderna maggiormente inculcò la devozione al rosario. Papa Gioacchino Pecci (foto) infatti scrisse undici encicliche su Maria e il rosario. Tanto che «per Papa Leone la Madonna è stata Mater rerum novarum, ovvero generatrice di una nuova ottica cristiana» (Avvenire, 28.7.2010). Citiamo dalla prima di esse, dalla Supremi apostolatus.

«...Voi vedete le incessanti e gravi lotte che travagliano la Chiesa. Voi vedete che la pietà cristiana, la pubblica moralità, e la stessa fede, il più grande dei beni e fondamento di tutte le altre virtù, sono esposte a pericoli sempre più gravi... La necessità del divino aiuto non è certamente minore oggi di quella che era sentita quando il grande san Domenico, a guarire le ferite della società, introdusse la pratica del rosario mariano. Egli, illuminato dall’alto, vide chiaramente che ai mali del suo tempo non vi era rimedio più efficace che ricondurre gli uomini a Cristo, che è "via, verità e vita", mediante la frequente meditazione della redenzione da lui operata; e interporre presso Dio l’intercessione di quella Vergine, a cui fu concesso di "annientare tutte le eresie".

Per questo motivo egli dispose la pratica del rosario in modo che fossero successivamente ricordati i misteri della nostra salvezza, e a questo dovere della meditazione s’intrecciasse come un mistico serto di salutazioni angeliche, intercalate dalla preghiera a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

Noi dunque, che andiamo ricercando un uguale rimedio a non diversi mali, non dubitiamo che la stessa preghiera, introdotta dal santo Patriarca con così notevole vantaggio per il mondo cattolico, tornerà efficacissima nell’alleviare anche le calamità dei nostri tempi.

In considerazione pertanto di queste ragioni esortiamo caldamente tutti i cristiani a compiere, senza stancarsi, il pio esercizio del rosario, o pubblicamente o in privato, nelle loro case e famiglie...».
   

 
   

«LA SICILIA È COSTELLATA
DI SANTUARI MARIANI»

  
Nella sua storica visita a Palermo il 3 ottobre Benedetto XVI ha ricordato l’amore dei siciliani verso Maria immacolata.

«...In questo momento di profonda comunione con Cristo, presente e vivo in mezzo a noi e in noi, è bello, come famiglia ecclesiale, rivolgerci in preghiera alla sua e nostra madre, Maria santissima immacolata.

La Sicilia è costellata di santuari mariani, e da questo luogo mi sento spiritualmente al centro di questa "rete" di devozione, che congiunge tutte le città e tutti i paesi dell’isola.

Alla Vergine Maria desidero affidare tutto il popolo di Dio che vive in questa amata terra.

Sostenga le famiglie nell’amore e nell’impegno educativo; renda fecondi i germi di vocazione che Dio semina largamente tra i giovani; infonda coraggio nelle prove, speranza nelle difficoltà, rinnovato slancio nel compiere il bene. La Madonna conforti i malati e tutti i sofferenti, e aiuti le comunità cristiane affinché nessuno in esse sia emarginato o bisognoso, ma ciascuno, specialmente i più piccoli e deboli, si senta accolto e valorizzato.

Maria è il modello della vita cristiana. A lei chiedo soprattutto di farvi camminare spediti e gioiosi sulla via della santità, sulle orme di tanti luminosi testimoni di Cristo, figli della terra siciliana.

In questo contesto desidero ricordare che oggi, a Parma, è proclamata beata Anna Maria Adorni, che nel secolo XIX fu sposa e madre esemplare e poi, rimasta vedova, si dedicò alla carità verso le donne carcerate e in difficoltà, per il cui servizio fondò due istituti religiosi.

Madre Adorni, a motivo della sua costante preghiera, veniva chiamata "Rosario vivente". Mi piace rilevarlo all’inizio del mese dedicato al santo rosario. La quotidiana meditazione dei misteri di Cristo in unione con Maria, Vergine orante, ci fortifichi tutti nella fede, nella speranza e nella carità».

(L’Osservatore Romano, 45.10.2010)
   

 
   

Brevi
   

«La devota tradizione del "volo" della casa di Maria dalla Terra Santa sino a Loreto ci invita a meditare sul "volo" in senso spirituale, sul rapporto tra terra e cielo...». Così il segretario di Stato vaticano, card. Tarcisio Bertone (in foto sotto di Catholic Press), ricordava il 25 marzo – festa dell’Annunciazione – a Loreto i 90 anni della proclamazione da parte di Benedetto XV (era il 24 marzo 1920) della Beata Vergine lauretana quale patrona dell’aeronautica e di tutti i viaggiatori in aereo (L’Osservatore Romano, 26.3.2010). Grandi manifestazioni e momenti di preghiera si sono succeduti con il pellegrinaggio della statua della Beata Vergine in tutti gli aeroporti italiani, che si concluderà il 10 dicembre, festa principale del Santuario di Loreto.

Il giorno prima di entrare in conclave il card. Karol Wojtyla si recò solo soletto a pregare al Santuario della Mentorella, una cinquantina di km da Roma. Nel ritorno rimase appiedato per un guasto alla macchina e fu riportato a Roma da un passante. Il giorno dopo quello sconosciuto Cardinale polacco divenne Giovanni Paolo II. Era il 16 ottobre 1978. Sembra che Wojtyla sia andato a pregare in quel Santuario – uno dei più antichi d’Europa – altre 30 volte. Questi e altri ricordi di papi e di santi sono stati commemorati con uno specialissimo annullo postale vaticano, raffigurante la Vergine con la scritta: Die emissionis. 1500° Anniversario della fondazione del santuario Madre delle Grazie della Mentorella.

«Lei si chiama Anastasio del Santo Rosario. Ma lo dice il rosario?», chiede Giovanni XXIII al carmelitano Anastasio Ballestrero (foto sotto). «Certo che lo dico». «Quante poste dice?», insiste il Papa. «Tutte e quindici». Ma «Tutti i giorni?». «Sì!», risponde il carmelitano. E papa Giovanni: «Bravo! Anch’io faccio lo stesso. Anche adesso che sono papa. E quando mi dicono come trovo il tempo: basta volere!, rispondo, e il tempo c’è sempre» (Maria Ausiliatrice, sett.­ott. 2010). Ballestrero (1913­1998) diventerà arcivescovo di Torino e sarà creato cardinale nel 1979 da Giovanni Paolo II.

Con i 213 cannoni vinti ai russi davanti a Sebastopoli nella guerra di Crimea (1853­1856) veniva innalzata 150 anni fa la statua di Notre-Dame de France sulla collina a ridosso dell’antico Santuario di Notre-Dame de Puy (centro-sud della Francia). «Non la guerra, ma la pace ci invita a servire la Vergine Maria». Così il vescovo Henri Brincard ricorda quell’evento del 1860, che coinvolse la nazione intera e Napoleone III. La statua bronzea della Vergine è di 22 metri con il piedistallo. Il piede che schiaccia il serpente è di un metro e novanta, mentre il serpente che lo insidia e gira sulla sfera su cui poggia la Vergine è lungo 17 metri (cf Stella Maris, n. 470/19).

«Perché non ricordiamo che Gesù, Maria e Giuseppe erano una famiglia migrante?». Da questa provocazione del diacono cattolico Ferdinando Ruiz si è tenuta in Arizona, al confine col Messico, una catena di solidarietà orante – la recita continua del rosario nelle famiglie e comunità parrocchiali per 40 giorni – in risposta alla campagna xenofoba anti immigrazione promossa da quello Stato degli Usa. Perché 40 giorni? Perché richiama i «40 years in the desert», dove sono peregrinati gli ebrei verso la Terra Promessa. Al Santuario di Guadalupe (foto sotto), nel confinante Messico, i vescovi hanno ricordato questa situazione di attrito con gli Stati Uniti, nel 200° anniversario dell’indipendenza del Messico (1810-2010). Il 12 dicembre ricorre la festa della Vergine di Guadalupe.

Oltre alle bestemmie di un presidente del Consiglio, dobbiamo registrare l’insulto (mariano) ai credenti di un presunto esperto d’arte. Il noto Vittorio Sgarbi nel Comune dove è sindaco (Salemi nel trapanese) ha fatto esporre una pittura di un certo Giuseppe Veneziano con una Madonna raffaellesca portante in braccio un piccolo Hitler: "La Madonna del Terzo Reich". «Personalmente non sono turbato né preoccupato dai pugni allo stomaco di presunti artisti – ha detto mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazzara del Vallo – al di là delle implicanze blasfemiche credo si faccia torto alle vittime del nazismo ». Avvenire ha consigliato di mettere per Natale Veneziano e Sgarbi al posto dell’asino e del bue nel presepe. «Sarebbe una salutare riflessione sulla crisi dell’arte» (30.9.2010).

«O Vergine santissima, Madre del Signore... fo voto a voi di rimanere vergine...». Tutti abbiamo letto a scuola come Lucia nei Promessi Sposi (cap. XXI) recitando il rosario fece voto di castità alla Madonna mentre era prigioniera dell’Innominato. Prendendo lo spunto da questo celebre "voto", nella casa stessa di Alessandro Manzoni (foto sotto) a Milano si è tenuta un’esposizione di ex voto che copre oltre mezzo millennio, dal ’400 al dopo guerra, 1945. Scampati pericoli di ogni genere, richieste di grazie, illustrati in 100 "ex voto", frutto di amore e fede incrollabili, come lo era stato il "voto" di Lucia, che ha ispirato la mostra.

«Oggi, 15 agosto 1781, sappiano tutti coloro nelle mani dei quali capiterà questa mia scrittura, che io sottoscritto Bruno mi vendo per schiavo perpetuo della Beata Vergine Maria con donazione pura, libera, perfetta, della mia persona...». È la consacrazione a Maria del venerabile Pio Bruno Lanteri. Tra il 20092010 si sono celebrati i 250 anni della nascita, che avvenne a Cuneo nel 1759. La fondazione della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine gli fu ispirata da sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) e dal grande devoto di Maria san Luigi di Montfort (1637-1716). Riteneva la Madonna «vera fondatrice della Congregazione ». Morì nel 1890. Lanteri è un po’ il padre dei clochard, si direbbe oggi, ispiratore delle iniziative sociali della Torino dell’epoca.

La Regina d’Europa – questo è il suo titolo – dal Santuario di Monte Lussari (Tarvisio, nella foto sopra) estende il suo abbraccio verso Austria e Slovenia. Qui a 1789 metri un pastore trovò una statua della Vergine in un cespuglio. La consegnò in paese al parroco, ma nottetempo l’immagine tornò sul monte e... qui si videro le pecore del pascolo inginocchiate davanti alla statua.La prima cappella è del 1360. Per i 650 anni è stato proclamato un giubileo. Poco oltre il confine, in Austria, presso il Santuario di Maria Wörth, quasi in gemellaggio spirituale si è tenuto nell’estate il "Pellegrinaggio dei tre popoli", guidato dai Vescovi di Lubiana, Udine, Klagenfurt.


   




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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10/01/2014 13:27
 
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  Problemi attuali di mariologia  

di GIUSEPPE DAMINELLI, smm

«Saluto mai altre volte udito»
   

"Piena di grazia": Maria è stata e rimane colmata dal favore divino. Ed è nostra sicura vocazione...
 

Nelle litanie lauretane invochiamo la Vergine come santa Maria, santa Madre di Dio, santa Vergine delle vergini, Regina dei santi, e le chiediamo di pregare per noi peccatori, perché ci aiuti a diventare santi. Ciò vuol dire che riconosciamo in lei non solo l’icona della nostra santità, ma pure il suo ruolo di cooperatrice, di formatrice di santi.

Ci soffermeremo questa volta sull’invocazione Santa Maria, per comprendere cosa vuol dire essere santi, e cogliere così le ragioni per cui diciamo santa la Vergine Maria ed imparare da lei le vie per le quali si giunge alla santità.

F. Botticini (1446-1497), L'Annunciazione (part.), Museo di Empoli (Firenze).
F. Botticini (1446-1497), L’Annunciazione (part.), Museo di Empoli (Firenze – foto Paolo Ferrari).

Cosa vuol dire essere santi? Nell’Antico Testamento il termine Santo – Qadosh, in ebraico, eAghios in greco – vuol dire Separato (Dio, il Tutt’Altro; il Santo d’Israele). A Mosè che voleva avvicinarsi a vedere il roveto ardente, disse il Signore: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa» (Es 3,5).

Con Isaia si passa dalla santità intesa come separazione fisica, esterna, alla santità intesa come separazione morale, interna da tutto ciò che non piace a Dio, al Santo d’Israele. Il Profeta sente i serafini che «proclamavano l’uno all’altro: "Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria"» (Is 6,3). La santità di Dio esige dall’uomo che sia anche lui santificato, cioè separato dal profano, purificato dal peccato, partecipando alla giustizia di Dio.

Nel Nuovo Testamento la nozione di santità si precisa con la rivelazione che Gesù fa dello Spirito Santo. Dio comunica la sua santità. Nel battesimo si diventa veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò veramente santi. Il battezzato deve quindi, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che ha ricevuto (LG 40). Il cristiano è tempio dello Spirito Santo (1Cor 6,19).

Santità del matrimonio, miniatura francese del sec. XV, Biblioteca reale del Belgio, Bruxelles.
Santità del matrimonio, miniatura francese del sec. XV, Biblioteca reale del Belgio, Bruxelles (foto Lores Riva).

Maria è santa, santissima; è la Tuttasanta (la Panaghia).

Nell’Annunciazione Maria è salutata con l’appellativo di "Piena di grazia", Kecharitomene. È un titolo che le è rivolto da Dio, mediante l’Angelo. Potremmo dire che questo è il nome proprio di Maria.

Qual è la portata di questo nome? Esso vuol dire che Maria è stata e rimane colmata dal favore divino e che questo favore l’ha tutta trasformata, santificata. Scrive Pio IX nella lettera apostolica Ineffabilis Deus dell’8 dicembre 1854: «Gli stessi Padri e gli scrittori della Chiesa, considerando attentamente che la beatissima Vergine, in nome e per ordine di Dio stesso, fu chiamata "Piena di grazia" dall’angelo Gabriele... insegnarono che, con questo singolare e solenne saluto, mai altre volte udito, viene manifestato che la Madre di Dio fu sede di tutte le grazie, ornata di tutti i carismi del divino Spirito, anzi tesoro quasi infinito e abisso inesauribile dei medesimi carismi, cosicché giammai fu sottoposta alla maledizione, ma fu partecipe insieme al Figlio della perpetua benedizione».

A questa pienezza di grazia, a questa santità ricevuta da Dio, Maria ha sempre e pienamente corrisposto: «Già piena di grazia quando fu salutata dall’arcangelo Gabriele, Maria ne fu ricolma con sovrabbondanza quando lo Spirito Santo stese su di lei la sua ombra ineffabile. Poi crebbe talmente di giorno in giorno e di momento in momento in quella duplice pienezza, che raggiunse un grado di grazia immenso e inconcepibile» (Montfort, Vera devozione 44).

N. De Landi (sec. XV), Madonna e santi Giovanni Battista e Caterina di Alessandria, Norton Simon Museum of Art, Pasadena (California).
N. De Landi (sec. XV), Madonna e santi Giovanni Battista e Caterina di Alessandria,
Norton Simon Museum of Art, Pasadena (California).

Così Maria diventa icona di santità per tutti i fedeli: sacerdoti, religiosi, laici. Volendo concretare i percorsi obbligati, quasi paradigma di verifica della nostra personale imitazione della santità di Maria, potremmo indicarli come fa L. De Candido in NDM, pp. 1251-1253: lasciarsi amare da Dio (accogliere i suoi doni, affidarsi alla sua guida, saperlo ringraziare, creare un proprio Magnificat...); obbedire con intelligenza: con libera fede (LG 56); ascoltare in contemplazione (custodia nel cuore, difesa della parola, confronto tra i messaggi, pazienza nell’incomprensione, silenzio protettivo); perseverare nella fedeltà... soprattutto come presenza accanto a Cristo; servire chi deve essere servito, con Maria la serva del Signore; perseverare presso la croce.

Maria suscita, forma e incorona i santi. Diventare santi è nostra sicura vocazione. Ma quali mezzi occorrono per rispondere e corrispondere a tale vocazione? Tutti li conosciamo. Il Vangelo ce li indica, i maestri di vita spirituale li spiegano, i santi li vivono. L’insegnamento di san Luigi Maria da Montfort, il quale invita a riconoscere e ad abbracciare la vera devozione a Maria in totale affidamento a lei come segreto di grazia e di santità.

Numerose sono le pagine dove il Montfort propone la vera devozione a Maria come segreto di santità. Ne riferisco qui solo alcune tra le più espressive e incisive: «O Spirito Santo... Tutti i santi del passato e del futuro sino alla fine del mondo sono opere del tuo amore unito a quello di Maria» (Preghiera infocata 15).

«Maria è un luogo santo, anzi il Santo dei santi, dove i santi sono formati e modellati» (Trattato della vera devozione a Maria 218); «La formazione e l’educazione dei grandi santi, che vivranno verso la fine del mondo, sono riservate a Maria, perché soltanto questa Vergine singolare e miracolosa può produrre, insieme allo Spirito Santo, le cose singolari e straordinarie» (ivi 35).

Scuola toscana (sec. XV), Madonna e santi, Collegiata di Castiglione Olona (Varese).
Scuola toscana (sec. XV), Madonna e santi, Collegiata di Castiglione Olona (Varese – foto Scalcione).

Queste chiare affermazioni del Montfort sono in perfetta sintonia con il Vaticano II, là dove esso dice che «Maria coopera con amore di madre alla rigenerazione e alla formazione dei fedeli» (LG 63); sono in perfetta sintonia anche con un discorso che Pio XI fece, il 15 agosto 1933, per la canonizzazione della beata Giovanna Antida Thouret. «...Anche riguardo ai santi si può dire che Maria è con Dio in quanto li suscita, li forma, e li incorona. Anzitutto li suscita. Le anime semplici si rivolgono a Maria, che risplende all’aurora e all’alba di tutte le sante vite: è sempre con l’intervento speciale di Maria che si annunciano fin dai primi giorni della loro vita uno di quei santi o di quelle sante che un giorno accresceranno i tesori della santità della Chiesa. Si può dire che, anche prescindendo da questi santi inizi, è sempre Maria che, per il suo posto speciale nella gloria e nella santità, è vera ispiratrice e suscitatrice di santi.

Formare la santità è opera esclusivamente divina, ma se la grazia è da Dio, è però data per Maria che è la nostra avvocata e mediatrice, in quanto l’affetto materno da una parte trova corrispondenza nella pietà filiale, Dio dà le grazie, Maria le ottiene e le distribuisce.

Maria non solo suscita i santi, ma anche li incorona: essa li conduce alla perseveranza finale ed alla gloria eterna. La Chiesa invita a pregare Maria e ad invocarla con le parole mortis hora suscipe: tu ne ricevi nell’ora della nostra morte. È bello vedere Maria non solo ricevere le anime come la morte a lei le porta, ma portarle essa stessa a ricevere la corona di gloria meritata con la sua assistenza».

Con queste ultime espressioni Pio XI fece riferimento a un bel discorso di san Bonaventura sul capitolo 12 dell’Apocalisse. «Le dodici stelle che incoronano Maria simboleggiano i santi tutti. Attribuendo a Maria la loro corona di gloria, essi incoronano colei dalla quale, dopo Dio, si sentono incoronati, come è detto in Ap 4,10: "I 24 vegliardi gettavano le loro corone davanti al trono". Questi vegliardi raffigurano tutti i santi. Così tutti i santi gettano le loro corone davanti a colui che siede in trono, perché si riconoscono incoronati dal Signore e dalla sua santa Madre, simboleggiata dal trono».

Giuseppe Daminelli










Maria e i sacerdoti
   

«Non c’è molto amor di Dio in quella parrocchia, voi ce ne metterete».
 

Il cristiano dei nostri giorni sovente si trova in una sorta di crisi d’identità e talvolta si lascia spesso coinvolgere dall’indifferentismo, dalla superficialità o dal disincanto testimoniale; si può ben dire che il cristianesimo soffre anch’esso di una certa precarietà comune alla odierna società.

A tal riguardo l’esempio di vita, di fede e di ministero apostolico di san Giovanni Maria Vianney, scrive Papa Ratzinger nella lettera ai sacerdoti, è oltremodo attuale. Infatti, egli era «giunto ad Ars, un piccolo villaggio di 230 abitanti, preavvertito dal Vescovo che avrebbe trovato una situazione religiosamente precaria: "Non c’è molto amor di Dio in quella parrocchia, voi ce ne metterete". Era, di conseguenza, pienamente consapevole che doveva andarvi ad incarnare la presenza di Cristo, testimoniandone la tenerezza salvifica».

Sì, anche in questo nostro tempo il sacerdote in modo particolare rispetto a tutti i membri della Chiesa dei discepoli e delle discepole, deve essere testimone della tenerezza salvifica di Cristo e dell’amore materno-sororale della Madre, possedendo e aiutando i fedeli laici ad avere uno stile di vita conforme al Vangelo.

Crocifissione di Gesù (dal film per la tv San Pietro, trasmesso su Raiuno nell'ottobre 2005; regia di Giulio Base; il Cristo è interpretato da Johannes Brandrup).
Crocifissione di Gesù (dal film per la tv San Pietro, trasmesso su Raiuno nell’ottobre 2005; regia di Giulio Base;
il Cristo è interpretato da Johannes Brandrup).

La Sacra Scrittura, testo fondamentale della fede che va inteso e compreso nelle sue parti di Antico e Nuovo Testamento, «un libro solo e quest’ultimo libro è Cristo (Ugo da san Vittore, L’arca di Noè, II,8)», deve essere considerato dai credenti il grande libro della "storia" di Dio e in Dio dell’umanità.

Esso, nel contempo, è santo e verace racconto del suo sguardo misericordioso/materno sul mondo: «Gli occhi del Signore scrutano la terra» (Zc 4,10); sguardo interessato e capace di penetrare fin nei luoghi più segreti (cf Sir 23,19). Tali occhi e sguardi paterno/materni attenti alle diverse realtà e bisogni dell’uomo e della donna infinitamente amati, sono solleciti a scorgere e tergere le lacrime della sofferenza, che poi Dio stesso raccoglie teneramente in un otre (cf Sal 56,9), e si compiacciono della spirituale povertà degli umili e dei poveri come l’anaw Maria di Nazaret.

Lo sguardo compassionevole e il tenero e generoso cuore di Dio uno e trino hanno sempre accompagnato la storia dell’umanità e ogni singolo suo membro. Si può ben dire con Benedetto XVI, che in questi anni di analfabetismo emozionale di cui sono affette le giovani generazioni in gran parte diseducate dalle generazioni adulte, tutte prese a dare ragione all’assioma del Consumo, dunque sono (Z. Bauman), ha rilanciato con forza appassionata la straordinaria fecondità e impegno dell’amore del Dio svelatoci dal figlio Gesù.

Su questo versante Papa Benedetto rassicura: «Il nostro Dio non è un Dio lontano, intoccabile nella sua beatitudine: il nostro Dio ha un cuore. Anzi ha un cuore di carne, si è fatto carne proprio per poter soffrire con noi ed essere con noi nelle sofferenze. Si è fatto uomo per darci un cuore di carne e per risvegliare in noi l’amore per i sofferenti e i bisognosi» (Via Crucis al Colosseo, 6.4.2007).

Madre di Dio odigitria, Scuola iconografica di Seriate (nata nel 1978) del centro Russia cristiana.
Madre di Dio odigitria, Scuola iconografica di Seriate (nata nel 1978) del centro Russia cristiana.

Questa sacrosanta verità la testimonia la stessa Madre del suo Figlio nel suo cantico anamnetico e di lode del Magnificat (cf Lc 1,46-55): lo sguardo e il cuore di Dio, in definitiva, sono perennemente rivolti a noi sempre in attesa. Il Signore Iddio, ci rammenta santa Maria, lo ha «promesso ai nostri padri: ad Abramo e ai suoi discendenti per sempre» (Lc 1,55).

La Vergine Maria, edotta da Dio, dall’evento messianico e cordiale del Figlio e dalla sua singolare sensibilità antropologica, anch’essa ha volto e continuamente volge il suo sguardo e il suo cuore compassionevoli verso i bisogni degli uomini. Lo sguardo colmo di amore, di perdono e di compassiodi Gesù Cristo si è posato con dolcezza e tenerezza dalla croce sulla Madre e sul discepolo, entrambi icone della Chiesa, che da quel momento sono divenuti indivisibile volontà, potenza e profezia di un servizio, di un cuore, di uno sguardo e di un testamento che vanno ben oltre i mondani orizzonti.

La kenosis, lo svuotamento dell’incarnazione del Figlio di Dio e quella della sua croce, declinati come icona dell’amore, della compassione e della misericordia pro nobis di Dio immerso liberamente nella condizione dell’uomo, sono espressione del mistero dell’altruismo della Trinità, della sua pro-esistenza, cioè del mistero della solidarietà divino-umana portata sino all’estremo della morte in croce del Figlio, poi rischiarata dalla potenza della risurrezione.

Amore agapico che ha poi reso possibile la glorificazione della credente per eccellenza, Maria, la figlia prediletta del Padre (cf Lumen gentium 55); colei che fattasi Cristo in Cristo per opera dello Spirito, in cielo sino alla fine del mondo, è divenuta la perfetta creatura trinitaria costituita da Dio quale odigitriache mostra e accompagna i fedeli ad attingere a piene mani dalla provvidente compassione di Dio, pregando per noi e volgendo il suo compassionevole sguardo sulle nostre necessità materiali e spirituali, tanto da essere invocata con l’accorata espressione: «Monstra te esse Matrem!».

Salvatore M. Perrella

Invito all’approfondimento: A. Vanhoye sj, Il cuore sacerdotale di Gesù, Adp 2009, pp. 32, € 3,50.










Paolo di Tarso e Maria di Nazaret
   

Si affronta in questo testo, un vero saggio, la dottrina dell’Apostolo per la mariologia.
  

È raro trovare l’accostamento di Paolo di Tarso a Maria di Nazaret, due figure bibliche senza evidente legame o necessario richiamo. Basti consultare il Dizionario di Paolo e delle sue lettere (G.F. Hawthorne, C.R. Martin e D. Reid, a cura di R. Penna, San Paolo 2000, pp. 1.886, € 61,97), per accorgersi che il nome di Maria è completamente ignorato, anche come donna che ha generato il Figlio di Dio (Gal 4,4), passo saltato perfino nella voce Lettera ai Galati.

A prima vista sembra che in realtà non ci sia niente di comune tra i due personaggi di rilievo nella Chiesa delle origini. Paolo è il missionario teologo, l’apostolo delle genti e il rappresentante di un cristianesimo libero dalla legge di Mosè e aperto all’ellenismo; Maria è una donna tenuta in grande considerazione come madre di Cristo, ma professante come Pietro e Giacomo un giudeo-cristianesimo fedele alle prescrizioni legali in seno alla comunità di Gerusalemme.

Inizio della Lettera ai Galati. Pagina miniata del sec. XIII, Biblioteca braidense, Milano.
Inizio della Lettera ai Galati. Pagina miniata del sec. XIII, Biblioteca braidense, Milano (
foto Archivio Storico San Paolo).

Eppure il legame tra Paolo e Maria esiste, dal momento che dobbiamo all’Apostolo il primo testo del Nuovo Testamento dove si parla di Cristo come «nato da donna» (Gal 4,4). Riflettendo sul piano della salvezza e in particolare sull’incarnazione, Paolo non può fare a meno di riferirsi a quella donna d’Israele che ha generato il Messia.

Il quadro normativo per l’annuncio di Maria nella Chiesa. Come è risaputo, i discorsi kerigmatici di Pietro (At 2,14-39; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32; 10,34-46) e di Paolo (At 13,16-30; 17,22-31), mirano a comunicare il contenuto essenziale della storia della salvezza: Cristo morto e risorto. Solo una volta si fa riferimento all’attività sanatrice ed esorcistica di Gesù dopo il battesimo di Giovanni (At 10,38) e solo una volta si menziona la discendenza davidica di Cristo: «Dalla discendenza di lui [Davide], secondo la promessa, Dio trasse per Israele un salvatore» (At 13,23).

In questa prima fase non si nomina mai Maria. La ragione di questo silenzio sulla Madre di Gesù è comprensibile: essa rientra nel più vasto silenzio circa l’intero arco della vicenda storica di Cristo (che sarà oggetto di considerazione accurata da parte degli evangelisti), perché il centro d’interesse degli apostoli è l’annuncio del mistero pasquale.

Fratelli Linnich, San Paolo (part., sec. XX), vetrata del Tempio di san Paolo, Alba (Cuneo).
Fratelli Linnich, San Paolo (part., sec. XX), vetrata del Tempio di san Paolo, Alba (Cuneo – foto E. Necade).

Paolo rompe il silenzio su Maria offrendo in Gal 4,4 la più antica testimonianza mariana del Nuovo Testamento, che risale al 49 o al massimo al 57 dopo Cristo, cioè una ventina d’anni dopo l’Ascensione.

Occasione della lettera ai Galati è l’infiltrazione nelle comunità della Galazia in Asia Minore (attuale Turchia) di alcuni cristiani giudaizzanti, che insegnavano la validità della legge giudaica per nulla abolita da Cristo. A questi Paolo oppone il suo Vangelo, ossia la salvezza mediante la fede in Cristo. Da autentico teologo, Paolo pone il dilemma: chi ci salva, Cristo o la legge? Se la salvezza viene dalla legge, allora «Cristo è morto invano» (Gal 2,21). Ma se Cristo è il salvatore, allora la legge perde la sua funzione e necessità, sicché le genti possono credere ed essere battezzate senza passare dall’obbedienza alle prescrizioni mosaiche. Con questa soluzione, che raccoglie l’accordo degli apostoli e comunità, il cristianesimo cessa di essere un semplice gruppo ebraico (pur mantenendone la fede monoteistica e la profonda spiritualità), e diviene una comunità universale.

In tale contesto polemico contro i giudaizzanti, Paolo introduce il testo di alto interesse cristologico in cui si fa menzione «tangenzialmente e in forma anonima» di Maria, la «donna» dalla quale nacque Gesù: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4).

Boccardino da Firenze, La Trinità, miniatura del sec. XVI, Basilica di san Pietro, Perugia.
Boccardino da Firenze, La Trinità, miniatura del sec. XVI, Basilica di san Pietro, Perugia (foto Lores Riva).

Nonostante la sua laconicità, tale testo è considerato di altissimo interesse mariano, quasi «una mariologia in germe», in quanto «nucleo germinale» aperto «alle successive acquisizioni del Nuovo Testamento».

Lo storico dei dogmi mariani Georg Söll giunge ad affermare: «Dal punto di vista dogmatico l’enunciato di Gal 4,4 è il testo mariologicamente più significativo del NT, anche se la sua importanza non fu pienamente avvertita da certi teologi di ieri e di oggi. Con Paolo ha inizio l’aggancio della mariologia con la cristologia, proprio mediante l’attestazione della divina maternità di Maria e la prima intuizione di una considerazione storico-salvifica del suo significato».

L’importanza del testo paolino è data dal fatto che esso ha una struttura trinitaria ed insieme storico-salvifica.

Paolo ricorre chiaramente allo schema di invio. Il soggetto della frase è il Padre, che determina lapienezza del tempo, cioè il tempo propizio alla salvezza dopo il periodo di sudditanza e di maturazione (Gal 4,1-2), e decide l’invio di suo Figlio. Questi, che preesiste per poter essere inviato, viene nel tempo secondo due modalità e finalità intimamente connesse e contrapposte: nasce in condizione di fragilità (nato da donna) edi schiavitù (nato sotto la legge) in vista della liberazione dalla schiavitù (per riscattare coloro che erano sotto la legge) e del dono della figliolanza divina reso possibile dallo Spirito (perché ricevessimo l’adozione a figli, Gal 4,6).

San Paolo, miniatura del sec. XVI, Certosa di Pavia.
San Paolo, miniatura del sec. XVI, Certosa di Pavia (foto Tagliabue).

Maria è la donna che inserisce il Figlio di Dio nella storia in una condizione di abbassamento, ma ella è situata nella pienezza del tempo e si trova coinvolta nel disegno storico-salvifico della trasformazione degli uomini in figli di Dio.

Nei due versetti (Gal 4,4-6) sono presenti le persone della Trinità in un orizzonte storico-salvifico, sicché si può giustamente osservare che la donna da cui nasce Cristo è incomprensibile al di fuori della sua relazione con le tre persone divine e con la storia della salvezza.

Il «mistero» della donna in Gal 4,4ss è totalmente inserito in un disegno cristologico-trinitario-ecclesiale e posto a garanzia dell’effettiva libertà dei figli di Dio.

La donna, di cui non si menziona neppure il nome, è interamente al servizio dell’evento salvifico che impegna la Trinità intera ed è a vantaggio di tutti gli uomini.

Potremmo dire che Maria è coinvolta nel «complotto» di Dio, meglio nel suo misterioso e sorprendente «disegno», per la salvezza degli esseri umani: «[Maria] è colei che porta in sé Gesù Cristo; ma non vuole conservarlo per sé, perché infine è colei che lo porta al mondo: in questo senso partecipa – come la Chiesa – a quello che si potrebbe chiamare il "complotto" di Dio per salvare il mondo, e si può celebrarla come quella che ha introdotto segretamente tra gli uomini il Cristo, nel quale il regno di Dio è presente».

Paolo tra i Galati, miniatura del sec. XIII, Biblioteca marciana, Venezia.
Paolo tra i Galati, miniatura del sec. XIII, Biblioteca marciana, Venezia (foto S.a.i.e.).

Il genere paradossale per parlare della Madre di Cristo. Nello stesso breve passo di Gal 4,4 Paolo ricorre al genere paradossale, a lui caro (1Cor 1,21-31; 2Cor 5,21; 8,9; Rm 8,3-4), mettendo insieme realtà contrastanti (paradosso, dal greco pará dóxa = a lato dell’opinione): schiavitù-redenzione, fragilità-figliolanza divina. Esiste in realtà un rapporto antitetico tra la modalità con cui il Figlio di Dio si presenta al mondo e la finalità della stessa sua venuta.

In pratica Paolo applica all’invio del Verbo nella condizione umana la legge storico-salvifica dell’abbassamento-esaltazione che lega la prima alleanza al definitivo Testamento.

Il ribaltamento delle sorti è il messaggio del libro di Ester, dove questa è intronizzata e Vasti ripudiata, Mardocheo è esaltato e Amman ucciso. Soprattutto nel Servo di JHWH si realizza l’antitesiabbassamento-esaltazione: egli è umiliato con la persecuzione e la sofferenza, ma poi viene «esaltato e molto innalzato» (Is 50,6; 52,13).

Quando la comunità cristiana cerca un principio che renda comprensibile la vicenda di Gesù, lo trova nello schema del giusto sofferente ed esaltato. In questa linea si svolge il celebre inno cristologico pre-paolino di Fil 2,6-11, dove si passa dalla fase di umiliazione che raggiunge il climax nella morte di croce all’esaltazione di Gesù come Signore.

Il Bergognone, Maria e donne sotto la croce (1512), ex monastero benedettino di Brugora di Besana (Milano).
Il Bergognone, Maria e donne sotto la croce (1512), ex monastero benedettino
di Brugora di Besana (Milano – foto Censi).

Di fronte al testo di Paolo sorgono spontaneamente alcuni interrogativi: come può Cristo «sottomesso alla legge» liberare quanti attendono di esserne affrancati? E come può un «nato da donna» come tutti gli esseri umani conferire la dignità di figli di Dio?

Paolo non scioglie questi enigmi, ma lascia aperto il discorso circa il modo con cui Cristo viene al mondo (per es. verginalmente e nella potenza dello Spirito, come specificheranno i Vangeli dell’infanzia) o è sottoposto alla legge (cioè volontariamente, senza essere obbligato). Il discorso rimane aperto anche circa il tempo, quando si passerà dall’umiliazione all’esaltazione; tale passaggio avverrà sicuramente per Paolo nel mistero pasquale, ma nel passo di Gal 4,4 esso rimane implicito.

Maria è accomunata alla kenosi del Figlio, cioè alla sua incarnazione in stato di svuotamento e di debolezza, di cui lei diviene elemento indispensabile.

Quattro secoli più tardi Agostino riconoscerà in Maria la madre della «debolezza» di Cristo, «non della sua divinità», avendolo generato nella condizione umana. Del resto gli studi biblici e teologici nel Novecento contestualizzeranno la Vergine di Nazaret nella storia spirituale del suo popolo piccolo, disprezzato e calpestato dalle grandi potenze. Ella fa parte dei «poveri di JHWH», apice spirituale d’Israele, come donna in ascolto di Dio che si rivela, al quale fa il dono totale di sé.

Pur avendo generato il Signore dell’universo, ella conduce una vita senza privilegi terreni, in situazione di povertà e di assenza di qualsiasi potere e influsso. La sua suprema kenosi è raggiunta sul Calvario quando sperimenta la spada del dolore. Tuttavia il principio kenotico «sarebbe monco e incompleto qualora non venisse attribuita alla Madre di Gesù anche la sua necessaria conseguenza che è l’esaltazione».

Lkenosi di Cristo, cui partecipa Maria, non è che il primo pannello di un dittico che contempla anche la condizione glorificata di entrambi. Il theologumeno storico-salvifico dell’abbassamento-esaltazione che la Vergine applica alla sua vicenda nel Magnificat (Lc 1,47-48), può tradursi oggi con emarginazione-promozione, passività-inserimento attivo nella storia, vuoto di valori-pienezza di significato: Dio ha trasformato la sua insignificanza in momento di salvezza messianica. L’immagine kenotica di Maria controbilancia la tendenza glorificatrice di lei, che la privava della sua consistenza concreta di donna inserita nella storia dell’ebraismo, giungendo ad una certa disumanizzazione della sua figura.

Stefano De Fiores, smm
   

Invito all’approfondimento: F. Manzi, Tratti mariologici nel "Vangelo" di Paolo, in Theotokos, VIII (2000), pp. 649-689; A.M. Serra, Nato da donna, Servitium 1992, pp. 405, € 25,82.

















Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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10/01/2014 13:35
 
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   Celebrando il Signore lodiamo Maria 

 
di SERGIO GASPARI, smm
  

Quell’"Opera dei secoli"
   

Annunciazione: la Vergine «punto immacolato di approdo sulla terra del Verbo di Dio».
  

L'istruzione della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica,Faciem tuam, Domine, requiram. "Il servizio dell’autorità e l’obbedienza" (2008) al n. 31 prega la Vergine: «O dolce e santa Vergine Maria, Tu all’annuncio dell’angelo, con la tua obbedienza credente e interrogante, ci hai dato Cristo... Ai piedi della Croce, l’obbedienza ha fatto di Te la Madre della Chiesa e dei credenti».

L’aggettivo "interrogante" è pleonastico e inopportuno. È vero che oggi nella preghiera affiora la tendenza dell’interrogatio: l’inquietudine del cuore umano spinge il credente a porre precise domande a Dio; ma egli non trova risposte soddisfacenti. Perché? Perché Dio è la Parola prima; il fedele è parola seconda (non secondaria). L’uomo può solo rispondere a Dio, che per primo si rivolge a lui. Nel tentativo poi di "umanizzare" la Vergine, rischiamo di estrapolarla dal suo tessuto biblico-ebraico, di discepola cioè della fede che risponde e dell’obbedienza che si abbandona a Dio.

L’annuncio del Signore alla Vergine (Lc 1,26-38), evento del tutto nuovo – ha mutato la storia dell’umanità – è chiamato "Vangelo aureo" e la Messa del 20 dicembre, celebrazione mariana dell’Avvento, è detta "Missa aurea". L’Annunciazione presenta Maria quale «punto immacolato di approdo sulla terra del Verbo di Dio» (Paolo VI). Evento di salvezza che va accolto con il cuore della fede pura.

G. Gelfi, Annunciazione (1994), parrocchiale di Cristo re, Saiano (Brescia).
G. Gelfi, Annunciazione (1994), parrocchiale di Cristo re, Saiano (Brescia – foto Mario Bonotto).

1. Festa dell’obbedienza. Alle «parole dell’Angelo ella (Maria) rimase turbata»: è il turbamento di una creatura umana, sia pure pia e fervorosa, di fronte ad un fatto inaudito ed imprevedibile; è il brivido della creatura di fronte al mistero divino e alla sua trascendenza. Maria è chiamata a dare «il consenso a nome di tutta la natura umana» (san Tommaso d’Aquino, +1274) per l’attuazione di quell’"Opera dei secoli" che è l’incarnazione del Verbo (san Pietro Crisologo, ca. +450; cf Marialis cultus 37).

Il turbamento è reazione di prudenza, umiltà e percezione di indegnità. Benedetto XVI a 400 mila giovani a Loreto l’1.9.2007 ha detto: «Guardate alla giovane Maria! L’Angelo le prospettò qualcosa di veramente inconcepibile: partecipare nel modo più coinvolgente possibile al più grandioso dei piani di Dio, la salvezza dell’umanità. Dinanzi a tale proposta Maria rimase turbata, avvertendo tutta la piccolezza del suo essere di fronte all’onnipotenza di Dio; e si domandò: com’è possibile, perché proprio io? Disposta però a compiere la volontà divina, pronunciò prontamente il suo "sì", che cambiò la sua vita e la storia dell’umanità intera».

Nell’Annunciazione Maria «trascende se stessa»: «raggiunge i confini della divinità» (Tommaso De Vio, detto il Gaetano, +1533), viene ad avere «una certa dignità infinita, proveniente dal bene infinito che è Dio» (san Tommaso d’Aquino).

La Vergine «si domandava che senso avesse un tale saluto»: chiedeva a se stessa, non all’Angelo né a Dio. E l’Angelo non risponde sul piano umano, bensì in riferimento all’elezione di Dio che la interpella: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio», e poi le rivela: «Lo Spirito Santo scenderà su di te». Non interessata al proprio destino, Maria dice all’Angelo: «Come è possibile?», Quomodo fiet?, ossia "come" devo comportarmi per giungere al Fiat?

Vediamo la Vergine riflessiva nel tentativo di aprirsi alla volontà sovrumana e disporsi alla risposta. Infatti accetta: acconsente prontamente ed agisce facendosi annunciatrice dell’evento alla parente Elisabetta. Il Fiat della Vergine si trova in relazione al Salmo responsoriale e alla II Lettura del 25 marzo: «Ecco io vengo, per fare, Dio, la tua volontà» (Sal 39 e Eb 10,4-10), come pure è in stretta sintonia con il Fiat della volontà di Dio nel Padre nostro.

G. Pellegrini, Zaccaria in gloria (sec. XVIII), chiesa di san Zaccaria, Venezia.
G. Pellegrini, Zaccaria in gloria (sec. XVIII), chiesa di san Zaccaria, Venezia (foto Mario Bonotto).

Ai credenti che volevano capire la Parola di Dio, sant’Agostino (+430) rispondeva: Orent ut intellegant (Preghino e capiranno).

Il riformatore di Ginevra G. Calvino (+1564) spiegava: Omnis recta cognitio Dei, ab oboedientia nascitur (Ogni retta conoscenza di Dio nasce dall’obbedienza).

E con un gioco di parole il domenicano T. Campanella (+1639), filosofo del Rinascimento, affermava: «Assai sa chi non sa, se sa obbedire».

La Vergine, obbedendo, crede possibile ciò che la ragione umana ha ragione di dubitare. Ma nell’obbedire ella sa ciò che non sa umanamente. Difatti non dubita, non ha paura. Piuttosto, secondo santa Caterina da Siena (+1380), nella sua prudenza la Vergine chiede spiegazioni perché si ritiene indegna: «Non perché tu mancasti in fede, ma per la tua profonda umiltà, considerando la indegnità tua; ma non che tu dubitassi che questo fosse impossibile presso Dio».

2. Festa del Fiat. Il Vaticano II insegna: «I santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza» (Lumen gentium 56).

Il documento Il sacerdozio ministeriale del III Sinodo dei vescovi del 1971 parla della fede perfetta di Maria: «Il presbitero guardi molto spesso a Maria, madre di Dio, la quale accolse il Verbo di Dio con fede perfetta, e la invochi ogni giorno per ottenere la grazia di conformarsi al suo Figlio».

M. Grünewald (1480-1528), Incarnazione di Cristo, Museo di Unterlinden, Colmar (Francia).
M. Grünewald (1480-1528), Incarnazione di Cristo, Museo di Unterlinden, Colmar (Francia – foto Lores Riva).

Stando alla tradizione ininterrotta della Chiesa, il "sì" mariano esprime adesione generosa al progetto di Dio. Sant’Agostino osserva: Maria «parlò decisa a comprendere, non per diffidenza. Nel porre la domanda, non dubitò della promessa». È utile il raffronto tra il sacerdote Zaccaria, che dubita della possibilità di realizzazione del messaggio dell’Angelo (Lc 1,18.20) e la Vergine invece che, di fronte ad una proposta inaudita, accoglie con fede esemplare la Parola di Dio (Lc 1,38.45). L’angelo Gabriele – puntualizza san Massimo di Torino (+ ca. 408/423) – «conforta l’incredulo Zaccaria ed esorta la fiduciosa Maria. Quello perdette la parola per aver dubitato; questa, avendo subito creduto, concepì il Verbo Salvatore». Secondo Antìpatro di Bostra (+ dopo il 457) Maria «domandò: "Come avverrà questo?", non per contraddire, ma per imparare». E la liturgia ispanica aggiunge: Maria «chiese: Come avverrà questo? Ma domandò credendo, senza dubitare. Lo Spirito Santo allora compì ciò che l’Angelo aveva annunziato» (Prefazio della II Domenica di Avvento).

3. Festa della collaborazione. Il verbo ottativo greco génoito, latino fiat, della Vergine rivela «un desiderio gioioso di collaborare a ciò che Dio prevede per lei. È la gioia dell’abbandono totale al buon volere di Dio» (I. de La Potterie). La domanda all’Angelo è per un’obbedienza piena e in vista dell’offerta della propria libertà al Signore.

Il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 506) cita sant’Agostino che osserva: «Maria è più felice di ricevere la fede di Cristo che di concepire la carne di Cristo». E ancora sant’Agostino: «Per la fede credette, per la fede concepì... Vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo anziché madre di Cristo». Ecco perché Giovanni Paolo II rilevava: se «la fede di Abramo costituisce l’inizio dell’antica Alleanza», «la fede di Maria nell’Annunciazione dà inizio alla nuova Alleanza» (Redemptoris Mater 14).

Rilievi conclusivi. «La grazia che chiama si fa grazia che permette di rispondere». La fede assoluta di Maria è rinuncia a se stessa per lasciar fare a Dio. Nell’accogliere la proposta divina, ella libera la propria libertà e così è in grado di rispondere alla volontà celeste. Solo la grazia può liberare la libertà umana (O. Clément, +2009) o, più precisamente: «La grazia viene postulata dalla libertà che vi trova il suo contenuto, il suo quid, e presuppone la libertà che è il suo come» (P. Evdokimov, +1970). La libertà postula la grazia; la grazia fa fiorire e fruttificare la libertà. In Maria la grazia suscita, rende possibile la risposta libera e generosa. Nel suo Fiat oblativo – che «ha in sé qualcosa di potente» – la libertà è resa autentica dalla grazia e, senza alcun bisogno di spiegazioni umane, si fa gioiosa disponibilità a Dio. Non senza motivo sulle labbra dei fedeli da secoli affiora l’invocazione: Vere libera, serva nos liberos; (Maria) veramente libera, conserva noi liberi; donaci la libertà che compie la volontà di Dio, si offre per la salvezza delle anime e il bene della società umana.

Sergio Gaspari







Alla scuola di Maria

 
di ALBERTO RUM

Vedere in maniera migliore 
   

«O bontà onnipotente di Dio, che ti prendi cura di ciascuno di noi...»
(sant’Agostino).

Assunta alla gloria del cielo, Maria accompagna con materno amore la Chiesa e la protegge nel cammino verso la patria, fino al giorno glorioso del Signore. Con la sua molteplice intercessione ella ottiene per i suoi figli le grazie della salvezza eterna e se ne prende cura, cooperando con amore di madre alla loro rigenerazione e formazione cristiana.

Da questo molteplice amore materno, affettivo ed effettivo, di Maria, il nostro amore fraterno impara a tradursi nel buon esempio, nella preghiera e nell’aiuto vicendevole.

Durante tutta la sua vita terrena, Maria rivolse uno sguardo fraterno e materno all’umanità. La piccola casa di Nazaret si sarebbe detta il cuore del mondo.

Mazara del Vallo, "Suore di Maria bambina" con un gruppo di giovani dell'Azione cattolica.
Mazara del Vallo, "Suore di Maria bambina" con un gruppo di giovani dell’Azione cattolica (foto A. Giuliani).

All’annuncio dell’Angelo ella disse il suo Fiat al mistero dell’incarnazione del Verbo, in nome e in rappresentanza di tutto il genere umano, dando così al mondo la Vita stessa che tutto rinnova; cooperando così con libera fede e obbedienza alla salvezza dell’uomo.

Non tarderà, poi, a mettersi in viaggio verso la montagna, al fine di recare la gioia della salvezza al futuro precursore di Gesù, ed offrire ad Elisabetta il suo umile servizio di casa.

Nel Magnificat ella canta la misericordia di Dio verso gli umili e gli affamati e il soccorso da lui dato a Israele, al suo popolo.

Accoglie l’invito alle nozze di Cana, e perché quella festa continui, ottiene da Gesù il miracolo dell’acqua mutata in vino. Nel Cenacolo della Pentecoste unisce la sua voce, il suo canto e la sua preghiera ai primi discepoli del suo Figlio. Ai piedi della croce, partecipa con amore materno all’amore redentivo di Gesù morente.

Nicolò da Bologna (sec. XIV), Religiosi cantano in coro, Biblioteca antoniana, Padova.
Nicolò da Bologna (sec. XIV), Religiosi cantano in coro
Biblioteca antoniana, Padova (foto Archivio Storico San Paolo).

L’esempio di Maria muove all’imitazione. Dal cielo ella ripete a noi l’invito stesso che la Chiesa rivolge agli istituti religiosi nel decreto conciliare Perfectae caritatis: quello, cioè, di acquisire «un’appropriata conoscenza, sia delle condizioni dei tempi e degli uomini, sia dei bisogni della Chiesa, in modo che essi, sapendo rettamente giudicare le circostanze attuali di questo mondo secondo i criteri della fede e ardendo di zelo apostolico, siano in grado di giovare agli altri più efficacemente».

Così, direbbe Tiziano Terzani, anche il giornale «diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità», che invita a guardare gli altri con gli occhi e il cuore di Maria. Ma poiché «i nostri occhi sono torbidi e cupi – osserva H.U. von Balthasar – noi dobbiamo, ci si perdoni l’immagine, metterci gli occhiali di Maria per vedere meglio» (in Maria per noi oggi, edito dalla Queriniana nel 1988). Quanto vorremmo che questi "occhiali" di Maria divenissero, progressivamente, gli "occhi" stessi di Maria: «Gli occhi da Dio diletti e venerati»!

Alberto Rum








Il sogno dell’amore
   

«La grandezza di Maria consiste nella sua libera adesione all’invito di Dio, ossia nella sua fede».
  

Ciascuno di noi porta nel cuore l’immagine di chi ama. Ciò che si crede «amore a prima vista» è, in effetti, l’appagamento di un desiderio, la realizzazione di un sogno. L’antico filosofo greco Platone diceva che ogni conoscenza è il ricordo di qualcosa già conosciuto in precedenza. Oggi, certo, non possiamo più affermare questo, ma rimane pur vero che in noi possediamo già un ideale formatosi secondo il nostro modo di pensare, le nostre abitudini, le nostre esperienze e i nostri desideri.

In breve, desideriamo ciò a cui siamo stati educati nei primi anni della nostra infanzia. Così, quando incontriamo un determinato tipo di persone, sappiamo di amarle perché esse corrispondono ad un modello interiore forgiato dalla nostra storia. Questo modello è il sogno che abita ogni anima e la vita raggiunge la sua contentezza terrena quando questo sogno si anima e diventa realtà e suscita un’attrazione istantanea che attendeva nel cuore da lungo tempo.

G. Tiepolo (1696-1779), La Fede, Santa Maria del Carmelo, Venezia.
G. Tiepolo (1696-1779), La Fede, Santa Maria del Carmelo, Venezia (foto Bonotto).

Per fede, sappiamo che l’ideale a cui tende in modo assoluto il cuore umano è Dio e ogni amore umano è solo un’introduzione all’amore di Dio. Ma se l’uomo tende a Dio quale fine supremo della propria esistenza, qual è il modello umano che Dio ha in mente? Ciascuno di noi è un modello unico ed irripetibile pensato, voluto ed amato da Dio. Ma la realtà di questo modello, cioè la nostra realtà storica, non corrisponde alla pienezza del modello desiderato da Dio. Quanto noi riusciamo a realizzare di noi stessi nella storia che ci è data, ciò è poca cosa rispetto a ciò che Dio ha preparato per noi. L’esercizio della nostra libertà non coincide sempre con la legge del nostro essere perché il peccato ci impedisce di essere tutto quello che Dio vorrebbe che noi fossimo.

In tutta l’umanità vi è una sola persona nella quale vi è conformità perfetta fra ciò che Dio ha desiderato e ciò che ella è, e questa persona è Maria. Lei è precisamente come è stata prevista, progettata e sognata. Lei è ciò che Dio desiderava che noi tutti fossimo.

Questa realtà di Maria non è stata però un dono impostole da Dio, bensì un dono che lei ha accolto e fatto suo. La sua grandezza non consiste tanto nei favori che Dio le ha riservato in vista della sua maternità divina, quanto nella sua libera adesione all’amore di Dio, ossia nella sua fede. Maria è beata in quanto ha creduto, ha fatto suo ciò che Dio le ha proposto. Per questo è maestra di fede per noi che fatichiamo a credere.

La mentalità che impregna il nostro spirito moderno è segnata dal carattere dell’indipendenza. Siamo cresciuti in un ambiente in cui libertà significa essere indipendenti per non appartenere a nessuno. Per questo finiamo per appartenere ad un ideale distorto e annoiato, prodotto dal nostro io, istigato da una società che sollecita l’affermazione di sé e il piacere quale modello e scopo di vita. Non stupisce se partendo proprio dalla volontà di libertà ed indipendenza, l’uomo contemporaneo finisce per ritrovarsi nella solitudine e nella noia.

Maria, invece, vuole appartenere a Dio. Sa che la sua libertà consiste nell’accogliere il dono che Dio le offre. E Dio, a Maria, offre se stesso, ossia la sua infinità libertà. Accogliendo Dio nella sua vita, Maria accoglie la sconfinata libertà che la rende generatrice di vita e quindi prototipo di comunione e anti-tipo di quel tedio della vita che caratterizza la nostra civiltà fatta di solitudini contigue che si rasentano quotidianamente senza mai incontrarsi.

Guardare a lei e invocarla, anche mediante la semplice preghiera del rosario, significa riconoscere il nostro bisogno di accogliere l’Infinito, così come ha fatto lei, e permette a noi di realizzare la nostra vera identità che si ritrova solo in Dio poiché è conosciuta da lui solo. Significa purificare le immagini falsate ed inquinate d’amore che portiamo in noi e che ci impediscono di sognare i desideri di Dio per noi.

Giuseppe Maria Pelizza






"Alma Mater"
Canta Benedetto XVI
 
   

«Senza la musica nessuna disciplina può considerarsi perfetta»
(sant’Isidoro di Siviglia).

  

Cari artisti, voi siete custodi della bellezza; voi avete la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. Siate perciò grati dei doni ricevuti e pienamente consapevoli della grande responsabilità di comunicare la bellezza, di far comunicare la bellezza attraverso la bellezza! E non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti, con chi, come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita! La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi li esalta e li nutre, li incoraggia a varcare la soglia e a contemplare con gli occhi affascinanti e commossi la méta ultima e definitiva, il sole senza tramonto che illumina e fa bello il presente.

La copertina di Alma Mater. Music from the Vatican.
La copertina di Alma Mater. Music from the Vatican.

È l’invito fatto da Benedetto XVI agli artisti, convocati nel «luogo solenne e ricco di arte e di memorie» che è la Cappella sistina, dove tutto parla di bellezza e richiama a colui che è autore e donatore di ogni bellezza. Un incontro che, sulla scia dei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, sente forte il bisogno di intrecciare un rapporto stretto, un dialogo sincero, uno scambio necessario della Chiesa con il mondo dell’arte: arte che si traduce in forme ed espressioni diversissime. La musica e il canto sono tra queste, ed è a tutti noto quanto Joseph Ratzinger sia un valente musicista e soprattutto ami e sappia esprimere lui stesso la dolce musica e il bel canto.

La pubblicazione Alma Mater (Multimedia San Paolo, € 20,50), è una traduzione concreta. Si tratta di un album musicale composto da un felice intarsio di parole del Papa e di motivi mariani accuratamente scelti, tra motivi popolari tradizionali, musica gregoriana e composizioni inedite, con l’esecuzione del coro dell’Accademia filarmonica romana, diretta da Pablo Colino, e dalla Royal Philarmonic Orchestra. Le musiche sono state scritte da Simon Boswell, Nour Eddine e Stefano Mainetti, sollecitati dall’ideatore del progetto, don Giulio Neroni, direttore artistico della Multimedia San Paolo. La scelta degli artisti, di formazione e fedi diverse, risponde al tono dell’incontro del Papa con gli stessi, aperto a tutti, perché l’arte vera supera ogni diversità e divisione e sa unire in armonica sinfonia. Alla composizione del cd ha concorso la voce del Papa che canta e prega in diverse lingue e alla sua voce si alternano e sovrappongono musiche e canti – gregoriano e musica sacra moderna – sullo stile di Abba Pater, realizzato in passato con Giovanni Paolo II.

Canto gregoriano, Benedettini (Congregazione di Solesmes) dell'Abbazia di Santo Domingo de Silos (Spagna).
Canto gregoriano, Benedettini (Congregazione di Solesmes)
dell’Abbazia di Santo Domingo de Silos (Spagna – foto Leto).

Lo scopo di questa realizzazione, i cui profitti saranno devoluti a una fondazione che promuove l’insegnamento della musica tra i bambini poveri, è di sperimentare, attorno all’ispirazione fondamentale delle parole del Papa dedicate a temi mariani, la possibilità di un nuovo linguaggio, quello musicale che supera tutti i confini. Il Papa si è dimostrato molto disponibile per questa realizzazione, come più volte si è dichiarato favorevole ad ogni ricerca fatta con intelligenza ed equilibrio di modi nuovi per annunciare il messaggio evangelico; i canti sono stati registrati nella Basilica di san Pietro e, secondo il giudizio dei tecnici, la voce di Benedetto XVI ha stupito per la sua «ottima tonalità».

Con un sottofondo musicale e al canto delle litanie, emerge la voce del Papa con l’affermare che «la fede è amore e perciò crea poesia e crea musica. La fede è gioia e perciò crea pienezza», nella convinzione che la grande musica, gregoriano, Bach o Mozart, nella Chiesa non sono cose del passato, ma vivono nella liturgia e nella vitalità della nostra esistenza.

Sancta Dei Genetrix, Mater Ecclesiae, Advocata nostra, Benedicta tu, Causa nostrae laetitiae, Auxilium christianorum, Regina coeli, Magistra nostra: sono alcuni dei canti proposti dalla raccolta Alma Mater, canti che – come si esprime il card. Comastri – entrano dentro l’anima «come l’acqua pulita e fresca di una sorgente di montagna».

Giovanni Ciravegna





 










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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16/01/2014 10:23
 
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  Tesoro da riscoprire le parole di Giovanni Paolo II
   

1. Durante il recente viaggio in Polonia, mi sono così rivolto alla Madonna: «Madre santissima, (…) ottieni anche a me le forze del corpo e dello spirito, affinché possa compiere fino alla fine la missione affidatami dal Risorto. A te rimetto tutti i frutti della mia vita e del mio ministero; a te affido le sorti della Chiesa; (…) in te confido e a te ancora una volta dichiaro: Totus tuus, Maria! Totus tuus!Amen!» (19.8.2002).

Queste parole ripeto oggi, rendendo grazie a Dio per i ventiquattro anni del mio servizio alla Chiesa nella sede di Pietro.

In questo particolare giorno, affido nuovamente alle mani della Madre di Dio la vita della Chiesa e quella tanto travagliata dell’umanità. A lei affido anche il mio futuro. Depongo tutto nelle sue mani, affinché con amore di madre lo presenti al suo Figlio, «a lode della sua gloria» (Ef 1,12).

2. Il centro della nostra fede è Cristo, redentore dell’uomo. Maria non l’offusca, né offusca la sua opera salvifica. Assunta in cielo in corpo e anima, la Vergine, la prima a gustare i frutti della passione e della risurrezione del proprio Figlio, è colei che nel modo più sicuro ci conduce a Cristo, il fine ultimo del nostro agire e di tutta la nostra esistenza.

Per questo, rivolgendo alla Chiesa intera, nella lettera apostolica Novo millennio ineunte, l’esortazione di Cristo a «prendere il largo», ho aggiunto che «ci accompagna in questo cammino la Vergine santissima, alla quale (…), insieme a tanti vescovi (…), ho affidato il terzo millennio». E invitando i credenti a contemplare incessantemente il volto di Cristo, ho desiderato tanto che di tale contemplazione fosse per tutti maestra Maria, sua madre.

3. Oggi intendo esprimere questo desiderio con maggiore chiarezza mediante due gesti simbolici.

Firmerò tra poco la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae. Inoltre, insieme a questo documento, dedicato alla preghiera del rosario, proclamo l’anno che va dall’ottobre 2002 all’ottobre 2003 Anno del rosario. Lo faccio non soltanto perché quest’anno è il venticinquesimo del mio pontificato, ma anche perché ricorre il centoventesimo anniversario dell’enciclica Supremi apostolatus officio, con la quale, il 1° settembre 1883, il mio venerato predecessore, Leone XIII, dette inizio alla pubblicazione di una serie di documenti dedicati proprio al rosario.

C’è poi un’altra ragione: nella storia dei grandi Giubilei vigeva la buona usanza che, dopo l’Anno giubilare dedicato a Cristo e all’opera della redenzione, ne venisse indetto uno in onore di Maria, quasi implorando da lei l’aiuto per far fruttificare le grazie ricevute.

4. Per l’esigente, ma straordinariamente ricco compito di contemplare il volto di Cristo insieme con Maria, vi è forse strumento migliore della preghiera del rosario?

Dobbiamo però riscoprire la profondità mistica racchiusa nella semplicità di questa preghiera, cara alla tradizione popolare.

Questa preghiera mariana nella sua struttura è in effetti soprattutto meditazione dei misteri della vita e dell’opera di Cristo. Ripetendo l’invocazione dell’Ave Maria, possiamo approfondire gli eventi essenziali della missione del Figlio di Dio sulla terra, che ci sono stati trasmessi dal Vangelo e dalla Tradizione. Perché tale sintesi del Vangelo sia più completa e offra una maggiore ispirazione, nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae ho proposto di aggiungere altri cinque misteri a quelli attualmente contemplati nel rosario, e li ho chiamati Misteri della luce.

Essi comprendono la vita pubblica del Salvatore, dal Battesimo nel Giordano fino all’inizio della passione. Questo suggerimento ha lo scopo di ampliare l’orizzonte del rosario, affinché sia possibile a chi lo recita con devozione e non meccanicamente penetrare ancor più a fondo nel contenuto dellaBuona Novella e conformare sempre più la propria esistenza a quella di Cristo (Giovanni Paolo II, udienza generale del 16.10.2002).

Un'immagine di Giovanni Paolo II in preghiera.
Un’immagine di Giovanni Paolo II in preghiera (foto Mari).

Dalla lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae.
1. 
Il rosario della Vergine Maria, sviluppatosi gradualmente nel secondo millennio al soffio dello Spirito di Dio, è preghiera amata da numerosi santi e incoraggiata dal Magistero.

Il rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio. Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all’esperienza della profondità del suo amore.

3. Recitare il rosario, infatti, non è altro che contemplare con Maria il volto di Cristo.

6. A dare maggiore attualità al rilancio del rosario si aggiungono alcune circostanze storiche.

Prima fra esse, l’urgenza di invocare da Dio il dono della pace. Analoga urgenza di impegno e di preghiera emerge su un altro versante critico del nostro tempo, quello della famiglia, cellula della società, sempre più insidiata da forze disgregatrici a livello ideologico e pratico, che fanno temere per il futuro di questa fondamentale e irrinunciabile istituzione e, con essa, per le sorti dell’intera società.

12. Il rosario, proprio a partire dall’esperienza di Maria, è una preghiera spiccatamente contemplativa. Per sua natura la recita del rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso.

19. Affinché il rosario possa dirsi in modo più pieno "Compendio del Vangelo", è perciò conveniente che, dopo aver ricordato l’incarnazione e la vita nascosta di Cristo (Misteri della gioia), e prima di soffermarsi sulle sofferenze della passione (Misteri del dolore), e sul trionfo della risurrezione (Misteri della gloria), la meditazione si porti anche su alcuni momenti particolarmente significativi della vita pubblica (Misteri della luce). Questa integrazione di nuovi misteri, senza pregiudicare nessun aspetto essenziale dell’assetto tradizionale di questa preghiera, è destinata a farla vivere con rinnovato interesse nella spiritualità cristiana.

21. Volendo indicare alla comunità cristiana cinque momenti significativi – Misteri luminosi – di questa fase della vita di Cristo, ritengo che essi possano essere opportunamente individuati: nel suo Battesimo al Giordano, nella sua auto-rivelazione alle nozze di Cana, nell’annuncio del Regno di Dio con l’invito alla conversione, nella sua Trasfigurazione e, infine, nell’istituzione dell’Eucaristia.

Ognuno di questi misteri è rivelazione del Regno ormai giunto nella persona stessa di Gesù.

30. Per dare fondamento biblico e maggiore profondità alla meditazione, è utile che l’enunciazione del mistero sia seguita dalla proclamazione di un passo biblico corrispondente.

33. Le dieci Ave Maria. È questo l’elemento più corposo del rosario e insieme quello che ne fa una preghiera mariana per eccellenza.

Ma proprio alla luce dell’Ave Maria ben compresa, si avverte con chiarezza che il carattere mariano non solo non si oppone a quello cristologico, ma lo sottolinea e lo esalta.
   

«Potrei convertire il mondo, se avessi un esercito che recitasse il rosario».

Pio XI










«Non erano esagerazioni di devoti» 
   

«Sono stolti gli eretici: essi ignorano l’economia di Dio; ignorano la sua opera nei confronti dell’uomo»
(Ireneo di Lione).

Essere mariani per essere cristiani. Ne fu oltremodo convinto Giovanni Paolo II: «Ci fu un momento – scrive in Dono e mistero (Lev 1996, pp. 120, € 7,00) – in cui misi in qualche modo in discussione il mio culto per Maria ritenendo che esso, dilatandosi eccessivamente, finisse di compromettere la supremazia del culto dovuto a Cristo. Mi venne in aiuto il libro di san Luigi Maria Grignion de Montfort che porta il titolo Trattato della vera devozione alla santa Vergine. In esso trovai la risposta alle mie perplessità. Sì, Maria ci avvicina a Cristo, ci conduce a lui, a condizione che si viva il suo mistero in Cristo».

E nel libro del Montfort Giovanni Paolo II trovò le due parole che furono il motto vissuto di tutta la sua vita: Totus tuus.

E ricordiamo ancora quanto confidava l’allora card. Joseph Ratzinger a Vittorio Messori: «Quando ero un giovane teologo, prima del Concilio, avevo qualche riserva su certe antiche formule, come ad esempio quella famosa: De Maria numquam satis (Su Maria non si dirà mai abbastanza). Mi sembrava esagerata. Mi riusciva difficile capire il senso vero di un’altra espressione (ripetuta nella Chiesa fin dai primi secoli quando, dopo una disputa memorabile, il Concilio di Efeso del 431 aveva proclamato Maria theotókosmadre di Dio), l’espressione, cioè, che vuole la Vergine "nemica di tutte le eresie".

Bagnoregio (Viterbo): monumento (1897) a san Bonaventura.
Bagnoregio (Viterbo): monumento (1897) a san Bonaventura (foto Del Canale).

Ora, in questo confuso periodo dove davvero ogni tipo di deviazione ereticale sembra premere alle porte della fede autentica, ora comprendo che non si trattava di esagerazioni di devoti, ma di verità oggi più che mai valide» (Benedetto XVI [J. Ratzinger]-V. Messori, Rapporto sulla fede, San Paolo 2005, pp. 224, € 17,00).

Alla luce del Concilio vaticano II. Essere mariani in ascolto del capitolo VIII della Lumen gentium, capitolo che riguarda la Madonna: La beata Vergine Maria, madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa.

Un grande capitolo mariano. Anzi, un capitolo che «costituisce la più ampia e autorevole sintesi della dottrina cattolica sulla Madre del Signore che sia mai stata compiuta da un concilio ecumenico» (Congregazione per l’educazione cattolica, La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale,25.3.1988). Infatti il capitolo VIII parla anzitutto di Maria (nn. 53-65) allo scopo di darcene una giusta conoscenza. In secondo luogo, il Vaticano II parla (nn. 66-67) dell’atteggiamento degli uomini verso Maria, colei che tanta parte ebbe nell’opera dell’umana salvezza. Atteggiamento che si esprime in venerazione, amore, preghiera, imitazione: ossia nelle quattro espressioni di una vera devozione alla Madonna.

Alla luce, quindi, del capitolo VIII vogliamo rivedere la nostra conoscenza di Maria e il nostro atteggiamento verso di lei. Allo scopo di essere mariani per essere cristiani.

Non ignorando la vecchierella di san Bonaventura… Si racconta che il grande maestro san Bonaventura, figlio del Poverello di Assisi, visitasse un giorno frate Egidio, ex contadino della vecchia guardia e quindi preoccupato del nuovo indirizzo culturale che stava prendendo l’Ordine.

E, a un certo punto, venisse fuori frate Egidio (il quale più che di cultura era al corrente di agricoltura), con questa domanda: «Maestro Bonaventura, può dunque un ignorante amare Dio come un dotto?». E Bonaventura: «Una vecchia può amarlo anche di più di un maestro di teologia».

E frate Egidio ne fu oltremodo lieto.

can. Fiorino Triverio









Il lavoro e la fede di un imprenditore
     

Nella quotidianità dell’esistenza familiare, con le sue gioie e i suoi dolori, Uberto Mori portava la sua fede salda come una roccia.
  

«Io posso vedere il sole anche quando sta piovendo». Non è la frase suggestiva di un pazzo, o di un visionario, ma la concreta convinzione di un laico, profondamente immerso nel suo tempo, da qualche anno avviato alla santità degli altari: Uberto Mori, nato a Modena il 28 gennaio 1926 e morto il 6 settembre 1989, dopo una grave operazione al cuore, all’ospedale di Pavia.

Sessantatré anni di vita, e di vita spesa bene fino all’ultimo spicciolo, interamente per il Vangelo.

Un imprenditore di successo, l’ingegner Mori, che aveva scommesso però tutta la sua esistenza su Dio. E Dio gli aveva restituito di ogni cosa il cento per uno, anche i dolori e le amarezze, da convertire – attraverso l’esercizio della fede – in certezze e speranze di vita futura.

Affettuosità: Uberto Mori con la figlia Maria Manuela.
Affettuosità: Uberto Mori con la figlia Maria Manuela.
Le foto sono state gentilmente concesse dalla famiglia Mori.

«Spiegare la croce: il sacrificio di un Dio, l’amore che egli porta agli uomini, a un uomo del 2000, non è cosa facile – diceva – ma se quello stesso uomo, in un atto di abbandono e di fede accetta le parole di Maria, la madre di Gesù Cristo, e comincia a viverle, ecco che allora assumeranno concretezza e significato parole come vita eterna, paradiso e salvezza».

Nella bufera della guerra. Uberto Mori, figlio di un ufficiale di artiglieria, compie i suoi studi elementari e ginnasiali nelle città di Firenze, Trieste, Gorizia e Casale Monferrato, in ragione dei numerosi spostamenti del padre. Nel 1940 la famiglia si trasferisce a Verona. Il padre, Mario, nominato generale, parte per il fronte e Uberto può proseguire con profitto i suoi studi classici.

Nel 1943 è sfollato con la madre e la sorella Paola a Monticello di Levizzano Rangone. Durante l’estate il padre viene ricoverato all’ospedale militare per un tumore. Il Comando della Repubblica sociale richiama ugualmente il generale Mori, nonostante le sue condizioni di salute, e Uberto si offre di sostituirlo, pur avendo appena 17 anni.

Lo scambio è accettato e il ragazzo è destinato a Nonantola e poi a Pavia. A Nonantola appunto, a soli 17 anni, dopo l’armistizio dell’8 settembre, con un intervento tempestivo e determinante, Uberto avverte 107 ragazzi ebrei, rifugiati a villa Emma, che possono così mettersi in salvo prima dell’arrivo dei tedeschi trovando riparo in seminario e in case private.

Uberto Mori a 23 anni (Modena, 1949).
Uberto Mori a 23 anni (Modena, 1949).

Mario Mori muore nell’agosto del ’44. Uberto pensa di essere ormai sciolto dal generoso e gravoso impegno assunto e di potersene restare a casa, non avendo ancora l’età per la leva. Ma i partigiani, che lo considerano un avversario, irrompono a casa sua insultandolo, finché con la rivoltella del padre tentano persino di ucciderlo, ma la pallottola non parte ed egli riesce miracolosamente a mettersi in salvo.

Nell’autunno di quello stesso anno Uberto si iscrive all’Università di Bologna, Facoltà di ingegneria meccanica, riuscendo a laurearsi a pieni voti solo nel 1959, perché nel frattempo deve mettersi a lavorare.

Diventa docente presso la cattedra di chimica e tecnologia dei prodotti ceramici all’Università di Bologna e nel 1952 si sposa con Gilda Cavedani, da cui nasceranno i figli Mario, nel 1953, e Maria Teresa, nel 1955. Un terzo figlio, che aspettano nel 1958, non vedrà la luce. Nascerà invece nel 1961 Maria Manuela, ma il morbo blu la porterà via a solo un anno di vita.

Attività e preghiera. Nel 1960 viene aperto lo studio tecnico Mori, nel 1968 nasce la società Forni impianti industriali ceramici Mori con l’inizio della progettazione e della produzione dei forni a rulli per ceramica, con cottura rapida in monocottura. Si trattava allora di una innovazione prodigiosa, destinata a trasformare il settore della ceramica in Italia e all’estero.

Nel 1980 Uberto Mori dà vita infine al Gruppo Mori, comprendente la Mori spa., la Mori iberica, la Ing. Uberto Mori spa e l’emittente televisiva Antenna Uno. Come vediamo, un impegno lavorativo a tutto campo, coronato da un grande successo imprenditoriale che però non ostacola – anzi, rafforza – il forte impegno ugualmente profuso da Uberto nel campo della perfezione cristiana.

Cesenatico, luglio 1959: Uberto e Gilda in passeggiata sul lungomare.
Cesenatico, luglio 1959: Uberto e Gilda in passeggiata sul lungomare.

Nel 1958 c’è l’importante incontro con padre Pio da Pietrelcina ed un maggiore approfondimento della fede e della spiritualità francescana. Si rafforza anche la devozione alla Madonna e nel 1963 i coniugi Mori vanno in pellegrinaggio a Lourdes. Quattro anni più tardi, il 19 febbraio 1967, Uberto entra formalmente nel Terz’Ordine francescano a Modena. Con la moglie Gilda inizia una fitta collaborazione, materiale e spirituale, con il santuario Nostra Signora della salute di Puianello, che diventerà ben presto un frequentato centro di spiritualità e di preghiera.

Apostolo mariano. Successi, progetti, iniziative continue e grandissime opere di solidarietà e di promozione umana e cristiana. Uberto Mori vive intensamente gli anni della piena maturità coinvolgendo un gran numero di persone che incontra, giorno dopo giorno, nel suo cammino di uomo, di marito, di padre, di imprenditore.

La famiglia sarà fonte di gioie profonde e di acute sofferenze per Uberto ed avrà sempre un posto particolarissimo nel suo cuore. Fin dal 1953 aveva consacrato tutti i suoi membri alla Madonna. Nella quotidianità della vita familiare, con le sue gioie e i suoi dolori, portava la sua fede salda come una roccia, profondamente incardinata nell’amore di Dio e nell’intercessione potente ed umile di Maria.

«La Madonna – sosteneva – ci ricorda che l’amore è sacrificio. Un sacrificio che va accettato e vissuto nella vita quotidiana, rinunciando a noi stessi, perché solo Gesù viva e trionfi in noi. Se pensiamo a noi stessi, amarci (ed è il nostro primo dovere) vuol dire accettare ciò che è il nostro vero bene: non ciò che maggiormente ci attira, ci alletta, ci seduce, ma ciò che produce il nostro bene. Se pensiamo al nostro prossimo: amarlo vuol dire accettare nel nostro cuore, per poi attuarlo, tutto ciò che è il suo bene. Non dunque l’accondiscendenza, ma anche la severità, l’impopolarità, se sono necessari per il suo bene. Si comincia così a capire perché amore vuoi dire sacrificio perché la risposta che dovremo attenderci sarà di riconoscenza e di ricompensa, ma solo da Dio, non dal nostro prossimo».

Città del Vaticano, 22.12.1971: Uberto Mori in udienza privata da Paolo VI. Nella circostanza, presentava al Pontefice il progetto Villa Ghirlandina (Repubblica Centrafricana) ed offriva un testo sul Santuario di Puianello.
Città del Vaticano, 22.12.1971: Uberto Mori in udienza privata da Paolo VI. Nella circostanza, presentava
al Pontefice il progetto Villa Ghirlandina (Repubblica Centrafricana) ed offriva un testo sul Santuario di Puianello.

«Cercate prima il Regno». Gli ultimi anni della sua vita sono di fatica, malattia e preghiera.

Il 7 aprile 1987 viene colpito da infarto e inizia la sua personale via crucis nei vari ospedali. Morirà due anni più tardi, il 6 settembre 1989, lasciando il ricordo di un uomo interamente dedito al bene degli altri, in cui vedeva riflesso l’amore misericordioso e provvidente di Dio. 

«Cercate prima il Regno e la suo giustizia, e tutto il resto vi sarò dato». Potremmo dire che in questa frase evangelica si trova riassunto tutto il senso della sua vita.

«Chi vive la vita di Gesù è inevitabilmente condotto ad accettare il suo modo di vivere e di considerare Dio Padre, e nello stesso tempo il mondo e se stesso in rapporto al Padre», sosteneva, «con umiltà, consapevoli cioè del nostro niente di fronte alla grandezza, alla misericordia ed all’amore di Dio».

È Dio che agisce in noi e attraverso di noi: per questo è necessario «che tutto il nostro essere si apra maggiormente all’azione divina, che il nostro abbandono diventi totale, fiducioso, senza riserve e timori».

Era, questo, un pensiero pressoché costante in Uberto Mori: l’uomo deve aprirsi a Dio per raggiungere la pienezza della propria identità e personalità.

Il 29 giugno 2000 si è chiuso nel Duomo di Modena il Processo informativo diocesano sulla vita e le virtù del servo di Dio Uberto Mori.

Una brillantissima intelligenza, un’umiltà profonda, un abbandono fiducioso nella preghiera e un lascito spirituale tutto racchiuso nella sua costante e sincera devozione alla Vergine Maria.

«Continuate così, cercando una cosa sola: di capire l’amore di Dio e di aumentarlo sempre in voi. È l’unica cosa che conti».

Maria Di Lorenzo
  

Invito all’approfondimento: G. Pelucchi, Un uomo così. L’ingegnere Uberto Mori, San Paolo 2008, pp. 186, € 14,00.








Un duro rimprovero 
   

Narrano gli Evangelisti che, nei giorni della Pasqua a Gerusalemme, Gesù scacciò dal Tempio mercanti e cambiavalute, ripetendo loro le parole della Sacra Scrittura: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne fate una spelonca di ladri» (Mt 21,13).

Già nell’Antico Testamento, Isaia e Geremia definivano il Tempio come casa di preghiera. Mentre, però, Isaia parlava del Tempio come casa di preghiera promessa a tutti i popoli, Geremia, dal canto suo, stando fermo alle porte del Tempio, pronunziava un discorso di aspro rimprovero contro i profanatori del Tempio. Ecco le loro affermazioni messe a confronto. «...Li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché il mio Tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,7). «...Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo Tempio che prende il nome da me? ...Andate, dunque, nella mia dimora che era in Silo, dove avevo da principio posto il mio nome; considerate che cosa io ne ho fatto a causa delle malvagità di Israele, mio popolo. Ora, poiché avete compiuto tutte queste azioni – parola del Signore – e, quando vi ho parlato con premura e sempre, non mi avete ascoltato e, quando vi ho chiamato, non mi avete risposto, io tratterò questo Tempio, che porta il mio nome e nel quale confidate e questo luogo che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo».

Corigliano (Cosenza): il Santuario (sec. XV) di san Francesco di Paola.
Corigliano (Cosenza): il Santuario (sec. XV) di san Francesco di Paola.

Il santuario: casa e scuola di preghiera. Occorre, infatti, che i nostri santuari siano realmente case di preghiera e, al tempo stesso, scuole di preghiera. Molto significativa è, al riguardo, l’osservazione dell’evangelista Luca che presenta la preghiera del Padre nostro insegnata da Gesù: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Ed egli disse loro: "Quando pregate, dite..."» (Lc 11,1-2).

Così è. Nel contemplare Gesù che pregava così bene, gli apostoli avvertono il vivo desiderio di saper pregare come lui pregava. Sia così anche dei pellegrini dei nostri santuari. Subito essi dovrebbero sentirsi invitati alla preghiera o dal raccolto silenzio del tempio, o dalla preghiera dei fedeli già presenti nel santuario.

Chi non ricorda le Confessioni di sant’Agostino? «Quanto ho pianto – scriveva – al sentire gli inni e i canti in tuo onore, vivamente commosso dalle voci della tua Chiesa, che cantava dolcemente! Quelle voci vibravano nelle mie orecchie e la verità calava nel mio cuore e tutto si trasformava in sentimento di amore e mi procurava tanta gioia da farmi sciogliere in lacrime».

È vero. Noi custodi del santuario non dobbiamo fare una sferza di cordicelle per scacciare dal tempio quanti non ne rispettassero la santità. È anche vero, però, che l’amore per la casa del Signore dev’essere come un fuoco che ci consuma. Il Vangelo fa notare che il duro rimprovero fatto da Gesù ai profanatori del Tempio di Gerusalemme era rivolto, anche se indirettamente, ai sommi sacerdoti che avevano l’amministrazione del santuario, ma che se ne occupavano così male.

L’evangelista Marco fa anche notare come il duro rimprovero mosso da Gesù ai mercanti del Tempio fu seguito da un insegnamento: «Insegnava loro, dicendo: "Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti?"» (Mc 11,17). I santuari sono scuola di preghiera; hanno quindi bisogno di maestri pazienti e sapienti.

Due momenti di orazione più intensa. Si vivono, nel santuario, due momenti di più intensa preghiera: la preghiera liturgica dell’Eucaristia e la preghiera del rosario.

Dobbiamo, con la Marialis culltus di Paolo VI, «riconoscere come il rosario sia un pio esercizio che si accorda facilmente con la sacra liturgia». Di fatto, però, si ha talvolta la penosa impressione che il rosario sia considerato come una specie di semplice riempitivo del tempo che precede immediatamente la Celebrazione eucaristica.

Il popolo santo di Dio va quindi da noi educato a sintonizzare la preghiera mariana del rosario sulla lunghezza d’onda dei misteri salvifici celebrati nell’Eucaristia.

La Madonna delle grazie (secc. XV-XVI) venerata nell'omonimo Santuario di Piove di Sacco (Padova).
La Madonna delle grazie (secc. XV-XVI) venerata nell’omonimo Santuario di Piove di Sacco (Padova).

Facendo nostre le riflessioni della Marialis cultus (n. 48), potremmo dire così: «Come la liturgia, il rosario ha un’indole comunitaria, si nutre della Sacra Scrittura e gravita intorno al mistero di Cristo. Sia pure su piani di realtà essenzialmente diversi, l’anamnesi della liturgia e la memoria contemplativa del rosario hanno per oggetto i medesimi eventi salvifici compiuti da Cristo. La prima rende presenti, sotto il velo dei segni ed operanti in modo arcano, i più grandi misteri della nostra redenzione; la seconda, con il pio affetto della contemplazione, rievoca quegli stessi misteri alla mente dell’orante e ne stimola la volontà perché da essi attinga norme di vita. Stabilita questa sostanziale differenza, non è difficile comprendere come il rosario sia un pio esercizio che dalla liturgia ha tratto motivo e, se praticato secondo l’ispirazione originaria, ad essa naturalmente conduce, pur senza varcarne la soglia. Infatti, la meditazione dei misteri del rosario, rendendo familiari alla mente e al cuore dei fedeli i misteri del Cristo, può costituire un’ottima preparazione di essi nell’azione liturgica e divenirne poi eco prolungata. È, tuttavia, un errore, purtroppo ancora presente in qualche luogo, recitare il rosario durante l’azione liturgica».

Per tutti i popoli. La casa di preghiera promessa dal Signore per tutte le genti (Is 56,7; Mc 11,17) sta a significare che lo scopo primo del Tempio – del santuario – è quello di servire da luogo privilegiato di preghiera, e di scuola di preghiera.

Così, come Mosè di fronte al roveto ardente, il pellegrino dei nostri santuari dovrà, prima di entrare nel tempio, togliersi simbolicamente i sandali dai piedi, perché il luogo dove sta andando è una terra santa. «Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6, 6).

Ancora. Come Gesù amava definire il Tempio «casa del Padre mio», così i nostri pellegrini sono invitati a riconoscere nel santuario la casa del Padre – e della madre, Maria – che li attende, e dove essi dovranno rinvigorire il legame fraterno che li unisce in un cuor solo e un’anima sola.

Così nel loro cuore e sulle loro labbra fiorirà il canto festoso delle ascensioni, la preghiera della pace: «Quale gioia quando mi dissero: "Andremo alla casa del Signore!"... Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: "Su di te sia pace! Per la casa del Signore chiederò per te il bene"».

Alberto Rum, smm
   

«Si dà il caso che molte volte i nostri luoghi di culto più importanti diventino vere e proprie "industrie"...».

Gian Franco Scarpitta, om






 














[Modificato da Caterina63 16/01/2014 10:50]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/02/2014 14:06
 
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[SM=g1740717] Ricordando altri brevi video che riportano la sapienza dottrinale della Chiesa sulla dottrina mariana:
- san Germano spiega la Dormizione di Maria: gloria.tv/?media=440721
- sant'Ambrogio descrive Maria: gloria.tv/?media=390209
- la santa verginità di sant'Agostino: gloria.tv/?media=387259
- san Girolamo spiega Isaia "Ecco la Vergine": gloria.tv/?media=384972

vi offriamo ora San Leone Magno, Papa, in una breve catechesi dove spiega davvero sapientemente il Mistero dell'Incarnazione.
gloria.tv/?media=569135

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org



[SM=g1740733]


[SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]


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SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A
I GIOVANI DELLA DIOCESI DI ROMA IN RICERCA VOCAZIONALE

Grotta di Lourdes dei Giardini Vaticani
Sabato, 28 giugno 2014


 

Prima di tutto chiedo scusa per il ritardo, ma la verità è che non mi sono accorto del tempo. Ero in una conversazione tanto interessante che non me ne sono accorto. Scusatemi! Questo non si fa, la puntualità si deve mantenere.

Vi ringrazio per questa visita, questa visita alla Madonna che è tanto importante nella nostra vita. E Lei ci accompagna anche nella scelta definitiva, la scelta vocazionale, perché Lei ha accompagnato suo Figlio nel suo cammino vocazionale che è stato tanto duro, tanto doloroso. Lei ci accompagna sempre.

Quando un cristiano mi dice, non che non ama la Madonna, ma che non gli viene di cercare la Madonna o di pregare la Madonna, io mi sento triste.
Ricordo una volta, quasi 40 anni fa, ero in Belgio, in un convegno, e c’era una coppia di catechisti, professori universitari ambedue, con figli, una bella famiglia, e parlavano di Gesù Cristo tanto bene. E ad un certo punto ho detto: “E la devozione alla Madonna?” “Ma noi abbiamo superato questa tappa. Noi conosciamo tanto Gesù Cristo che non abbiamo bisogno della Madonna”. E quello che mi è venuto in mente e nel cuore è stato: “Mah… poveri orfani!”.
E’ così, no? Perché un cristiano senza la Madonna è orfano. Anche un cristiano senza Chiesa è un orfano. Un cristiano ha bisogno di queste due donne, due donne madri, due donne vergini: la Chiesa e la Madonna. E per fare il “test” di una vocazione cristiana giusta, bisogna domandarsi: “Come va il mio rapporto con queste due Madri che ho?”, con la madre Chiesa e con la madre Maria.

Questo non è un pensiero di “pietà”, no, è teologia pura. Questa è teologia.
Come va il mio rapporto con la Chiesa, con la mia madre Chiesa, con la santa madre Chiesa gerarchica? E come va il mio rapporto con la Madonna, che è la mia Mamma, mia Madre?

Questo fa bene: non lasciarla mai e non andare da soli. Vi auguro un buon cammino di discernimento. Per ognuno di noi il Signore ha la sua vocazione, quel posto dove Lui vuol che noi viviamo la nostra vita. Ma bisogna cercarlo, trovarlo; e poi continuare, andare avanti.

Un’altra cosa che vorrei aggiungere – oltre a quella della Chiesa e della Madonna – è il senso del definitivo. Questo per noi è importante, perché stiamo vivendo una cultura del provvisorio: questo sì, ma per un tempo, e per un altro tempo… Ti sposi? Sì, sì, ma finché l’amore dura, poi ognuno a casa sua un’altra volta…

Un ragazzo – mi raccontava un vescovo – un giovane, un professionista giovane, gli ha detto: “Io vorrei diventare prete, ma soltanto per dieci anni”. E’ così, è il provvisorio. Abbiamo paura del definitivo. E per scegliere una vocazione, una vocazione qualsiasi, anche quelle vocazioni “di stato”, il matrimonio, la vita consacrata, il sacerdozio, si deve scegliere con una prospettiva del definitivo. E a questo si oppone la cultura del provvisorio. E’ una parte della cultura che a noi tocca vivere in questo tempo, ma dobbiamo viverla, e vincerla.

Benissimo. Anche su questo aspetto del definitivo, credo che uno che ha più sicura la sua strada definitiva è il Papa! Perché il Papa… dove finirà il Papa? Lì, in quella tomba, no?

Vi ringrazio tanto per questa visita, e vi invito a pregare la Madonna o, non so, a cantare… La “Salve Regina”… La sanno cantare? Cantiamo la “Salve Regina” alla Madonna tutti insieme? Andiamo!

(Canto)

Adesso a voi, alle vostre famiglie, a tutti do la Benedizione e vi chiedo, per favore, di pregare per me.

(Benedizione)

Grazie a voi! Grazie tante! Buon cammino!


 




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