A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Magistero Cattolico in pillole, a piccole dosi ma indispensabile... (3)

Ultimo Aggiornamento: 24/08/2014 17:57
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17/01/2014 17:23
 
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 .... Amici, visto il successo dei thread precedenti con oltre 100 dosi di catechesi in piccole perle di saggezza, e ben olte le diecimila visite:

Magistero Cattolico in pillole, a piccole dosi ma indispensabile...

Magistero Cattolico in pillole, a piccole dosi ma indispensabile... (2)


apriamo questo nuovo thread per raccogliere ulteriori messaggi di saggezza e di speranza..... buona lettura....










Le dieci regole per la Pace (dai discorsi del venerabile Pio XII)

1. La Pace è sempre Dio. Dio è la Pace.
2. Solo gli uomini che chinano la testa davanti a Dio, e davanti a Lui piegano le proprie ginocchia, sono

capaci da dare al mondo una vera, giusta e permanente pace.
3.Unitevi, gente onesta, per avere la vittoria della fratellanza in Cristo, e con

essa il recupero del mondo.
4. Liberatevi dalle menzogne e dal rancore e fate che la verità e la carità regnino supreme.
5. Affermate la

dignità e l’ordine della vera libertà nel vivere, e avrete la pace.
6. Date aiuto generosamente ai bisognosi: lo Stato allo Stato, la gente alla

gente, al di sopra ed oltre tutti i confini nazionali.
7. Assicurate il diritto alla vita e l’indipendenza a tutte le nazioni, grandi e piccole,

potenti e deboli, e avrete la pace.
8. Lavorate insieme verso una profonda integrazione di quella giustizia suprema che riposa nel dominio “divino” ed è preservata da ogni
capriccio umano.
9. La Chiesa stabilita da Dio come la roccia della vera fratellanza umana e della pace, non potrà mai andare d’accordo con

coloro che adorano gli idoli della violenza brutale e della menzogna.
10. Preparatevi a fare sacrifici per ottenere la pace. Nulla è perduto con

la pace. Tutto può esserlo con la guerra.







Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Capp. 31-33; Funk 1, 99-103)

Meditiamo attentamente il mistero della benedizione che Dio dà agli uomini e vediamo quali sono le vie che conducono ad essa. Ripercorriamo gli avvenimenti fin dall'inizio. Per quale motivo il nostro patriarca Abramo fu benedetto? Non forse perché operò la giustizia e la verità mediante la fede? Isacco, pieno di fiducia, si lasciò condurre di buon grado al sacrificio, conoscendo il futuro. Giacobbe in umiltà, a motivo del fratello, abbandonò la sua terra e si recò da Làbano cui prestò servizio, e gli furono dati i dodici scettri di Israele.

Ora se qualcuno, con animo sincero, passa in rassegna a uno a uno i doni che Dio ha concesso, ne riconoscerà la magnificenza. Da Giacobbe infatti ebbero origine tutti i sacerdoti e i leviti che servono all'altare di Dio, da lui viene il Signore Gesù secondo la carne, da lui i re, i principi e i condottieri della tribù di Giuda. […] Tutti costoro dunque si sono acquistati gloria e grandezza non da se stessi o per le loro opere o per la giustizia con cui hanno agito, ma piuttosto per la volontà di Dio. Anche noi perciò, chiamati nel Cristo Gesù, in grazia della sua volontà, siamo giustificati non per nostro merito, né per la nostra sapienza o intelligenza o pietà o altra opera che possiamo aver compiuto sia pure con santità di intenzione, ma per mezzo della fede, con la quale Dio onnipotente ha giustificato tutti fin da principio. […]

Che cosa faremo allora, o fratelli? Cesseremo dalle buone opere e abbandoneremo la carità? Il Signore mai permetta che ci succeda tale sventura, ma affrettiamoci a compiere ogni opera buona. Anzi siano proprio le opere sante fonte della nostra gioia. 










[Modificato da Caterina63 19/01/2014 21:02]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/01/2014 11:27
 
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     Dal trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo

"La manifestazione del Figlio è la conoscenza del Padre"

Nessuno può conoscere il Padre senza il Verbo di Dio, cioè senza la rivelazione del Figlio, né alcuno può conoscere il Figlio senza la benevolenza del Padre. [...]

Il Figlio, poi, mettendosi al servizio del Padre, porta a compimento ogni cosa dal principio alla fine, e senza di lui nessuno può conoscere Dio. Conoscere il Figlio è conoscere il Padre. La conoscenza del Figlio viene a noi dal rivelarsi del Padre attraverso il Figlio. Per questo il Signore diceva: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27). «Lo voglia rivelare»: infatti non fu detto soltanto per il futuro, come se il Verbo abbia cominciato a rivelare il Padre quando nacque da Maria, ma vale in generale per tutti i tempi. Infatti fin da principio il Figlio, vicino alla creatura da lui plasmata, rivela a tutti il Padre, a chi vuole, quando vuole e come vuole il Padre.

La nostra fede è questa: In tutto e per tutto non c'è che un solo Dio Padre, un solo Verbo, un solo Spirito e una sola salvezza per tutti quelli che credono nel Dio uno e trino.





Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo

Il battesimo di Gesù

Cristo nel Battesimo si fa luce, entriamo anche noi nel suo splendore; Cristo riceve il battesimo, inabissiamoci con lui per poter con lui salire alla gloria. Giovanni dà il battesimo, Gesù si accosta a lui, forse per santificare colui dal quale viene battezzato nell'acqua, ma anche di certo per seppellire totalmente nelle acque il vecchio uomo. Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto intero il cosmo.

Dio di nessuna cosa tanto si rallegra, come della conversione e della salvezza dell'uomo. Per l'uomo, infatti, sono state pronunziate tutte le parole divine e per lui sono stati compiuti i misteri della rivelazione. Tutto è stato fatto perché voi diveniate come altrettanti soli cioè forza vitale per gli altri uomini. Siate luci perfette dinanzi a quella luce immensa. Sarete inondati del suo splendore soprannaturale. Giungerà a voi, limpidissima e diretta, la luce della Trinità, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio, proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore.





Dai «Discorsi» di san Massimo, vescovo di Torino

I Sacramenti del Battesimo del Signore

Il Signore Gesù venne al battesimo e volle che il suo corpo santo fosse lavato dall'acqua.
Ma qualcuno potrebbe chiedere perché egli che è santo volle essere battezzato. Ascolta perché: Cristo non volle esser battezzato per esser santificato dalle acque, ma per santificarle lui stesso sì che, mentre ne veniva purificato, fosse lui a purificare quelle acque che toccava. La consacrazione di Cristo è consacrazione maggiore dell'elemento acqua. Mentre viene lavato il Salvatore, già allora viene purificata tutta l'acqua per servire al nostro battesimo e viene resa pura la fonte perché la grazia del lavacro sia distribuita in seguito ai popoli futuri. Cristo dunque si offre al battesimo precedendoci, perché i popoli cristiani gli tengano dietro con fiducia.

Penetro nel mistero: in questa prospettiva la colonna di fuoco precedette i figli di Israele attraverso il Mar Rosso perché essi affrontassero intrepidi il cammino: avanzò per prima attraverso le acque per preparare il passaggio dietro di sé a quelli che seguivano. Questo fatto, come dice l'Apostolo, fu il segno del battesimo. In certo modo fu un vero battesimo in cui la nube copriva gli uomini, le acque li portavano.

Ma tutto questo lo compì il medesimo Cristo Signore il quale, come allora precedette attraverso il mare i figli di Israele nella colonna di fuoco, così ora nella colonna del suo corpo, per usare la stessa immagine, precede nel battesimo i popoli cristiani. La colonna, dico, che allora fece luce agli occhi di quelli che seguivano, ora offre luce ai cuori di quelli che credono; allora fu aperta una via sicura tra le onde, ora sono resi sicuri i passi nel lavacro della fede.





Dal «Commento su san Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo

L'effusione dello Spirito Santo su tutti gli uomini

Quando colui che aveva dato vita all'universo decise con un'opera veramente mirabile, di ricapitolare in Cristo tutte le cose e volle ricondurre la natura dell'uomo alla sua condizione primitiva di dignità, rivelò che gli avrebbe concesso in seguito, tra gli altri doni, anche lo Spirito Santo; non era infatti possibile che l'uomo tornasse altrimenti ad un possesso duraturo dei beni ricevuti.

Stabilisce dunque Dio il tempo della discesa in noi dello Spirito ed è il tempo della venuta del Cristo, che egli ci annunzia dicendo: «In quei giorni», cioè nel tempo del Salvatore nostro, «Io effonderò il mio Spirito su ogni creatura» (cfr. Gl 3, 1). [...]

L'Unigenito Figlio non accoglie dunque per se stesso lo Spirito; infatti lo Spirito è lo Spirito del Figlio, ed è in lui, e viene dato per lui, come abbiamo già detto: ma poiché, fattosi uomo, il Figlio ebbe in sé tutta la natura umana, ha ricevuto lo Spirito per rinnovare l'uomo completamente e riportarlo alla sua prima grandezza.

Usando dunque la saggezza della ragione e appoggiandoci alle parole della Sacra Scrittura, comprendiamo che Cristo ebbe lo Spirito non per se stesso, ma per noi; ogni bene, infatti, viene a noi per mezzo di Lui.






Festa dell'Epifania del Signore 
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa: “Il Signore ha manifestato in tutto il mondo la sua salvezza”

La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.
Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste. […]

Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell'universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra. […] L'aveva annunziato Isaia: «Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse» (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: «Popoli che non ti conoscono ti invocheranno, e popoli che ti ignorano accorreranno a te» (cfr. Is 55, 5).

Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l'un l'altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. 





Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

“I due precetti dell'amore”

È venuto il Signore… a ricapitolare la parola sulla terra (cfr. Rm 9, 28), come di lui fu predetto, e ha mostrato che la Legge e i Profeti si fondano sui due precetti dell'amore. Ricordiamo insieme, fratelli, quali sono questi due precetti. Essi devono esservi ben noti e non solo venirvi in mente quando ve li richiamiamo: non si devono mai cancellare dai vostri cuori.

Sempre in ogni istante abbiate presente che bisogna amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente; e il prossimo come se stessi (cfr. Mt 22, 37. 39). Questo dovete sempre pensare, meditare e ricordare, praticare e attuare. L'amore di Dio è il primo come comandamento, ma l'amore del prossimo è primo come attuazione pratica. […]

Siccome però Dio tu non lo vedi ancora, amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo; amando il prossimo purifichi l'occhio per poter vedere Dio, come chiaramente afferma Giovanni: Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (cfr. 1Gv 4,20).

Comincia quindi ad amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame… Facendo questo che cosa otterrai? Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti conduce il cammino se non al Signore…? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo l'abbiamo sempre con noi. Aiuta, dunque il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a colui con il quale desideri rimanere.






Festa di Maria Santissima Madre di Dio

Dalle «Lettere» di sant'Atanasio, vescovo: “Il Verbo ha assunto da Maria la natura umana.”

Il Verbo di Dio, come dice l'Apostolo, «della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2, 16. 17) e prendere un corpo simile al nostro. Per questo Maria ebbe la sua esistenza nel mondo, perché da lei Cristo prendesse questo corpo e lo offrisse, in quanto suo, per noi. Perciò la Scrittura quando parla della nascita del Cristo dice: «Lo avvolse in fasce» (Lc 2, 7). Per questo fu detto beato il seno da cui prese il latte. Quando la madre diede alla luce il Salvatore, egli fu offerto in sacrificio.

Gabriele aveva dato l'annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente «colui che nascerà in te», perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma: «da te» (cfr. Lc 1, 35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei. […]

Benché il Verbo abbia preso un corpo mortale da Maria, la Trinità è rimasta in se stessa qual era, senza sorta di aggiunte o sottrazioni. E' rimasta assoluta perfezione: Trinità e unica divinità. E così nella Chiesa si proclama un solo Dio nel Padre e nel Verbo.




Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Riflessione spirituale di Paolo VI - Discorso tenuto a Nazareth il 5 gennaio 1964:

"L'esempio di Nazareth"

La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo… In primo luogo essa ci insegna il silenzio… atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito... Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore… Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l'interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.

Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com'è dolce ed insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale.

Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! …Desideriamo…ricordare…che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.





Festa di San Giovanni, apostolo ed evangelista
Dai «Trattati sulla prima Lettera di Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

Il Verbo che si è fatto carne, per poter essere toccato con mano cominciò ad essere carne dalla Vergine Maria; ma non cominciò allora ad essere Verbo, perché è detto: «Ciò che era fin da principio». Vedete…la lettera di Giovanni…: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio" (Gv 1,1).

Forse qualcuno prende l'espressione «Verbo della vita» come se fosse riferita a Cristo, ma non al corpo di Cristo toccato con mano. Ma fate attenzione a quel che si aggiunge: «La vita si è fatta visibile» (1Gv 1,2). È Cristo dunque il Verbo della vita. E come si è fatta visibile? Esisteva fin dal principio, ma non si era ancora manifestata agli uomini, si era manifestata agli angeli ed era come loro cibo. Ma cosa dice la Scrittura? «L'uomo mangiò il pane degli angeli» (Sal 77,25).

Dunque la vita stessa si è resa visibile nella carne; si è manifestata perché la cosa che può essere visibile solo al cuore, diventasse visibile anche agli occhi e risanasse i cuori. Solo con il cuore infatti può essere visto il Verbo, la carne invece anche con gli occhi del corpo. Si verificava dunque anche la condizione per vedere il Verbo: il Verbo si è fatto carne, perché la potessimo vedere e fosse risanato in noi ciò che ci rende possibile vedere il Verbo. 





Natale del Signore
Benedetto XVI, Messaggio Urbi Et Orbi, Natale 2010

“Il Verbo si fece carne”. Di fronte a questa rivelazione, riemerge ancora una volta in noi la domanda: come è possibile? Il Verbo e la carne sono realtà tra loro opposte; come può la Parola eterna e onnipotente diventare un uomo fragile e mortale? Non c’è che una risposta: l’Amore. Chi ama vuole condividere con l’amato, vuole essere unito a lui, e la Sacra Scrittura ci presenta proprio la grande storia dell’amore di Dio per il suo popolo, culminata in Gesù Cristo. […]

Dio è Amore... E’ in Se stesso Comunione, Unità nella Trinità, ed ogni sua opera e parola mira alla comunione. L’incarnazione è il culmine della creazione. Quando nel grembo di Maria… si formò Gesù… il creato raggiunse il suo vertice. Il principio ordinatore dell’universo, il Logos, incominciava ad esistere nel mondo, in un tempo e in uno spazio. […]

Nella notte del mondo si accende una luce nuova, che si lascia vedere dagli occhi semplici della fede… Se la verità fosse solo una formula matematica, in un certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede, il “sì” del nostro cuore.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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           IV Domenica di Avvento 

Omelia di Giovanni Paolo II, 24 dicembre 1997

La nascita del Messia è l'evento centrale nella storia dell'umanità. L'attendeva con oscuro presentimento l'intero genere umano; l'attendeva con esplicita consapevolezza il Popolo eletto. […] 
Ecco l'evento storico intriso di mistero: nasce un tenero bambino pienamente umano, ma che è allo stesso tempo il Figlio unigenito del Padre. E' il Figlio non creato, ma eternamente generato, Figlio della stessa sostanza del Padre. "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero". E' il Verbo, "per mezzo del quale tutte le cose sono state create".

Nel mistero del Natale si manifesta in pienezza la verità del suo disegno di salvezza sull'uomo e sul mondo. Non è soltanto l'uomo ad essere salvato, ma tutta la creazione, la quale è invitata a cantare al Signore un canto nuovo, a gioire e ad esultare insieme con tutte le nazioni della terra (cfr Sal 95 [96]). […] Sì, il Figlio eterno, Colui che è l'eterno compiacimento del Padre si è fatto Uomo, e la sua nascita terrena, nella notte di Betlemme, testimonia una volta per sempre che in Lui ogni uomo è compreso nel mistero della divina predilezione, che è fonte della pace definitiva. 







Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 17 dicembre 2003

L'Avvento mantiene viva l’attesa di Cristo, che verrà a visitarci con la sua salvezza, realizzando appieno il suo Regno di giustizia e di pace. L’annuale rievocazione della nascita del Messia a Betlemme rinnova nel cuore dei credenti la certezza che Dio tiene fede alle sue promesse. […]

Il mistero del Natale, che fra pochi giorni rivivremo, ci assicura che Dio è l’Emmanuele - Dio con noi. Per questo non dobbiamo mai sentirci soli. Egli… ha condiviso il nostro pellegrinaggio sulla terra, garantendoci il raggiungimento di quella gioia e pace, a cui aspiriamo dal profondo del nostro essere.[…]

All'uomo, che elevandosi dalle vicende quotidiane cerca la comunione con Dio, l'Avvento e soprattutto il Natale ricordano che è Dio ad aver preso l'iniziativa di venirgli incontro. Facendosi bambino, Gesù ha assunto la nostra natura e ha stabilito per sempre la sua alleanza con l'intera umanità.
Potremmo, dunque, concludere che il senso della speranza cristiana, riproposta dall'Avvento, è quello dell'attesa fiduciosa, della disponibilità operosa e dell’apertura gioiosa all'incontro con il Signore. A Betlemme Egli è venuto per rimanere con noi, per sempre.





Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo 
"Ma era poco per Dio fare del suo Figlio colui che indica la strada: rese lui stesso via"

Dio stabilì un tempo per le sue promesse e un tempo per il compimento di esse. […] Fedele è Dio che si fece nostro debitore non perché abbia ricevuto qualcosa da noi, ma perché ci ha promesso cose davvero grandissime. Pareva poco la promessa: Egli volle vincolarsi anche con un patto scritto, come obbligandosi con noi con la cambiale delle sue promesse, perché, quando cominciasse a pagare ciò che aveva promesso, noi potessimo verificare l'ordine dei pagamenti. Dunque il tempo dei profeti era di predizione delle promesse. […]

Ma nel promettere e nel preannunciare Dio volle anche indicare per quale via si giungerà alle realtà ultime. Promise agli uomini la divinità, ai mortali l'immortalità, ai peccatori la giustificazione, ai disprezzati la glorificazione. Sembrava però incredibile agli uomini ciò che Dio prometteva: che…da polvere e cenere…sarebbero diventati uguali agli angeli di Dio. E perché gli uomini credessero, oltre al patto scritto, Dio volle anche un mediatore della sua fedeltà. E volle che fosse non un principe qualunque o un qualunque angelo o arcangelo, ma il suo unico Figlio, per mostrare, per mezzo di lui, per quale strada ci avrebbe condotti a quel fine che aveva promesso. Ma era poco per Dio fare del suo Figlio colui che indica la strada: rese lui stesso via perché tu camminassi guidato da lui sul suo stesso cammino. […]

Tutto ciò doveva essere preannunziato, perché altrimenti egli avrebbe destato spavento. E così fu atteso con speranza perché già contemplato nella fede. 






III Domenica di Avvento
Benedetto XVI, Angelus, 16 dicembre 2007

La Chiesa…si prepara a celebrare il Natale e il suo sguardo si dirige sempre più verso Betlemme. In effetti, noi attendiamo con speranza certa la seconda venuta di Cristo, perché abbiamo conosciuto la prima. Il mistero di Betlemme ci rivela il Dio-con-noi, il Dio a noi prossimo, non semplicemente in senso spaziale e temporale; Egli ci è vicino perché ha "sposato", per così dire, la nostra umanità… per farci diventare come Lui. La gioia cristiana scaturisce pertanto da questa certezza: Dio è vicino, è con me... E questa gioia…rimane non in superficie, bensì nel profondo della persona che a Dio si affida. […]

La beata Madre Teresa di Calcutta […scriveva]: "Noi aspettiamo con impazienza il paradiso, dove c'è Dio, ma è in nostro potere stare in paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento. Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui, dare come Lui, servire come Lui". Sì, la gioia entra nel cuore di chi si pone al servizio dei piccoli e dei poveri. In chi ama così, Dio prende dimora, e l'anima è nella gioia.

Se invece si fa della felicità un idolo, si sbaglia strada ed è veramente difficile trovare la gioia di cui parla Gesù. 





Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 6 dicembre 2000

L’uomo non è un inerte testimone dell’ingresso di Dio nella storia. Gesù ci invita a ‘cercare’ attivamente ‘il Regno di Dio e la sua giustizia’ e a fare di questa ricerca la nostra preoccupazione principale (Mt 6,33). A quelli che ‘credevano che il Regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro’, egli prescrisse un atteggiamento attivo invece di una attesa passiva. […]

Tutti i giusti della terra, anche quelli che ignorano Cristo e la sua Chiesa e che, sotto l'influsso della grazia, cercano Dio con cuore sincero (cfr Lumen gentium, 16), sono, dunque, chiamati a edificare il Regno di Dio, collaborando col Signore... Per questo dobbiamo affidarci alle sue mani, alla sua Parola, alla sua guida, come bambini inesperti che trovano solo nel Padre la sicurezza: ‘Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino - ha detto Gesù - non vi entrerà’. […]

Le paure, gli affanni, gli incubi si dissolvono, perché il Regno di Dio è in mezzo a noi nella persona di Cristo.





Dai «Discorsi» di sant'Anselmo, vescovo (Oratio 52)

O donna piena e sovrabbondante di grazia, ogni creatura rinverdisce, inondata dal traboccare della tua pienezza. […] A Maria Dio diede il Figlio suo unico che aveva generato dal suo seno uguale a se stesso e che amava come se stesso, e da Maria plasmò il Figlio, non un altro, ma il medesimo, in modo che secondo la natura fosse l'unico e medesimo figlio comune di Dio e di Maria. Dio creò ogni creatura, e Maria generò Dio: Dio, che aveva creato ogni cosa, si fece lui stesso creatura di Maria, e ha ricreato così tutto quello che aveva creato. E mentre aveva potuto creare tutte le cose dal nulla, dopo la loro rovina non volle restaurarle senza Maria.

Dio dunque è il padre delle cose create, Maria la madre delle cose ricreate. Dio è padre della fondazione del mondo, Maria la madre della sua riparazione, poiché Dio ha generato colui per mezzo del quale tutto è stato fatto, e Maria ha partorito colui per opera del quale tutte le cose sono state salvate. Dio ha generato colui senza del quale niente assolutamente è, e Maria ha partorito colui senza del quale niente è bene. 





II Domenica di Avvento – Festa dell'Immacolata Concezione
Benedetto XVI, Lettera Enciclica “Spe Salvi”, 2007

La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? […] Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza – lei che con il suo « sì » aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell'Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14)?

A lei perciò ci rivolgiamo: Santa Maria, per mezzo tuo, la speranza dei millenni doveva diventare realtà, entrare in questo mondo e nella sua storia. Tu ti sei inchinata davanti alla grandezza di questo compito e hai detto «sì»: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). […]

All'ora della croce accogliesti la parola: « Donna, ecco il tuo figlio! » Dalla croce ricevesti una nuova missione. A partire dalla croce diventasti madre in una maniera nuova: madre di tutti coloro che vogliono credere nel tuo Figlio Gesù e seguirlo. 





Benedetto XVI, Angelus, 28 novembre 2010

Il Tempo di Avvento guarda sia alla prima venuta del Figlio di Dio, quando nacque dalla Vergine Maria, sia al suo ritorno glorioso, quando verrà “a giudicare i vivi e i morti”. […]

L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole fino alle più importanti... Pensiamo all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono… Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra “statura” morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo.

Ognuno di noi, dunque, specialmente in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo? […] E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di nazione. Che cosa attendiamo, insieme? […] Nel tempo precedente la nascita di Gesù, era fortissima in Israele l’attesa del Messia, cioè di un Consacrato, discendente del re Davide, che avrebbe finalmente liberato il popolo da ogni schiavitù morale e politica e instaurato il Regno di Dio. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che il Messia potesse nascere da un’umile ragazza quale era Maria, promessa sposa del giusto Giuseppe. Neppure lei lo avrebbe mai pensato, eppure nel suo cuore l’attesa del Salvatore era così grande, la sua fede e la sua speranza erano così ardenti, che Egli poté trovare in lei una madre degna. […] Impariamo da Lei, Donna dell’Avvento, a vivere i gesti quotidiani con uno spirito nuovo, con il sentimento di un’attesa profonda, che solo la venuta di Dio può colmare.



Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo

Noi annunziamo che Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ve n'è una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente. La prima, infatti, ebbe il sigillo della sofferenza, l'altra porterà una corona di divina regalità. Si può affermare che quasi sempre nel nostro Signore Gesù Cristo ogni evento è duplice. Duplice è la generazione, una da Dio Padre, prima del tempo, e l'altra, la nascita umana, da una vergine nella pienezza dei tempi. Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso, come la pioggia sul vello. Una seconda volta verrà nel futuro in splendore e chiarezza davanti agli occhi di tutti. […]

Perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda. E poiché nella prima abbiamo acclamato: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9), la stessa lode proclameremo nella seconda. […] Il Salvatore verrà non per essere di nuovo giudicato, ma per farsi giudice di coloro che lo condannarono. […] Allora in un disegno di amore misericordioso venne per istruire gli uomini con dolce fermezza, ma alla fine tutti, lo vogliano o no, dovranno sottomettersi per forza al suo dominio regale. […]

Questa è dunque la fede che noi proclamiamo: credere in Cristo che è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Egli verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti. E il suo regno non avrà fine.
Verrà dunque, verrà il Signore nostro Gesù Cristo dai cieli; verrà nella gloria alla fine del mondo creato, nell'ultimo giorno. Vi sarà allora la fine di questo mondo, e la nascita di un mondo nuovo.



Benedetto XVI, Omelia, 27 novembre 2010

Il Signore ci dona la grazia e la gioia di aprire il nuovo Anno Liturgico iniziando dalla sua prima tappa: l’Avvento, il periodo che fa memoria della venuta di Dio fra noi. Ogni inizio porta in sé una grazia particolare, perché benedetto dal Signore. […]

Proprio il mistero grande e affascinante del Dio con noi, anzi del Dio che si fa uno di noi, è quanto celebreremo nelle prossime settimane camminando verso il santo Natale. Durante il tempo di Avvento sentiremo la Chiesa che ci prende per mano e, ad immagine di Maria Santissima, esprime la sua maternità facendoci sperimentare l’attesa gioiosa della venuta del Signore, che tutti ci abbraccia nel suo amore che salva e consola. […]

Dio ci ama in modo profondo, totale, senza distinzioni; ci chiama all’amicizia con Lui; ci rende partecipi di una realtà al di sopra di ogni immaginazione e di ogni pensiero e parola: la sua stessa vita divina. […] “Cristo, che è il nuovo Adamo – afferma il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione ... Con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Cost. Gaudium et spes, 22). Credere in Gesù Cristo comporta anche avere uno sguardo nuovo sull’uomo, uno sguardo di fiducia, di speranza. 













Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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   Dal trattato «Sulla morte» di san Cipriano, vescovo e martire

"Cristo assegnerà premi maggiori a coloro che avranno avuto di lui un desiderio più ardente."

Dobbiamo considerare e pensare spesso che [...] dimoriamo quaggiù solo come ospiti e pellegrini. Accettiamo con gioia il giorno che assegna ciascuno di noi alla nostra vera dimora, il giorno che, dopo averci liberati da questi lacci del secolo, ci restituisce liberi al paradiso e al regno eterno. Chi, trovandosi lontano dalla patria, non si affretterebbe a ritornarvi? La nostra patria non è che il paradiso. Là ci attende un gran numero di nostri cari, ci desiderano i nostri genitori, i fratelli, i figli in festosa e gioconda compagnia, sicuri ormai della propria felicità, ma ancora trepidanti per la nostra salvezza. Vederli, abbracciarli tutti: che gioia comune per loro e per noi! Che delizia in quel regno celeste non temere mai più la morte; e che felicità vivere in eterno!

Ivi è il glorioso coro degli apostoli, la schiera esultante dei profeti; ivi l’esercito innumerevole dei martiri, coronati di gloria per avere vinto nelle lotte e resistito nei tormenti; le vergini trionfanti, che vinsero la concupiscenza della carne e del corpo con la virtù della continenza; ivi sono ricompensati i misericordiosi, che esercitarono la beneficenza, nutrendo e aiutando in varie maniere i poveri, e così osservarono i precetti del Signore e, con le ricchezze terrene, si procurarono i tesori celesti.

Affrettiamoci con tutto l’entusiasmo a raggiungere la compagnia di questi beati. Dio veda questo nostro pensiero; questo proposito della nostra mente, della nostra fede, lo scorga Cristo, il quale assegnerà, nel suo amore, premi maggiori a coloro che avranno avuto di lui un desiderio più ardente.







Dalle «Omelie» attribuite a san Macario, vescovo

Una casa, non più abitata dal padrone, rimane chiusa e oscura, cadendo in abbandono; di conseguenza si riempie di polvere e di sporcizia. Nella stessa condizione è l’anima che rimane priva del suo Signore. Prima tutta luminosa della sua presenza e del giubilo degli angeli, poi si immerge nelle tenebre del peccato, di sentimenti iniqui e di ogni cattiveria. Povera quella strada che non è percorsa da alcuno e non è rallegrata da alcuna voce d’uomo! Essa finisce per essere il ritrovo preferito di ogni genere di bestie.

Povera quell’anima in cui non cammina il Signore, che con la sua voce ne allontani le bestie spirituali della malvagità! Guai alla terra priva del contadino che la lavori! Guai alla nave senza timoniere! Sbattuta dai marosi e travolta dalla tempesta, andrà in rovina. Guai all’anima che non ha in sé il vero timoniere, Cristo! Avvolta dalle tenebre di un mare agitato e sbattuta dalle onde degli affetti malsani, sconquassata dagli spiriti maligni come da un uragano invernale, andrà miseramente in rovina. Guai all’anima priva di Cristo, l’unico che possa coltivarla diligentemente perché produca i buoni frutti dello Spirito! [...]

Il contadino, quando si accinge a lavorare la terra, sceglie gli strumenti più adatti e veste anche l’abito più acconcio al genere di lavoro. Così Cristo, re dei cieli e vero agricoltore, venendo verso l’umanità, devastata dal peccato, prese un corpo umano, e, portando la croce come strumento di lavoro, dissodò l’anima arida e incolta, ne strappò via le spine e i rovi degli spiriti malvagi, divelse il loglio del male e gettò al fuoco tutta la paglia dei peccati. La lavorò così col legno della croce e piantò in lei il giardino amenissimo dello Spirito. Esso produce ogni genere di frutti soavi e squisiti per Dio, che ne è il padrone.





Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa

Il Signore dice: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5, 20). Ma come potrà abbondare la giustizia, se la misericordia non trionfa sul giudizio? (cfr. Gc 2, 13). È giusto e conveniente che la creatura imiti il suo creatore, la copia il suo modello, ad immagine e somiglianza del quale è stata fatta.
Orbene Dio fa consistere la riparazione e la santificazione dei credenti nella remissione dei peccati. Rimessi i peccati, cessa la severità della vendetta e viene sospesa ogni punizione, il colpevole viene restituito all’innocenza e la fine del peccato diventa inizio della nuova santità. L’uomo deve fare come Dio.
La giustizia cristiana può superare quella degli scribi e dei farisei, non svuotando la legge, ma rifiutandone ogni interpretazione materiale. Perciò il Signore, proponendo ai discepoli il modo di digiunare, disse: «Quando digiunate, non assumete aria melanconica, come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: Hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6, 16). Quale ricompensa, se non quella della lode degli uomini? Per la bramosia di questa lode, spesso si ostenta una parvenza di giustizia, non ci si preoccupa della coscienza e si va in cerca di una falsa rinomanza. Così l’iniquità, che già si condanna da se stessa nascondendosi, si contenta poi di una stima ipocrita.
A chi ama Dio è già sufficiente sapere di essere gradito a colui che ama; e non brama ricompensa maggiore dell’amore stesso. L’anima pura e santa è talmente felice di essere ripiena di lui, che non desidera compiacersi in nessun altro oggetto al di fuori di lui.
È quanto mai vero, infatti, ciò che dice il Signore: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6, 21). Ma qual è il tesoro dell’uomo se non la messe delle sue opere e il raccolto delle sue fatiche? «Infatti ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato» (Gal 6, 7); e qual è la prestazione di ciascuno, tale sarà anche il compenso che riceverà. Inoltre dove si ripone la felicità del godimento, lì si concentra anche la preoccupazione del cuore. Ma, essendo molteplici le specie di ricchezze e diversi i motivi e le fonti di piacere, per ognuno il tesoro consiste in ciò che forma l’oggetto delle proprie aspirazioni. Però se queste tendono ai beni terreni, anche se pienamente appagate, non rendono felici. Portano alla felicità, invece, quelle orientate alle cose di lassù.
Coloro, infatti, che aspirano alle cose celesti e non a quelle della terra e non si protendono verso i beni caduchi, bensì verso i beni eterni, hanno riposto le loro ricchezze incorruttibili in quel bene di cui parla il profeta, dicendo: «È giunto il nostro tesoro e la nostra salvezza, sapienza e scienza e pietà dal Signore: sono questi i tesori della giustizia» (Is 33, 6 volg.). Per mezzo di questi beni, con l’aiuto della grazia di Dio, anche i beni terreni si trasformano in beni celesti. Effettivamente sono molti quelli che si servono delle ricchezze, o giustamente ereditate o altrimenti acquisite, come mezzi per esercitare la misericordia.
E quando, per sostentare i poveri, elargiscono il loro superfluo, accumulano per sé ricchezze che non si perdono, perché ciò che hanno messo da parte per i poveri non va più soggetto a perdita.
A ragione costoro hanno il loro cuore dove hanno posto il loro tesoro, perché la loro più grande felicità sarà quella di godersi le ricchezze conseguite e di accrescerle sempre di più senza alcun timore che vadano perdute.





Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino, vescovo

«Lodate il Signore con la cetra, con l’arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo!» (Sal 32, 2. 3). [...]

Ecco egli ti dà quasi il tono della melodia da cantare: non andare in cerca delle parole, come se tu potessi tradurre in suoni articolati un canto di cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: Cantare nel giubilo. Che cosa significa cantare nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro infatti che cantano sia durante la mietitura, sia durante la vendemmia, sia durante qualche lavoro intenso, prima avvertono il piacere, suscitato dalle parole dei canti, ma, in seguito, quando l’emozione cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in sola modulazione di note. Questo canto lo chiamiamo «giubilo».

Il giubilo è quella melodia, con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l’ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e d’altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non «giubilare»? Allora il cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi di parole, e la grandezza straordinaria della gioia non conoscerà i limiti delle sillabe. Cantate a lui con arte nel giubilo (cfr. Sal 32, 3).



Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo

«Il giusto gioirà nel Signore e riporrà in lui la sua speranza, i retti di cuore ne trarranno gloria» (Sal 63, 11). [...] Questo è solo oggetto di promessa. Ora invece «camminiamo nella fede, finché abitiamo nel corpo siamo in esilio, lontano dal Signore» (2 Cor 5, 7. 6). Nella fede e non nella visione. Quando nella visione? Quando si compirà ciò che dice lo stesso Giovanni: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2).

Ma come potremo gioire nel Signore, se egli è tanto lontano da noi? Lontano? No. Egli non è lontano, a meno che tu stesso non lo costringa ad allontanarsi da te. Ama e lo sentirai vicino. Ama ed egli verrà ad abitare in te. «Il Signore è vicino: non angustiatevi per nulla» (Fil 4, 5-6). Vuoi vedere come egli sta con te, se lo amerai? «Dio è amore» (1 Gv 4, 8).

Ma tu vorrai chiedermi: Che cos’è l’amore? L’amore è la virtù per cui amiamo. Che cosa amiamo? Un bene ineffabile, un bene benefico, il bene che crea tutti i beni. Lui stesso sia la tua delizia, poiché da lui ricevi tutto ciò che causa il tuo diletto. Non parlo certo del peccato. Infatti solo il peccato tu non ricevi da lui. Eccetto il peccato, tu hai da lui tutte le altre cose che possiedi.




Dal Trattato «La remissione» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo

Si promette il premio della rinascita futura a coloro che durante la vita presente sono passati dal male al bene. La grazia prima opera, come dono divino, il rinnovamento di una risurrezione spirituale mediante la giustificazione interiore. Verrà poi la risurrezione corporale che perfezionerà la condizione dei giustificati. L’ultima trasformazione sarà costituita dalla gloria. Ma questa mutazione sarà definitiva ed eterna.

Proprio per questo i fedeli passano attraverso le successive trasformazioni della giustificazione, della risurrezione e della glorificazione, perché questa resti immutabile per l’eternità.

La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l’illuminazione e la conversione, cioè col passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla giustizia, dalla infedeltà alla fede, dalle cattive azioni ad una santa condotta. Coloro che risuscitano con questa risurrezione non subiscono la seconda morte. Di questi nell’Apocalisse è detto: «Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte» (Ap 20, 6).

Nel medesimo libro si dice anche: «Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte» (Ap 2, 11). Dunque, come la prima risurrezione consiste nella conversione del cuore, così la seconda morte sta nel supplizio eterno. Pertanto chi non vuol esser condannato con la punizione eterna della seconda morte s’affretti quaggiù a diventare partecipe della prima risurrezione. Se qualcuno infatti durante la vita presente, trasformato dal timore di Dio, si converte da una vita cattiva a una vita buona, passa dalla morte alla vita e in seguito sarà anche trasformato dal disonore alla gloria.




Dall’Omelia di un autore del secondo secolo: "Il digiuno vale più della preghiera, ma l’elemosina conta più di ambedue"

Preghiamo fiduciosamente Dio il quale ci dice: Mentre tu ancora parli, risponderò: Eccomi a te (cfr. Is 58, 9). Questa espressione include una grande promessa, poiché ci fa intendere che è più pronto il Signore a dare, che noi a chiedere. [...]

Se lasceremo tutte le voluttà e non permetteremo che la nostra anima rimanga preda dei cattivi desideri, saremo partecipi della misericordia di Gesù. [...] Buona cosa è l’elemosina come penitenza dei peccati. Il digiuno vale più della preghiera, ma l’elemosina conta più di ambedue: «La carità copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4, 8). La preghiera, fatta con animo puro, libera dalla morte, ma è beato colui che è trovato perfetto mediante l’elemosina. Questa infatti libera dal peccato.

Facciamo dunque penitenza con tutto il cuore, perché nessuno di noi perisca. Se noi abbiamo l’obbligo di richiamare altri dal culto degli idoli e istruirli, quanto più dobbiamo impegnarci a salvare tutte le anime che già godono della vera conoscenza di Dio! Perciò aiutiamoci l’un l’altro, così da condurre al bene anche i deboli e salvarci tutti, migliorandoci per mezzo della correzione fraterna.

(Capp. 15, 1 – 17, 2; Funk, 1, 161-167)




Dall’«Omelia» di un autore del secondo secolo

Se cercheremo di fare il bene, ci seguirà sempre la pace. Questa non si lascia trovare da coloro che sono guidati da timori umani e preferiscono i beni presenti alla promessa dei beni futuri. Essi non sanno quante amarezze nascondono i piaceri di questo mondo, quali delizie invece i beni futuri. E se fossero soli nel tenere questa linea di condotta il male non sarebbe tanto grande. Il peggio si è che con le loro perverse opinioni corrompono anime innocenti e non sanno che, così facendo, incontreranno una doppia condanna per sé e per chi li ascolta.

Cerchiamo di servire Dio con cuore puro e saremo giusti. Se invece non lo serviremo per mancanza di fede nelle sue promesse, saremo ben miserabili. È stato scritto infatti: Miseri sono coloro che hanno l’animo doppio e incostante e dicono: Tutto questo lo abbiamo già sentito al tempo dei nostri padri; ma noi, pur aspettando di giorno in giorno, non abbiamo visto nulla di ciò che fu predetto. O stolti, paragonatevi a una pianta da frutto. Prendete come esempio una vite. In un primo tempo è priva anche di foglie. In seguito spuntano le gemme, quindi viene il tenero grappolo acerbo e finalmente ecco l’uva matura. Così anche il mio popolo ha sopportato calamità e angustie; ma poi non ne riceverà che bene.

Fratelli miei, non siamo di animo doppio, ma sopportiamo pieni di speranza, per riportare a suo tempo il premio. Colui che ha promesso è fedele, e renderà a ciascuno in misura delle proprie opere. Se compiremo opere di giustizia davanti a Dio, entreremo nel suo regno e riceveremo in premio ciò che orecchio non udì, né occhio vide, né mai entrò in cuore d’uomo (cfr. 1 Cor 2, 9).

Attendiamo di ora in ora il regno di Dio nella carità e nella giustizia, poiché non conosciamo il giorno della venuta del Signore. Facciamo penitenza in tempo, diamoci con salda volontà a fare il bene [...] non solo ai fratelli, ma anche a coloro che sono estranei alla nostra fede. Pratichiamo con essi la giustizia.




Dalle «Lettere» di Sulpicio Severo su S. Martino da Tours

Martino previde molto tempo prima il giorno della sua morte. Avvertì quindi i fratelli che ben presto avrebbe cessato di vivere. Nel frattempo un caso di particolare gravità lo chiamò a visitare la diocesi di Candes. I chierici di quella chiesa non andavano d’accordo tra loro e Martino, ben sapendo che ben poco gli restava da vivere, desiderando di ristabilire la pace, non ricusò di mettersi in viaggio per una così nobile causa. Pensava infatti che se fosse riuscito a rimettere l’armonia in quella chiesa avrebbe degnamente coronato la sua vita tutta orientata sulla via del bene.

Si trattenne quindi per qualche tempo in quel villaggio o chiesa dove si era recato finché la pace non fu ristabilita. Ma quando già pensava di far ritorno al monastero, sentì improvvisamente che le forze del corpo lo abbandonavano. Chiamati perciò a sé i fratelli, li avvertì della morte ormai imminente. Tutti si rattristarono allora grandemente, e tra le lacrime, come se fosse uno solo a parlare, dicevano: «Perché, o Padre, ci abbandoni? A chi ci lasci, desolati come siamo? Lupi rapaci assaliranno il tuo gregge e chi ci difenderà dai loro morsi, una volta colpito il pastore? Sappiamo bene che tu desideri di essere con Cristo; ma il tuo premio è al sicuro. Se sarà rimandato non diminuirà. Muoviti piuttosto a compassione di coloro che lasci quaggiù».
Commosso da queste lacrime, egli che, ricco dello spirito di Dio, si muoveva sempre facilmente a compassione, si associò al loro pianto e, rivolgendosi al Signore, così parlò dinanzi a quelli che piangevano: Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà.

O uomo grande oltre ogni dire, invitto nella fatica, invincibile di fronte alla morte! Egli non fece alcuna scelta per sé. Non ebbe paura di morire e non si rifiutò di vivere. Intanto sempre rivolto con gli occhi e con le mani al cielo, non rallentava l’intensità della sua preghiera. I sacerdoti che erano accorsi intorno a lui, lo pregavano di sollevare un poco il suo povero corpo mettendosi di fianco. Egli però rispose: Lasciate, fratelli, lasciate che io guardi il cielo, piuttosto che la terra, perché il mio spirito, che sta per salire al Signore, si trovi già sul retto cammino. Detto questo si accorse che il diavolo gli stava vicino. Gli disse allora: Che fai qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me, sciagurato! Il seno di Abramo mi accoglie. Nel dire queste parole rese la sua anima a Dio. Martino sale felicemente verso Abramo. Martino povero e umile entra ricco in paradiso.



Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo

Dio ha assunto in pieno la nostra umanità ed è stato povero per far risorgere la carne, salvarne l’immagine primitiva e restaurare così l’uomo perché diventiamo una cosa sola con Cristo. Egli si è comunicato interamente a noi. Tutto ciò che egli è, è diventato completamente nostro. Sotto ogni aspetto noi siamo lui. Per lui portiamo in noi l’immagine di Dio dal quale e per il quale siamo stati creati. La fisionomia e l’impronta che ci caratterizza è quella di Dio. [...]

[Dio] esige poco da noi, però ora e sempre fa grandi doni a coloro che lo amano. E allora, pieni di speranza in lui, soffriamo tutto e sopportiamo tutto lietamente. Abbiamo il coraggio di rendergli grazie sempre e dappertutto, nella gioia e nel dolore. Convinciamoci che le tribolazioni sono strumento di salvezza. E poi non dimentichiamoci di raccomandare al Signore le anime nostre e anche quelle di coloro che ci hanno preceduto nel comune viaggio verso la casa paterna. [...]

Fa’ che ci presentiamo a te ben preparati e sereni, non sconvolti dal timore, non in stato di inimicizia verso di te, almeno nell’ultimo giorno, quello della nostra dipartita. Fa’ che non ci sentiamo come strappati e sradicati per forza dal mondo e dalla vita e non ci mettiamo quindi contro voglia in cammino. Fa’ invece che veniamo sereni e ben disposti, come chi parte per la vita felice che non finisce mai, per quella vita che è in Cristo Gesù, Signore Nostro, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.



Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo

La fede è una sola, ma il suo genere è duplice. Vi è infatti una fede che riguarda i dogmi ed è la conoscenza e l’assenso dell’intelletto alle verità rivelate. Questa fede è necessaria alla salvezza, secondo quel che dice il Signore: «Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio» (Gv 5, 24), ed anche: Chi crede nel Figlio, non è giudicato, ma passa dalla morte alla vita (cfr. Gv 3, 18. 24).

O bontà straordinaria di Dio verso gli uomini! I giusti piacquero a Dio nelle fatiche di lunghi anni. Ma quello che essi giunsero ad ottenere attraverso un diuturno ed eroico servizio accetto a Dio, Gesù te lo dona in un breve spazio di tempo. Infatti se tu credi che Gesù Cristo è il Signore e che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo e sarai ammesso in paradiso da colui che vi fece entrare il ladrone pentito. E non avere alcun dubbio a questo riguardo, poiché colui che su questo santo Golgota diede la salvezza al ladrone per la fede di un momento, egli stesso salverà anche te, se crederai.

C’è un altro genere di fede, anch’esso dono di Cristo. È scritto infatti: «A uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza, a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni» (1 Cor 12, 8-9). Pertanto questa fede elargita dallo Spirito come un dono non riguarda soltanto i dogmi, ma è anche causa di prodigi che superano tutte le forze dell’uomo. Chi ha tale fede potrà dire a questo monte: «Spostati da qui a là, ed esso si sposterà» (Mt 17, 20). Se veramente uno, senza dubitare nel suo interno, dice queste parole mosso dalla fede, credendo che così avverrà, allora riceve quella grazia.



FESTA DI TUTTI I SANTI: RIFLESSIONE SPIRITUALE DI SAN BERNARDO

Affrettiamoci verso i fratelli che ci aspettano

A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora?

Per parte mia devo confessare che, quando penso i ai santi, mi sento ardere da grandi desideri. Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, è quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati. [...]

I santi desiderano di averci con loro e noi ce ne mostreremo indifferenti? ...No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. [...]

Vi è un secondo desiderio...ed è quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come è ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati. Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo.

Giungerà il momento della venuta di Cristo...Allora Cristo trasformerà il nostro corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che è lui stesso.... Ma perché la speranza di una felicità così incomparabile abbia a diventare realtà, ci è necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere.



Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo

Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi

Nostro Signore Gesù Cristo stabilì le guide, i maestri del mondo e i dispensatori dei suoi divini misteri. Volle inoltre che essi risplendessero come luminari e rischiarassero non soltanto il paese dei Giudei, ma anche tutti gli altri che si trovano sotto il sole e tutti gli uomini che popolano la terra. È verace perciò colui che afferma: «Nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio» (Eb 5,4). Nostro Signore Gesù Cristo ha rivestito gli apostoli di una grande dignità a preferenza di tutti gli altri discepoli.

I suoi apostoli furono le colonne e il fondamento della verità. Cristo afferma di aver dato loro la stessa missione che ebbe dal Padre. Mostrò così la grandezza dell'apostolato e la gloria incomparabile del loro ufficio, ma con ciò fece comprendere anche qual è la funzione del ministero apostolico.

Egli dunque pensava di dover mandare i suoi apostoli allo stesso modo con cui il Padre aveva mandato lui. Perciò era necessario che lo imitassero perfettamente e per questo conoscessero esattamente il mandato affidato al Figlio dal Padre. Ecco perché spiega molte volte la natura della sua missione. Una volta dice: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione (cfr. Mt 9,13). Un'altra volta afferma: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38). Infatti «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,17).

Riassumendo perciò in poche parole le norme dell'apostolato, dice di averli mandati come egli stesso fu mandato dal Padre, perché da ciò imparassero che il loro preciso compito era quello di chiamare i peccatori a penitenza, di guarire i malati sia di corpo che di spirito, di non cercare nell'amministrazione dei beni di Dio la propria volontà, ma quella di colui da cui sono stati inviati e di salvare il mondo con il suo genuino insegnamento.

Fino a qual punto gli apostoli si siano sforzati di segnalarsi in tutto ciò, non sarà difficile conoscerlo se si leggeranno anche solo gli Atti degli Apostoli e gli scritti di san Paolo.



Dalla «Lettera a Proba» di sant'Agostino, vescovo
(Lett. 130, 14, 27 - 15, 28; CSEL 44, 71-73)

Lo Spirito intercede per noi

Vi è...in noi, per così dire, una dotta ignoranza, ma istruita dallo Spirito di Dio, che aiuta la nostra debolezza. Avendo infatti detto l'Apostolo: «Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza», subito aggiunge: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, perché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8, 25-27).

Non dobbiamo intendere però questo nel senso che lo Spirito Santo di Dio, il quale nella Trinità è Dio immortale e un solo Dio con il Padre e il Figlio, interceda per i santi, come uno che non sia quello che è, cioè Dio. In realtà è detto: «Intercede per i santi», perché muove i santi alla preghiera. Allo stesso modo è scritto: «Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se lo amate» (Dt 13, 4), cioè per far conoscere a voi stessi se lo amate.



Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa

Il nostro Signore e Salvatore... manda a due a due i discepoli a predicare, perché sono due i precetti della carità: l'amore di Dio, cioè, e l'amore del prossimo.
Il Signore manda i discepoli a due a due a predicare per indicarci tacitamente che non deve assolutamente assumersi il compito di predicare chi non ha la carità verso gli altri.
Giustamente poi è detto che «li inviò avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10, 1). Il Signore infatti segue i suoi predicatori, perché la predicazione giunge prima, e solo allora il Signore viene ad abitare nella nostra anima, quando lo hanno preceduto le parole dell'annunzio, attraverso le quali la verità è accolta nella mente.

Ascoltiamo quello che dice nell'inviare i predicatori: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe» (Mt 9, 37-38). Per una grande messe gli operai sono pochi. Di questa scarsità non possiamo parlare senza profonda tristezza, poiché vi sono persone che ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, e tuttavia si trova assai di rado chi lavora nella messe del Signore. Ci siamo assunti l'ufficio sacerdotale, ma non compiamo le opere che l'ufficio comporta.

Perciò riflettete attentamente, fratelli carissimi, sulla parola del Signore: «Pregate il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe». Pregate voi per noi, perché siamo in grado di operare per voi come si conviene; perché la lingua non resti inattiva dall'esortare, e il nostro silenzio non condanni, presso il giusto giudice, noi, che abbiamo assunto l'ufficio di predicatori.



Dalle «Risposte a Talassio» di san Massimo il Confessore, abate
(Risp. 63; PG 90, 667-670)

"Finché la parola è nascosta dalla lettera della legge come da un moggio, lascia tutti privi della luce eterna. Essa non può trasmettere la visione spirituale a chi non si sforzi di togliere il velo del senso materiale che trae in inganno e può addirittura fuorviare verso l'errore e la falsità. Invece va posta sul lucerniere della Chiesa. Ciò significa che la parola rivelata va intesa nel senso interiore e spirituale, spiegato dalla Chiesa stessa. Solo così potrà veramente illuminare ogni uomo che si trova nel mondo.

Se infatti la Scrittura non viene intesa spiritualmente, mostra solo un significato superficiale e parziale e non può far giungere al cuore tutta la sua ricca sostanza. Guardiamoci dunque dal porre sotto il moggio la lucerna, che accendiamo con la contemplazione e la pratica coerente della parola, cioè non mortifichiamo quella sua energia potente che dà luce e conoscenza. Non riduciamo colpevolmente la indescrivibile vitalità della sapienza a causa della lettera; ma poniamo la lucerna sopra il lucerniere cioè sulla santa Chiesa, di modo che dall'alta cima di una interpretazione autentica ed esatta, mostri a tutti lo splendore delle verità divine."








[Modificato da Caterina63 24/01/2014 12:52]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Papa Francesco, una chiave di lettura del suo Magistero

La persona umana in una prospettiva biblica come fondamento della vita civile

(fonte: Radio Vaticana http://it.radiovaticana.va/magistero-papa-francesco/home.asp )

Questione sociale, problema antropologico
Negli ultimi decenni, i Papi hanno parlato della crisi antropologica nella cultura odierna.

Benedetto XVI ha osservato che la stessa questione sociale è diventata un problema antropologico.

Papa Francesco dice: "è vero che c’è una crisi economica, una crisi culturale, una crisi della fede, ma in fondo è la persona umana ad essere in pericolo."

Non sono osservazioni secondarie.
In questa breve galleria, vorremmo offrire alcuni spunti di riflessione sul tema, ripercorrendo l’insegnamento di Papa Francesco.

La novità biblica si concentra sul mistero originario del maschio e della femmina, destinati all'unità.
Ci rivolgiamo alla Bibbia per cercare il senso dell'inizio dell'esistenza umana, voluta e creata da Dio.

Leggiamo nel capitolo 5 della Genesi: "Questo è il libro delle discendenze di 'Adam. Nel giorno in cui Dio creò 'Adam, lo fece a somiglianza di Dio (n.d.r. cioè ‘UNO’), maschio e femmina li creò, li benedisse e chiamò il loro nome: 'Adam nel giorno in cui furono creati («zeh sefer toledoth 'Adam» vv. 1-2).
Dobbiamo notare l'alternanza altamente significativa dei pronomi personali tra il singolare e il plurale: lo fece – li creò.
L'ESSERE UMANO, nella visione biblica l’"'Adam", comprende il maschio e la femmina INSIEME; il suo progetto, alla luce della creazione, è dinamicamente definito nella prospettiva relazionale e sociale: non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli stia davanti («'ezer k'negdo» Gen 2,18).
Nel riconoscimento dell’altro, come uguale e nello stesso tempo diverso da sé, è possibile la relazione, il cui massimo grado è l’amore.
Tale amore, nella sua pienezza e completezza, permette ai due di diventare uno: i due saranno un’unica carne (Gen 2,18), laddove questa espressione – una sola carne – indica l’unione personale di due vite.
Tale unione indica un’adesione totale l’uno all’altra/o, in una fedeltà reciproca e non va vista, prima di tutto e direttamente, solo come l’unione carnale dei corpi.
Il testo della Genesi, capitolo 1, presenta dunque l’essere umano come una realtà duale ‘in fieri’, che deve realizzarsi, ‘Adam è l’essere umano nella sua duplice, differente e inseparabile, ma equivalente e paritaria realtà maschile e femminile. 
L’uomo e la donna, posti l’uno di fronte all’altro, in dialogo, sono chiamati a diventare immagine e somiglianza del Dio UNO, attraverso la loro relazione con Dio, tra di loro e con il creato, mediante l’esercizio della loro libertà. 
La prospettiva del libro della Genesi - cap.1-2,5 - presenta le cose, in modo tipicamente biblico, non come le vediamo staticamente, ma come devono diventare evolvendosi. 
La “verità” permanente della coppia umana, d’altra parte, è rivelata non dal suo concreto attuarsi storico, sottomesso alle “modifiche” prodotte dalla sua caducità. La troviamo espressa nell’intenzione originaria di Dio, che permane valida come promessa perenne, ripresa da Gesù quando afferma, in riferimento al rapporto tra uomo e donna, “Dal principio però non fu così!” (Mt 19,8).

La creazione di Adamo

In un senso vero, possiamo dire che fa parte della vocazione umana del maschio ‘la femmina’, e che della vocazione umana della femmina fa parte ‘il maschio’. Ogni maschile è orientato a intendersi e diventare uno con il femminile, e viceversa.
Possiamo dire persino che in ogni maschio c’è una percentuale femminile e in ogni femmina c’è una percentuale di maschile: la Bibbia lo esprime attraverso il racconto della costola dell’uomo trapiantata (tzela’) nella donna; al nome del maschio (in ebraico = ‘ish) inserito nel nome stesso della femmina (in ebraico = ‘ishshah), creata per essere un aiuto “che stia di fronte al maschio”.
La donna è essenziale all’uomo per essere LUI (= se stesso). È per lui il TU che la fa essere IO, e lo stesso si dica dell’uomo per la donna.
L’unione tra loro non è solo un atto prodotto dalle singole sfere personali, ma acquista una nuova dimensione comune e sociale: “per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e diventeranno un’unica carne” (Genesi cap. 2,24).
La serena nudità tra i due, libera da ogni lussuria vergognosa (in ebraico «welo’ yitboshashu», Genesi cap. 2,25), suggerisce discretamente come vi fosse non solo una mutua fiducia, ma come fosse assente ogni concupiscenza aggressiva e violenta nella sessualità dei due. Sono liberi da ogni sinuoso e torbido adescamento, che trasformi l’uno in una preda agognata dall’altro o di cui possa abusare, sottomettendola e seducendola.
L’unione dei sessi, priva di ogni violenza, rispecchierà l’esultanza, la delicata tenerezza celebrata dal precedente canto dei vv. 23-24 del cap. 2: “questa volta è carne della mia carne”.
È un fatto che ha ripercussioni importanti nella visione della vita civile e sociale, e nel campo legislativo, dando un carattere profondamente umano al tema della relazione tra le persone. La vita umana non può essere chiusa nell’individualismo puro che è l’opposto della natura dell’essere umano.

Il Peccato dell'essere umano

La Bibbia dice che il PECCATO dell’essere umano, cioè il suo “mancare lo scopo” (in ebraico = chatah), consiste nel lasciarsi indurre dalla tentazione del serpente di ri-sistemare “più o meno discretamente” la creazione. E’ la tentazione di darle un senso stabilito autonomamente dagli uomini, come nel caso della statua del vitello d’oro, con il quale il popolo sovverte i rapporti come erano intesi dal Creatore, e ad essa si rivolge dicendo: “Ecco il tuo dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto” (Esodo cap. 32,8).
Alla luce di questa tentazione di riorientare il creato in un senso deviato va riletto l’ordine dato dal Creatore ad ’Adam di “non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male”. Si può interpretare come un invito a non farsi padrone del giardino di ‘Eden, di non voler disporre di tutto, rompendo così l’alleanza dell’ospitalità con il Signore (Genesi cap. 2,16-17).
Il peccato, svelato dal racconto biblico, colpisce alla radice l’essere umano, così come lo ha creato il Signore: maschio e femmina, l’uno insieme all’altro e per l’altro.
Il peccato consiste nel fatto che il maschio si accaparra per sé tutto il nome ‘Adam, chiamandosi “Adamo” e cambia, arrogandosene il potere, il nome alla donna che da ’Adam diventa “Eva”, ma anche una specie di “macchina per fare figli” (Genesi cap. 2,17; 3,20). Al contrario, fino al quel momento, solo il Creatore aveva dato il nome alla creatura umana (Genesi cap.5,2; 11,4).
Questo primo e fondamentale peccato scompone, divide l’'Adam creato da Dio e imprime una svolta radicale alla società umana che da paritaria,guidata dalla coppia maschio e femmina, diventa “patriarcale”. In essa ora gli uomini agiscono da soli, escludendo arbitrariamente le donne, e così facendo escono realmente dall’armonia con il Creatore e immettono falsità, menzogna e disordine nel creato (cfr. tutti i casi di autonomia maschile, “for men only” esistenti oggi di fatto e di diritto).
Dopo il peccato, la tensione tra i due sessi è ben descritta nel libro della Genesi cap.3,16: “Verso il tuo uomo la tua bramosia insistente, ed egli ti sottometterà”(in ebraico: «we’el-’ishekh teshuqatekh, wehu’ imshal-bakh»).
Allora, anche l’unione dei corpi rischia di assomigliare a un’aggressione, a una conquista e ad un mutuo impossessamento, e si comincia ad avvertire, sia pure alla lontana, il rischio di “femminicidio”.
Un simile risultato è più che evidente nella storia umana, la quale in tal modo viene “disumanizzata” e resa in-sensata e, alla fine, in-significante.
Ogni strategia di Adamo che vorrebbe concedere un po’ più di dignità al ruolo di Eva, senza riconvertire entrambi al senso originario della creazione e dell’inseparabile ’Adam, risulta artificiale e insipidamente consolatoria.
La radice della così detta “questione femminile” sta nel recupero dell’essere umano totale, l’ “HOMO”, come soggetto unico e duplice insieme, maschile e femminile, con pari dignità.


Crisi della cultura

Nella cultura di oggi esistono profonde spaccature: tra uomo e donna, con tendenze al maschilismo e al femminismo radicali; la scissione tra identità sessuale e pluralità di scelte personali; l’individualismo e la crisi dei rapporti e dei legami sui quali si basa lo sviluppo di una società civile come comunità umana.
Predominano la tendenza al consumo ad ogni costo, a danno della responsabilità nei confronti degli altri; la dimensione economica che sovrasta tutte le altre, invece di aiutare pari opportunità per tutti; un’esasperata ideologia del ‘gender’ che rischia di manipolare l’identità personale invece di recuperare l’originaria parità di genere, maschile e femminile.
L’esperienza della comunità cristiana aiuta a difendere l’umanità da forme di ‘riduzionismo’, frutto del peccato, le quali portano a enfatizzare le strutture sociali sia in senso patriarcale che femministico o culturale, per ridare il primato alle cose così come le ha fatte il Creatore.
Alla luce del Vangelo e della rivelazione biblica, l’apporto della comunità cristiana può contribuire a sviluppare i meccanismi positivi della vita sociale, necessari per la realizzazione della vocazione umana.
In questa ottica va letto l’ impegno della Chiesa per il bene dei fanciulli, la dignità della persona umana fin dall’inizio della sua esistenza e nelle fasi in cui ha più bisogno di aiuto, e le attività nel campo dell’educazione, delle cure sanitarie, del sostegno alle famiglie e ai minori, anche in situazioni difficili come le migrazioni, i conflitti, o la condizione dei rifugiati.
La società civile – quale contesto naturale delle relazioni umane- non può essere limitata alla produzione e al consumo dei beni o alla lotta tra poteri.
La società va valutata secondo i criteri che fondano la dignità della persona umana, di ogni persona, anche di quella emarginata nelle periferie esistenziali, perché sia verificata la corrispondenza di detta società ai criteri ultimi della creazione, criteri di umanità e di trascendenza.
Tra i criteri di questa verifica, i cristiani aggiungono la comprensione che ce ne ha dato Cristo nel Cenacolo della Pentecoste, l’estensione a tutti i popoli della terra della dignità dei figli di Dio ed eredi della salvezza, grazie alla morte ed alla resurrezione di Gesù.

L'insegnamento biblico nella cultura sociale e religiosa

Il crescente numero di “annullamenti di matrimoni sacramentali”, e la constatazione che sono stati compiuti senza le consapevolezza necessaria, fa riflettere.
Indica che nella cultura sociale e religiosa odierna dei cristiani, ma anche nella pastorale parrocchiale, c’è poca conoscenza e non è trasmesso l’insegnamento biblico.
La rivelazione cioè del mistero del “‘Adam, maschio e femmina”, destinati fin dall’inizio all’unità, perché creati a immagine e somiglianza di Dio, come due espressioni complementari dell’unica “persona umana”.
Nell’ambito di chi sia l’uomo, maschio e femmina, la prospettiva del Libro della Genesi è chiara ed esigente.
Il Nuovo Testamento apre un’ulteriore prospettiva, quella dell’Incarnazione di Dio, luce per la comprensione di sé da parte dell’uomo, maschio e femmina.
L’Incarnazione esprime la realtà della Parola, che è creatrice ma anche salvatrice; esprime l’umanità vissuta e realizzata da Gesù tramite la croce e la forza della risurrezione, fino alla comunione con Dio, nella Casa del Padre.
La conversione all’Evangelo di Gesù è un evento che ha luogo nella coscienza personale di colui che è chiamato alla fede.
Essa trascende totalmente i fatti e i legami di carne e di sangue: cf. Mt 10,34-39; 19,27-30; Mc 10,28-31; Lc 9,57-62; 12,51-53; 14,25-27; 18,28-30; 19,27-30.
Da essa partono e si differenziano le persone, se e quando rispondano alla chiamata alla fede.
La famiglia dev’essere vista come “legame carnale”, ma anche nella prospettiva della comunità dei credenti. L’unità tra uomo e donna, e la famiglia, non sono realtà chiuse.
Giovanni parla di “fratelli” e intende i fratelli di fede,cf. Gv 6,63, infatti:
«È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla»


La dignità del maschio e della femmina

La rilevanza della Chiesa nella cultura di oggi sta proprio in questo, nel riportare nella giusta prospettiva la questione dell’identità della persona umana e della dignità del “maschio” e della “femmina”.
Uomo e donna devono essere orientati l’uno verso l’altro, posti nel contesto dell’alleanza tra Gesù e l’umanità.
La crisi culturale della famiglia, oggi, ci spinge a sottolineare – prima di tutto nella preparazione al sacramento del matrimonio - la dignità di ogni persona umana, nel proprio genere maschile e femminile, come fondamento dell’unità.
Ci spinge ad esigere, dalla comunità cristiana, una spiccata sensibilità nei confronti della responsabilità che abbiamo verso gli altri, specialmente verso i figli, i bambini, gli anziani, i giovani “senza famiglia” privi del calore della comunità familiare, privi del calore della comunione umana fondata sulla reciprocità complementare del padre e della madre.
È importante ricordare come, grazie alla creazione, la terra passa dal caos al cosmo.
Quando il maschio e la femmina, l’uomo e la donna, da due diventano UNO, con la loro complementarietà realizzano nell’essere umano l’immagine e la somiglianza a Dio.
Grazie all’unità tra loro, essi diventano la porta d’ingresso al processo di socializzazione della vita, alla sua umanizzazione, immagine e somiglianza dell’Armonia divina.



  

                                                    
Padre Pio racconta: venne a confessarsi da me, il Demonio....


"Una mattina mentre stavo confessando gli uomini mi si presenta un signore alto, snello, vestito con una certa raffinatezza e dai modi garbati, gentili. Inginocchiatosi questo sconosciuto incomincia a palesare i suoi peccati che erano di ogni genere contro Dio, contro il prossimo, contro la morale: tutti aberranti. Mi colpì una cosa.
Per tutte le accuse, anche dopo la mia riprensione, fatta adducendo come prova la parola di Dio, il magistero della Chiesa, la morale dei santi, questo enigmatico penitente controbatteva le mie parole giustificando, con estrema abilità e con ricercatissimo garbo, ogni genere di peccato, svuotandolo di qualsiasi malizia e cercando allo stesso tempo di rendere normali, naturali, umanamente indifferenti tutti gli atti peccaminosi.
E questo non solo per i peccati che erano raccapriccianti contro Dio, Gesù, la Madonna, i Santi, che indicava con perifrasi irriverenti senza mai nominarli, ma anche per i peccati che erano moralmente tanto sporchi e rozzi da toccare il fondo della più stomachevole cloaca.

Le risposte, che questo enigmatico penitente dava di volta in volta alle mie argomentazioni, con abile sottigliezza e con ovattata malizia, mi impressionavano.
Tra me e me, domandandomi, dicevo:"Chi è costui?" Da che mondo viene? Chi sarà mai?". E cercavo di fissarlo bene in volto per leggere eventualmente qualcosa tra le pieghe del suo viso; e allo stesso tempo aguzzavo le orecchie a ogni sua parola in modo che nessuna di esse mi sfggisse per soppesarle in tutta la loro portata.

A un certo momento, per una luce interiore vivida e fulgida percepii chiaramente chi era colui che mi stava dinanzi. E con tono deciso e imperioso gli dissi:"Di' viva Gesù, viva Maria". Appena pronunziati questi soavissimi e potentissimi nomi, satana sparisce all'istante in un guizzo di fuoco, lasciando dietro a sé un insopportabile irrespirabile fetore".
Padre Pio a padre Tarcisio da Cervinara.




 

[Modificato da Caterina63 21/01/2014 13:34]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  dal sito ANTIDOTI di Rino Cammilleri



BRUNO

Posted: January 24th, 2014 | Author:  |

Dal 1600, anno della sua morte, e per i due secoli seguenti nessuno si occupò mai di Giordano Bruno e solo qualche erudito, forse, ne sapeva qualcosa. Nel 1802 il filosofo Schelling pubblicò un’operetta di taglio panteista che lo nominava, ma della quale nessuno si accorse. L’ex domenicano divenne un’icona del «libero pensiero» (anche se pochi, ancora oggi, ci capiscono qualcosa, del di lui «pensiero») solo con l’anticlericalismo risorgimentale italiano. Il 9 giugno 1889, solennità di Pentecoste, il governo Crispi inaugurò il famoso monumento in Campo de’ Fiori a Roma. Un corrucciato Bruno di bronzo, in abito domenicano (abito che in verità si era ben presto tolto, ricavandoci calzini), sfidava Leone XIII, il papa della più dura enciclica antimassonica. Crispi aveva agito di sua iniziativa e, per sicurezza, aveva comminato tre giorni di bavaglio alla stampa cattolica. Tremila «liberi pensatori» erano convenuti a Roma per incensare l’opera dello scultore Ettore Ferrari e ascoltare la concione del filosofo Giovanni Bovio, in un tripudio di labari e gagliardetti. L’anno dopo, primo anniversario, quelli che dovevano solennemente deporre i fiori sotto il monumento si accorsero che in Campo de’ Fiori c’erano solo loro. Il resto erano i soliti fruttivendoli e bancarellari intenti a fare quel che facevano ogni giorno: vendere fiori e ortaggi. (Cfr. Dorotea Lancillotti, «Giordano Bruno, il mistero di un uomo diventato una celebrità solo per i moderni», sul sito Papalepapale, 13 luglio 2013).

 
 
 
 

FRANCIA

Posted: January 3rd, 2014 | Author:  | 

L’agenzia Zenit dell’8 novembre 2013 ha segnalato l’ultimo sindaco francese che ha dichiarato che si dimetterà nel momento in cui gli verrà imposto di celebrare nozze gay. Secondo la recente sentenza del Consiglio costituzionale rischia fino a tre anni di carcere e 45mila euro di multa. Ma lui è fermo: “Esiste una legge naturale superiore alle leggi umane”. Ed è in buona compagnia: sono già più di ventimila i sindaci che aderiscono al Collettivo dei sindaci per l’infanzia, costituitosi nel giugno e comprendente aderenti “di destra e di sinistra, etero e persino omosessuali”. Il problema, dicono, è “se vogliamo vivere in un Paese dove la libertà di coscienza, di espressione, di religione sono rispettate oppure se vogliamo entrare in un sistema totalitario (…). Noi non abbiamo paura, ci batteremo per la nostra libertà di pensiero e coscienza e non penso che sia nell’interesse del governo trasformare la Francia in un regime terrorista e ideologico come in passato”.

 
 

PACE

Posted: December 26th, 2013 | Author:  |

Una domenica, mentre assistevo alla solita messa-musical tutta chiacchiere & canzoni, dopo che il giovanotto vestito da prete yeyé aveva bacchettato tutti cristiani che non si trasformano in operatori della Caritas (perché nel Giudizio non ci verrà chiesto se siamo andati a messa o abbiamo fatto la comunione –sic!- ma se abbiamo vestito gli ignudi, sfamato gli immigrati e confortato i galeotti), al solito punto è stato proclamato l’ormai consueto «E adesso, secondo l’insegnamento di Gesù, scambiamoci un segno di pace». Ora, non ho niente contro la stretta di mano al fratello di fede, anche se sudaticcia. Ma mi sono chiesto dov’è che Gesù ha ordinato di farlo. Nel Vangelo non c’è. Vabbuo’, pazienza. In fondo, da qualche decennio il clero si è abituato a considerare la Chiesa «cosa sua», nella quale gli «operatori pastorali» fanno e disfano a loro esclusivo grado. I laici devono solo assistere silenti alle loro trovate, pena il peccato mortale (infatti, se non vai a messa, trasgredisci il secondo comandamento). Poi devono «dare» (meglio se soldi, che non bastano mai) e difendere in Parlamento l’otto per mille. E zitti, perché se li critichi, i preti, o manifesti il tuo malumore ti licenziano, ti emarginano, ti cancellano. Mah, ha dda passa’ ‘a nuttata!

 
 

GGIOVANI

Posted: December 5th, 2013 | Author:  | 

Sono in treno. Seduto davanti a me c’è un giovane. Indovinate come è vestito. Maglietta mezze maniche bluastra con una scritta americana senza senso. Jeans. Scarpe di gomma. Al collo, una medaglietta di quelle da militare (americano). Unico bagaglio, uno zainetto di colore indefinibile. Dalle orecchie sporgono i fili bianchi delle cuffie, collegate a un marchingegno da cui suppongo esca musica. I pollici armeggiano frenetici sul marchingegno. Dopo un’ora estrae dallo zainetto un telefonino ultima generazione, e i pollici si scatenano su questo. E’ quasi ora di cena. Pesca dallo zainetto uno snack e una lattina di cocacola. Finito il pasto, dallo zainetto esce un computer portatile. Nello zainetto non c’è altro (non c’è più posto). Stiamo per arrivare. Mi chiedo: fuori fa freddo, cosa si metterà? Domanda stupida. Guardo sulla mensola. Indovinate cosa c’è. Indovinato: una felpa col cappuccio. Quello che ho osservato non è un giovane medio o tipo. No, è proprio un giovane e basta. Sì, perché sono TUTTI così. Tutti. Stesso look, stessa tecnologizzazione. Il bruto informatizzato. Ovviamente, è stato seduto sbracato tutto il tempo. Se avesse avuto giacca e cravatta, l’abito stesso lo avrebbe costretto alla posizione composta. Se lo metterà, certo, quando troverà lavoro in qualche ufficio. Ma pure lì resterà «uguale»: giacchetta e pantalonucci neri e attillati, scarpe a punta nere con lacci e lunghe un metro, cravatta a striscia. Questi «ggiovani» odierni, però, avrebbero orrore di un regime che li costringesse a una tenuta uniforme (come i Balilla del Ventennio). «Liberamente» scelgono l’uguaglianza-stampino e si vestono come gli americani del Bronx. Quando ne hai visto uno li hai visti tutti. E’ la globalizzazione, bellezza. E’ il mondo dei decerebrati sognato dai teorici del Liberté, Egalité, Fraternité. Soprattutto Egalité. Sono stato giovane negli anni Sessanta, quando ancora i ggiovani cercavano l’originalità nell’abbigliarsi, non di rado rasentando l’eccentrico. Forse eravamo cretini. Ma certo non piatti. Spero di fare in tempo a NON vedere il futuro che ci aspetta.










Ad usar bene la ragione (testa-conoscenza) e la storia, si scoprono sempre molte cose interessanti: curiosità dal mondo cattolico 



















[Modificato da Caterina63 27/01/2014 15:05]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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28/01/2014 10:14
 
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   "Un confratello mi raccontava un aneddoto riferito a S. Tommaso d'Aquino. Pare che all'inizio dei suoi corsi universitari, il santo mostrasse ai suoi allievi una mela, dicendo "questa è una mela. Chi non è d'accordo può andar via".
L'orgoglio, la superbia intellettuale non è il pensare e l'argomentare ma il presumere di determinare, con il pensiero, l’essere. San Tommaso insegna giustamente che non è il pensiero a determinare l’essere, ma è l’essere che determina il pensiero.
Tomas Tyn lucidamente chiosava: "solo Dio si può permettere il lusso di essere idealista, perché solo Dio determina l’essere, distinto da Lui, ovviamente, perché il suo essere non è determinabile, però tutti gli altri esseri distinti da Dio sono determinati dal pensiero di Dio. Quindi l’uomo che pensa di poter pensare le proprie idee, INDIPENDENTEMENTE DALL’ESSERE, è un uomo che si pone al posto di Dio. Qui c’è veramente una affinità con la demonologia, l’antropologia diventa demonologia."















I TRE PILASTRI, di Papa Francesco, PER DIRSI CATTOLICI
omelia stamani 30 genn. 2014


Il cristiano non è un battezzato che riceve il Battesimo e poi va avanti per la sua strada. Il primo frutto del Battesimo è farti appartenere alla Chiesa, al popolo di Dio. Non si capisce un cristiano senza Chiesa. E per questo il grande Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E’ una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L’altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda”. 

Il “sensus ecclesiae” – ha affermato - è “proprio il sentire, pensare, volere, dentro la Chiesa”. Ci sono “tre pilastri di questa appartenenza, di questo sentire con la Chiesa. Il primo è l’umiltà”, nella consapevolezza di essere “inseriti in una comunità come una grazia grande”:

“Una persona che non è umile, non può sentire con la Chiesa, sentirà quello che a lei piace, a lui piace. E’ questa umiltà che si vede in Davide: ‘Chi sono io, Signore Dio, e che cosa è la mia casa?’. Con quella coscienza che la storia di salvezza non è incominciata con me e non finirà quando io muoio. No, è tutta una storia di salvezza: io vengo, il Signore ti prende, ti fa andare avanti e poi ti chiama e la storia continua. La storia della Chiesa incominciò prima di noi e continuerà dopo di noi. Umiltà: siamo una piccola parte di un grande popolo, che va sulla strada del Signore”. 

Il secondo pilastro è la fedeltà, “che va collegata all’ubbidienza”:

“Fedeltà alla Chiesa; fedeltà al suo insegnamento; fedeltà al Credo; fedeltà alla dottrina, custodire questa dottrina. Umiltà e fedeltà. Anche Paolo VI ci ricordava che noi riceviamo il messaggio del Vangelo come un dono e dobbiamo trasmetterlo come un dono, ma non come una cosa nostra: è un dono ricevuto che diamo. E in questa trasmissione essere fedeli. Perché noi abbiamo ricevuto e dobbiamo dare un Vangelo che non è nostro, che è di Gesù, e non dobbiamo – diceva Lui – diventare padroni del Vangelo, padroni della dottrina ricevuta, per utilizzarla a nostro piacere”.

Il terzo pilastro – ha detto il Papa – è un servizio particolare: “pregare per la Chiesa”. “Come va la nostra preghiera per la Chiesa? – domanda Papa Francesco - Preghiamo per la Chiesa? Nella Messa tutti i giorni, ma a casa nostra, no? Quando facciamo le nostre preghiere?”. Pregare per tutta la Chiesa, in tutte le parti del mondo. “Che il Signore –ha concluso il Papa - ci aiuti ad andare su questa strada per approfondire la nostra appartenenza alla Chiesa e il nostro sentire con la Chiesa”.

























Gli angeli, che contemplano Dio incessantemente, tremano dinanzi a Lui; ma lungi dall'essere per loro una pena, sono solo presi dalla vertigine dell'ammirazione...” (San Gregorio Magno)

Questo è il vero senso del sacro timor di Dio: 
ammirazione che è amore e conduce alla Sua sequela, alla fedeltà, alla fiducia in Lui,  e a fare quanto Egli ci chiede per il nostro bene.







e gli fa seguito Papa Francesco:









[Modificato da Caterina63 04/02/2014 18:36]
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12/02/2014 14:04
 
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[SM=g1740717] Ricordando altri brevi video che riportano la sapienza dottrinale della Chiesa sulla dottrina mariana:
- san Germano spiega la Dormizione di Maria: gloria.tv/?media=440721
- sant'Ambrogio descrive Maria: gloria.tv/?media=390209
- la santa verginità di sant'Agostino: gloria.tv/?media=387259
- san Girolamo spiega Isaia "Ecco la Vergine": gloria.tv/?media=384972

vi offriamo ora San Leone Magno, Papa, in una breve catechesi dove spiega davvero sapientemente il Mistero dell'Incarnazione.
gloria.tv/?media=569135

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org



[SM=g1740733]


[SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/02/2014 17:01
 
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La "risposta" del Papa alle dichiarazioni del documento ONU:

"È molto significativo, al riguardo, che le Istituzioni civili riconoscano il ruolo della Santa Sede quale autorità spirituale e morale in seno alla comunità internazionale e valutino in modo positivo la presenza della Chiesa Cattolica..."   
(Papa Francesco - Discorso ai Vescovi di Bulgaria 13.2.2014)


 




Seguendo anche le recenti interviste di Mons. Georg a riguardo del rapporto fra i due Papi, queste due foto recenti suggeriscono questa conclusione   

- Avanti così, santo Padre!
Non ce la faranno a mettere Lei 
e Benedetto XVI uno contro l’altro!
Anche i Media hanno strumentalizzato
le sue parole, ma le rette coscienze 
dei fedeli, conoscono la verità...

- .... e allora avanti tutta!
Facciamogliela vedere 
al Demonio che noi siamo più forti di lui....
insieme siamo 
imbattibili....

***************










 









Il Papa: le tentazioni, un contagio che uccide. La Parola di Gesù la cura che salva


Inoltre, prosegue Papa Francesco, la tentazione “cerca un altro per farsi compagnia, contagia” e “in questo crescere e contagiare, la tentazione ci chiude in un ambiente da dove non si può uscire con facilità”. È l’esperienza degli Apostoli narrata nel Vangelo del giorno, che vede i Dodici incolparsi a vicenda sotto gli occhi del Maestro per non aver portato del pane a bordo della barca. Gesù, ricorda il Papa, forse sorridendo a quel bisticcio, li invita a guardarsi “dal lievito dei farisei, di Erode”. Ma gli Apostoli per un po’ insistono, senza ascoltarLo, “tanto chiusi nel problema di chi avesse la colpa di non aver portato il pane, che – commenta Papa Francesco – non avevano spazio, non avevano tempo, non avevano luce per la Parola di Dio”:

“E così, quando noi siamo in tentazione, non sentiamo la Parola di Dio: non sentiamo. Non capiamo. E Gesù ha dovuto ricordare la moltiplicazione dei pani per farli uscire da quell’ambiente, perché la tentazione ci chiude, ci toglie ogni capacità di lungimiranza, ci chiude ogni orizzonte, e così ci porta al peccato. Quando noi siamo in tentazione, soltanto la Parola di Dio, la Parola di Gesù ci salva. Sentire quella Parola che ci apre l’orizzonte… Lui sempre è disposto a insegnarci come uscire dalla tentazione. E Gesù è grande perché non solo ci fa uscire dalla tentazione, ma ci da più fiducia”.

Papa Francesco - Omelia del mattino - 18.2.2014





Santa Ildegarda Dottore della Chiesa:  il peccato di omosessualità porta alle più vergognose violenze e a tutti i vizi


Papa Benedetto XVI come sappiamo, ha proclamato “Dottore della Chiesa” Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), la “Sibilla del Reno”.
Con ciò, ovviamente, le sue opere acquistano più autorevolezza di quanto non avessero prima. Lo stesso Pontefice ha più volte citato la mistica tedesca nelle sue allocuzioni.

Commentando, nel Liber divinurom operum, il versetto 6,8 dell’Apocalisse, la Santa scrive:
«Il serpente antico gioisce per tutte le punizioni con cui l’uomo è castigato nell’anima e nel corpo. Lei, che ha perso la gloria celeste, non vuole che nessun uomo possa raggiungerla. In realtà, non appena si rese conto che l’uomo aveva accolto i suoi consigli, iniziò a progettare la guerra contro Dio, dicendo: “Attraverso l’uomo porterò avanti i miei propositi”.
«Nel suo odio, il serpente ha ispirato gli uomini a odiarsi fra loro e, con lo stesso cattivo sentimento, li ha indotti a uccidersi gli uni gli altri.
«E il serpente disse: “Manderò il mio soffio affinché la successione dei figli degli uomini si spenga, e allora gli uomini bruceranno di passione per gli altri uomini, commettendo atti vergognosi”.
«E il serpente, provandoci godimento, gridò: “Questa è la suprema offesa contro Colui che ha dato all’uomo il corpo. Che la sua forma scompaia perché ha evitato il rapporto naturale con le donne”.
«È quindi il diavolo che li convince a diventare infedeli e seduttori, che li induce a odiare e a uccidere, diventando banditi e ladri, perché il peccato di omosessualità porta alle più vergognose violenze e a tutti i vizi. Quando tutti questi peccati si saranno manifestati, allora la vigenza della legge di Dio sarà spezzata e la Chiesa sarà perseguitata come una vedova».




 

[Modificato da Caterina63 04/03/2014 14:31]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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05/03/2014 12:50
 
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  Mercoledì delle Ceneri. Dal Messaggio del Beato Giovanni Paolo II per la Quaresima 2002 

Ci accingiamo a ripercorrere il cammino quaresimale, che ci condurrà alle solenni celebrazioni del mistero centrale della fede, il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. […] La Quaresima… costituisce un ritorno alle radici della fede, perché, meditando sul dono di grazia incommensurabile che è la Redenzione, non possiamo non renderci conto che tutto ci è stato dato per amorevole iniziativa divina. […]

« Che cosa mai possiedi — ammonisce san Paolo — che tu non abbia ricevuto? » (1 Cor 4, 7). Amare i fratelli, dedicarsi a loro è un'esigenza che scaturisce da questa consapevolezza. Più essi hanno bisogno, più urgente diventa per il credente il compito di servirli. […] Chiaro è il comando di Gesù: « Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? » (Mt 5, 46). Il mondo valuta i rapporti con gli altri sulla base dell'interesse e del proprio tornaconto, alimentando una visione egocentrica dell'esistenza, nella quale troppo spesso non c'è posto per i poveri e i deboli. Ogni persona, anche la meno dotata, va invece accolta e amata per se stessa, al di là dei suoi pregi e difetti. Anzi, più è in difficoltà, più deve essere oggetto del nostro amore concreto. È quest'amore che la Chiesa, attraverso innumerevoli istituzioni, testimonia facendosi carico di ammalati, emarginati, poveri e sfruttati. I cristiani, in tal modo, diventano apostoli di speranza e costruttori della civiltà dell'amore. […]

Quale periodo più opportuno del periodo della Quaresima per rendere questa testimonianza di gratuità di cui il mondo ha tanto bisogno? Nell'amore stesso che Dio ha per noi c'è la chiamata a donarci, a nostra volta, agli altri gratuitamente… Sia così per ogni cristiano, nelle diverse situazioni in cui egli si trova.

 

Dal «Commento al Libro di Giobbe» di san Gregorio Magno, papa

Paolo, osservando in se stesso le ricchezze della sapienza interiore e vedendo che all'esterno egli era corpo corruttibile, disse: «Abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (2 Cor 4, 7). Ecco che nel beato Giobbe il vaso di creta sentì all'esterno i colpi e le rotture, ma questo tesoro internamente rimase intatto. Al di fuori si screpolò a causa delle ferite, ma il tesoro della sapienza all'interno rinasceva inesauribilmente, tanto da manifestarsi all'esterno in queste sante espressioni: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?» (Gb 2, 10). […]

E' certamente un grande conforto nelle tribolazioni richiamare alla memoria i benefici del nostro Creatore, mentre si sopportano le avversità. Né ciò che viene dal dolore ci può scoraggiare, se subito richiamano alla mente il conforto che i doni ci recano. Per questo è stato scritto: Nel tempo della prosperità non dimenticare la sventura e nel tempo della sventura non dimenticare il benessere (cfr. Sir 11, 25).

Chiunque gode prosperità, ma nel tempo di essa non ha timore anche dei flagelli, a causa del benessere cade nell'arroganza. Chi invece, oppresso da flagelli, non cerca al tempo stesso di consolarsi con la memoria dei doni ricevuti, è annientato dai sentimenti di sconforto o anche di disperazione. Bisogna dunque unire assieme le due cose, in modo che l'una sia sempre sostenuta dall'altra.

 

Dalla «Spiegazione dell'Ecclesiaste» di san Gregorio di Agrigento, vescovo
"L'anima mia esulti nel Signore"

«Va', mangia con gioia il tuo pane, bevi con cuore lieto il tuo vino perché Dio ha già gradito le opere tue» (Qo 9, 7). Potremmo prendere queste parole come una sicura e sana norma di saggezza umana per la vita di tutti i giorni. Tuttavia la spiegazione anagogica ci porta ad una considerazione più alta, e ci insegna a considerare il pane celeste e mistico che è disceso dal cielo e ha portato la vita nel mondo. Così pure bere il vino spirituale con cuore sereno significa dissetarsi di quel vino che uscì dal costato della vera vite, al momento della sua passione salvifica. […]

«Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato» (Pro 9, 5). Coloro ai quali viene rivolto questo invito, devono compiere opere di luce, in modo da avere le loro anime splendenti non meno della luce stessa, come dice il Signore nel vangelo: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5, 16). Anzi in tal caso vedranno scendere sul loro capo anche l'olio, cioè lo Spirito di verità, che li proteggerà e li preserverà da ogni maleficio di peccato.

 

Dal «Commento all'Ecclesiaste» di san Girolamo, sacerdote
"Cercate le cose di lassù"

«Ogni uomo, a cui Dio concede ricchezze e beni, ha anche facoltà di goderli e prendersene la sua parte, e di godere delle sue fatiche: anche questo è dono di Dio. Egli non penserà infatti molto ai giorni della sua vita, poiché Dio lo tiene occupato con la gioia del suo cuore» (Qo 5, 18-19). […Per] colui che si nutre delle sue sostanze nel turbinio delle sue preoccupazioni e dei suoi affanni e, con grave peso e tedio della vita, accumula cose destinate poi a perire… c'è solo un cumulo di fastidi. […]

Ma è meglio, secondo l'Apostolo, scorgere il bene da godere non tanto nel cibo e nella bevanda materiale, ma nel nutrimento dello spirito concesso da Dio. […] Deve ritenersi veramente saggio colui che, istruito nelle divine Scritture, ha tutta la sua fatica sulle sue labbra e la sua brama non è mai sazia (cfr. Qo 6, 7), dal momento che sempre desidera di imparare. In questo il savio si trova in condizione migliore dello stolto (cfr. Qo 6, 8), perché, sentendosi povero (quel povero che è proclamato beato dal vangelo), si affretta ad abbracciare ciò che riguarda la vera vita… ed è povero di opere malvage, e sa dove risiede Cristo, che è la vita.

 


Dalle «Omelie sull'Ecclesiaste» di san Gregorio di Nissa, vescovo

Se l'anima solleverà gli occhi verso il suo capo, che è Cristo, come dichiara Paolo, dovrà ritenersi felice per la potenziata acutezza della sua vista, perché terrà fissi gli occhi là dove non vi è l'oscurità del male.

Chi non pone la lucerna sul candelabro, ma sotto il letto, fa sì che per lui la luce divenga tenebra. Quanti si dilettano di realtà perenni e di valori autentici sono ritenuti sciocchi da chi non ha la vera sapienza. E` in questo senso che Paolo si diceva stolto per Cristo. Egli nella sua santità e sapienza non si occupava di nessuna di quelle vanità, da cui noi spesso siamo posseduti interamente. Dice infatti: Noi stolti a causa di Cristo (1 Cor 4, 10) come per dire: Noi siamo ciechi di fronte a tutte quelle cose che riguardano la caducità della vita, perché fissiamo l'occhio verso le cose di lassù. […]

Chi non lo avrebbe ritenuto un miserabile, vedendolo in catene, percosso o oltraggiato? Egli era un naufrago trascinato dai flutti in alto mare e portato da un luogo all'altro, incatenato. Però, benché apparisse tale agli uomini, non distolse mai i suoi occhi da Cristo, ma li tenne sempre rivolti al capo dicendo: «Chi ci separerà dalla carità che è in Cristo Gesù? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?«» (cfr. Rm 8, 35). Vale a dire: Chi mi strapperà gli occhi dalla testa? Chi mi costringerà a guardare ciò che è vile e spregevole?

Anche a noi comanda di fare altrettanto quando prescrive di gustare le cose di lassù (cfr. Col 3, 1-2) cioè di tenere gli occhi sul capo, vale a dire su Cristo.



Dai «Trattati sulla prima lettera di Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

L'intera vita del fervente cristiano è un santo desiderio. Ciò che poi desideri, ancora non lo vedi, ma vivendo di sante aspirazioni ti rendi capace di essere riempito quando arriverà il tempo della visione. Se tu devi riempire un recipiente e sai che sarà molto abbondante quanto ti verrà dato, cerchi di aumentare la capacità del sacco, dell'otre o di qualsiasi altro continente adottato. Ampliandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo si comporta Dio. Facendoci attendere, intensifica il nostro desiderio, col desiderio dilata l'animo e, dilatandolo, lo rende più capace. Cerchiamo, quindi, di vivere in un clima di desiderio perché dobbiamo essere riempiti. […]

La nostra vita è una ginnastica del desiderio. [...] Per essere riempiti bisogna prima svuotarsi. Tu devi essere riempito dal bene, e quindi devi liberarti dal male. Supponi che Dio voglia riempirti di miele? Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo. Bisogna pulirlo magari con fatica e impegno, se occorre, perché sia idoneo a ricevere qualche cosa. […] Protendiamoci verso di lui perché ci riempia quando verrà. «Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è » (1 Gv 3, 2).




Dal «Commento sui Proverbi» di san Procopio di Gaza, vescovo
"La Sapienza di Dio ci ha imbandito la tavola"

«La Sapienza si è costruita una casa» (Pro 9, 1). La potenza di Dio…si è preparata, come propria dimora, l'universo intero, nel quale abita con la sua forza creatrice. Questo universo, che è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, consta di natura visibile e invisibile.

«E vi ha intagliato le sue sette colonne» (Pro 9, 1). L'uomo fu formato dopo la creazione a somiglianza di Cristo, perché crescesse in lui e osservasse i suoi comandamenti. A lui Dio ha dato i sette carismi dello Spirito santo. […]

A coloro che abbisognano di sapienza dice: Venite, mangiate con me il pane e bevete il vino che ho versato per voi (cfr. Pro 9, 5). A coloro che sono privi delle opere della fede, anche se ricchi di dottrine elevate, dice: «Venite, mangiate il mio corpo, pane che vi nutre nella fortezza, bevete il mio sangue, vino che vi rallegra nella scienza e vi fa diventare Dio. Ho infatti unito il sangue alla divinità per la vostra salvezza» .



Dai «Discorsi contro gli Ariani» di sant’Atanasio, vescovo
"La conoscenza del Padre ci viene per mezzo della Sapienza creatrice e incarnata"

La Sapienza unigenita di Dio è creatrice e autrice di tutte le cose. […] Ora, perché le cose create non solo esistessero, ma esistessero ordinatamente, piacque a Dio di commisurare se stesso alle cose create…per imprimere in tutte e in ciascuna di esse una certa impronta e sembianza della sua immagine. […] Come infatti la nostra parola è immagine del Verbo, che è Figlio di Dio, così la sapienza in noi è fatta ad immagine del medesimo Verbo, che è la Sapienza stessa. […]

Ma «poiché nel disegno sapiente di Dio», come abbiamo spiegato, «il mondo con tutta la sua sapienza non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1 Cor 1, 21). Dio non ha più voluto essere conosciuto come nei tempi passati, attraverso l’immagine e l’ombra della sapienza. Volle che la stessa vera Sapienza assumesse la carne, si facesse uomo, e sopportasse la morte di croce, perché attraverso la fede, che in lei si fonda, tutti i credenti potessero di nuovo essere salvi.

La Sapienza di Dio manifestava se stessa e il Padre attraverso la propria immagine, impressa nelle cose create… In seguito, quella stessa Sapienza, che è il Verbo, si è fatta carne, come afferma san Giovanni. Distrutta la morte e liberato il genere umano, manifestò se stessa più chiaramente e, per mezzo suo, il Padre.




Dai «Commenti sul Diatessaron» di sant'Efrem, diacono
"La parola di Dio è sorgente inesauribile di vita"

Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole? È molto più ciò che ci sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono ad una fonte. La tua parola offre molti aspetti diversi, come numerose sono le prospettive di coloro che la studiano. Il Signore ha colorato la sua parola di bellezze svariate, perché coloro che la scrutano possano contemplare ciò che preferiscono. Ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla.

La sua parola è un albero di vita che, da ogni parte, ti porge dei frutti benedetti. Essa è come quella roccia aperta nel deserto, che divenne per ogni uomo da ogni parte, una bevanda spirituale. Essi mangiarono, dice l'Apostolo, un cibo spirituale e bevvero una bevanda spirituale (cfr. 1 Cor 10, 2).

Colui al quale tocca una di queste ricchezze non creda che non vi sia altro nella parola di Dio oltre ciò che egli ha trovato. Si renda conto piuttosto che egli non è stato capace di scoprirvi se non una sola cosa fra molte altre. […] Ciò che non hai potuto ricevere subito a causa della tua debolezza, ricevilo in altri momenti con la tua perseveranza. Non avere l'impudenza di voler prendere in un sol colpo ciò che non può essere prelevato se non a più riprese, e non allontanarti da ciò che potresti ricevere solo un po' alla volta.



Dalle «Omelie sulla Genesi» di Origene, sacerdote

Il sacrificio di Abramo

«Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme» (Gn 22, 6). Isacco che reca la legna per il proprio sacrificio è figura di Cristo che portò la sua croce, e tuttavia portare la legna per l'olocausto è ufficio del sacerdote. Così egli diventa vittima e sacerdote. […] Che cosa viene ora? «Disse Isacco a suo padre Abramo: Padre» (cfr. Gn 22, 7). […] «Ecco qui», disse, «il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio» (Gn 22, 7-8).

Mi commuove questa risposta di Abramo, così delicata e prudente. Non so che cosa egli prevedesse nella sua mente, poiché non parla al presente ma al futuro: «Dio provvederà l'agnello». Al figlio che chiedeva in presente dà la risposta in futuro; poiché lo stesso Signore avrebbe provveduto l'agnello nella persona di Cristo.

«Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: Abramo, Abramo. Rispose: Eccomi. L'angelo disse: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio» (Gn 22, 10-12). Confrontiamo queste parole con ciò che dice l'Apostolo riguardo a Dio: «Egli non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma lo ha dato alla morte per noi tutti» (Rm 8, 32). […] Abramo offrì a Dio il figlio mortale, che però non sarebbe morto allora, mentre Dio consegna alla morte per tutti noi il suo Figlio immortale. «Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio» (Gn 22, 13)… Isacco prefigurava il Cristo; ma anche l'ariete sembra che in qualche modo sia figura di Cristo […] come anche Giovanni diceva: «Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1, 29).



Dalle «Omelie» di un Autore spirituale del secolo quarto
"Siate ricolmi della pienezza di Cristo"

Beati coloro che sono stati ritenuti degni di diventare figli di Dio, di rinascere nello Spirito Santo e di possedere in sé Cristo che li illumina e dona loro una vita nuova. Essi sono guidati in diversi modi dallo Spirito, vengono invisibilmente accompagnati dalla grazia e ricevono grande pace nella loro anima.

Talvolta sono come immersi nella tristezza e nel pianto per il genere umano e, pregando incessantemente per tutti gli uomini, si sciolgono in lacrime in forza dell'ardente amore che nutrono verso l'umanità. Talvolta invece sono dallo Spirito Santo infiammati di tanta gioia e amore, che se fosse possibile porterebbero nel proprio cuore, senza distinzione alcuna, tutti, buoni e cattivi. Altra volta ancora, per la loro umiltà, si sentono al di sotto degli altri, stimandosi gli esseri più abietti e spregevoli. Talora sono tenuti dallo Spirito in un gaudio ineffabile. Qualche volta somigliano a un eroe che, rivestitosi di tutta l'armatura dello stesso re e uscito in battaglia, combatte da prode contro i nemici e li mette in fuga. L'uomo spirituale, infatti, prende le armi dello Spirito, si getta in combattimento contro i nemici, li abbatte e li calpesta.

Spesso la sua anima riposa in un mistico silenzio, nella tranquillità e nella pace, gode ogni delizia spirituale e perfetta armonia. Riceve doni speciali di intelligenza, di sapienza ineffabile e di imperscrutabile cognizione dello Spirito. E così la grazia lo istruisce su cose che né si possono spiegare con la lingua, né esprimere a parole. […]

La grazia viene infusa in modi diversi e in modi pure diversi guida l'anima, formandola secondo la divina volontà. […] Preghiamo il Signore e preghiamolo con amore e grande fiducia perché ci doni la grazia celeste dello Spirito. 



Dal trattato «Contro le eresie» di sant’Ireneo, vescovo

Le primizie della risurrezione del Cristo

Il Figlio di Dio e nostro Signore è Verbo del Padre e Figlio dell’uomo, poiché fu generato come uomo da Maria, che apparteneva al genere umano ed era lei stessa creatura umana. Perciò fu lo stesso Signore a darci un segno nelle profondità della terra e nelle altezze del cielo, un segno che l’uomo non aveva richiesto, perché egli non aveva mai sperato che una vergine potesse diventare madre, partorendo un figlio pur restando vergine.

Mai si sarebbe potuto immaginare che questo figlio fosse «Dio con noi» (cfr. Is 7, 10-17) e discendesse nelle profondità della terra alla ricerca della pecora che s’era smarrita, e che era poi sua creatura. Nessuno avrebbe potuto pensare che risalendo in cielo per offrire e raccomandare al Padre l’uomo che era stato ritrovato, facesse di se stesso la primizia della risurrezione dell’uomo. Infatti come il capo è risuscitato dai morti, così risorgerà anche il resto del corpo, cioè ogni uomo che si troverà a vivere dopo aver compiuto il tempo della condanna che gli era toccata per la disobbedienza.

Generoso fu dunque Dio il quale, venendo meno l’uomo, previde quella vittoria che sarebbe stata ottenuta per mezzo del Verbo. Infatti poiché la potenza trionfava nella debolezza, il Verbo mostrava la bontà e la magnifica potenza di Dio.



Dai «Trattati sui salmi» di sant'Ilario di Poitiers, vescovo
"Tutti i credenti avevano un cuor solo e un'anima sola"

«Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!» (Sal 132, 1), perché quando vivono insieme, fraternamente, si riuniscono nell'assemblea della Chiesa, si sentono concordi nella carità e in un solo volere. Leggiamo che agli albori della predicazione apostolica questo grande precetto era molto sentito e praticato. Si dice infatti: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un'anima sola» (At 4, 32). In realtà ben si conviene al popolo di Dio sentirsi fratelli sotto un unico Padre, sentirsi una cosa sola in un medesimo Spirito, vivere concordi nella stessa casa ed essere membra vive di uno stesso corpo. […]

L'unguento che servì per la consacrazione sacerdotale di Aronne fu preparato con vari profumi. Dio si compiacque che questa consacrazione fosse fatta anzitutto per il suo sacerdote e che anche nostro Signore fosse invisibilmente unto «a preferenza dei suoi eguali» (Sal 44, 8). Questa unzione non è terrena. Non fu consacrato come si ungevano i re con il corno pieno di olio profumato, ma «con olio di letizia» (Sal 44, 8). […]

Orbene, come questo unguento, su chiunque venga infuso, scaccia dai cuori gli spiriti immondi, così mediante l'unzione della carità, noi emaniamo la concordia, cosa veramente soave a Dio, come afferma l'Apostolo: «Noi siamo il profumo di Cristo» (2 Cor 2, 15).



Dalle «Lettere» di san Giovanni Bosco
Imitare Gesù e lasciarsi guidare dall'amore

Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne ad ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l`aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da lui ad essere mansueti ed umili di cuore (Mt 11, 29).

Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in maniera che sembri soffocata del tutto. Non agitazione dell'animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l'avvenire, ed allora voi sarete i veri padri e farete una vera correzione.
In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall'altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita.

Ricordatevi che l'educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l'arte, e non ce ne mette in mano le chiavi.
Studiamoci di farci amare, di insinuare il sentimento del dovere del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori.



Dalla Costituzione pastorale «Gaudium et spes»: Santità del matrimonio e della famiglia

L'uomo e la donna, che per il patto di amore coniugale «non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19, 6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la raggiungono. [...]

L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dall'azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi, in maniera efficace, siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nella sublime missione di padre e madre.
Per questo motivo i coniugi cristiani sono corroborati e come consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo in forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dallo spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, e perciò insieme partecipano alla glorificazione di Dio.

Di conseguenza, prevenuti dall'esempio dei genitori e dalla preghiera in famiglia, i figli, ed anzi tutti quelli che convivono nell'ambito familiare, troveranno più facilmente la strada della formazione umana, della salvezza e della santità. Quanto agli sposi, insigniti della dignità e responsabilità di padre e madre, adempiranno diligentemente il dovere dell'educazione, soprattutto religiosa, che spetta prima di ogni altro a loro. I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori. Risponderanno, infatti, ai benefici ricevuti dai genitori con affetto riconoscente, con devozione e fiducia; e saranno loro vicini, come si conviene a figli, nelle avversità e nella solitudine della vecchiaia.












[Modificato da Caterina63 05/03/2014 15:40]
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  meditiamo integralmente il Discorso del Papa sulla Misericordia, cliccando qui..........





«Tutta l’Europa è nelle mani dei Barbari… e, malgrado tutto, i preti … cercano ancora per sé stessi e fanno sfoggio di nuovi e profani titoli di superbia!», questo diceva Papa Gregorio, uno dei Pontefici più grandi della Storia, che si è caricato di tutta la responsabilità a cui è tenuto un Vicario di Cristo.
Anche oggi, come ieri, tutta l’Europa è nelle mani dei Barbari, che distruggono le radici cristiane, che uccidono i bambini non ancora nati, che uccidono quelli sofferenti (non concependo più né la vita di croce, né la possibilità del miracolo), che divulgano proprio fra gli innocenti la demoniaca teoria del Gender con devastanti programmi scolastici. E il Papa dei nostri tragici giorni come potrebbe contrastare questi carnefici? Non certo con la «libertà di coscienza».

http://cristianesimocattolico.tumblr.com/post/79277106099/la-responsabilita-petrina-nelleta-del-gender


 





Il Demone dell'apostasia
Gli eretici antichi non avevano ancora immerso Dio e Cristo nella storia umana, confuso Dio immutabile e tre volte santo e il suo Figlio incarnato, Gesù Cristo, col mondo in fase di organizzazione e con l'umanità che, almeno in apparenza, s'impadronisce dei meccanismi della materia, della vita e della società. Simili aberrazioni dovevano sorgere dagli spiriti di falsi profeti moderni. Gli antichi eretici erano in rivolta contro la fede e la Chiesa su questo o quel punto della rivelazione, non erano apostati dalla fede e dalla Chiesa. Non avevano tentato di trasferire la Chiesa, di abbassarla, di immergerla in una sfera che non è quella della vita eterna, dei beni celesti e della loro preparazione sulla terra. Qualunque fosse la necessaria illuminazione e purificazione delle realtà terrene attraverso la luce e la grazia divine, gli antichi eretici erano lontanissimi dal pensare che l'oggetto proprio della fede e della Chiesa consistesse nelle realtà terrene e nella loro trasformazione. Essi peccavano dunque per eresia; ai giorni nostri è il demone dell'apostasia che avanza verso i fedeli con passi felpati, e un gran numero di essi ha incominciato a socchiudergli la porta della propria anima.

Padre R. Th. Calmel O.P. “Teologia della storia, cap.III”
fonte: www.cooperatoresveritatis.onweb.it/it






 

[Modificato da Caterina63 21/03/2014 17:16]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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26/03/2014 14:09
 
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Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo


La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. […] Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.


Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall'amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell'universo. […] Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.


Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l'Apostolo dice: «Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26b). […]
Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. […] Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza. 




Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo

Riconosci l'origine della tua esistenza, del respiro, dell'intelligenza, della sapienza e, ciò che più conta, della conoscenza di Dio, della speranza del Regno dei cieli, dell'onore che condividi con gli angeli, della contemplazione della gloria, ora certo come in uno specchio e in maniera confusa, ma a suo tempo in modo più pieno e più puro. Riconosci, inoltre, che sei divenuto figlio di Dio, coerede di Cristo […]. Donde e da chi vengono a te tante e tali prerogative? […] Chi ti fece dono di quelle caratteristiche tutte tue che ti assicurano la piena sovranità su qualsiasi essere vivente? Fu Dio. Ebbene, egli in cambio di tutto ciò che cosa ti chiede? L'amore. Richiede da te continuamente innanzitutto e soprattutto l'amore a lui e al prossimo.

L'amore verso gli altri egli lo esige al pari del primo. Saremo restii a offrire a Dio questo dono dopo i numerosi benefici da lui ricevuti e quelli da lui promessi? Oseremo essere così impudenti? Egli, che è Dio e Signore, si fa chiamare nostro Padre, e noi vorremmo rinnegare i nostri fratelli? 
Guardiamoci, cari amici, dal diventare cattivi amministratori di quanto ci è stato dato in dono. Meriteremmo allora l'ammonizione di Pietro: Vergognatevi, voi che trattenete le cose altrui, imitate piuttosto la bontà divina e così nessuno sarà povero.

Non affatichiamoci ad accumulare e a conservare ricchezze, mentre altri soffrono la fame […]. Operiamo secondo quella suprema e prima legge di Dio che fa scendere la pioggia tanto sui giusti che sui peccatori, fa sorgere il sole ugualmente per tutti […]. Egli… Proporzionò sapientemente il suo dono al fabbisogno di ciascun essere e manifestò a tutti il suo amore. 





Dalle «Dimostrazioni» di Afraate, vescovo

La legge e il patto hanno subito totali mutazioni. Infatti Dio mutò il primo patto con Adamo e ne impose un altro a Noè. Poi un altro ne stipulò con Abramo, aggiornato in seguito con quello che strinse con Mosè. Siccome però anche il patto mosaico non veniva osservato, egli fece un'alleanza nuova con l'ultima generazione […]. La vera circoncisione approvata da colui che ha dato quei patti, è quella di cui parla Geremia quando dice: «Circoncidete il vostro cuore» (Ger 4, 4). […]

Dio, nelle diverse generazioni, stabilì delle leggi, che furono valide fino a che gli piacque, e poi andarono in disuso come dice l'Apostolo: In passato il regno di Dio assunse forme diverse nei diversi tempi. Tuttavia il nostro Dio è veritiero, e i suoi precetti sono fermissimi: e qualunque patto, nel suo tempo, fu mantenuto fermo e vero, e coloro che sono circoncisi nel cuore hanno la vita per la nuova circoncisione che si opera nel Giordano cioè nel battesimo ricevuto per la remissione dei peccati. Giosuè, figlio di Nun, fece circoncidere nuovamente il popolo con un coltello di pietra, quando col suo popolo passò il Giordano…[e] fece entrare il popolo nella terra promessa; Gesù nostro Signore, promise la terra della vita a tutti coloro che hanno passato il vero Giordano e hanno creduto e furono circoncisi nell'intimo del loro cuore.

Beati, quindi, coloro che furono circoncisi nell'intimo del cuore, e sono rinati dalle acque della seconda circoncisione. Essi riceveranno l'eredità con Abramo, capostipite fedele e padre di tutte le genti, perché la sua fede gli fu computata a giustizia.




Dallo «Specchio della carità» di sant'Aelredo, abate

Non c'è niente che ci spinga ad amare i nemici, cosa in cui consiste la perfezione dell'amore fraterno, quanto la dolce considerazione di quella ammirabile pazienza per cui Egli… sottopose il capo, che fa tremare i Principati e le Potestà, alle punte acuminate delle spine…[e] sopportò la croce, i chiodi, la lancia, il fiele e l'aceto. […]

Chi al sentire quella voce meravigliosa piena di dolcezza, piena di carità, piena di inalterabile pacatezza: «Padre, perdonali» non abbraccerebbe subito i suoi nemici con tutto l'affetto? «Padre», dice, «perdonali» (Lc 23, 34). Che cosa si poteva aggiungere di dolcezza, di carità ad una siffatta preghiera? Tuttavia egli aggiunse qualcosa. Gli sembrò poco pregare, volle anche scusare. «Padre, disse, perdonali, perché non sanno quello che fanno». E invero sono grandi peccatori, ma poveri conoscitori. Perciò: «Padre, perdonali». Lo crocifiggono, ma non sanno chi crocifiggono, perché «se l'avessero conosciuto, giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria» (1 Cor 2, 8); perciò «Padre, perdonali». Lo ritengono un trasgressore della legge, un presuntuoso che si fa Dio, lo stimano un seduttore del popolo. «Ma io ho nascosto da loro il mio volto, non riconobbero la mia maestà». Perciò: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». […]

Perché questo fuoco divino non intiepidisca di fronte alle ingiustizie, guardi sempre con gli occhi della mente la pazienza e la pacatezza del suo amato Signore e Salvatore.



Dai «Commenti sui salmi» di Sant'Agostino, vescovo

«Signore, a te ho gridato, accorri in mio aiuto» (Sal 140, 1). Questo lo possiamo dire tutti. Non lo dico io, bensì il Cristo totale. Ma fu detto da Cristo più specialmente in persona del corpo, perché mentre era quaggiù, pregò portando la nostra umanità, pregò il Padre in persona del corpo. Mentre infatti pregava, da tutto il suo corpo stillavano gocce di sangue… Che cosa significa questa effusione di sangue da tutto il corpo, se non la passione che tutta la Chiesa continua a sopportare nei suoi martiri? […]

«Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera» (Sal 140, 2). Ogni cristiano sa che questa espressione viene attribuita al capo stesso. Infatti sul finire della sera il Signore esalò in croce il suo spirito, che poi di nuovo avrebbe ripreso. Non lo esalò infatti contro la sua volontà. Però siamo stati raffigurati anche in questo caso. Qual parte di lui, infatti, pendeva dalla croce, se non ciò che aveva assunto da noi? […] Cristo…gridò con la voce della nostra stessa umanità: «Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21, 1).

Questo, dunque, è il sacrificio vespertino: la passione del Signore, la croce del Signore, l'offerta della vittima di salvezza, l'olocausto gradito a Dio. E nella sua risurrezione cambiò quel sacrificio vespertino in offerta mattutina. La preghiera, dunque, che si eleva incontaminata da un cuore fedele, sale come incenso dal santo altare.



Dai «Discorsi» di san Bernardino da Siena, sacerdote

Regola generale di tutte le grazie singolari partecipate a una creatura ragionevole è che quando la condiscendenza divina sceglie qualcuno per una grazia singolare o per uno stato sublime, concede alla persona così scelta tutti i carismi che le sono necessari per il suo ufficio. Naturalmente essi portano anche onore al prescelto. Ecco quanto si è avverato soprattutto nel grande san Giuseppe, padre putativo del Signore Gesù Cristo e vero sposo della regina del mondo e signora degli angeli. […]

Se poni san Giuseppe dinanzi a tutta la Chiesa di Cristo, egli è l'uomo eletto e singolare, per mezzo del quale e sotto il quale Cristo fu introdotto nel mondo in modo ordinato e onesto. Se dunque tutta la santa Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché fu stimata degna di ricevere Cristo per mezzo di lei, così in verità dopo di lei deve a Giuseppe una speciale riconoscenza e riverenza. Infatti egli segna la conclusione dell'Antico Testamento e in lui i grandi patriarchi e i profeti conseguono il frutto promesso. Invero egli solo poté godere della presenza fisica di colui che la divina condiscendenza aveva loro promesso.

Certamente Cristo non gli ha negato in cielo quella familiarità, quella riverenza e quell'altissima dignità che gli ha mostrato mentre viveva fra gli uomini, come figlio a suo padre, ma anzi l'ha portata al massimo della perfezione. […]

Ricòrdati dunque di noi, o beato Giuseppe, ed intercedi presso il tuo Figlio putativo con la tua potente preghiera; ma rendici anche propizia la beatissima Vergine tua sposa, che è Madre di colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli infiniti. Amen.





Dal Trattato «Contro le eresie» di Sant'Ireneo, vescovo

Mosè nel Deuteronomio dice al popolo: «Il Signore tuo Dio ha stabilito un'alleanza sull'Horeb. Il Signore non ha stabilito quest'alleanza con i vostri padri, ma con tutti voi» (Dt 5,2-3). 
Perché dunque non fece il patto con i loro padri? Perché «la legge non è fatta per l'uomo giusto» (1Tm 1,9). Ora i loro padri erano giusti, essi che avevano scritto nei loro cuori e nelle loro anime la virtù del decalogo, perché amavano Dio che li aveva creati e si astenevano da ogni ingiustizia contro il prossimo; perciò non fu necessario ammonirli con leggi correttive, dal momento che portavano in se stessi la giustizia della legge.

Ma quando questa giustizia e amore verso Dio caddero in dimenticanza anzi si estinsero del tutto in Egitto, Dio per la sua grande misericordia verso gli uomini manifestò se stesso facendo sentire la sua voce. […] Comandò l'amore verso Dio e suggerì la giustizia che si deve al prossimo perché l'uomo non fosse ingiusto e indegno di Dio. Così predisponeva, per mezzo del decalogo, l'uomo alla sua amicizia e alla concordia con il prossimo. Tutto questo giovava all'uomo stesso, senza che di nulla Dio avesse bisogno da parte dell'uomo. Queste cose poi rendevano ricco l'uomo perché gli davano quanto a lui mancava, cioè l'amicizia di Dio, ma a Dio non apportavano nulla, perché il Signore non aveva bisogno dell'amore dell'uomo.

L'uomo invece era privo della gloria di Dio, che non poteva acquistare in nessun modo se non per mezzo di quell'ossequio che a lui si deve. E per questo Mosè dice al popolo: «Scegli dunque la vita perché viva tu e la tua discendenza amando il Signore tuo Dio obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui; poiché è lui la tua vita e la tua longevità» (Dt 30,19.20).

Allo scopo di preparare l'uomo a questa vita il Signore proferì egli stesso le parole del decalogo per tutti indistintamente. Perciò rimasero presso di noi, dopo aver ricevuto sviluppo e arricchimento, non certo alterazioni e tagli, quando egli venne nella carne. Quanto ai precetti Limitati all'antico stato di servitù, essi furono prescritti a parte dal Signore al popolo per mezzo di Mosè in modo adatto alla loro istruzione e formazione. Lo dice Mosè stesso: «A me allora il Signore ordinò di insegnarvi leggi e norme» (Dt 4,5).

Per questo ciò che fu dato loro per quel tempo di schiavitù e in figura, fu abolito col nuovo patto di libertà. Quei precetti, invece, che sono insiti nella natura e convengono a uomini liberi sono comuni a tutti e furono sviluppati con il dono largo e generoso della conoscenza di Dio Padre, con la prerogativa dell'adozione a figli, con la concessione dell'amore perfetto e della sequela fedele al suo Verbo. 





Dalle «Omelie» di san Basilio Magno, vescovo

Il sapiente non si glori della sua sapienza, né il forte della sua forza, né il ricco delle sue ricchezze (cfr. Ger 9, 22-23). Ma allora qual è la vera gloria, e in che cosa è grande l'uomo? Dice la Scrittura: In questo si glori colui che si gloria: se conosce e capisce che io sono il Signore.

La grandezza dell'uomo, la sua gloria e la sua maestà consistono nel conoscere ciò che è veramente grande, nell'attaccarsi ad esso e nel chiedere la gloria dal Signore… Il perfetto e pieno gloriarsi in Dio, si verifica quando uno non si esalta per la sua giustizia, ma sa di essere destituito della vera giustizia e comprende di essere stato giustificato nella sola fede in Cristo. E proprio in questo si gloria Paolo, il quale disprezza la propria giustizia, e cerca quella che viene da Dio per mezzo di Gesù Cristo cioè la giustizia nella fede. Conosce lui e la potenza della sua risurrezione, partecipa alle sue sofferenze, è reso conforme alla morte di lui per arrivare in quanto possibile alla risurrezione dai morti.
Cade ogni alterigia e ogni superbia. Niente ti è rimasto su cui poterti gloriare, o uomo, poiché la tua gloria e la tua speranza sono situate in lui, perché sia mortificato tutto quello che è tuo e tu possa ricercare la vita futura in Cristo. Abbiamo già le primizie di quella vita, ci troviamo già in essa e viviamo ormai del tutto nella grazia e nel dono di Dio. Dio è lui «che suscita in noi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni» (Fil 2, 13). […]

Dio scampa dai pericoli al di là di ogni speranza umana. «Noi», dice, «abbiamo ricevuto su di noi la sentenza di morte, per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. Da quella morte egli ci ha liberati e ci libererà per la speranza che abbiamo riposto in lui che ci libererà ancora» (2 Cor 1, 10).




Dal «Libro ad Autolico» di san Teofilo di Antiochia, vescovo

Se dici: Fammi vedere il tuo Dio io ti dirò: Fammi vedere l'uomo che è in te, e io ti mostrerò il mio Dio. Fammi vedere quindi se gli occhi della tua anima vedono e le orecchie del tuo cuore ascoltano. Infatti quelli che vedono con gli occhi del corpo, percepiscono ciò che si svolge in questa vita terrena… Allo stesso modo si comportano anche gli orecchi del cuore e gli occhi dell'anima in ordine alla vista di Dio.

Dio, infatti, viene visto da coloro che lo possono vedere cioè da quelli che hanno gli occhi. Ma alcuni li hanno annebbiati e non vedono la luce del sole. Tuttavia per il fatto che i ciechi non vedono, non si può concludere che la luce del sole non brilla… Tu hai gli occhi della tua anima annebbiati per i tuoi peccati e le tue cattive azioni… Fa' vedere se per caso non sei operatore di cose indegne, ladro, calunniatore, iracondo, invidioso, superbo, avaro, arrogante con i tuoi genitori… Queste cose ti ottenebrano, come se le tue pupille avessero un diaframma che impedisse loro di fissarsi sul sole.

Ma se vuoi, puoi essere guarito. Affidati al medico ed egli opererà gli occhi della tua anima e del tuo cuore. Chi è questo medico? È Dio, il quale per mezzo del Verbo e della sapienza guarisce e dà la vita…Se capisci queste cose… e se vivi in purezza, santità e giustizia, puoi vedere Dio. Ma prima di tutto vadano innanzi nel tuo cuore la fede e il timore di Dio e allora comprenderai tutto questo. Quando avrai deposto la tua mortalità e ti sarai rivestito dell'immortalità, allora vedrai Dio secondo i tuoi meriti. Egli infatti fa risuscitare insieme con l'anima anche la tua carne, rendendola immortale e allora, se ora credi in lui, divenuto immortale, vedrai l'Immortale.








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/03/2014 14:28
 
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"La fede vedrà in Gesù Cristo l'inizio di un movimento nel quale l'umanità divisa viene gradualmente ricomposta nell'essere di un unico Adamo, in un "corpo"; quello dell'uomo che deve venire..."
(J.Ratzinger, Benedetto XVI: Introduzione al Cristianesimo)







                             

“Nel Nuovo Testamento la Croce appare primariamente come un movimento dall’alto in basso. Essa non è la prestazione propiziatrice che l’umanità o una assemblea offre al Dio sdegnato, bensì l’espressione di quel folle Amore di Dio, che si abbandona senza riserve all’umiliazione per redimere l’uomo; la Croce è il Suo modo di avvicinarsi a noi, non viceversa!”
(J.Ratzinger, Benedetto XVI: Introduzione al Cristianesimo)






 "Dicevo che romano - Giovanni Paolo II - si è sentito fino in fondo.
Fino al punto da guardare incantato Roma dalle finestre del Palazzo Apostolico, mai sazio di farla entrare negli occhi e nel cuore, questa sua città di elezione. Romano al punto di benedirla, ogni sera, quando — prima di andare a riposare — guardava dalla sua camera Roma tutta illuminata e sulla sua città tracciava il segno della croce. Fino al punto di tenere una cartina geografica di Roma sempre a portata di mano, e indicarvi le parrocchie già visitate e quelle ancora da visitare..."
(card. Stanislaw Dziwisz su l'Osservatore Romano 1 maggio 2011 in occasione della Beatificazione di Giovanni Paolo II)






Nel 1975 Tito Casini fece una vera profezia che si avverò grazie a Benedetto XVI che nel 2007 liberalizzò l'uso della Messa antica fino ad allora vietata o lasciata per indulto. Indulto che i Vescovi in massa si rifiutarono di concedere nonostante gli appelli a favore di Giovanni Paolo II. Nell'aerea Download del sito  http://www.cooperatoresveritatis.onweb.it/it/home potrete scaricare il libro integrale di Tito Casini 

Traduttore google:
In 1975, Tito Casini made a true prophecy that came true thanks to Benedict XVI in 2007 liberalized the use of the old Mass until then forbidden to leave or pardon. Pardon which the Bishops in mass refused to grant despite appeals in favor of John Paul II. Download Nell'aerea site you can download the complete book of Tito Casini


En 1975, Tito Casini hizo una verdadera profecía que se hizo realidad gracias a Benedicto XVI en 2007 liberalizó el uso de la antigua misa hasta entonces prohibido abandonar o indulto. Perdón que los Obispos en masa se negó a conceder a pesar de los llamamientos a favor de Juan Pablo II. Descarga Nell'aerea pagina puedes descargarte el libro completo de Tito Casini






«Chi si aggrappa al mondo, essendo per lui la terra l’unico cielo, rende la terra un inferno, poiché fa di essa ciò che non può essere. Egli vuole possedere in essa la realtà definitiva ed esprimere così una pretesa che lo pone contro se stesso, contro la Verità, contro gli altri. (...) In una antica omelia sulla notte pasquale attribuita ad Epifanio, che ora viene letta anche nella nostra liturgia, ascoltiamo: “Svegliati o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà!”. Io non ti ho certo creato perché tu rimanga per sempre in prigione. Io non ti ho fatto per la prigione!»
(J. Ratzinger-Benedetto XVI, “Guardare al Crocifisso”)

con google traduttore
"El que se aferra al mundo, siendo para él la tierra el único cielo, haciendo de la Tierra un infierno, porque es lo que no puede ser. Él quiere tener en la realidad última y expresar un reclamo que lo pone contra sí mismo, contra la verdad, contra los demás. (...) En una antigua homilía en la noche de Pascua atribuido a Epifanio, que ahora también se lee en la liturgia, escuchamos: "Despiértate, tú que duermes, y levántate de los muertos, y Cristo te alumbrará." No estoy seguro de que he creado, porque te quedas para siempre en la cárcel. No me he hecho a la cárcel! "
(J. Ratzinger-Benedicto XVI, "Mirando al Crucificado")

"Whoever clings to the world, being the land for him the only sky, making the earth a hell, because it is what can not be. He wants to have it in the ultimate reality and express a claim that puts him against himself, against the truth, against others. (...) In an ancient homily on Easter night attributed to Epiphanius, who now is also read in our liturgy, we hear: "Awake thou that sleepest, and arise from the dead, and Christ will shine on you." I'm not sure I've created because you remain forever in prison. I do not have I done to the prison! "
(J. Ratzinger-Benedict XVI, "Looking at the Crucified")






Dalle «Lettere» di san Massimo Confessore, abate 

Nulla è tanto caro a Dio e tanto conforme al suo amore quanto la conversione degli uomini mediante un sincero pentimento dei peccati. E proprio per ricondurre a sé gli uomini…il Verbo del Padre…si fece carne e … fece, patì e disse tutto quello che era necessario a riconciliare noi, nemici e avversari di Dio Padre. […]

Inoltre con molti esempi ci stimolò ad essere simili a lui nella comprensione, nella cortesia e nell'amore perfetto verso i fratelli. Per questo disse: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5, 32). E ancora: «Non sono i santi che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mt 9, 12)… Ricordiamo poi quello che dice in un'altra sua parabola: «Così vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito...» (Lc 15, 7). Il buon samaritano del vangelo curò con olio e vino e fasciò le ferite di colui che era incappato nei ladri ed era stato spogliato di tutto e abbandonato sanguinante e mezzo morto sulla strada. Lo pose sulla sua cavalcatura, lo portò all'albergo, pagò quanto occorreva e promise di provvedere al resto. Cristo è il buon samaritano dell'umanità. 

Dio è quel padre affettuoso, che accoglie il figliol prodigo, si china su di lui, è sensibile al suo pentimento, lo abbraccia, lo riveste di nuovo con gli ornamenti della sua paterna gloria e non gli rimprovera nulla di quanto ha commesso. Richiama all'ovile la pecorella che si era allontanata dalle cento pecore di Dio. Dopo averla trovata che vagava sui colli e sui monti, non la riconduce all'ovile a forza di spintoni e urla minacciose, ma se la pone sulle spalle e la restituisce incolume al resto del gregge con tenerezza e amore. 

Dice: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi darò riposo (cfr. Mt 11, 28). E ancora: «Prendete il mio giogo sopra di voi» (Mt 11, 29). Il giogo sono i comandamenti o la vita vissuta secondo i precetti evangelici. Riguardo al peso poi, forse pesante e molesto al penitente, soggiunge: «Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 30).






"Dio avrebbe potuto liberare l'uomo dal peccato e dalle sue nefaste conseguenze, la più terribile delle quali è la dannazione eterna, con un semplice condono, con un suo semplicissimo atto di perdono. Infatti sarebbe stata sufficiente la pura onnipotenza divina per redimere l'uomo. Dio avrebbe potuto benissimo perdonare l'uomo e riconciliarlo a sè senza pretendere alcuna soddisfazione, ma richiedendogli soltanto la conversione del cuore. Di fatto però, Dio ha scelto un altro modo per riconciliare a sè l'uomo: ha voluto la passione di Cristo... Giustificati per il Suo Sangue, saremo salvati per mezzo di Lui. In questo modo l'amore e la giustizia di Dio, la misericordia e la giusta riparazione del peccato trionfano insieme perchè Cristo trova la sua glorificazione nello stesso mistero della Pasqua..."
(Fr.Louis Chardon O.P. "Meditazioni sulla Passione di Gesù")







"Il Papa che vi visita, si aspetta da voi un generoso e nobile sforzo per conoscere sempre meglio la Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha voluto esser soprattutto un Concilio sulla Chiesa. Prendete nelle vostre mani i documenti conciliari, specialmente la Lumen Gentium, studiateli con amorosa attenzione, con spirito di preghiera, per scoprire ciò che lo Spirito ha voluto dire sulla Chiesa. Così potrete rendervi conto che non vi è – come alcuni pretendono – una “nuova chiesa”, diversa od opposta alla “vecchia chiesa”, bensì che il Concilio ha voluto rivelare con maggiore chiarezza l’unica Chiesa di Gesù Cristo, con aspetti nuovi, ma sempre la stessa nella sua essenza. 

Inoltre il Papa si attende da voi una leale accettazione della Chiesa. Non sarebbero fedeli in questo senso coloro che rimanessero troppo attaccati ad aspetti accidentali della Chiesa, validi nel passato ma oggi superati. Ma non sarebbero neppure fedeli coloro che, in nome di un profetismo poco illuminato, si gettassero all’avventurosa ed utopica costruzione di una Chiesa cosiddetta del futuro, disincarnata da quella presente. Dobbiamo rimaner fedeli alla Chiesa che, nata una volta per sempre dal disegno di Dio, dalla Croce, dal sepolcro aperto del Risorto e dalla grazia della Pentecoste, nasce di nuovo ogni giorno, non dal popolo o da altre categorie razionali, bensì dalle medesime fonti dalle quali nacque alla sua origine. Essa nasce oggi per costruire con tutte le genti un popolo desideroso di crescere nella fede, nella speranza, nell’amore fraterno. 

Il Papa da voi attende anche la piena coerenza della vostra vita con la vostra appartenenza alla Chiesa. Questa coerenza significa avere coscienza della propria identità di cattolici e di manifestarla, con totale rispetto, ma anche senza tentennamenti e timori. La Chiesa oggi ha bisogno di cristiani disposti a dare chiara testimonianza della propria condizione, e che assumano la propria parte nella missione della Chiesa nel mondo, come fermento di religiosità, di giustizia, di promozione della dignità dell’uomo, in tutti gli ambienti sociali, cercando di dare al mondo un supplemento di anima, perché risulti un mondo più umano e fraterno, dal quale si guardi verso Dio. 

Il Papa spera ugualmente che la vostra coerenza non sia effimera, ma costante e perseverante. Appartenere alla Chiesa, vivere nella Chiesa, essere Chiesa, è oggi qualcosa di molto esigente. Talvolta non costa tanto la persecuzione chiara e diretta, ma può costare molto il disprezzo, l’indifferenza, l’emarginazione. Inoltre è facile e frequente il pericolo della paura, della stanchezza, della insicurezza. Non lasciatevi vincere da queste tentazioni. 

Non permettete che per qualcuno di questi sentimenti debba venir meno il vigore e l’energia spirituale del vostro “essere Chiesa”, questa grazia che bisogna chiedere e che bisogna esser pronti a ricevere con grande povertà interiore, e che bisogna esser pronti a rivivere ogni giorno, e sempre con maggior fervore e con maggiore intensità".

B. Giovanni Paolo II, Omelia, Città del Messico, 26 gennaio 1979.








[Modificato da Caterina63 03/04/2014 15:26]
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"Anime umane, dove vi rifugerete nel giorno dell'ira del Signore?


Venite ora alla fonte della sua misericordia!"


(dal Diario di Santa suor Faustina Kowalska)









“Molti hanno paura di conoscere la verità dell’esistenza di un mondo migliore e più alto, hanno timore di elevarsi sul mondo della carne e non vogliono credere. Non è possibile insistere. Voglio pregare in pace e nascosta dal mondo per i miei peccati e per il bene dell’umanità... Se tu gusterai questo amore di Dio, nessun amor terreno ti tormenterà più, ti sentirai completamente sazio e l’altro amore ti sembrerà così misero e disgustoso al confronto di questo, che sarai tu stesso a diventare testimone dell’amore immenso di Dio..”
Beata Caterina Emmerick da “Le Visioni”
















“... (Gesù) sarà un re dei poveri, un povero tra i poveri e per i poveri. La povertà s'intende nel senso degli anawim d'Israele, di quelle anime credenti ed umili nella prospettiva della prima Beatitudine del Discorso della montagna. Uno può essere materialmente povero, ma avere il cuore pieno di bramosia... Proprio il fatto che egli vive nell'invidia e nella cupidigia... desidera di rovesciare la ripartizione dei beni, ma per arrivare ad essere lui stesso nella situazione dei ricchi di prima. La povertà nel senso di Gesù – nel senso dei profeti – presuppone soprattutto la libertà interiore dall'avidità di possesso e dalla smania di potere. Si tratta di una realtà più 
grande di una semplice ripartizione diversa dei beni, che resterebbe però nel campo materiale, rendendo anzi i cuori più duri. Si tratta innanzitutto della purificazione del cuore... La libertà interiore è il presupposto per il superamento della corruzione e dell'avidità che ormai devastano il mondo; tale libertà può essere trovata soltanto se Dio diventa la nostra ricchezza; può essere trovata soltanto nella pazienza delle rinunce quotidiane, nelle quali essa si sviluppa come libertà vera”. 
Benedetto XVI - Omelia Domenica delle Palme 2006







Oggi Giovedì Santo, giorno in cui ricordiamo e riviviamo l'Istituzione dell'Eucaristia e del Sacerdozio Ordinato, pensiamoci bene..... e ritorniamo a credere nella Presenza Reale di Gesù nell'Ostia Consacrata, tornando a riceverla, dignitosamente, alla bocca!

"La Comunione alla mano ha facilitato questo mercato che per un Ostia consacrata arrivano a pagare fino a 150 euro, bisogna rieducare alla Presenza reale e la devozione nel prendere l'Eucarestia alla bocca perchè dimostrano di avere più fede i satanisti in quest'Ostia e nella Presenza vera di Nostro Signore che odiano, che non i fedeli che lo trattano come un simbolo fino alla superstizione".
(padre Gabriele Amorth - Memorie di un esorcista)








[Modificato da Caterina63 17/04/2014 09:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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01/05/2014 10:29
 
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  Dai «Discorsi» di san Bernardino da Siena, sacerdote

Regola generale di tutte le grazie singolari partecipate a una creatura ragionevole è che quando la condiscendenza divina sceglie qualcuno per una grazia singolare o per uno stato sublime, concede alla persona così scelta tutti i carismi che le sono necessari per il suo ufficio. Naturalmente essi portano anche onore al prescelto. Ecco quanto si è avverato soprattutto nel grande san Giuseppe, padre putativo del Signore Gesù Cristo e vero sposo della regina del mondo e signora degli angeli. […]

Se poni san Giuseppe dinanzi a tutta la Chiesa di Cristo, egli è l'uomo eletto e singolare, per mezzo del quale e sotto il quale Cristo fu introdotto nel mondo in modo ordinato e onesto. Se dunque tutta la santa Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché fu stimata degna di ricevere Cristo per mezzo di lei, così in verità dopo di lei deve a Giuseppe una speciale riconoscenza e riverenza. Infatti egli segna la conclusione dell'Antico Testamento e in lui i grandi patriarchi e i profeti conseguono il frutto promesso. Invero egli solo poté godere della presenza fisica di colui che la divina condiscendenza aveva loro promesso.

Certamente Cristo non gli ha negato in cielo quella familiarità, quella riverenza e quell'altissima dignità che gli ha mostrato mentre viveva fra gli uomini, come figlio a suo padre, ma anzi l'ha portata al massimo della perfezione. […]

Ricòrdati dunque di noi, o beato Giuseppe, ed intercedi presso il tuo Figlio putativo con la tua potente preghiera; ma rendici anche propizia la beatissima Vergine tua sposa, che è Madre di colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli infiniti. Amen.





Dal Trattato «Contro le eresie» di Sant'Ireneo, vescovo

Mosè nel Deuteronomio dice al popolo: «Il Signore tuo Dio ha stabilito un'alleanza sull'Horeb. Il Signore non ha stabilito quest'alleanza con i vostri padri, ma con tutti voi» (Dt 5,2-3). 
Perché dunque non fece il patto con i loro padri? Perché «la legge non è fatta per l'uomo giusto» (1Tm 1,9). Ora i loro padri erano giusti, essi che avevano scritto nei loro cuori e nelle loro anime la virtù del decalogo, perché amavano Dio che li aveva creati e si astenevano da ogni ingiustizia contro il prossimo; perciò non fu necessario ammonirli con leggi correttive, dal momento che portavano in se stessi la giustizia della legge.

Ma quando questa giustizia e amore verso Dio caddero in dimenticanza anzi si estinsero del tutto in Egitto, Dio per la sua grande misericordia verso gli uomini manifestò se stesso facendo sentire la sua voce. […] Comandò l'amore verso Dio e suggerì la giustizia che si deve al prossimo perché l'uomo non fosse ingiusto e indegno di Dio. Così predisponeva, per mezzo del decalogo, l'uomo alla sua amicizia e alla concordia con il prossimo. Tutto questo giovava all'uomo stesso, senza che di nulla Dio avesse bisogno da parte dell'uomo. Queste cose poi rendevano ricco l'uomo perché gli davano quanto a lui mancava, cioè l'amicizia di Dio, ma a Dio non apportavano nulla, perché il Signore non aveva bisogno dell'amore dell'uomo.

L'uomo invece era privo della gloria di Dio, che non poteva acquistare in nessun modo se non per mezzo di quell'ossequio che a lui si deve. E per questo Mosè dice al popolo: «Scegli dunque la vita perché viva tu e la tua discendenza amando il Signore tuo Dio obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui; poiché è lui la tua vita e la tua longevità» (Dt 30,19.20).

Allo scopo di preparare l'uomo a questa vita il Signore proferì egli stesso le parole del decalogo per tutti indistintamente. Perciò rimasero presso di noi, dopo aver ricevuto sviluppo e arricchimento, non certo alterazioni e tagli, quando egli venne nella carne. Quanto ai precetti Limitati all'antico stato di servitù, essi furono prescritti a parte dal Signore al popolo per mezzo di Mosè in modo adatto alla loro istruzione e formazione. Lo dice Mosè stesso: «A me allora il Signore ordinò di insegnarvi leggi e norme» (Dt 4,5).

Per questo ciò che fu dato loro per quel tempo di schiavitù e in figura, fu abolito col nuovo patto di libertà. Quei precetti, invece, che sono insiti nella natura e convengono a uomini liberi sono comuni a tutti e furono sviluppati con il dono largo e generoso della conoscenza di Dio Padre, con la prerogativa dell'adozione a figli, con la concessione dell'amore perfetto e della sequela fedele al suo Verbo. 



Dalle «Omelie» di san Basilio Magno, vescovo

Il sapiente non si glori della sua sapienza, né il forte della sua forza, né il ricco delle sue ricchezze (cfr. Ger 9, 22-23). Ma allora qual è la vera gloria, e in che cosa è grande l'uomo? Dice la Scrittura: In questo si glori colui che si gloria: se conosce e capisce che io sono il Signore.

La grandezza dell'uomo, la sua gloria e la sua maestà consistono nel conoscere ciò che è veramente grande, nell'attaccarsi ad esso e nel chiedere la gloria dal Signore… Il perfetto e pieno gloriarsi in Dio, si verifica quando uno non si esalta per la sua giustizia, ma sa di essere destituito della vera giustizia e comprende di essere stato giustificato nella sola fede in Cristo. E proprio in questo si gloria Paolo, il quale disprezza la propria giustizia, e cerca quella che viene da Dio per mezzo di Gesù Cristo cioè la giustizia nella fede. Conosce lui e la potenza della sua risurrezione, partecipa alle sue sofferenze, è reso conforme alla morte di lui per arrivare in quanto possibile alla risurrezione dai morti.
Cade ogni alterigia e ogni superbia. Niente ti è rimasto su cui poterti gloriare, o uomo, poiché la tua gloria e la tua speranza sono situate in lui, perché sia mortificato tutto quello che è tuo e tu possa ricercare la vita futura in Cristo. Abbiamo già le primizie di quella vita, ci troviamo già in essa e viviamo ormai del tutto nella grazia e nel dono di Dio. Dio è lui «che suscita in noi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni» (Fil 2, 13). […]

Dio scampa dai pericoli al di là di ogni speranza umana. «Noi», dice, «abbiamo ricevuto su di noi la sentenza di morte, per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. Da quella morte egli ci ha liberati e ci libererà per la speranza che abbiamo riposto in lui che ci libererà ancora» (2 Cor 1, 10).



Dal «Libro ad Autolico» di san Teofilo di Antiochia, vescovo

Se dici: Fammi vedere il tuo Dio io ti dirò: Fammi vedere l'uomo che è in te, e io ti mostrerò il mio Dio. Fammi vedere quindi se gli occhi della tua anima vedono e le orecchie del tuo cuore ascoltano. Infatti quelli che vedono con gli occhi del corpo, percepiscono ciò che si svolge in questa vita terrena… Allo stesso modo si comportano anche gli orecchi del cuore e gli occhi dell'anima in ordine alla vista di Dio.

Dio, infatti, viene visto da coloro che lo possono vedere cioè da quelli che hanno gli occhi. Ma alcuni li hanno annebbiati e non vedono la luce del sole. Tuttavia per il fatto che i ciechi non vedono, non si può concludere che la luce del sole non brilla… Tu hai gli occhi della tua anima annebbiati per i tuoi peccati e le tue cattive azioni… Fa' vedere se per caso non sei operatore di cose indegne, ladro, calunniatore, iracondo, invidioso, superbo, avaro, arrogante con i tuoi genitori… Queste cose ti ottenebrano, come se le tue pupille avessero un diaframma che impedisse loro di fissarsi sul sole.

Ma se vuoi, puoi essere guarito. Affidati al medico ed egli opererà gli occhi della tua anima e del tuo cuore. Chi è questo medico? È Dio, il quale per mezzo del Verbo e della sapienza guarisce e dà la vita…Se capisci queste cose… e se vivi in purezza, santità e giustizia, puoi vedere Dio. Ma prima di tutto vadano innanzi nel tuo cuore la fede e il timore di Dio e allora comprenderai tutto questo. Quando avrai deposto la tua mortalità e ti sarai rivestito dell'immortalità, allora vedrai Dio secondo i tuoi meriti. Egli infatti fa risuscitare insieme con l'anima anche la tua carne, rendendola immortale e allora, se ora credi in lui, divenuto immortale, vedrai l'Immortale.




Dal «Commento al libro di Giobbe» di san Gregorio Magno, papa

Il beato Giobbe, essendo figura della santa Chiesa, a volte parla con la voce del corpo, a volte invece con la voce del capo. E mentre parla delle membra di lei, si eleva immediatamente alle parole del capo. Perciò anche qui si soggiunge: Questo soffro, eppure non c'è violenza nelle mie mani e pura è stata la mia preghiera (cfr. Gb 16, 17). Cristo infatti soffrì la passione e sopportò il tormento della croce per la nostra redenzione, sebbene non avesse commesso violenza con le sue mani, né peccato, e neppure vi fosse inganno sulla sua bocca. Egli solo fra tutti levò pura la sua preghiera a Dio, perché anche nello stesso strazio della passione pregò per i persecutori, dicendo: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34).

Che cosa si può dire, che cosa si può immaginare di più puro della propria misericordiosa intercessione in favore di coloro che ci fanno soffrire? Avvenne perciò che il sangue del nostro Redentore, versato con crudeltà dai persecutori, fu poi da loro assunto con fede e il Cristo fu da essi annunziato quale Figlio di Dio.

La terra non coprì il suo sangue, anche perché la santa Chiesa ha predicato ormai il mistero della sua redenzione in tutte le parti del mondo. È da notare, poi, quanto si soggiunge: «E non abbia sosta il mio grido». Lo stesso sangue della redenzione che viene assunto è il grido del nostro Redentore. Perciò anche Paolo parla del «sangue dell'aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele» (Eb 12, 24). Ora del sangue di Abele è stato detto: «La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo» (Gn 4, 10). Ma il sangue di Gesù è più eloquente di quello di Abele, perché il sangue di Abele domandava la morte del fratricida, mentre il sangue del Signore impetrò la vita ai persecutori.

Dobbiamo dunque imitare ciò che riceviamo e predicare agli altri ciò che veneriamo, perché il mistero della passione del Signore non sia vano per noi. Se la bocca non proclama quanto il cuore crede, anche il suo grido resta soffocato. Ma perché il suo grido non venga coperto in noi, è necessario che ciascuno, secondo le sue possibilità, dia testimonianza ai fratelli del mistero della sua nuova vita.



Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

Il Signore in maniera concisa ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12), e con queste parole comanda una cosa e ne promette un'altra. Cerchiamo, dunque, di eseguire ciò che comanda, perché altrimenti saremmo impudenti e sfacciati nell'esigere quanto ha promesso, senza dire che, nel giudizio, ci sentiremmo rinfacciare: Hai fatto ciò che ti ho comandato, per poter ora chiedere ciò che ti ho promesso? Che cosa, dunque, hai comandato, o Signore nostro Dio? Ti risponderà: Che tu mi segua. […]

O fratelli, ora i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Prima, infatti, mescolò la sua saliva con la terra, per ungere colui che era nato cieco. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da lui. Egli mescolò la saliva con la terra: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Mescolò la saliva con la terra, perché era già stato predetto: «La verità germoglierà dalla terra» (Sal 84, 12). […]

Se lo ami, seguilo. Tu dici: Lo amo, ma per quale via devo seguirlo? […]Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: «Io sono», disse, «la via»! La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita. […] Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via.

Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita; non ti vien detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina! […] Il Verbo di Dio ha guarito anche gli zoppi. Tu replichi: Sì, ho i piedi sani, ma non vedo la strada. Ebbene, sappi che egli ha illuminato perfino i ciechi.



Dalle «Lettere» di san Massimo Confessore, abate

Nulla è tanto caro a Dio e tanto conforme al suo amore quanto la conversione degli uomini mediante un sincero pentimento dei peccati. E proprio per ricondurre a sé gli uomini…il Verbo del Padre…si fece carne e … fece, patì e disse tutto quello che era necessario a riconciliare noi, nemici e avversari di Dio Padre. […]

Inoltre con molti esempi ci stimolò ad essere simili a lui nella comprensione, nella cortesia e nell'amore perfetto verso i fratelli. Per questo disse: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5, 32). E ancora: «Non sono i santi che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mt 9, 12)… Ricordiamo poi quello che dice in un'altra sua parabola: «Così vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito...» (Lc 15, 7). Il buon samaritano del vangelo curò con olio e vino e fasciò le ferite di colui che era incappato nei ladri ed era stato spogliato di tutto e abbandonato sanguinante e mezzo morto sulla strada. Lo pose sulla sua cavalcatura, lo portò all'albergo, pagò quanto occorreva e promise di provvedere al resto. Cristo è il buon samaritano dell'umanità.

Dio è quel padre affettuoso, che accoglie il figliol prodigo, si china su di lui, è sensibile al suo pentimento, lo abbraccia, lo riveste di nuovo con gli ornamenti della sua paterna gloria e non gli rimprovera nulla di quanto ha commesso. Richiama all'ovile la pecorella che si era allontanata dalle cento pecore di Dio. Dopo averla trovata che vagava sui colli e sui monti, non la riconduce all'ovile a forza di spintoni e urla minacciose, ma se la pone sulle spalle e la restituisce incolume al resto del gregge con tenerezza e amore.

Dice: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi darò riposo (cfr. Mt 11, 28). E ancora: «Prendete il mio giogo sopra di voi» (Mt 11, 29). Il giogo sono i comandamenti o la vita vissuta secondo i precetti evangelici. Riguardo al peso poi, forse pesante e molesto al penitente, soggiunge: «Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 30).



Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa

Il nostro intelletto, illuminato dallo Spirito di verità, deve accogliere con cuore libero e puro la gloria della Croce, che diffonde i suoi raggi sul cielo e sulla terra. Con l'occhio interiore deve scrutare il significato di ciò che disse nostro Signore, parlando dell'imminenza della sua passione: «E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo» (Gv 12, 23), e più avanti: Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il Figlio tuo (Gv 12, 27-28). Ed essendosi fatta sentire dal cielo la voce del Padre, che dichiarava: «L'ho glorificato, e di nuovo Lo glorificherò», rispondendo ai circostanti, Gesù disse: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 30-32). […]

La misericordia di Dio verso di noi è davvero meravigliosa proprio perché Cristo non è morto solo per i giusti e i santi, ma anche per i cattivi e per gli empi. E, poiché la sua natura divina non poteva essere soggetta al pungolo della morte, egli, nascendo da noi, ha assunto quanto potesse poi offrire per noi.

Un tempo infatti aveva minacciato la nostra morte con la potenza della sua morte dicendo per bocca del profeta Osea: «O morte, sarò la tua morte, o inferno, sarò il tuo sterminio» (Os 13, 14). Morendo, infatti, subì le leggi della tomba, ma, risorgendo, le infranse e troncò la legge perpetua della morte, tanto da renderla da eterna, temporanea. «Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1 Cor 15, 22).



Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo

Dio non poteva elargire agli uomini un dono più grande di questo: costituire loro capo lo stesso suo Verbo, per mezzo del quale creò l'universo. Ci unì a lui come membra, in modo che egli fosse Figlio di Dio e figlio dell'uomo, unico Dio con il Padre, un medesimo uomo con gli uomini.
Di conseguenza, quando rivolgiamo a Dio la nostra preghiera, non dobbiamo separare da lui il Figlio, e quando prega il corpo del Figlio, esso non deve considerarsi come staccato dal capo. In tal modo la stessa persona, cioè l'unico Salvatore del corpo, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, sarà colui che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio. […]

Colui che poco prima contemplava nella sua natura di Dio, ha assunto la natura di servo. È divenuto simile agli uomini, e «apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2, 7-8). Inoltre ha voluto far sue, mentre pendeva dalla croce, le parole del salmo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21, 1).

È pregato dunque per la sua natura divina, prega nella natura di servo. Troviamo là il creatore, qui colui che è creato. Lui immutato assume la creatura, che doveva essere mutata, e fa di noi con sé medesimo un solo uomo: capo e corpo. Perciò noi preghiamo lui, per mezzo di lui e in lui; diciamo con lui ed egli dice con noi.



Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo

Saremo partecipi della Pasqua, presentemente ancora in figura (certo già più chiara di quella dell'antica legge, immagine più oscura della realtà figurata), ma fra non molto ne godremo di una più trasparente e più vera, quando il Verbo festeggerà con noi la nuova Pasqua nel regno del Padre. Allora ci manifesterà e insegnerà quelle realtà che non ci mostra ora se non di riflesso. […]

Diveniamo partecipi della legge in maniera non puramente materiale, ma evangelica, in modo completo e non limitato e imperfetto, in forma duratura e non precaria e temporanea. Facciamo nostra capitale adottiva non la Gerusalemme terrena, ma la metropoli celeste, non quella che viene calpestata dagli eserciti, ma quella acclamata dagli angeli. Sacrifichiamo non giovenchi, né agnelli, con corna e unghie, che appartengono più alla morte che alla vita, mancando d'intelligenza. Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull'altare celeste insieme ai cori degli angeli. Superiamo il primo velo del tempio, accostiamoci al secondo e penetriamo nel «Santo dei santi». E più ancora, offriamo ogni giorno a Dio noi stessi e tutte le nostre attività… Con le nostre sofferenze imitiamo le sofferenze, cioè la passione di Cristo. Con il nostro sangue onoriamo il sangue di Cristo. Saliamo anche noi di buon animo sulla sua croce. Dolci sono infatti i suoi chiodi, benché duri.

Se sei Simone di Cirene prendi la croce e segui Cristo. Se sei il ladro e se sarai appeso alla croce, se cioè sarai punito, fai come il buon ladrone e riconosci onestamente Dio, che ti aspettava alla prova. Egli fu annoverato tra i malfattori per te e per il tuo peccato, e tu diventa giusto per lui. Adora colui che è stato crocifisso per te. Se vieni crocifisso per tua colpa, trai profitto dal tuo peccato. Compra con la morte la tua salvezza, entra con Gesù in paradiso e così capirai di quali beni ti eri privato. 



Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo

Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo… Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. E' disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù […]. Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà. […]

Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67, 34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana, innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3, 27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese.

Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell'anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele».



Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

Il Signore…ha definito la pienezza dell'amore con cui dobbiamo amarci gli uni gli altri con queste parole: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Ne consegue ciò che il medesimo evangelista Giovanni dice nella sua lettera: Cristo «ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli», (1 Gv 3, 16) amandoci davvero gli uni gli altri, come egli ci ha amato, fino a dare la sua vita per noi. […]

Non vogliamo dire con questo di poter essere pari a Cristo Signore, qualora giungessimo a rendergli testimonianza fino allo spargimento del sangue. Egli aveva il potere di dare la sua vita e di riprenderla, mentre noi non possiamo vivere finché vogliamo, e dobbiamo morire anche contro nostra voglia.

Egli, morendo, uccise subito in sé la morte, mentre noi veniamo liberati dalla morte solo mediante la sua morte. La sua carne non conobbe la corruzione, mentre la nostra, solo dopo aver subito la corruzione, rivestirà per mezzo di lui l'incorruttibilità alla fine del mondo. Egli non ebbe bisogno di noi per salvarci, ma noi, senza di lui, non possiamo far nulla. […]

In fine, anche se i fratelli arrivano a dare la vita per i fratelli, il sangue di un martire non viene sparso per la remissione dei peccati dei fratelli, cosa che invece egli ha fatto per noi. E con questo ci ha dato non un esempio da imitare, ma un dono di cui essergli grati.



Paolo VI, Enciclica "Mysterium Fidei" sulla Dottrina e il Culto della Santissima Eucaristia

La Chiesa Cattolica ha sempre religiosamente custodito come preziosissimo tesoro l'ineffabile mistero di fede che è il dono dell'Eucaristia, largitole da Cristo suo Sposo come pegno del suo immenso amore. […] Nel Mistero Eucaristico è rappresentato in modo mirabile il Sacrificio della Croce una volta per sempre consumato sul Calvario; vi si richiama perennemente alla memoria e ne viene applicata la virtù salutifera in remissione dei peccati che si commettono quotidianamente.

Nostro Signore Gesù Cristo istituendo il Mistero Eucaristico, ha sancito col suo sangue il nuovo Testamento di cui egli è Mediatore, come già Mosè aveva sancito il Vecchio col sangue dei vitelli. Difatti, come racconta l'Evangelista, nell'ultima Cena preso il pane, rese grazie e lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo dato per voi: fate questo in memoria di me. Similmente prese il calice, dopo la cena, dicendo: Questo è il calice del Nuovo Testamento nel mio sangue, sparso per voi. Ordinando agli Apostoli di far questo in sua memoria, volle perciò stesso che la cosa si rinnovasse in perpetuo. […]

[Cristo] è presente alla sua Chiesa che predica, essendo l'Evangelo che essa annunzia parola di Dio, che viene annunziata in nome e per autorità di Cristo Verbo di Dio incarnato. […] Inoltre in modo ancora più sublime Cristo è presente alla sua Chiesa che in suo nome celebra il Sacrificio della Messa e amministra i Sacramenti. […] Tale presenza…è sostanziale, e in forza di essa, infatti, Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente. […] Convertita la sostanza o natura del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, nulla rimane più del pane e del vino che le sole specie, sotto le quali Cristo tutto intero è presente nella sua fisica « realtà » anche corporalmente, sebbene non allo stesso modo con cui i corpi sono nel luogo. Per questo i Padri ebbero gran cura di avvertire i fedeli che nel considerare questo augustissimo Sacramento non si affidassero ai sensi, che rilevano le proprietà del pane e del vino, ma alle parole di Cristo, che hanno la forza di mutare, trasformare, «transelementare» il pane e il vino nel corpo e nel sangue di lui; invero, come spesso dicono i Padri, la virtù che opera questo prodigio è la medesima virtù di Dio onnipotente, che al principio del tempo ha creato dal nulla l'universo.

La Beatissima Vergine Maria, dalla quale Cristo Signore ha assunto quella carne che in questo Sacramento sotto le specie del pane e del vino « è contenuta, è offerta ed è mangiata »…interceda presso il Padre delle misericordie, affinché dalla comune fede e culto eucaristico scaturisca e vigoreggi la perfetta unità di comunione fra tutti i cristiani.







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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01/05/2014 10:37
 
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  Dalle «Catechesi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

Vuoi conoscere la forza del sangue di Cristo? Richiamiamone la figura, scorrendo le pagine dell'Antico Testamento. «Immolate, dice Mosè, un agnello di un anno e col suo sangue segnate le porte» (cfr. Es 12, 1-14). Cosa dici, Mosè? Quando mai il sangue di un agnello ha salvato l'uomo ragionevole? Certamente, sembra rispondere, non perché è sangue, ma perché è immagine del sangue del Signore. Molto più di allora il nemico passerà senza nuocere se vedrà sui battenti non il sangue dell'antico simbolo, ma quello della nuova realtà, vivo e splendente sulle labbra dei fedeli, sulla porta del tempio di Cristo.

Se vuoi comprendere ancor più profondamente la forza di questo sangue, considera da dove cominciò a scorrere e da quale sorgente scaturì. Fu versato sulla croce e sgorgò dal costato del Signore. A Gesù morto e ancora appeso alla croce, racconta il vangelo, s'avvicinò un soldato che gli aprì con un colpo di lancia il costato: ne uscì acqua e sangue. L'una simbolo del Battesimo, l'altro dell'Eucaristia. Il soldato aprì il costato: dischiuse il tempio sacro, dove ho scoperto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze.

Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo per mezzo del Battesimo e dell'Eucaristia. E i simboli del Battesimo e dell'Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva… Similmente come Dio formò la donna dal fianco di Adamo, così Cristo ci ha donato l'acqua e il sangue dal suo costato per formare la Chiesa. E come il fianco di Adamo fu toccato da Dio durante il sonno, così Cristo ci ha dato il sangue e l'acqua durante il sonno della sua morte.



Benedetto XVI, Veglia Pasquale nella Notte Santa, Sabato Santo, 7 aprile 2007

Nel Credo professiamo circa il cammino di Cristo: “Discese agli inferi”. Che cosa accadde allora? Poiché non conosciamo il mondo della morte, possiamo figurarci questo processo del superamento della morte solo mediante immagini che rimangono sempre poco adatte. Con tutta la loro insufficienza, tuttavia, esse ci aiutano a capire qualcosa del mistero. […] Il Figlio di Dio nell’incarnazione si è fatto una cosa sola con l’essere umano – con Adamo. Ma solo in quel momento, in cui compie l’atto estremo dell’amore discendendo nella notte della morte, Egli porta a compimento il cammino dell’incarnazione. Mediante il suo morire Egli prende per mano Adamo, tutti gli uomini in attesa e li porta alla luce.

Ora, tuttavia, si può domandare: Ma che cosa significa questa immagine? Quale novità è lì realmente accaduta per mezzo di Cristo? L’anima dell’uomo, appunto, è di per sé immortale fin dalla creazione – che cosa di nuovo ha portato Cristo? Sì, l’anima è immortale, perché l’uomo in modo singolare sta nella memoria e nell’amore di Dio, anche dopo la sua caduta. Ma la sua forza non basta per elevarsi verso Dio. Non abbiamo ali che potrebbero portarci fino a tale altezza. E tuttavia, nient’altro può appagare l’uomo eternamente, se non l’essere con Dio. Un’eternità senza questa unione con Dio sarebbe una condanna. L’uomo non riesce a giungere in alto, ma anela verso l’alto: “Dal profondo grido a te…” Solo il Cristo risorto può portarci su fino all’unione con Dio, fin dove le nostre forze non possono arrivare. Egli prende davvero la pecora smarrita sulle sue spalle e la porta a casa. 
Aggrappati al suo Corpo noi viviamo, e in comunione con il suo Corpo giungiamo fino al cuore di Dio. E solo così è vinta la morte, siamo liberi e la nostra vita è speranza.

È questo il giubilo della Veglia Pasquale: noi siamo liberi. Mediante la risurrezione di Gesù l’amore si è rivelato più forte della morte, più forte del male.



Dal «Proslogion» di sant'Anselmo, vescovo.

Anima mia, hai trovato quello che cercavi? Cercavi Dio e hai trovato che egli è qualcosa di sommo tra tutti, di cui non si può pensare nulla di meglio; che è la stessa vita, la luce, la sapienza, la bontà, l'eterna beatitudine e la beata eternità; che è dovunque e sempre. Signore Dio mio, che mi hai formato e rifatto, dì all'anima mia, che lo desidera, che cosa altro sei oltre a quello che ha visto, perchè veda chiaramente ciò che desidera. […]

Ti prego, o Dio, fa' che io ti conosca, ti ami per gioire di te. E se non posso pienamente in questa vita, che io avanzi almeno di giorno in giorno fino a quando giunga alla pienezza. Cresca qui la mia conoscenza di te e diventi piena nell'altra vita. Cresca il tuo amore e un giorno divenga perfetto, perchè la mia gioia sia grande qui nella speranza e completa mediante il possesso definitivo nel futuro.
Signore, per mezzo di tuo Figlio comandi, anzi consigli di chiedere, e prometti che otterremo perché la nostra gioia sia piena. […] Possa io ricevere ciò che prometti… Nel frattempo mediti la mia mente, ne parli la mia lingua. Ne abbia fame l'anima…fino a quando io non entri nella gioia del mio Signore.



Dai «Discorsi» di sant'Anastasio, vescovo di Antiochia

Osservando la verità dell'incarnazione, ne deduciamo i motivi per proclamare rettamente e giustamente…la passione e l'impassibilità [di Cristo]. Il motivo per cui il Verbo di Dio, impassibile in se stesso, sostenne la passione era che l'uomo non poteva essere salvato in altro modo. Egli lo sapeva bene e con lui anche coloro ai quali volle manifestarlo. Il Verbo, infatti, conosce tutto del Padre, come lo «Spirito ne scruta le profondità» (1 Cor 2, 10) cioè i misteri impenetrabili.

Era davvero necessario che Cristo soffrisse, e non poteva non farlo, come egli stesso affermò. […] Egli venne per la salvezza del suo popolo. Per lui si privò, in un certo senso, di quella gloria che possedeva presso il Padre prima che il mondo fosse. La salvezza era l'evento che doveva maturare attraverso la passione dell'autore della vita. Lo insegna san Paolo: Egli è l'autore della vita, reso perfetto mediante le sofferenze (cfr. Eb 2,10). La gloria di Unigenito, poi, che egli aveva abbandonato per noi, gli venne restituita per mezzo della croce, nella carne che aveva assunta. […] Perciò il Signore, mentre innalzava preghiere prima di subire la croce, supplicava il Padre di essere glorificato con quella gloria che aveva presso di lui, prima che il mondo esistesse.



Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme ai nuovi battezzati (IV sec.)

«Ricevendo il crisma (unzione dello Spirito Santo), il battezzato diventa “cristo” (unto con lo Spirito Santo)»

Battezzati in Cristo e rivestiti di Cristo, avete assunto una natura simile a quella del Figlio di Dio. Il Dio, che ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi, ci ha resi conformi al corpo glorioso di Cristo. Divenuti partecipi di Cristo, non indebitamente siete chiamati «cristi» cioè «consacrati», perciò di voi Dio ha detto: «Non toccate i miei consacrati» (Sal 104, 15). […] Tutto si è realizzato per voi in simbolo, dato che siete immagine di Cristo. Egli, battezzato nel fiume Giordano, dopo aver comunicato alle acque i fragranti effluvi della sua divinità, uscì da esse e su di lui avvenne la discesa del consustanziale Spirito Santo: l'Uguale si posò sull'Uguale.

Anche a voi, dopo che siete emersi dalle sacre acque, è stato dato il crisma, di cui era figura quello che unse il Cristo, cioè lo Spirito Santo. Di lui anche il grande Isaia, parlando in persona del Signore, dice nella profezia che lo riguarda: «Lo Spirito del Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri» (Is 61,1). Cristo non fu unto dagli uomini con olio o altro unguento materiale, ma il Padre lo ha unto di Spirito Santo, prestabilendolo salvatore di tutto il mondo […].Egli fu unto con spirituale olio di letizia, cioè con lo Spirito Santo, il quale è chiamato olio di letizia, perché è lui l'autore della spirituale letizia. Voi, invece, siete stati unti con il crisma, divenendo così partecipi di Cristo e solidali con lui.

Guardatevi bene dal ritenere questo crisma come un puro e ordinario unguento. Santo è quest'unguento e non più puro e semplice olio. Dopo la consacrazione non è più olio ordinario, ma dono di Cristo e dello Spirito Santo. È divenuto efficace per la presenza della sua divinità e viene spalmato sulla tua fronte e sugli organi dei sensi con valore sacramentale. Così mentre il corpo viene unto con l'unguento visibile, l'anima viene santificata dal santo e vivificante Spirito.



Festa della Divina Misericordia
Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Dives In Misericordia, 1980

La Chiesa deve professare e proclamare la misericordia divina in tutta la verità, quale ci è tramandata dalla rivelazione. […]

Nella vita quotidiana della Chiesa la verità circa la misericordia di Dio, espressa nella Bibbia, risuona quale eco perenne attraverso numerose letture della sacra liturgia. La percepisce l'autentico senso della fede del Popolo di Dio, come attestano varie espressioni della pietà personale e comunitaria. Sarebbe certamente difficile elencarle e riassumerle tutte, poiché la maggior parte di esse è vivamente iscritta nell'intimo dei cuori e delle coscienze umane. Se alcuni teologi affermano che la misericordia è il più grande fra gli attributi e le perfezioni di Dio, la Bibbia, la tradizione e tutta la vita di fede del Popolo di Dio ne forniscono peculiari testimonianze. Non si tratta qui della perfezione dell'inscrutabile essenza di Dio nel mistero della divinità stessa, ma della perfezione e dell'attributo per cui l'uomo, nell'intima verità della sua esistenza, s'incontra particolarmente da vicino e particolarmente spesso con il Dio vivo. Conformemente alle parole che Cristo rivolse a Filippo, «la visione del Padre» - visione di Dio mediante la fede - trova appunto nell'incontro con la sua misericordia un singolare momento di interiore semplicità e verità, simile a quella che riscontriamo nella parabola del figliol prodigo.

«Chi ha visto me, ha visto il Padre». La Chiesa professa la misericordia di Dio, la Chiesa ne vive nella sua ampia esperienza di fede ed anche nel suo insegnamento, contemplando costantemente Cristo, concentrandosi in lui, sulla sua vita e sul suo Vangelo, sulla sua croce e risurrezione, sull'intero suo mistero. Tutto ciò che forma la «visione» di Cristo nella viva fede e nell'insegnamento della Chiesa ci avvicina alla «visione del Padre» nella santità della sua misericordia.



Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo 
"La Chiesa è stata fondata sulla «Pietra» che fu oggetto della professione di fede di Pietro"

Cristo disse a Pietro: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 19). Con ciò Pietro assurse a simbolo di tutta la Chiesa, di quella Chiesa che in questo mondo è sconvolta da ogni genere di tribolazioni ed è come investita da piogge torrenziali, alluvioni, uragani e tuttavia non crolla mai perché è fondata su quella pietra da cui Pietro ricevette il suo nome. Perciò il Signore disse: «Su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Era la risposta alle affermazioni di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16).

Gesù dunque volle dire: Sulla pietra che fu oggetto della tua professione di fede, io edificherò la mia Chiesa. Quella pietra era Cristo (cfr. 1 Cor 10, 4). Sopra questo fondamento fu edificato anche Pietro. «Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (1 Cor 3, 11).

Dunque la Chiesa che è fondata in Cristo, ricevette da lui, nella persona di Pietro, le chiavi del regno dei cieli, cioè la potestà di sciogliere e legare i peccati e questa Chiesa ama e segue Cristo e per questo viene liberata dai mali. La Chiesa segue Cristo in modo speciale nella persona di coloro che lottano per la verità fino alla morte.
























Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[Modificato da Caterina63 19/05/2014 11:27]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo 
«Io sono la vite, voi i tralci»

Il Signore dice di se stesso di essere la vite… Coloro che gli sono uniti, ed in certo qual modo incorporati e innestati, li paragona ai tralci. Questi sono resi partecipi della sua stessa natura, mediante la comunicazione dello Spirito Santo. Infatti lo Spirito Santo di Cristo ci unisce a lui.

Noi ci siamo accostati a Cristo nella fede per una buona deliberazione della volontà, ma partecipiamo della sua natura per aver ottenuto da lui la dignità dell'adozione. Infatti, secondo san Paolo, «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1 Cor 6, 17). […]

Siamo poi conservati nell'essere, inseriti in qualche modo in lui, se ci atteniamo tenacemente ai santi comandamenti che ci furono dati, se mettiamo ogni cura nel conservare il grado di nobiltà ottenuto, e se non permettiamo che venga contristato lo Spirito che abita in noi, quello Spirito che ci rivela il senso dell'inabitazione divina. […]

Come la radice comunica ai tralci le qualità e la condizione della sua natura, così l'unigenito Verbo di Dio conferisce agli uomini, e soprattutto a quelli che gli sono uniti per mezzo della fede, il suo Spirito, concede loro ogni genere di santità, conferisce l'affinità e la parentela con la natura sua e del Padre, alimenta l'amore e procura la scienza di ogni virtù e bontà.




Dai «Discorsi» di sant'Atanasio, vescovo

Il Verbo di Dio, immateriale e privo di sostanza corruttibile, si stabilì tra noi, anche se prima non ne era lontano. Nessuna regione dell'universo infatti fu mai priva di lui, perché esistendo insieme col Padre suo, riempiva ogni realtà della sua presenza. […]

Egli stesso si costruì nella Vergine un tempio, cioè il corpo e, abitando in esso, ne fece un elemento per potersi rendere manifesto. Prese un corpo soggetto, come quello nostro, alla caducità e, nel suo immenso amore, lo offrì al Padre accettando la morte. Così annullò la legge della morte in tutti coloro che sarebbero morti in comunione con lui. Avvenne che la morte, colpendo lui, nel suo sforzo si esaurì completamente, perdendo ogni possibilità di nuocere ad altri. Gli uomini ricaduti nella mortalità furono resi da lui immortali e ricondotti dalla morte alla vita. Infatti in virtù del corpo che aveva assunto e della risurrezione che aveva conseguito distrusse la morte come fa il fuoco con una fogliolina secca. Egli dunque prese un corpo mortale perché questo, reso partecipe del Verbo sovrano, potesse soddisfare alla morte per tutti. Il corpo assunto, perché inabitato dal Verbo, divenne immortale e mediante la risurrezione, rimedio di immortalità per noi. […] La morte ormai non ha più nessuna efficacia sugli uomini per merito del Verbo…



Dal «Commento sulla prima lettera di Pietro» di san Beda Venerabile, sacerdote

«Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale» (1 Pt 2, 9). Questa testimonianza di lode una volta fu data all'antico popolo di Dio per mezzo di Mosè. Ora ben a ragione l'apostolo Pietro la dà ai pagani perché hanno creduto in Cristo, il quale come pietra angolare ha accolto le genti in quella salvezza che Israele aveva avuto per sé. […] Li chiama «sacerdozio regale» perché si ricordino di sperare un regno senza fine e di offrire sempre a Dio i sacrifici di una condotta senza macchia. […]

L'antica storia… deve essere compiuta anche in senso spirituale dal nuovo popolo di Dio… Come infatti coloro che da Mosè furono liberati dalla schiavitù egizia intonarono un canto trionfale al Signore, dopo il passaggio del Mar Rosso e l'annegamento dell'esercito del faraone, così bisogna che anche noi, dopo aver ricevuto la remissione dei peccati nel battesimo, ringraziamo degnamente per i benefici celesti. Infatti gli Egizi, che angariavano il popolo di Dio, e che significano anche «tenebre» e «tribolazione» simboleggiano bene i peccati che ci perseguitano, ma che sono stati distrutti nel battesimo.

Anche la liberazione dei figli di Israele e il loro arrivo alla terra da tempo promessa, ben si addice al mistero della nostra redenzione, per mezzo della quale aspiriamo alla luce della celeste dimora, sotto l'illuminazione e la guida della grazia di Cristo; la luce di questa grazia la dimostrò anche quella nube e colonna di fuoco che per tutto quel viaggio li difese dall'oscurità della notte e, attraverso un cammino pieno di indescrivibili peripezie, li condusse alla promessa patria definitiva.



Dalla «Prima Apologia a favore dei cristiani» di san Giustino, martire

Gesù ha detto: Se non rinascerete, non entrerete nel regno dei cieli (cfr. Mt 18, 3). Non si tratta, ovviamente, di rientrare nel grembo materno, perché la nascita di cui parliamo è spirituale.
Il profeta Isaia ha spiegato in quale modo si liberano dai peccati coloro che li hanno commessi e fanno penitenza: Lavatevi, purificatevi, togliete il male dalle vostre anime. Imparate a fare il bene, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova. Su, venite e discutiamo, dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, li renderò bianchi come la neve. Ma se non ascolterete, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato (cfr. Is 1, 16-20).

Questa dottrina l’abbiamo ricevuta dagli apostoli. Nella nostra prima nascita siamo stati messi al mondo dai genitori per istinto naturale e in modo inconscio. Ora non vogliamo restare figli della semplice natura e dell’ignoranza, ma di una scelta consapevole. Vogliamo ottenere nell’acqua salutare la remissione delle colpe commesse. Per questo su chi desidera di essere rigenerato e ha fatto penitenza dei peccati, si pronunzia il nome del Creatore e Signore Dio dell’universo. È questo solo nome che invochiamo su colui che viene condotto al lavacro per il battesimo.

Il lavacro si chiama illuminazione, perché coloro che imparano le verità ricordate sono illuminati nella loro mente. Colui che viene illuminato è anche lavato. È illuminato e lavato nel nome di Gesù Cristo crocifisso sotto Ponzio Pilato, è illuminato e lavato nel nome dello Spirito Santo, che ha preannunziato per mezzo dei profeti tutte le cose riguardanti Gesù.



Dai «Discorsi» di sant’Efrem, diacono

Il nostro Signore fu schiacciato dalla morte, ma a sua volta egli la calpestò come una strada battuta. […] Siccome la morte non poteva inghiottire il Verbo senza il corpo, né gli inferi accoglierlo senza la carne, egli nacque dalla Vergine, per poter scendere mediante il corpo al regno dei morti. […]

Fu ben potente il figlio del falegname, che portò la sua croce sopra gli inferi che ingoiavano tutto e trasferì il genere umano nella casa della vita. […] Gloria a te che della tua croce hai fatto un ponte sulla morte. Attraverso questo ponte le anime si possono trasferire dalla regione della morte a quella della vita. Gloria a te che ti sei rivestito del corpo dell’uomo mortale e lo hai trasformato in sorgente di vita per tutti i mortali. Tu ora certo vivi. Coloro che ti hanno ucciso hanno agito verso la tua vita come gli agricoltori. La seminarono come frumento nel solco profondo. Ma di là rifiorì e fece risorgere con sé tutti.

Venite, offriamo il nostro amore come sacrificio grande e universale, eleviamo cantici solenni e rivolgiamo preghiere a colui che offrì la sua croce in sacrificio a Dio, per rendere ricchi tutti noi del suo inestimabile tesoro.



Dal libro «Su lo Spirito Santo» di san Basilio Magno, vescovo

Il Signore, che governa la nostra vita, ha istituito per noi il patto del battesimo, espressione sia della morte che della vita. L'acqua dà l'immagine della morte, lo Spirito invece ci dà la garanzia della vita. Da ciò risulta evidente ciò che cercavamo, cioè per quale motivo l'acqua sia unita allo Spirito. 
Infatti nel battesimo sono due i fini che ci si propone di raggiungere, l'uno che venga eliminato il corpo del peccato, perché non abbia più a produrre frutti di morte, l'altro che si viva dello Spirito e si ottenga così il frutto nella santificazione.

L'acqua ci offre l'immagine della morte accogliendo il corpo come in un sepolcro. Lo Spirito, invece, immette una forza che vivifica, facendo passare le nostre anime dalla morte alla vita piena. Questo è il rinascere dall'acqua e dallo Spirito.

Mediante le tre immersioni e le altrettante invocazioni si compie il grande mistero del battesimo: da una parte, viene espressa l'immagine della morte e dall'altra l'anima di coloro che sono battezzati resta illuminata per mezzo dell'insegnamento della scienza divina. Però se nell'acqua vi è una grazia, questa non deriva di certo dalla natura dell'acqua in quanto tale, ma dalla presenza e dall'azione dello Spirito. Infatti il battesimo non è un'abluzione materiale, ma un titolo di salvezza presentato a Dio da una buona coscienza.

Perciò il Signore, nel prepararci a quella vita che viene dalla risurrezione, ci propone tutto un modo di vivere secondo il Vangelo… In tal modo ciò che nella vita futura si possiede per condizione connaturale alla nuova esistenza, lo anticipiamo già qui con le disposizioni della nostra anima. Già qui per mezzo dello Spirito Santo veniamo riammessi in paradiso.



Dai «Discorsi» di san Pietro Crisologo, vescovo
«Sii sacrificio e sacerdote di Dio»

Ascolta il Signore che chiede: vedete in me il vostro corpo… il vostro sangue. […] Non abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più profondamente in me l'amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio interno. […] Venite, dunque, ritornate. Sperimentate almeno la mia tenerezza paterna, che ricambia il male col bene, le ingiurie con l'amore, ferite tanto grandi con una carità così immensa.

Ma ascoltiamo adesso l'Apostolo: «Vi esorto», dice, «ad offrire i vostri corpi» (Rm 12, 1). L'Apostolo così vede tutti gli uomini innalzati alla dignità sacerdotale per offrire i propri corpi come sacrificio vivente. O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L'uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. L'uomo non cerca fuori di sé ciò che deve immolare a Dio, ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica a Dio per sé. […] «Vi esorto per la misericordia di Dio ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente». […] Davvero Cristo fece il suo corpo ostia viva perché, ucciso, esso vive. In questa vittima, dunque, è corrisposto alla morte il suo prezzo. Ma la vittima rimane, la vittima vive e la morte è punita. […]

Questo è quanto il profeta ha predetto: «Non hai voluto sacrificio né offerta, ma mi hai dato un corpo» (cfr. Sal 39, 7 volg.). Sii, o uomo, sii sacrificio e sacerdote di Dio… La croce permanga a difesa della tua fronte. Accosta al tuo petto il sacramento della scienza divina. Fa' salire sempre l'incenso della preghiera come odore soave. Afferra la spada dello spirito, fa' del tuo cuore un altare, e così presenta con ferma fiducia il tuo corpo quale vittima a Dio. Dio cerca la fede, non la morte. Ha sete della tua preghiera, non del tuo sangue. Viene placato dalla volontà, non dalla morte.



Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
«Il comandamento nuovo»

Il Signore Gesù afferma che dà un nuovo comandamento ai suoi discepoli, cioè che si amino reciprocamente: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34).

Ma questo comandamento non esisteva già nell'antica legge del Signore, che prescrive: «Amerai il tuo prossimo come te stesso»? (Lv 19, 18). Perché allora il Signore dice nuovo un comandamento che sembra essere tanto antico? È forse un comandamento nuovo perché ci spoglia dell'uomo vecchio per rivestirci del nuovo? Certo. Rende nuovo chi gli dà ascolto o meglio chi gli si mostra obbediente. Ma l'amore che rigenera non è quello puramente umano. È quello che il Signore contraddistingue e qualifica con le parole: «Come io vi ho amati» (Gv 13, 34).

Questo è l'amore che ci rinnova, perché diventiamo uomini nuovi, eredi della nuova alleanza, cantori di un nuovo cantico. Quest'amore, fratelli carissimi, ha rinnovato gli antichi giusti, i patriarchi e i profeti, come in seguito ha rinnovato gli apostoli. Quest'amore ora rinnova anche tutti i popoli, e di tutto il genere umano, sparso sulla terra, forma un popolo nuovo, corpo della nuova Sposa dell'unigenito Figlio di Dio. […]

A questo fine quindi ci ha amati, perché anche noi ci amiamo a vicenda. Ci amava e perciò ha voluto ci trovassimo legati di reciproco amore, perché fossimo il Corpo del supremo Capo e membra strette da un così dolce vincolo.



Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo 
«Io sono la vite, voi i tralci»

Il Signore dice di se stesso di essere la vite… Coloro che gli sono uniti, ed in certo qual modo incorporati e innestati, li paragona ai tralci. Questi sono resi partecipi della sua stessa natura, mediante la comunicazione dello Spirito Santo. Infatti lo Spirito Santo di Cristo ci unisce a lui.

Noi ci siamo accostati a Cristo nella fede per una buona deliberazione della volontà, ma partecipiamo della sua natura per aver ottenuto da lui la dignità dell'adozione. Infatti, secondo san Paolo, «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1 Cor 6, 17). […]

Siamo poi conservati nell'essere, inseriti in qualche modo in lui, se ci atteniamo tenacemente ai santi comandamenti che ci furono dati, se mettiamo ogni cura nel conservare il grado di nobiltà ottenuto, e se non permettiamo che venga contristato lo Spirito che abita in noi, quello Spirito che ci rivela il senso dell'inabitazione divina. […]

Come la radice comunica ai tralci le qualità e la condizione della sua natura, così l'unigenito Verbo di Dio conferisce agli uomini, e soprattutto a quelli che gli sono uniti per mezzo della fede, il suo Spirito, concede loro ogni genere di santità, conferisce l'affinità e la parentela con la natura sua e del Padre, alimenta l'amore e procura la scienza di ogni virtù e bontà.







[Modificato da Caterina63 20/05/2014 20:24]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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21/05/2014 10:35
 
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  Da «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, e Santo è il suo nome» a “l’utero è mio e lo gestisco io”; da un Magnificat di lode e gloria per la Vita, siamo giunti ad inno di morte e di violenza che canta e loda l’uccisione, legalizzata dagli Stati, dei concepiti… È la conseguenza di molte, troppe, parti del nuovo e moderno vangelo aggiornato .....
...... eppure sappiamo bene quante volte Nostro Signore ha specificato che “il mio regno non è di questo mondo”. Il vero credente è sotto psicoanalisi come il suo Maestro. Del resto non è solo una questione di scandalo, ma un Dio che si fa uomo per andare a morire sulla Croce, diciamocelo francamente come si ascolta dire in certi ambienti, non doveva avere tutte le rotelle a posto!

insomma, se ami una lettura humor, ma al tempo stesso educatrice e che sa aprirti la mente... leggi questo libro e leggi anche questa breve presentazione 

Grazie!


Se diventiamo lo zucchero della terra… Un libro contro la degenerazione del cattolicesimo


Posted on 21/05/2014 by Il Mastino

Compagno Gesù, mio psicanalista e liberatore politico… Si può sorridere delle derive teologiche moderne e contemporanee? Sì. Perché ridicolizzarle è un modo efficace per contrastarle. Far vedere, attraverso lo sberleffo, quanto si sono allontanate dal Vangelo e come ne hanno voluto “ammorbidire” la forza prorompente. Ester Maria Ledda, l’autrice del libroAggiornamento per tutto. Compresi i Vangeli, ha così ironicamente mostrato come le pagine evangeliche sono state “aggiornate” da teologie che poco mantengono della forza originaria delle parole di Gesù. Che hanno incendiato il mondo, quando sono state pronunciate. Che rischiano di non arrivare nemmeno ai prossimi cinquant’anni se continuano ad essere storpiate e annacquate come accade adesso.

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di Dorotea Lancellotti da papalepapale.com

Ha scritto Benedetto XVI: “Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive” [1]. Queste parole sono una premessa indispensabile per riflettere, fruttuosamente, sul libro scritto da “La Strega”, una dei nostri redattori, Ester Maria Ledda, come oramai l’amiamo ricordare. Il titolo è “Aggiornamento per tutto. Compresi i Vangeli”, Bonanno Editore (potete trovarlo nelle librerie oppure acquistarlo qui con un solo click). Personalmente non sono in grado di fare alcuna “presentazione” poiché sono carente di certi talenti, tuttavia dopo aver letto il libro non posso tirarmi indietro per offrire un supporto ulteriore ad un libro davvero utile.


E tutti finì con uno sberleffo

 

É lo sberleffo l’arma usata dalla nostra “Strega” per rispondere alle derive teologiche che hanno completamente dissolto l’originaria forza dei versetti evangelici. Lo “sberleffo” in questo caso diventa anche un fine humour nel tentativo di far capire, – con le buone – a queste persone che stravolgono il Vangelo, che alla fine della fiera la parola di Dio resta, mentre i loro stravolgimenti non sono altro che quella gramigna (cfr. Mt 13,24-30) che pur non potendo noi estirpare, possiamo tuttavia evidenziare, far emergere, far notare come quando giocando in un prato si cerca di fare attenzione a non imbattersi nell’ortica. Potremmo interpretare questo “sberleffo” in modo positivo, come quando i giardinieri che non vogliono usare insetticidi, usano dello stesso materiale organico in natura per uccidere, sempre in natura, gli elementi negativi che contaminano alberi da frutto, fiori ed altro.

Non si tratta dell’”occhio per occhio, dente per dente”, quanto piuttosto di mettere in funzione la ragione, il cervello, ed individuare quella rottura, quel “tagliare le radici di cui l’albero vive” sopra accennato, che da molti anni ha finito per dare origine davvero ad un vangelo alternativo. Del resto è sempre lo stesso Benedetto XVI che ebbe a denunciare l’esistenza di un magistero parallelo: “Occorre rifuggire da richiami pseudo-pastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive” [2].

 
L’utilità – a colpi di sorriso – del libro

 

Ritengo che lo sberleffo sia utile a comprendere lo stravolgimento che si è fatto in questi anni del Vangelo, un vangelo letto ed interpretato in modo soggettivo e dalla cui soggettività si è giunti a queste “pseudo-pastorali” che ci hanno letteralmente stesi, pastorali che hanno messo in orizzontale la ragione, privandoci dell’aspetto trascendentale (verticale) del contenuto dei Vangeli. Nella prefazione al libro leggiamo: «In questa nostra Chiesa alla deriva, alla ecclesiologia e alla certezza delle leggi codificate pare essersi sostituito l’arbitrio clericale più selvaggio» [3].

È anche importante capire che non è affatto facile, o scontato essere del tutto coscienti di questo: se fosse facile del resto non saremo arrivati a questa grave apostasia che aumenta ogni giorno all’interno della Chiesa. È necessario che fra di noi ci si aiuti a questa comprensione, ed è questo uno dei meriti di questo libro.

E non è forse proprio Pietro che mette in guardia i cristiani dalle false interpretazioni delle Scritture? Dice infatti: «In esse (nelle Lettere di Paolo v. 15) ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina. Voi dunque, carissimi, essendo stati preavvisati, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall’errore degli empi; ma crescete nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo» (2Pt 3,16-18).

Ma il vangelo non è giustizia sociale

 

Si intuisce nelle pagine del libro un evidente critica alla teologia della liberazione e a tutte quelle interpretazioni che hanno ridotto il messaggio evangelico alla sola giustizia sociale. Per comprendere bene la critica che il testo fa a queste “pseudo-pastorali” e dunque alla nouvelle theologie è importante leggere il famoso documento firmato dall’allora Prefetto della CdF sui rischi derivanti da queste teologie moderniste: «L’espressione “teologia della liberazione” designa innanzi tutto una preoccupazione privilegiata, generatrice di impegno per la giustizia, rivolta ai poveri e alle vittime dell’oppressione. Partendo da questo approccio, si possono distinguere parecchie maniere, spesso inconciliabili, di concepire il significato cristiano della povertà e il tipo d’impegno per la giustizia che esso comporta. Come ogni movimento di idee, “le teologie della liberazione” presentano posizioni teologiche diverse; le loro frontiere dottrinali non sono ben definite» [4].

Il punto è che il Vangelo in sé non è uno statuto per la rivoluzione o per una rivoluzione sociale, non per nulla significa “buona novella” e non “nouvelle theologie”. Il Vangelo non è per una “giustizia sociale” tanto è vero che Gesù nelle Beatitudini specifica: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,3-12), e bene scrive l’Autrice a pag. 25 del libro, per la versione aggiornata: “… benefattori dell’umanità (…) grande sarà la vostra ricompensa terrena”. Il Vangelo è sì un messaggio di libertà e una forza di liberazione, ma da che cosa? Perché un Dio si è fatto uomo? è venuto per salvarci; e da che cosa? Non certo dal Cesare di turno, ma dal peccato. La libertà e la liberazione di cui parla il Vangelo è dal peccato, da questa schiavitù dalla quale derivano tutti gli altri mali. L’ingiustizia sociale deriva da quanto maggiormente noi restiamo schiavi di questa realtà che oggi si vuole anch’essa aggiornare mitigandone la presenza, l’essenza e la dura conseguenza. Guai a parlare di “peccato” ed è ovvio che alla fine si finisce col trasferire la giusta lotta, la giusta battaglia, su fronti errati.

 

Lo rammenta bene San Paolo quando dice: “La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6,12). «Ma voi chi dite che io sia?» (Mt 16,15-20), chiede Gesù ai suoi. Pietro ha risposto con decisione, perché ispirato da Dio, e Gesù rivolge a noi, ad ogni generazione,  questa domanda che non è derogabile ad alcuno: ma per te chi sono io? La risposta non può venire dal basso, come per Pietro. Anche la nostra risposta deve essere ricevuta dall’alto.

Aggiornando i Vangeli a rivendicazioni sociali, è ovvio poi che si finisce anche per aggiornare l’immagine del Cristo ridotto ad un povero figlio dei fiori di sessantottina memoria, o ad un Jesus Christ Superstar, o allo sdolcinato Gesù di Zeffirelli, o all’altro Gesù Sociale di Pasolini e così via:«Ci si chiede da tempo se sia possibile fare un film sul Gesù degli Evangeli, senza sacrificarne la piena identità sugli altari dell’industria culturale e delle sue strategie di mercato. Il cinema e la televisione hanno presentato Gesù nei modi più diversi: classico o moderno, biblico o confessionale, ieratico o umano, cristologico o mariano, attinente alle fonti storiche o liberamente interpretato, accattivante o provocante, umile maestro o divo hollywoodiano, costumato o degenerato. L’impressione è che tutte queste chiavi di lettura del Gesù degli Evangeli abbiano a che fare poco e niente col mistero dell’Uomo-Dio e del Dio-Uomo. Questo mostra il grande limite di qualunque immagine rispetto alla parola» [5].

 
Gesù, il Maestro… della psicanalisi ante litteram

 

I passaggi più divertenti riguardano poi la riduzione psicoanalitica dei miracoli di Gesù. Oggi, più che mai, sembra ancora questa una delle chiavi usate dalla modernità per polverizzare la fede. Questo perché siamo sempre lì, alla vera identità del Cristo che è scandalo. Nel brano citato prima di Matteo, quando Pietro, ispirato dall’alto, esprime a parole chi fosse il Cristo – pur probabilmente non comprendendone il significato –  subito dopo rinnega quella professione quando comprende che il Cristo gli sta dicendo che dovrà morire. La reazione del Cristo è diretta e dura: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,21-23).

Ma cosa significa “pensare secondo gli uomini”? Ecco, il libro della nostra “Strega” lo fa capire molto bene, anzi, è tutto un comprendere come davvero questo Cristo dei Vangeli sia di scandalo al punto tale che è diventato necessario, nella Chiesa, aggiornare i vangeli, aggiornare l’identità del Cristo.

 

La frase, per me, più eloquente la trovo a pag. 24, riguardante Mt 5,8-7: il povero centurione che vuol bene al suo servo e supplica quel Messia al quale riconosce senza dubbio –col sensum fidei in embrione – il potere divino dei miracoli, la sua capacità di guarire. Nella versione originale sappiamo come va a finire, Gesù riconosce l’autentica fede del soldato e gli guarisce il servo. La versione aggiornata è davvero tipica del nostro tempo: chi crede più ai miracoli? Forse il popolo ancora ci crede, ma quanti sacerdoti davvero – oggi – credono nei miracoli?

Non posso non citare le pagine 45 e 46, riguardante Mc 10,46-52, cioè il famoso cieco di Gerico: diremo che la Strega ha fatto centro. La versione aggiornata è davvero quanto più spesso sentiamo oggi dalle cattedre e dai pulpiti modernisti nella Chiesa: “Compagno concedimi una visita infra moenia gratuita e guariscimi! Compagno, guariscimi!”. “La tua forza di volontà ti ha guarito e non ti farò neppure pagare il ticket”.

Sono testimone del fatto che, non di rado, ho sentito dire ai sacerdoti che i miracoli di Gesù sono “simbolici” e che in questo senso Gesù era un vero psicologo che “creava ad arte effetti placebo”, in altri casi i miracoli compiuti di Gesù non vanno accolti come tali, ma come materia di studio sulla psiche dell’uomo: credere al miracolo influisce benevolmente su di lui e lo predispone ad accogliere meglio la speranza contenuta nel Vangelo. Amenità simili che sono servite, e servono, per “aggiornare” la fede, risvegliarla in un mondo in cui, il soprannaturale piace rilegarlo esclusivamente al cinema, alla sfera della fantascienza o della fantareligione.  Sicuramente è in atto, in questo caso, il tentativo, se non di polverizzare, di cambiare la fede.

La fede non può essere cambiata

Il Credo. Ma a quante verità di fede lì contenute certi teologi credono oggi?

Credere in qualcosa o in qualcuno non solo è più forte dell’uomo, perché insito nella nostra natura, della quale l’unica certezza che abbiamo, perché la vediamo, è la morte, e questo senza dubbio fa paura, ma soprattutto abbiamo bisogno di riempire quel vuoto che si crea quando si ripudia il Dio vero. Ma il “vero Dio”, ahimè, ha voluto la Chiesa, ha voluto consegnare ad Essa l’interpretazione della Sua rivelazione, e questo l’uomo non lo accetta. Di conseguenza è proprio la fede della Chiesa ad essere attaccata, minacciata, perseguitata, modificata, cambiata, aggiornata…

Nel “Credo” aggiornato, a pag. 90, lo si esplicita chiaramente: “È venuto nel mondo e per il mondo, per renderlo un luogo migliore”, alzi la mano chi non ha mai sentito un sacerdote, un teologo, e persino un catechista dire una cosa del genere, eppure sappiamo bene quante volte Nostro Signore ha specificato che “il mio regno non è di questo mondo”. Il  vero credente è sotto psicoanalisi come il suo Maestro. Del resto non è solo una questione di scandalo, ma un Dio che si fa uomo per andare a morire sulla Croce, diciamocelo francamente come si ascolta dire in certi ambienti, non doveva avere tutte le rotelle a posto!

Emerge potente il Vangelo

Il Vangelo non chiede riduzioni. Così è per lo scandalo della croce.

Qual è la qualità più eccellente del libro? Riesce a far emergere, dirompente, la potenza della pagina evangelica se confrontata con la versione aggiornata. Man mano che lo leggevo, la versione autentica del Vangelo risaltava maggiormente confermandomi in quel sensum fidei che da duemila anni ci fa dire le solite cose. In fondo il compito di ogni battezzato non è quello di scrivere nuovi poemi, ma quello di “trasmettere il deposito della fede”.

Mentre scorrevo il libro mi risaltava in cuore il monito paolino: “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero” (2Tim 4,3-5).

«Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri» [6]

Risalta soprattutto che questo mendicare la verità, questo essere staffetta di generazione in generazione, che riceve il Depositum Fidei dalle mani delle generazioni precedenti per darlo a noi (e noi a chi verrà domani dopo di noi), ha subito senza alcun dubbio una rottura, una grave rottura col passato e che in qualche modo, oggi, deve rimpiazzare in qualche modo. Ecco allora un vangelo aggiornato che proprio essendo una falsità del nostro tempo, in questo tempo morirà, seppur facendo molte vittime, disseminando cadaveri, lasciando dietro di sé  morte.

La potenza del Vangelo autentico sta proprio nei suoi racconti, nei suoi fatti, nelle sue parole sempre uguali è vero, ma sempre nuove perché nuove sono le generazioni che devono imparare a conoscerlo e a metterlo in pratica. La vera modernità è Cristo stesso, è questa sua Parola che ci rende moderni.

Alla pag. 57 (Lc 6,46) c’è l’ennesimo aggiornamento che ci aiuta a capire ulteriormente: “Perché mi chiamate Signore, Signore, ma poi non fate ciò che dico?”, questa la versione corrente. La versione aggiornata dice: “Capisco che è difficile fare ciò che vi dico, quasi impossibile, per cui chiamatemi ‘Signore, Signore’ e questo sarà sufficiente”.


 E Maria è diventata una femminista?

 

Ma il libro mette in evidenza anche il contrasto tra il femminismo e il Magnificat, tra le rivendicazioni delle “uome” di oggi e Maria. Sull’argomento specifico possiamo andare a rileggerci tranquillamente le varie mariologie che abbiamo qui trattato nel sito [7] per comprendere questa avanzata modernista che spinge a una rilettura non solo dei Vangeli, ma anche degli Autori, dei Personaggi, dei Protagonisti.

Maria, per esempio, va bene, ma perché complicare la teologia con quel “Mater Dei” e non lasciare piuttosto un bel più protestante Maria Madre di Gesù, dell’uomo Gesù?

Per molti sembra una sciocchezza: in fondo dire che Maria è Madre di Gesù è corretto, ma dire Madre di Dio è più impegnativo perché si va a riconoscere che quel Figlio non è solo uomo. Con il vangelo aggiornato possiamo sentirci dire o predicare un Gesù “diversamente uomo”. Insomma, come si spiegava al punto sopra, siamo tutti da psicanalizzare: di conseguenza è meglio modificare anche l’immagine, l’identità di questa pia donna, farla scendere da quel piedistallo sul quale la patristica, la teologia, santi e dottori l’hanno legittimamente messa e via… A semplificare sempre di più non tanto Maria che era effettivamente una creatura umana, ma semplificare la sua identità di donna creata perfetta, senza macchia, tutta pura, titoli oggi disarmanti, quasi da fare invidia e perciò scomodi: perché a lei si e a me no? Non siamo tutti uguali davanti a Dio? Scrive bene nel Magnificat aggiornato la nostra Strega cacciatrice: «perché ha guardato all’emancipazione della sua serva».

Se nella versione tradizionale del Magnificat troviamo che Maria si magnifica nel Signore ed esulta in Dio suo liberatore, Salvatore del suo peccato e perciò davvero libera (Maria è stata resa immune, preservata dal peccato originale, così come riporta il dogma dell’Immacolata), e di conseguenza è grata a Dio per averla resa Madre di questo Redentore… va da se che nel vangelo aggiornato scaturisce un inno femminista, contrapposto, nel quale le donne esultano non più a Dio ma alla loro battaglia di liberazione, alla loro emancipazione.

 

Da  «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, e Santo è il suo nome» a “l’utero è mio e lo gestisco io”;da un Magnificat di lode e gloria per la Vita, siamo giunti ad inno di morte e di violenza che canta e loda l’uccisione, legalizzata dagli Stati, dei concepiti… È la conseguenza di molte, troppe, parti del nuovo e moderno vangelo aggiornato quale, per esempio, a pag. 73 su Gv6, 67-69: «Gli risposero i Dodici: “Compagno, sappiamo che tu sei il liberatore mandato da Dio, ma abbiamo capito che si può andare oltre di te perché chiunque fa ciò che ritiene giusto, viene liberato dall’oppressione morale”».

Così come la beatitudine cantata da santa Elisabetta quando Maria le fa visita, pag.53 Lc. 1,39-45 “e beata colei che riesce a conciliare la propria volontà  con quella di Dio” senza, ovviamente, rinunciare alla propria supremazia come risulta chiaro anche a pag. 34, coerentemente: “Padre mio, passi da me questo calice. Fa che la mia volontà diventi anche la tua”.

In fondo “aggiornare” i vangeli non è altro che fare tutto a rovescio di ciò che essi dicono e, chi fa tutto a rovescio lo sappiamo, i Santi lo chiamano la scimmia di Dio, è Satana.

 
Lasciamo perdere il padre della menzogna (e i suo figli)

 

Concludiamo con queste parole che  riteniamo utili per accostarsi in modo corretto al libro recensito: «Nella verità, la pace» — esprime la convinzione che, dove e quando l’uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace. (…) Ma quali significati intende richiamare l’espressione «verità della pace»? 
Per rispondere in modo adeguato a tale interrogativo, occorre tener ben presente che la pace non può essere ridotta a semplice assenza di conflitti armati, ma va compresa come «il frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore », un ordine « che deve essere attuato dagli uomini assetati di una giustizia sempre più perfetta. (…) 
E allora, chi e che cosa può impedire la realizzazione della pace? 
A questo proposito, la Sacra Scrittura mette in evidenza nel suo primo Libro, la Genesi, la menzogna, pronunciata all’inizio della storia dall’essere dalla lingua biforcuta, qualificato dall’evangelista Giovanni come « padre della menzogna» (Gv 8, 44). 
La menzogna è pure uno dei peccati che ricorda la Bibbia nell’ultimo capitolo del suo ultimo Libro, l’Apocalisse, per segnalare l’esclusione dalla Gerusalemme celeste dei menzogneri: «Fuori… chiunque ama e pratica la menzogna!» (22, 15). Alla menzogna è legato il dramma del peccato con le sue conseguenze perverse, che hanno causato e continuano a causare effetti devastanti nella vita degli individui e delle nazioni» [8].

 

NOTE

1) Benedetto XVI – Lettera ai Vescovi  10 marzo 2009

2) Discorso di Benedetto XVI alla Sacra Rota 29.1.2010

3) Aggiornamento per tutto compresi i Vangeli – pagina ufficiale FB

4) Libertatis Nuntio – Documento che chiarisce la falsità della TdL

5) da Nicola Martella, «Chi dice la gente che io sia?», Offensiva intorno a Gesù.

6) fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP – già Maestro dell’Ordine Domenicano

7) La Madonna di Don Tonino BelloIo Catharina la devota di Maria.

8) Nella verità, la pace – Messaggio per la Pace, Benedetto XVI 1.1.2006

Guarda il video promozionale del libro


 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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22/05/2014 17:54
 
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[Modificato da Caterina63 27/05/2014 11:25]
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Va tanto di moda prestarsi per propagande utili, sì, ma inutili per l'anima che vi proponiamo di condividere questa campagna 
















 

"Le questioni etiche e morali non sono monopolio della Chiesa, ma sono patrimonio comune di ogni civiltà che con queste progredisce.
Ogni uomo e donna deve farsi carico della legge naturale, difenderla da ogni aggressione, farla propria e viverla come stile di vita.
Cari giovani, non abbiate paura di difendere ciò che davvero vi rende grandi e liberi.
La Chiesa è con voi.
Il Papa è con voi.
Dio vi benedica..."
(Benedetto XVI)









[Modificato da Caterina63 05/06/2014 20:37]
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... Noi non ce l'abbiamo con le persone, ma come allora - e con Giovanni Paolo II - vogliamo alzare la voce per "gridare dai tetti la verità" contro questo inganno diabolico, perverso e pervertitore... NON dite "san Giovanni Paolo II" se poi non ascoltate i suoi numerosi appelli!!.















 



 

[Modificato da Caterina63 23/06/2014 08:49]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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   Dalle «Opere» di san Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa


«O prezioso e meraviglioso convito!»

L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, dèi.

Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull'altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati. Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino. 

O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! … per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l'Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.

L'Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell'Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini.




Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
«I giorni tra la risurrezione e l'ascensione del Signore»

Miei cari, i giorni intercorsi tra la risurrezione del Signore e la sua ascensione, non sono passati inutilmente, ma in essi sono stati confermati grandi misteri e sono state rivelate grandi verità.
Venne eliminato il timore di una morte crudele, e venne annunziata non solo l'immortalità dell'anima, ma anche quella del corpo. […]

Perciò, o miei cari, durante tutto questo tempo trascorso tra la risurrezione del Signore e la sua ascensione, la divina Provvidenza questo ha avuto di mira, questo ha comunicato, questo ha voluto insinuare negli occhi e nei cuori dei suoi: la ferma certezza che il Signore Gesù Cristo era veramente risuscitato, come realmente era nato, realmente aveva patito ed era realmente morto. 
Perciò i santi apostoli e tutti i discepoli che avevano trepidato per la tragedia della croce ed erano dubbiosi nel credere alla risurrezione, furono talmente rinfrancati dall'evidenza della verità, che, al momento in cui il Signore saliva nell'alto dei cieli, non solo non ne furono affatto rattristati, ma anzi furono ricolmi di grande gioia.

Ed avevano davvero un grande e ineffabile motivo di rallegrarsi. Essi infatti, insieme a quella folla fortunata, contemplavano la natura umana mentre saliva ad una dignità superiore a quella delle creature celesti. Essa oltrepassava le gerarchie angeliche, per essere innalzata al di sopra della sublimità degli arcangeli, senza incontrare a nessun livello per quanto alto, un limite alla sua ascesa. Infine, chiamata a prender posto presso l'eterno Padre, venne associata a lui nel trono della gloria, mentre era unita alla sua natura nella Persona del Figlio.



Dai Trattati su Giovanni di sant'Agostino, vescovo
«Le due vite»

La Chiesa conosce due vite che le sono state divinamente predicate ed affidate: una è nella fede l'altra nella visione; una nel tempo del pellegrinaggio, l'altra nell'eternità della dimora; una nella fatica, l'altra nel riposo; una lungo la via, l'altra nella patria; una nell'attività, l'altra nel premio della contemplazione. La prima vita è stata rappresentata dall'apostolo Pietro, la seconda da Giovanni. […] Perciò il Signore dice a Pietro: «Seguimi» (Gv 21, 19); mentre di Giovanni dice: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi» (Gv 21, 22).

Il significato della risposta di Gesù è il seguente: Tu seguimi nel tollerare i mali temporali. Lui rimanga in attesa fino a quando non ritornerò per concedere i beni eterni. O più chiaramente: Mi segua l'opera che, sul modello della mia passione, è già terminata. Rimanga in attesa, fino a quando non verrò a renderla totale, la contemplazione appena iniziata. Effettivamente chi accetta tutto santamente perseverando fino alla morte, segue Cristo. Invece la conoscenza di Cristo, prima di arrivare al suo culmine, deve attendere la sua venuta. […]

Ciò che il Signore dice: «Voglio che rimanga finché io venga» (Gv 21, 23), non significa fermarsi, arrestarsi, ma rimanere in attesa, perché la condizione significata da Giovanni non raggiungerà la sua pienezza adesso, bensì alla venuta di Cristo. Quello poi che è significato da Pietro, che ha ricevuto l'invito: «Tu seguimi» (Gv 21, 22), è qualcosa che va compiuto ora, altrimenti non si arriverà a ciò che si attende. Tuttavia nessuno osi dissociare questi due grandi apostoli. Tutti e due facevano ciò che significava Pietro. Tutti e due avrebbero conseguito quanto significava Giovanni. Sul piano del simbolo, Pietro seguiva, Giovanni restava in attesa. Sul piano della fede vissuta, tutti e due sopportavano le sofferenze presenti di questo misero mondo, tutti e due attendevano i beni futuri della beatitudine eterna.



Domenica 1 giugno, Solennità dell’Ascensione del Signore
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa: "L'Ascensione del Signore accresce la nostra fede"

Nella festa di Pasqua la risurrezione del Signore è stata per noi motivo di grande letizia. Così ora è causa di ineffabile gioia la sua ascensione al cielo. […] Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde. […]

Questa fede si accrebbe con l'ascensione del Signore e fu resa ancor più salda dal dono dello Spirito Santo. Non riuscirono ad eliminarla con il loro spavento né le catene, né il carcere, né l'esilio, né la fame o il fuoco, né i morsi delle fiere, né i supplizi più raffinati, escogitati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo hanno combattuto fino a versare il sangue, non solo uomini, ma anche donne; non solo fanciulli, ma anche tenere fanciulle. Questa fede ha messo in fuga i demoni, ha vinto le malattie, ha risuscitato i morti.

Gli stessi santi apostoli, nonostante la conferma di numerosi miracoli e benché istruiti da tanti discorsi, s'erano lasciati atterrire dalla tremenda passione del Signore ed avevano accolto, non senza esitazione, la realtà della sua risurrezione. Però dopo seppero trarre tanto vantaggio dall'ascensione del Signore, da mutare in letizia tutto ciò che prima aveva causato loro timore. La loro anima era tutta rivolta a contemplare la divinità del Cristo, assiso alla destra del Padre. Non erano più impediti, per la presenza visibile del suo corpo, dal fissare lo sguardo della mente nel Verbo, che, pur discendendo dal Padre, non l'aveva mai lasciato, e, pur risalendo al Padre, non si era allontanato dai discepoli.




Dalle «Omelie sull’Ecclesiaste» di san Gregorio di Nissa, vescovo
«Il saggio ha gli occhi in fronte»

Il grande apostolo Paolo, e altri grandi come lui, avevano «gli occhi in fronte» e così pure tutti coloro che vivono, che si muovono e sono in Cristo… Con l’espressione «occhi in fronte» intendiamo la mira puntata sul principio di tutto, su Cristo… e quindi sulla verità, sulla giustizia, sull’integrità; su ogni forma di bene. […]

Chi non pone la lucerna sul candelabro, ma sotto il letto, fa sì che per lui la luce divenga tenebra. Quanti si dilettano di realtà perenni e di valori autentici sono ritenuti sciocchi da chi non ha la vera sapienza. È in questo senso che Paolo si diceva stolto per Cristo. Egli nella sua santità e sapienza non si occupava di nessuna di quelle vanità, da cui noi spesso siamo posseduti interamente. Dice infatti: Noi stolti a causa di Cristo (1 Cor 4, 10) come per dire: Noi siamo ciechi di fronte a tutte quelle cose che riguardano la caducità della vita, perché fissiamo l’occhio verso le cose di lassù. Per questo egli era un senza tetto, non aveva una sua mensa, era povero, errabondo, nudo, provato dalla fame e dalla sete.

Chi non lo avrebbe ritenuto un miserabile, vedendolo in catene, percosso e oltraggiato? Egli era un naufrago trascinato dai flutti in alto mare e portato da un luogo all’altro, incatenato. Però, benché apparisse tale agli uomini, non distolse mai i suoi occhi da Cristo, ma li tenne sempre rivolti al capo dicendo: Chi ci separerà dalla carità che è in Cristo Gesù? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (cfr. Rm 8, 35). Vale a dire: Chi mi strapperà gli occhi dalla testa? Chi mi costringerà a guardare ciò che è vile e spregevole?
Anche a noi comanda di fare altrettanto quando prescrive di gustare le cose di lassù (cfr. Col 3, 1-2) cioè di tenere gli occhi sul capo, vale a dire su Cristo.



Dal «Trattato sulla Trinità» di sant'Ilario, vescovo
«Il Dono del Padre in Cristo»

Nell'ambito della Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, tutto è perfettissimo: l'immensità nell'eterno, la manifestazione nell'immagine, il godimento nel dono.

Ascoltiamo dalle parole dello stesso Signore quale sia il suo compito nei nostri confronti. Dice: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso» (Gv 16, 12). È bene per voi che io me ne vada, se me ne vado vi manderò il Consolatore (cfr. Gv 16, 7). Ancora: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità» (Gv 14, 16-17). «Egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio» (Gv 16, 13-14).

Insieme a tante altre promesse vi sono queste destinate ad aprire l'intelligenza delle alte cose. In queste parole vengono formulati sia la volontà del donatore, come pure la natura e il modo stesso del dono. Siccome la nostra limitatezza non ci permette di intendere né il Padre, né il Figlio, il dono dello Spirito Santo stabilisce un certo contatto tra noi e Dio, e così illumina la nostra fede nelle difficoltà relative all'incarnazione di Dio.

Lo si riceve dunque per conoscere. I sensi per il corpo umano sarebbero inutili se venissero meno i requisiti per il loro esercizio… Allo stesso modo l'anima dell'uomo, se non avrà attinto per mezzo della fede il dono dello Spirito Santo, ha sì la capacità di intendere Dio, ma le manca la luce per conoscerlo.



Dal trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo
«La missione dello Spirito Santo»

Il Signore concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: «Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 19).

È questo lo Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue serve... Perciò esso discese anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell'uomo, abituandosi con lui a dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature di Dio, operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall'uomo vecchio alla novità di Cristo.

Luca narra che questo Spirito, dopo l'ascensione del Signore, venne sui discepoli nella Pentecoste con la volontà e il potere di introdurre tutte le nazioni alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento. Sarebbero così diventate un mirabile coro per intonare l'inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformato il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio.

Perciò il Signore promise di mandare lui stesso il Paràclito per renderci graditi a Dio. Infatti come la farina non si amalgama in un'unica massa pastosa, né diventa un unico pane senza l'acqua, così neppure noi, moltitudine disunita, potevamo diventare un'unica Chiesa in Cristo Gesù senza l'«Acqua» che scende dal cielo. E come la terra arida se non riceve l'acqua non può dare frutti, così anche noi, semplice e nudo legno secco, non avremmo mai portato frutto di vita senza la «Pioggia» mandata liberamente dall'alto.

Il lavacro battesimale con l'azione dello Spirito Santo ci ha unificati tutti nell'anima e nel corpo in quell'unità che preserva dalla morte.



Dai «Trattati sul vangelo di Matteo» di san Cromazio, vescovo
«Voi siete la luce del mondo»

«Voi siete la luce del mondo. Non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5, 14-15).

Il Signore ha chiamato i suoi discepoli «sale della terra», perché hanno dato sapore, per mezzo della sapienza celeste, ai cuori degli uomini resi insipidi dal diavolo. Ora li chiama anche «luce del mondo» perché, illuminati da lui stesso che è la luce vera ed eterna, sono diventati, a loro volta, luce che splende nelle tenebre.

Anche noi siamo stati illuminati per mezzo di loro, così da trasformarci da tenebre in luce, come dice l’Apostolo: «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore: comportatevi come figli della luce» (Ef 5, 8). […] Se non faremo questo, noi nasconderemo e oscureremo con il velo della nostra infedeltà, a danno nostro e degli altri, quella luce che splende a utilità di tutti. Sappiamo infatti, e lo abbiamo anche letto, che quel servo, invece di portare in banca il talento ricevuto per guadagnarsi il cielo, aveva preferito nasconderlo, e così fu colpito da giusto castigo.

Quella lucerna spirituale, che è stata accesa perché ne usiamo a nostra salvezza, deve sempre risplendere in noi. Abbiamo a nostra disposizione la lucerna dei comandamenti di Dio e della grazia spirituale, di cui Davide dice: Il tuo comandamento è lucerna ai miei piedi e luce nei miei sentieri (cfr. Sal 118, 105). Di questa parla anche Salomone quando afferma: Il comando della legge è come una lucerna (cfr. Pro 6, 23). Non dobbiamo quindi tener nascosta questa lucerna della legge e della fede. Dobbiamo anzi tenerla alta nella Chiesa, come sopra un candelabro, affinché sia di salvezza a molti, perché noi stessi ci confortiamo alla luce della stessa verità e tutti i credenti ne siano illuminati.



Dai «Discorsi» di sant’Antonio di Padova, sacerdote
«La predica è efficace quando parlano le opere»

Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. «Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica». Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina.

Gli apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito Santo dava loro il potere di esprimersi» (At 2, 4). Beato dunque chi parla secondo il dettame di questo Spirito e non secondo l’inclinazione del suo animo. […]

Parliamo quindi secondo quanto ci è dato dallo Spirito Santo, e supplichiamolo umilmente che ci infonda la sua grazia per realizzare di nuovo il giorno di Pentecoste nella perfezione dei cinque sensi e nell’osservanza del decalogo. Preghiamolo che ci ricolmi di un potente spirito di contrizione e che accenda in noi le lingue di fuoco per la professione della fede, perché, ardenti e illuminati negli splendori dei santi, meritiamo di vedere Dio uno e trino.



Benedetto XVI, Angelus, Solennità della Santissima Trinità, Domenica, 7 giugno 2009
«Solennità della Santissima Trinità»

Quest’oggi contempliamo la Santissima Trinità così come ce l’ha fatta conoscere Gesù. Egli ci ha rivelato che Dio è amore “non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza” (Prefazio): è Creatore e Padre misericordioso; è Figlio Unigenito, eterna Sapienza incarnata, morto e risorto per noi; è finalmente Spirito Santo che tutto muove, cosmo e storia, verso la piena ricapitolazione finale. Tre Persone che sono un solo Dio perché il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno. Non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica. Lo possiamo in qualche misura intuire osservando sia il macro-universo: la nostra terra, i pianeti, le stelle, le galassie; sia il micro-universo: le cellule, gli atomi, le particelle elementari. In tutto ciò che esiste è in un certo senso impresso il “nome” della Santissima Trinità, perché tutto l’essere, fino alle ultime particelle, è essere in relazione, e così traspare il Dio-relazione, traspare ultimamente l’Amore creatore. Tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà.

La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in relazione per amare e viviamo per essere amati. Usando un’analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l’essere umano porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore.

La Vergine Maria, nella sua docile umiltà, si è fatta ancella dell’Amore divino: ha accolto la volontà del Padre e ha concepito il Figlio per opera dello Spirito Santo. In Lei l’Onnipotente si è costruito un tempio degno di Lui, e ne ha fatto il modello e l’immagine della Chiesa, mistero e casa di comunione per tutti gli uomini. Ci aiuti Maria, specchio della Trinità Santissima, a crescere nella fede nel mistero trinitario.



Benedetto XVI, Omelia, Santa Messa nella Solennità del Corpus Domini, 23 Giugno 2011
«Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo»

Sant’Agostino ci aiuta a comprendere la dinamica della comunione eucaristica quando fa riferimento ad una sorta di visione che ebbe, nella quale Gesù gli disse: “Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me” (Conf. VII, 10, 18). Mentre dunque il cibo corporale viene assimilato dal nostro organismo e contribuisce al suo sostentamento, nel caso dell’Eucaristia si tratta di un Pane differente: non siamo noi ad assimilarlo, ma esso ci assimila a sé, così che diventiamo conformi a Gesù Cristo, membra del suo corpo, una cosa sola con Lui.

Questo passaggio è decisivo. Infatti, proprio perché è Cristo che, nella comunione eucaristica, ci trasforma in Sé, la nostra individualità, in questo incontro, viene aperta, liberata dal suo egocentrismo e inserita nella Persona di Gesù, che a sua volta è immersa nella comunione trinitaria. Così l’Eucaristia, mentre ci unisce a Cristo, ci apre anche agli altri, ci rende membra gli uni degli altri: non siamo più divisi, ma una cosa sola in Lui. La comunione eucaristica mi unisce alla persona che ho accanto, e con la quale forse non ho nemmeno un buon rapporto, ma anche ai fratelli lontani, in ogni parte del mondo.

Non c’è nulla di magico nel Cristianesimo. Non ci sono scorciatoie, ma tutto passa attraverso la logica umile e paziente del chicco di grano che si spezza per dare vita, la logica della fede che sposta le montagne con la forza mite di Dio. Per questo Dio vuole continuare a rinnovare l’umanità, la storia ed il cosmo attraverso questa catena di trasformazioni, di cui l’Eucaristia è il sacramento.

Senza illusioni, senza utopie ideologiche, noi camminiamo per le strade del mondo, portando dentro di noi il Corpo del Signore, come la Vergine Maria nel mistero della Visitazione. Con l’umiltà di saperci semplici chicchi di grano, custodiamo la ferma certezza che l’amore di Dio, incarnato in Cristo, è più forte del male, della violenza e della morte. Sappiamo che Dio prepara per tutti gli uomini cieli nuovi e terra nuova, in cui regnano la pace e la giustizia – e nella fede intravediamo il mondo nuovo, che è la nostra vera patria.





[Modificato da Caterina63 14/07/2014 10:14]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Benedetto XVI, Omelia, Celebrazione dei Vespri della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, 19 giugno 2009

Nell'Antico Testamento si parla 26 volte del cuore di Dio, considerato come l'organo della sua volontà: rispetto al cuore di Dio l'uomo viene giudicato. [...]

C'è poi un passo veterotestamentario nel quale il tema del cuore di Dio si trova espresso in modo assolutamente chiaro: è nel capitolo 11 del libro del profeta Osea, dove i primi versetti descrivono la dimensione dell'amore con cui il Signore si è rivolto ad Israele all'alba della sua storia: "Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio" (v. 1). In verità, all'instancabile predilezione divina, Israele risponde con indifferenza e addirittura con ingratitudine. "Più li chiamavo - è costretto a constatare il Signore -, più si allontanavano da me" (v. 2). Tuttavia Egli mai abbandona Israele nelle mani dei nemici, perché "il mio cuore - osserva il Creatore dell'universo - si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione" (v. 8).

Il cuore di Dio freme di compassione! Nell'odierna solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, la Chiesa offre alla nostra contemplazione questo mistero, il mistero del cuore di un Dio che si commuove e riversa tutto il suo amore sull'umanità. Un amore misterioso, che nei testi del Nuovo Testamento ci viene rivelato come incommensurabile passione di Dio per l'uomo. Egli non si arrende dinanzi all'ingratitudine e nemmeno davanti al rifiuto del popolo che si è scelto; anzi, con infinita misericordia, invia nel mondo l'Unigenito suo Figlio perché prenda su di sé il destino dell'amore distrutto; perché, sconfiggendo il potere del male e della morte, possa restituire dignità di figli agli esseri umani resi schiavi dal peccato. Tutto questo a caro prezzo: il Figlio Unigenito del Padre si immola sulla croce: "Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" (cfr. Gv 13, 1). Simbolo di tale amore che va oltre la morte è il suo fianco squarciato da una lancia. A tale riguardo, il testimone oculare, l'apostolo Giovanni, afferma: "Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua" (cfr. Gv 19, 34). [...]

Essere in Cristo Gesù è già sedere nei cieli. Nel Cuore di Gesù è espresso il nucleo essenziale del cristianesimo; in Cristo ci è stata rivelata e donata tutta la novità rivoluzionaria del Vangelo: l'Amore che ci salva e ci fa vivere già nell'eternità di Dio.




Solennità dei SS. Pietro e Paolo. Dai «Discorsi» di Sant'Agostino: «Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato»

Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa. […]

Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l'incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l'intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l'intera Chiesa. […] Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l'incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l'unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.

Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell'amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell'amore ciò che avevi legato per timore. E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro. Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch'essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli. Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.




Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
«Se io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo»

Questo è il nostro vanto: la testimonianza della coscienza (cfr. 2 Cor 1, 12). Vi sono uomini avventati, detrattori, delatori, mormoratori, che cercano di congetturare quello che non vedono e si adoperano perfino a diffondere quello che neppure sono in grado di sospettare. Contro costoro che cosa resta, se non la testimonianza della nostra coscienza? Infatti, fratelli, neppure in quelli ai quali vogliamo piacere, noi pastori di anime, cerchiamo o dobbiamo cercare la nostra gloria, bensì mirare alla loro salvezza, in modo che, se ci comportiamo rettamente, essi non abbiano ad andare fuori strada nel tentativo di seguirci. Siano nostri imitatori, solo se almeno noi siamo imitatori di Cristo. Se invece non siamo imitatori di Cristo, lo siano almeno essi. […]

Cerchiamo dunque, fratelli, non soltanto di vivere bene, ma anche di comportarci bene davanti agli uomini. Non tendiamo solo ad avere una retta coscienza, ma per quanto lo comporta la nostra debolezza e lo consente la fragilità umana, sia anche nostro fermo impegno a non compiere nulla che possa destare un cattivo sospetto nel fratello debole. Mentre mangiamo buone erbe e beviamo acque limpide, non calpestiamo i pascoli di Dio, perché le pecore inferme non abbiano a mangiare ciò che è calpestato, e bere ciò che è stato intorbidato.




Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa
«Mio Signore e mio Dio»

«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù» (Gv 20, 24). […] Che cosa, fratelli, intravedere in tutto questo? Attribuite forse a un puro caso che quel discepolo scelto dal Signore sia stato assente, e venendo poi abbia udito il fatto, e udendo abbia dubitato, e dubitando abbia toccato, e toccando abbia creduto?

No, questo non avvenne a caso, ma per divina disposizione. La clemenza del Signore ha agito in modo meraviglioso, poiché quel discepolo, con i suoi dubbi, mentre nel suo maestro toccava le ferite del corpo, guariva in noi le ferite dell'incredulità. L'incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli. Mentre infatti quello viene ricondotto alla fede col toccare, la nostra mente viene consolidata nella fede con il superamento di ogni dubbio. Così il discepolo, che ha dubitato e toccato, è divenuto testimone della verità della risurrezione. Toccò ed esclamò: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto» (Gv 20, 28-29). […]

Ci reca grande gioia quello che segue: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20, 28). Con queste parole senza dubbio veniamo indicati specialmente noi, che crediamo in colui che non abbiamo veduto con i nostri sensi. Siamo stati designati noi, se però alla nostra fede facciamo seguire le opere. Crede infatti davvero colui che mette in pratica con la vita la verità in cui crede. Dice invece san Paolo di coloro che hanno la fede soltanto a parole: «Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti» (Tt 1, 16). E Giacomo scrive: «La fede senza le opere è morta» (Gc 2, 26).




Dal libro «Sulla predestinazione dei santi» di sant'Agostino, vescovo
«Gesù Cristo nato dalla stirpe di Davide secondo la carne»

Sia per noi ben chiaro che è nel nostro capo, Cristo, che si trova la sorgente della grazia, da cui essa si diffonde per tutte le sue membra, secondo la capacità di ciascuno. […]

Egli che doveva diventare figlio di Davide secondo la carne, è stato predestinato ad essere, nella potenza, Figlio di Dio secondo lo Spirito di santità. Ecco perché è nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. E questa è stata appunto l'impresa singolare dell'uomo, impresa compiuta ineffabilmente dal Dio Verbo, in modo che fosse davvero e propriamente chiamato al tempo stesso Figlio di Dio e Figlio dell'uomo: figlio dell'uomo per la natura umana assunta, Figlio di Dio perché chi l'assumeva era il Dio Unigenito; perché non si credesse ad una quaternità invece che alla Trinità.

Questa sublimazione così grande, eccelsa e somma della natura umana fu predestinata in modo che non potesse essere più alta. Così, d'altra parte, la divinità non poté abbassarsi di più per noi, che con l'assumere la natura umana insieme alla debolezza della carne fino alla morte di croce. Quindi come egli solo fu predestinato ad essere nostro capo, così siamo stati predestinati in molti ad essere sue membra. Perciò tacciano qui i meriti che sono andati perduti per colpa di Adamo… Chiunque avrà scoperto che la generazione singolare del nostro capo è dovuta ai suoi meriti precedenti, cerchi pure di scoprire in noi sue membra i precedenti meriti dello stesso capo, ai quali è dovuta la rigenerazione moltiplicata.



Dall'«Omelia per la canonizzazione dei beati martiri cinesi» di Giovanni Paolo II: «Il sangue dei martiri testimonia la fede cristiana»

«Consacrali nella verità. La tua parola è verità» (Gv 17,17). Questa invocazione, eco della preghiera sacerdotale che Cristo rivolse al Padre nell'Ultima Cena, sembra salire dalla schiera di santi e beati, che lo Spirito di Dio, di generazione in generazione, va suscitando nella sua Chiesa. A duemila anni dall'inizio della Redenzione, oggi facciamo nostre quelle parole, mentre abbiamo dinanzi, quali modelli di santità, Agostino Zhao Rong e i 119 compagni, martiri in Cina. Dio Padre li ha «consacrati nel suo amore», esaudendo la domanda del Figlio, che per acquistargli «un popolo santo ha steso le braccia sulla croce e morendo ha distrutto la morte e proclamato la risurrezione» (cfr Pregh. eucar. II, Prefazio).

La Chiesa è oggi grata al suo Signore, che la benedice e la inonda di luce con il fulgore della santità di questi figli e figlie della Cina. La giovinetta Anna Wang, quattordicenne, resiste alle minacce del carnefice che la invita ad apostatare e, disponendosi alla decapitazione, con il viso raggiante, dichiara: «La porta del Cielo è aperta a tutti» e mormora per tre volte «Gesù». […]

In questa schiera di Martiri risplendono anche 33 missionari e missionarie, che lasciarono la loro terra e cercarono di introdursi nella realtà cinese, assumendone con amore le caratteristiche, nel desiderio di annunciare Cristo e di servire quel popolo. Le loro tombe sono là, quasi a significare la loro definitiva appartenenza alla Cina, che essi, pur con i loro limiti umani, hanno sinceramente amato, spendendo per essa le loro energie. «Noi non abbiamo mai fatto del male a nessuno - risponde il vescovo Francesco Fogolla al governatore che si appresta a colpirlo con la propria spada. Al contrario, abbiamo fatto del bene a molti».



11 luglio – Festa di S. Benedetto, Patrono d’Europa
Dalla «Regola» di san Benedetto: «Non antepongano a Cristo assolutamente nulla»

Il Signore cerca nella moltitudine del popolo il suo operaio e dice: C'è qualcuno che desidera la vita e brama trascorrere giorni felici? (cfr. Sal 33, 13). Se tu all'udire queste parole rispondi: Io lo voglio! Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita, preserva la lingua dal male e le tue labbra non pronunzino menzogna: fuggi il male e fa' il bene: cerca la pace e seguila (cfr. Sal 33, 14-15). E se farete questo, i miei occhi saranno sopra di voi e le mie orecchie saranno attente alle vostre preghiere: prima ancora che mi invochiate dirò: Eccomi.

Che cosa vi è di più dolce, carissimi fratelli, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, poiché ci ama, ci mostra il cammino della vita. Perciò, cinti i fianchi di fede e della pratica di opere buone, con la guida del vangelo, inoltriamoci nelle sue vie, per meritare di vedere nel suo regno colui che ci ha chiamati. Ma se vogliamo abitare nei padiglioni del suo regno, persuadiamoci che non ci potremo arrivare, se non affrettandoci con le buone opere. […]

Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà tutti alla vita eterna.



Riflessione spirituale: «Catechesi dei riti pre-battesimali»
Inizio del trattato «Sui misteri» di sant'Ambrogio, vescovo

Ogni giorno abbiamo tenuto un discorso su temi morali mentre si leggevano o le gesta dei patriarchi o gli insegnamenti dei Proverbi, perché, modellati e ammaestrati da essi, vi abituaste a entrare nelle vie degli antichi, a percorrere la loro strada e a obbedire agli oracoli divini, cosicché rinnovati dal battesimo teneste quella condotta che si addice ai battezzati.

Ora è venuto il tempo di parlare dei misteri e di spiegare la natura dei sacramenti. Se lo avessi fatto prima del battesimo ai non iniziati, avrei piuttosto tradito che spiegato questa dottrina. C'è anche da aggiungere che la luce dei misteri riesce più penetrante se colpisce di sorpresa anziché arrivare dopo le prime avvisaglie di qualche sommaria trattazione previa.

Aprite dunque gli orecchi e gustate le armonie della vita eterna infuse in voi dal dono dei sacramenti. Ve lo abbiamo significato, quando celebrando il mistero dell'apertura degli orecchi vi dicevamo: «Effatà, cioè: Apriti!» (Mc 7, 34), perché ciascuno di voi, che stava per accostarsi alla grazia, capisse su che cosa sarebbe stato interrogato e si ricordasse che cosa dovesse rispondere. Cristo, nel vangelo, come leggiamo, ha celebrato questo mistero quando ha curato il sordomuto.

Successivamente ti è stato spalancato il Santo dei Santi, sei entrato nel sacrario della rigenerazione. Ricorda ciò che ti è stato domandato, rifletti su ciò che hai risposto. Hai rinunziato al diavolo e alle sue opere, al mondo, alla sua dissolutezza e ai suoi piaceri.

Entrato dunque per vedere il tuo avversario, al quale si suppone che tu abbia rinunziato con la bocca, ti volgi verso l'oriente: perché chi rinunzia al diavolo si rivolge verso Cristo, lo guarda diritto in faccia.



Memoria della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo

Giovanni Paolo II, Messaggio al Priore Generale dell’Ordine dei Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo in occasione del capitolo generale, 12 settembre 2001

Fin dai primi eremiti stabilitisi sul Monte Carmelo, che si erano recati pellegrini nella Terra del Signore Gesù, la vita è rappresentata come un'ascesi verso la santa montagna, che è Cristo Gesù nostro Signore. Orientano tale interiore pellegrinaggio due icone bibliche quanto mai care alla tradizione carmelitana: quella del profeta Elia e quella della Vergine Maria.

Il profeta Elia arde di zelo per il Signore (cfr 1 Re 19,10); si mette in viaggio verso il monte Oreb e, anche se stanco, continua a camminare fino al raggiungimento della meta. E' solo al termine del suo non facile itinerario che incontra il Signore nel mormorio di un vento leggero (cfr 1 Re 19,1-18). Guardando al suo esempio, i Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo comprendono più profondamente che solo chi si mantiene allenato ad ascoltare Dio e ad interpretare i segni dei tempi è in grado di incontrare il Signore e riconoscerlo negli eventi quotidiani. Iddio parla in tanti modi, persino attraverso realtà che possono talora sembrare insignificanti.

L'altra icona è quella della Vergine Maria, che voi venerate sotto il titolo di Sorella e Bellezza del Carmelo. La Madonna si mette in viaggio per andare a far visita ad un'anziana parente, sant'Elisabetta. Appena ha ricevuto l'annuncio dell'angelo (cfr Lc 1,26-38), parte generosamente, quasi correndo per i sentieri montuosi (cfr Ct 2,8; Is 52,7), avendo appreso che Elisabetta ha bisogno di aiuto. Nell'incontro con la cugina, dal suo spirito si sprigiona un canto di gioia: il Magnificat (cfr Lc 1,39-56). Canto di lode al Signore e testimonianza di umile disponibilità a servire i fratelli. Nel mistero della Visitazione ogni cristiano scorge il modello della sua vocazione. 




Dal trattato «Sui misteri» di sant'Ambrogio, vescovo
«Sull'Eucaristia ai neofiti»

E' mirabile che Dio abbia fatto piovere la manna per i padri e che si nutrissero con un alimento quotidiano disceso dal cielo. Per cui fu detto: «L'uomo mangiò il pane degli angeli» (Sal 77, 25). Ma quelli che mangiarono quel pane «morirono tutti» nel deserto; invece questo alimento che tu ricevi, questo «pane vivo disceso dal cielo» (Gv 6, 51) somministra il sostentamento della vita eterna, e chiunque ne avrà mangiato «non morirà in eterno» (Gv 11, 26) perché è il corpo di Cristo.
Ora fa' attenzione se sia più eccellente il pane degli angeli mangiato dagli Ebrei nel deserto o la carne di Cristo la quale è indubbiamente un corpo che dà la vita. Quella manna veniva dal cielo, questo corpo è al di sopra del cielo. Quella era del cielo, questo del Signore dei cieli. Quella, se si conservava per il giorno seguente, si guastava. Questo è alieno da ogni corruzione. Chiunque lo gusta con sacra riverenza non potrà soggiacere alla corruzione. Per gli Ebrei scaturì acqua dalla rupe, per te sangue del Cristo. L'acqua dissetò loro per un momento, te, invece, il sangue lava per sempre. Il giudeo beve e ha sete, tu quando avrai bevuto non potrai aver mai più sete. Quell'evento era figura, questo è verità.

Se quello che tu ammiri è ombra, quanto grande è la realtà presente di cui tu ammiri l'ombra! Senti come è ombra quello che si verificò presso i padri: «Bevevano», dice, «da una roccia che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo.




Dalla «Lettera ai cristiani di Magnesia» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
«Una sola preghiera, una sola speranza nella carità, nella gioia santa»

Non lasciatevi sedurre da false dottrine, né da vecchie favole che non giovano a nulla. Se viviamo ancora alla maniera dei Giudei, conformandoci alla legge, dimostriamo di non aver ricevuto la grazia, mentre già i profeti, ispirati da Dio, vissero secondo Gesù Cristo.

Quei santi uomini soffrirono anche persecuzioni, sostenuti dalla sua grazia, per convincere gli increduli che c'è un solo Dio e che egli si sarebbe manifestato per mezzo del Messia, cioè di Gesù Cristo suo Figlio che è il suo Verbo uscito dal silenzio. Questi piacque in ogni cosa a colui che l'aveva mandato.

Quelli che vissero nel vecchio ordine di cose hanno abbracciato la nuova speranza e non osservano più il sabato, ma celebrano il giorno del Signore, nel quale abbiamo cominciato a partecipare alla vita del Cristo e anche alla sua morte, mistero che alcuni negano, e che invece è sorgente della nostra fede e della pazienza con la quale noi soffriamo per essere trovati discepoli di Gesù Cristo, unico nostro maestro. Se così fanno quelli del vecchio ordine come potremmo vivere noi senza di lui, quando anche i profeti, suoi discepoli in ispirito, lo aspettavano come maestro? Per questo egli, da essi santamente atteso, venuto che fu, li risuscitò dai morti.alla sua passione, la sua vita non è in noi.







[Modificato da Caterina63 29/07/2014 20:54]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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31/07/2014 10:37
 
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il week-and per noi cattolici NON esiste..... la Domenica nostra Pasqua è il PRIMO GIORNO DELLA SETTIMANA  e non il "fine-settimana"....  



 







TESTI E MASSIME DI GREGORIO MAGNO PAPA

 
"<Andò a sedersi sul letamaio> (Gb 2,8). Sedersi sul letamaio significa avere di sé un sentimento vile e spregevole (In sterquilinio quippe sedere est vilia de se quempiam et abiecta sentire). Per noi, sedere sul letamaio significa riportare gli occhi dello spirito a ciò che di male abbiamo commesso, pentendoci (in sterquilinio nobis sedere est ad ea quae illicite gessimus mentis oculis paenitendo reducere), affinché, mentre vediamo davanti a noi lo sterco dei peccati, abbassiamo ogni moto di superbia che sorge nell'animo. Giace sul letamaio colui che prontamente vede la propria debolezza e non si inorgoglisce dei beni che per grazia ha ricevuto (et sese de bonis quae per gratiam perceperit, non extollit)"
 
Commento morale a Giobbe, I, III, 60. Città Nuova Editrice/1, Roma 1992, p. 295.



"Coloro che intendono raggiungere sinceramente la vetta di una vita virtuosa, quando sentono parlare delle colpe degli altri, pensano subito alle proprie e giudicano quelle degli altri tanto più rettamente quanto più deplorano sinceramente  le proprie. E, dal momento che ogni eletto si concentra sulla considerazione della propria debolezza, è giusto dire che un santo siede sempre dolente sul letamaio (dicatur recte quod vir sanctus in sterquilinio dolens sedet) come il beato Giobbe".
 
Commento morale a Giobbe, I, III, 61. Città Nuova Editrice/1, Roma 1992, p. 297.


"Giobbe significa <il Sofferente>. Egli è figura autentica del Servo sofferente descritto dal profeta (Iob...dolens veraciter per figuram dicitur), di Colui cioè che si è caricato dei nostri dolori (qui portare dolores nostros propheta attestante perhibetur)....Egli è giustamente chiamato Servo, perché non disdegnò di assumere la condizione di schiavo. E, assumendo l'umiltà della carne, non sminuì la propria maestà, perché assumendo ciò che voleva salvare e conservando ciò che era, l'umanità non sminuì la divinità né la divinità assorbì l'umanità (nec divina humanitate minuit, nec humana divinitate consupsit)".  

Commento morale a Giobbe, I, II, 42. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.199.
E' importante tenere presente queste dichiarazioni, perfettamente omogenee alla fede professata dai padri del Concilio di Calcedonia del 451, per comprendere il seguito delle interpretazioni <allegoriche> delle quali ci arricchirà Papa Gregorio.





"La mente si affretta a trattare i passi più oscuri del testo biblico, 
perché, pur  dedicandosi diffusamente ai passi chiari, 
è giusto che si impegni a bussare anche quando la porta è chiusa" 
 
(Ad obscuriora quippe disserenda mens properat; 
et si apertis diu involvitur, 
clausa, ut dignum est, pulsare praepeditur)
 
Commento morale a Giobbe, I, III, 56. Città Nuova Editrice /1, Roma 1992, p.291.



"Viene detto ad Israele: Mi farete un altare di terra (Es 20,24). Il nostro dono è accolto da Dio, quando la nostra umiltà depone su questo altare, cioè sopra la fede nell'incarnazione del Signore, tutto ciò che si compie (Tunc quippe a Deo nostrum munus accipitur, quando in hoc altari nostra humilitas, id est super Dominicae incarnationis fidem posuerit quicquid operatur)...Coloro dunque che, in comunione con noi, credono nella vera carne del Redentore, siedono per terra come Giobbe (Qui ergo veram nobiscum incarnationem Redemptoris perhibent, quasi cum Iob terra pariter sedent)...Gli avversari però ci vogliono bene se restiamo muti, ci odiano se parliamo (Mutos nos adversarii diligunt, loquentes oderunt)".
 
Commento morale a Giobbe, I, III, 51. Città Nuova Editrice/1, Roma 1992, p. 287.



Alcuni "si mostrano studiosi delle Scritture
 soltanto in termini di loquacità, 
ma sono privi in cuore 
del calore della carità.
 
(Scripturarum se studiosos exhibent
 solius verbis loquacitatis, 
non autem visceribus caritatis calent)."
 
 
Commento morale a Giobbe, I, III, 45. Città Nuova Editrice, Roma 1992/I, p. 283.


"Gli eretici, che ardentemente desiderano di sapere più del necessario, cercano di essere caldi (Haeretici igitur quia ardentius appetunt sapere, quasi plusquam necesse est, student calere). La pigrizia infatti si accorda bene col torpore del freddo, mentre l'inquietudine della curiosità senza misura si accorda bene, a sua volta, col calore eccessivo. Paolo si era preoccupato perciò di temperare la mente dei fedeli mettendoli in guardia nei confronti del calore di una sapienza senza misura (ab hoc calore immoderatae sapientiae mentes fidelium Paulus temperare curaverat)...Gli eretici...desiderano avere il calore, non per vivere bene, ma per parlare con arroganza, perché si presentano come studiosi delle Scritture soltanto in termini di loquacità, senza possedere nel loro cuore il calore della carità (calorem quippe non ut bene vivant sed ut elate loquantur, habere desiderant, quia per hoc quod Scripturarum se studiosos exhibent solius verbis loquacitatis, non autem visceribus caritatis calent)...non desiderano essere dotti, ma di apparire come tali (quia enim docti, non esse sed videri, appetunt)...si accordano quando concordano in opinioni errate contro la Chiesa e così dissentono dalla verità e concordano tra loro nella falsità...Si avvicinano alla Chiesa come per consolarla, ma desiderano solo insegnarle le loro idee". 
 
Commento morale a Giobbe, I, III, 45.46. OGM, vol.1, Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.283.




"La santa Chiesa, stabilita nell'afflizione durante tutto il tempo della sua peregrinazione, quando subisce ferite, quando soffre per la caduta dei suoi membri, deve sopportare, oltre a tutti gli altri nemici di Cristo, anche quelli che portano il nome di Cristo.
 
(Sancta itaque Ecclesia omni hoc tempore peregrinationis suae in afflictione constituta, cum vulnera sustinet, cum membrorum suorum lapsus dolet, insuper alios sub Christi nomine tolerat hostes Christi").
 
Commento morale a Giobbe, I, III, 42, Città Nuova Editrice/1, Roma 1992, p.281.



"La regola per consolare è questa: se vogliamo liberare un afflitto dalla tristezza, dobbiamo anzitutto partecipare alla sua disgrazia con il nostro cordoglio. Non può consolare un afflitto, chi non partecipa al suo dolore (dolentem namque non potest consolari qui non concordat dolori)...Il ferro non si congiunge al ferro prima che  entrambi siano resi incandescenti e immorbiditi dal fuoco...così chi giace prostrato a terra non possiamo rialzarlo se non rinunziamo alla nostra rigidità (nec iacentes erigimus, nisi a rigore nostri status inclinemur)... Chi non scende allo stesso livello di chi giace prostrato a terra, non riesce ad alzare nessuno (cui condescendere neglegit, nequaquam levat)" Commento morale a Giobbe, I, III, 20. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.259.


"Se il silenzio non fosse, qualche volta, colpevole
 il profeta non avrebbe detto:  
Guai a me, perché ho taciuto! (Is 6,5).
 
(Si aliquando et tacere culpa non esset, 
propheta non diceret :
Vae mihi quia tacui)
 
Commento morale a Giobbe, I, III, 17. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 257.


"L'antico nemico provoca dapprima la perdita dei beni...poi sottrae i figli...finalmente colpisce anche il corpo. Siccome però non riese a ferire l'anima piagando il corpo, ricorre alla lingua della moglie:...Rimani ancora fermo nella tua integrità?. Ringrazia Dio e muori! (Gb 2,9). Con la tentazione gli ha portato via tutto, ma...molto astutamente si è riservato come aiuto la donna (omnia abstulit, tentando mulierem reliquit) perché gli dica: Rimani ancora fermo nella tua integrità?. Eva ripete così le sue parole. Infatti...che significa: Maledici Dio e muori, se non: Vivi trasgredendo il precetto?... Ma il nostro Adamo giace adesso sul letame da forte, mentre si ritrovò debole un tempo pur trovandosi in paradiso (Sed Adam noster fortis in sterquilinio iacuit, qui in paradiso quondam debilis stetit)...Così adesso il nemico viene battutto da ogni lato e sconfitto su tutti i fronti...ed è una gioia contemplare il santo che, nonostante tutti gli attacchi subìti, appare fuori assolutamente vuoto di tutto, ma pieno, dentro, di Dio (igitur sanctum virum intueri libet, foras rebus vacuum, intrinsecus Deo plenum)". 
 
Commento morale a Giobbe, I, III, 14.15. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 253.255.




"Ci sono doni dello Spirito senza i quali non si può raggiungere la vita e ci sono doni che manifestano la santità della vita per l'utilità degli altri (Alia namque sunt dona illius sine quibus ad vitam nequaquam pertingitur, alia quibus vitae sanctitas pro aliorum utilitate declaratur). La dolcezza, l'umiltà, la pazienza, la fede, la speranza, la carità sono doni dello Spirito senza i quali non si può in alcun modo raggiungere la vita. Invece la profezia, il potere di guarire, il dono delle lingue e quello di interpretarle, sono doni dello Spirito che manifestano la presenza della sua potenza per la conversione di coloro che vi assistono". 
 
Commento morale a Giobbe, I, II, 91. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 239.


"Il solido edificio della nostra anima è sostenuto dalla prudenza, dalla temperanza, dalla fortezza e dalla giustizia (mirum solidum mentis nostrae aedificium, prudentia, temperantia, fortitudo, iustitia sustinet). La casa poggia su quattro angoli, perché su queste quattro virtù si edifica la struttura di un'opera buona... Quando nel cuore sono presenti queste quattro virtù viene mitigato l'ardore dei desideri carnali. Se l'ignavia sorprende l'anima, la prudenza si raffredda...Se qualche piacere irretisce l'anima, la nostra temperanza perde di vigore...Se nel cuore s'insinua il timore la  fortezza di fronte alle avversità è tanto più debole quanto maggiore è la paura di perdere dei beni ai quali si è attaccato il cuore (eo minores contra adversa existimus quo quaedam perdere immoderatius dilecta formidamus)...Se l'amor proprio penetra nell'anima la distoglie impercettibilmente dalla rettitudine della giustizia e, nella misura in cui si trascura di donarsi interamente al Creatore, si viola il diritto della giustizia... La casa crolla quando, compromesse le virtù, la coscienza non si sente in pace (domus eruitur dum pulsatis virtutibus conscientia turbatur)".
 
Commento morale a Giobbe, I,II, 76. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.227-229.


<Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è attaccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati: sono scampato solo io> (Gb 1,16).
"Che significano le pecore, se non l'innocenza dei pensieri? Che significano le pecore, se non la purezza di cuore dei buoni (quid per oves nisi bonorum cordium munditia designatur)?...Quando dunque la fiamma dell'invidia... irrompe contro la purezza dei nostri pensieri, il fuoco scende dal cielo sulle pecore. I pensieri della nostra mente si infiammano spesso infatti  con l'ardore della libidine, e col loro fuoco incendiano per così dire le pecore, quando turbano i nostri sentimenti con le tentazioni della lussuria (Saepe enim mundas mentis nostrae cogitationes ardore libidinis accendunt). Si chiamano fuoco di Dio, perché pur non essendo opera di Dio, tuttavia nascono col suo permesso (etsi non faciente Deo, tamen permittente, generatur). E poiché con il loro impeto improvviso travolgono la vigilanza stessa dell'anima, passano, per così dire, a fil di spada i guardiani. Uno solo tuttavia sfugge incolume, quando il discernimento che ci rimane esamina con lucidità tutto ciò che l'animo soffre e, solo, sfugge al pericolo di morte (unus incolumis fugit dum omne quod mens patitur, perseverans discretio subtiliter respicit, solaque mortis periculum evadit)". 
 
Commento morale a Giobbe, I, II, 74. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.223-225.
 
Siamo di fronte ad un esempio - e ne incontreremo tanti - di interpretazione morale del testo biblico che non passa attraverso il riferimento esplicito all'<allegoria> identificata con il mistero di Cristo; ma non dobbiamo dimenticare che Gregorio ha già spiegato che Giobbe è profezia di Cristo in tutta la sua umanità, per cui nulla di ciò che avviene nell'uomo è estraneo a lui tranne, ovviamente, il peccato. 





"La madre del Redentore secondo la carne è la sinagoga, dalla quale è partito per venire a noi rivestito d'un corpo che lo rendeva visibile. Essa l'ha tenuto dentro di sé coperto col velo della lettera, trascurando di aprire gli occhi della mente all'intelligenza spirituale (hunc intra se tegmine litterae adopertum tenuit dum ad spiritalem eius intellegentiam mentis oculos aperire neglexit). Rifiutando di vedere Dio che si nascondeva nella carne del corpo umano, ha come disdegnato di considerarlo nudo nella sua divinità. Ma egli è uscito nudo dal grembo di sua madre, perché partendo dalla carne della sinagoga, è venuto ben visibile ai pagani.Ciò è stato ben simboleggiato da Giuseppe, che fuggì lasciando andare il mantello. Infatti, quando la donna adultera voleva abusare di lui, egli si salvò lasciando andare il mantello (cfr Gen39,12). La sinagoga, credendo che il Signore fosse soltanto un uomo, voleva stringerlo con un abbraccio quasi adulterino; allora egli lasciò sotto gli occhi di lei il rivestimento della lettera e si offrì allo sguardo dei pagani per far loro conoscere la potenza della sua divinità (ipse tegmen litterae eius oculis reliquit et ad cognoscendum divinitatis suae potentaim conspicuum se gentibus praebuit)...Ma forse che l'ha abbandonata del tutto?...Egli apparità manifesto anche alla sinagoga (erit ergo quando conspicuus etiam Synagogae appareat). E questo succederà senza dubbio alla fine del mondo, quando farà conoscere se stesso come Dio al resto del popolo."  
 
Commento morale a Giobbe, I, II, 59. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 215.


"Non deve stupirci che nella Sacra Scrittura Dio non riveli subito allo spirito umano la sua immutabilità. Infatti anche dopo la solenne sua risurrezione fece conoscere soltanto gradualmente  (quibusdam provectionum accessibus innotuit) l'incorruttibilità del suo corpo. Luca c'informa che dapprima inviò gli angeli a quanti lo cercavano nel sepolcro (quibusdam se in monumento quaerentibus prius)... poi... si fece riconoscere soltanto dopo una lunga conversazione al momento dello spezzare il pane (rursum...post exortationis moras cognoscendum se in panis fractione monstravit); finalmente... non soltanto si fece conoscere ma si fece anche toccare (ad extremum vero...non solum se cognoscibilem, sed etiam palpabilem praebuit). Siccome il cuore dei discepoli era ancora incerto e dubbioso di fronte a un tale mistero (quia enim infirma adhuc gestabant corda discipuli in cognitione tanti mysterii), fu necessario...che, cercando, trovassero a poco a poco qualcosa, trovando crescessero e, crescendo, possedessero con più solidità le cose conosciute (ut paulisper aliquid quaerentes invenirent, invenientes crescerent et, crescentes, cognita robustius tenerent). Non tutto d'un colpo quindi,  ma attraverso un crescendo graduale di fatti e di parole, siamo guidati un passo dopo l'altro verso l'eternità (igitur non repente sed causarum verborumque incrementis, quasi quibusdam ad aeternitatem passibus ducimur)". 
 
Commento morale a Giobbe, I,II, 35. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.193.




"Quando in questa vita ci tocca soffrire delle contrarietà, è necessario sottomettere di buon grado la nostra volontà a Colui che non può volere nulla di ingiusto. In ogni evento spiacevole ci consola molto sapere che nulla ci accade se non per ordine di Colui a cui non piace se non ciò che è giusto (Magna quippe est consolatio in eo quod displicet quod illo ordinante erga nos agitur, cui nonnisi iustum placet). Se dunque sappiamo che al Signore piace ciò che è giusto e che nulla possiamo soffrire senza il suo beneplacito, tutto ciò che soffriamo è giusto, ed è molto ingiusto mormorare per ciò che giustamente soffriamo (iusta sunt cuncta quae patimur et valde iniustum est, si de iusta passione murmuramus). Abbiamo inteso Giobbe difendere la propria causa con linguaggio forte contro l'avversario; ascoltiamo ora, al termine del suo discorso, benedire e lodare il Giudice in questi termini: <Sia benedetto il nome del Signore> (Gb1,21). Ecco egli riassume ogni suo retto sentimento nella benedizione del Signore. Così....con l'umiltà colpì il nemico superbo, con la pazienza atterrò il crudele (Ecce...superbum hostem humilitate percussit, crudelem patientia stravit)". 
 
Commento morale a Giobbe, I,II, 31.32. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.191.


"La condotta licenziosa dei giovani è tenuta a freno dalla disciplina degli anziani (sciendum nobis est quia quod a minoribus voluptuose agitur maiorum disciplina cohibetur); ma se si danno ai bagordi gli anziani, il libertinaggio dei giovani non conosce più freni (cum vero maiores ipsi voluptati deserviunt nimirum minoribus lasciviae frena laxantur). Chi accetterà la regola della disciplina quando gli stessi che si assumono l'impegno di far osservare questa regola si abbandonano ai piaceri? I figli (di Giobbe) periscono mentre banchettano nella casa del fratello maggiore, perché il nemico acquista più forza contro di noi quando vede che si danno alla bella vita gli stessi incaricati della disciplina (tunc contra nos hostis vehementius vires accipit, quando et ipsos qui pro custodia disciplinae praelati sunt laetitiae servire cognoscunt)".
 
Commento morale a Giobbe, I, II, 27. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 185.



"L'antico avversario, quando non trova in noi un male di cui accusarci, cerca d'interpretare in male anche il bene (Antiquus adversarius cum quae accuset mala non invenit, ipsa ad malum inflectere bona quaerit). Quando è vinto dalle opere, esamina le nostre parole per incolparci. Se neppure nelle parole trova materia di accusa, cerca di offuscare l'intenzione del cuore (Cum de operibus vincitur ad accusandum verba nostra perscrutatur. Cum nec in verbis accusationem reperit, intentionem cordis offuscare contendit): come se le opere buone non fossero compiute con animo buono, e che perciò non debbano essere considerate buone dal Giudice divino. Vedendo che i frutti dell'albero si conservano freschi sotto il sole, cerca di inoculare il verme nella radice (Quia enim fructus arboris esse et in aestu virides conspicit, quasi vermem ponere ad radicem quaerit)".
 
Commento morale a Giobbe, I, II, 14. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 175.



"I desideri sono parole che escono dal cuore (Animarum verba ipsa sunt desideria)... Bisogna allora che le anime dei santi aderiscano a Dio nel più profondo del cuore così che, nell'aderire a Lui, trovino la pace (et sanctorum animae ita in interni secreti sinu Deo inhaereant ut inhaerendo requiescant) ...Infatti quanto più ardentemente aderiscono a Lui con lo spirito, tanto più ottengono la grazia di chiedere a Lui ciò che sanno essere conforme alla sua volontà. Da lui quindi bevono ciò di cui egli stesso le rende assetate (De ipso ergo bibunt quod ab ipso sitiunt) e così succede che, in modi a noi ancora incomprensibili, prevedono di essere saziate con ciò che bramano pregando (et modo nobis adhuc incomprehensibili in hoc quod petendo esuriunt, praesciendo satiantur)...La voce delle anime coincida perciò col desiderio che è proprio di un amante (animarum vox sit quod amantes desiderant)".
 
 
Commento morale a Giobbe, I,II, 11. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 171.




"Agli occhi altrui noi stiamo nel segreto dell'anima come dietro una parete costituita dal corpo; quando decidiamo di comunicare qualcosa di noi stessi usciamo da questo nascondiglio utilizzando la lingua come fosse una porta  per mostrarci fuori come siamo dentro (cum manifestare nosmetipsos cupimus, quasi per linguae ianuam egredimur, ut quales sumus intrinsecus ostendamus). Non è la stessa cosa per un essere spirituale, non composto di anima e corpo come noi ...Dio, per esempio, parla agli angeli santi manifestando i suoi segreti invisibili direttamente ai loro cuori, così che essi, contemplando la Verità, vi leggono tutto ciò che debbono fare (loquitur Deus ad angelos sanctos eo ipso quo eorum cordibus occulta sua invisibilia ostendat, ut quicquid agere debeant, in ipsa contemplatione veritatis legant). Le gioie della contemplazione corrispondono perciò ai precetti dati a viva voce (velut quaedam praecepta vocis sint ipsa gaudia contemplationis)...Si può dunque dire che Dio parla agli angeli manifestandosi ad essi con una visione interiore, e gli angeli parlano al Signore contemplandolo con uno sguardo che li trascende, permettendo loro di elevarsi in un trasporto di ammirazione. Avviene qualcosa di simile nei santi, per cui si può dire che altro è il modo con cui parla Dio alle anime dei santi e altro è il modo con cui i santi parlano a Dio (aliter Deus ad sanctorum animas, aliter sanctorum animae loquuntur ad Deum)". 
 
Commento morale a Giobbe, I, II, 8.9.10.11. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.169-171.
 
C'è in queste spiegazioni di Gregorio la base stessa della tensione dei monaci medioevali a voler raggiungere la condizione angelica. Non si trattava di <disprezzo> del corpo, ma di desiderio cocente di ottenere, restando nel corpo, le stesse possibilità di comunicare con Dio che sono proprie degli angeli.


"La sacra Scrittura si presenta agli occhi della nostra mente 
come uno specchio, 
in cui contemplare il nostro volto interiore. 
Scriptura Sacra mentis oculis 
quasi quoddam speculum opponitur,
 ut interna nostra facies in ipsa videatur.
 
In esso conosciamo
 il bello e il brutto che c'è in noi; 
Ibi enim foeda ibi puchra nostra cognoscimus
 
In esso abbiamo la verifica 
del nostro progresso 
e della nostra lontananza dalla mèta
Ibi sentimus quantum proficimus
ibi a provectu quam longe distamus". 

Commento morale a Giobbe, II, 1, 1. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.161.


"La sacra Scrittura racconta le imprese dei santi e stimola i cuori infiacchiti e deboli ad imitarli (Scriptura sacra narrat gesta sactorum et ad imitationem corda provocat infirmorum). E mentre richiama alla memoria le loro azioni vittoriose rafforza le nostre deboli membra per affrontare la lotta contro il male. Le sue parole rendono meno trepidante nel combattimento il nostro spirito, che si vede posti di fronte i trionfi di tanti valorosi. Qualche volta poi, non solo ci descrive le loro vittorie, ma ci rende note anche le loro sconfitte, affinché possiamo ricavare dalla vittoria dei forti l'esempio da imitare e dalla sconfitta di chi cade ciò che dobbiamo temere (Nonnunquam vero non solum nobis eorum virtutes asserit, sed etiam casus innotescit, ut et in victoria fortium quod imitando arripere et rursus videamus in lapsibus quod timere)". 
 
Commento morale a Giobbe, II, 1. Città Nuova editrice, Roma 1992, p.161.


Nella Scrittura viene presentato, per esempio, "Giobbe reso più grande dalla tentazione e Davide invece dalla stessa tentazione sconfitto (Ecce enim Iob describitur temptatione auctus sed David tentatione prostratus), affinché il valore degli antenati alimenti la nostra speranza e la loro caduta ci renda cauti e umili (ut et maiorum virtus spem nostram foveat et maiorum casus ad cautelam nos humilitatis accingat)... Nel primo caso l'animo di chi ascolta viene educato alla fiducia che nasce dalla speranza, nel secondo invece viene educato all'umiltà che nasce dal timore. Così non diventerà superbo per temerarietà, perché trattenuto dal timore, né diverrà disperato per paura, perché l'esempio del valore lo incoraggerà alla fiducia che nasce dalla speranza (nec temeritate superbiat quia formidine premitur, nec pressus timore desperet, quia ad spei fiduciam virtutis exemplo roboratur)".  
 
Commento morale a Giobbe, II,1. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.161.



<Chi è costei che sale dal deserto come una colonna di fumo, esalando profumo di mirra e d'incenso e d'ogni polvere aromatica?> (Ct 3,6). La santa Chiesa sale come una colonna di profumo, perché ogni giorno progredisce nella rettitudine dell'incenso interiore che le virtù della sua vita esalano (Sancta quippe Ecclesia sicut fumi virgula ex aromatibus ascendit, quia ex vitae suae virtutibus in interni cotidie incensi rectitudinem proficit). Senza disperdersi in vani pensieri, nel segreto del cuore si tottopone ad una rigorosa disciplina (sese intra arcana cordis in rigoris virga constringit). Non smettendo mai di ripensare e analizzare le sue azioni (dum recogitare semper ac retractare non desinit), col pensiero riduce in polvere la mirra e l'incenso delle sue opere...il che vuol dire che dobbiamo compiere con perseveranza sino alla fine ogni cosa buona che intraprendiamo. Perciò le cose cominciate bene devono essere continuate ogni giorno (bene igitur coepta cunctis diebus agenda sunt). Così mentre si combatte per respingere il male, si tiene in pugno, grazie alla costanza, la vittoria del bene". 
 
Commento morale a Giobbe, I,1,55.56. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.157-159.




"Spesso ad un'opera cominciata bene, si accompagna l'ira (Saepe se bene inchoatae nostrae iustitiae ex latere ira subiungit) che, turbando l'animo oltre misura con lo zelo della rettitudine, ferisce in modo grave la salute della pace interiore. Spesso succede anche che alla gravità si accompagni la tristezza del cuore (Saepe gravitatem cordis quasi subiuncta ex latere tristitia sequitur) che copre con la nube dell'afflizione ogni opera iniziata con buona intenzione. Respingere quest'ultima è qualche volta tanto più difficile quanto più essa mostra di voler conferire all'animo una nota di maggiore serietà. Spesso infine all'opera buona si accompagna una smodata letizia (Saepe se bono operi laetitia immoderata subiungit) che, spingendo l'animo a rallegrarsi più di quanto conviene (cumque plus mentem quam decet hilarescere exigit), elimina del tutto dall'azione buona ogni serietà".  
 
Commento morale a Giobbe, I, 1, 53. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 153.



"Spesso quando un'opera buona ha successo e procura la lode degli uomini,
ha il potere di mutare l'intenzione di chi la compie.
(Saepe bono operi dum laus humana obviat, 
mentem operantis immutat)
 
La lode infatti, anche se non cercata, fa piacere
(Quae laus, quamvis quaesita non fuerat, 
tamen oblata delectat). 
 
E così succede che, mentre chi opera bene si abbandona a questo piacere,
svanisce del tutto dentro di lui la motivazione originaria
(Cuius delectatione dum mens bene operantis resolvitur
ab omni intentionis intimae vigore dissipatur)".


Commento morale a Giobbe, I, 1, 53. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 153.



"Bisogna sapere che l'antico avversario...cerca di corrompere agli occhi del Giudice interiore ciò che si compie rettamente agli occhi degli uomini in tre modi (Sciendum est quod bona nostra tribus modis antiquus hostis insequitur): Qualche volta inquina nell'opera buona l'intenzione (intentionem polluit) affinché ciò che si traduce in azione non risulti né puro né nitido a motivo di questa sorgente inquinata...qualche volta interferisce nel corso dell'azione stessa (in ipsa actione se quasi in itinere opponit)...qualche volta infine tende il laccio all'opera buona al compimento dell'azione stessa (opus bonum in fine actionis illaqueat). E comunque quanto più simula di essersi allontanato dalla casa del cuore o dallo svolgimento dell'azione, tanto più astutamente aspetta di rovinare il compimento dell'azione, e quanto più è riuscito  a rendere incauto uno allontanandosi, tanto più duro e inguaribile è il colpo con cui improvvisamente lo trafigge (et quo incautum quemque quasi recedendo reddiderit, eo illum repentino nonnumquam vulnere durius insanabiliusque transfigit)".
 
Commento morale a Giobbe, I, 1, 51. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 151.
 
Gregorio è davvero un profondo conoscitore della dinamica comune ad ogni agire umano.









[Modificato da Caterina63 04/08/2014 10:07]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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05/08/2014 22:23
 
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 Conosciamo fin troppo bene l'immagine di Madre Teresa di Calcutta, ma noi vogliamo offrirvi una immagine "diversa" quella degli anni in cui decise di lasciare tutto per fidarsi di Dio  Non le mancava nulla, neppure la bellezza.... e a quel Gesù che mai l'ha lasciata, ha donato tutto e tutta se stessa, fin dalla giovinezza.....






 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

«Felici
coloro che hanno meritato di ricevere il Signore nella propria casa»

Le parole di nostro Signore Gesù
Cristo ci vogliono ricordare che esiste un unico traguardo al quale tendiamo,
quando ci affatichiamo nelle svariate occupazioni di questo mondo. Vi tendiamo
mentre siamo pellegrini e non ancora stabili…Ma dobbiamo tendervi senza
svogliatezza e senza intermissione, per potere giungere finalmente un giorno
alla meta. Marta e Maria erano due sorelle, non solo sul piano della natura, ma
anche in quello della religione; tutte e due onoravano Dio, tutte e due
servivano il Signore presente nella carne in perfetta armonia di sentimenti.
Marta lo accolse come si sogliono accogliere i pellegrini, e tuttavia accolse
il Signore come serva, il Salvatore come inferma, il Creatore come creatura; lo
accolse per nutrirlo nel suo corpo, mentre lei doveva nutrirsi con lo Spirito. […]

Del resto tu, Marta, sia detto con tua buona pace, tu, già benedetta per il
tuo encomiabile servizio, come ricompensa domandi il riposo. Ora sei immersa in
molteplici faccende, vuoi ristorare dei corpi mortali, sia pure di persone
sante. Ma dimmi: Quando sarai giunta a quella patria, troverai il pellegrino da
accogliere come ospite? Troverai l'affamato cui spezzare il pane? L'assetato al
quale porgere da bere? L'ammalato da visitare? Il litigioso da ricondurre alla
pace? Il morto da seppellire?

Lassù non vi sarà posto per tutto questo. E allora che cosa vi sarà? Ciò che
ha scelto Maria: là saremo nutriti, non nutriremo. Perciò sarà completo e
perfetto ciò che qui Maria ha scelto: da quella ricca mensa raccoglieva le
briciole della parola del Signore. E volete proprio sapere quello che vi sarà
lassù? Il Signore stesso afferma dei suoi servi: «In verità vi dico, li farà
mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,37).



Dalla
«Pratica di amare Gesù Cristo» di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo

«L’amore di Cristo»

Tutta la santità e la perfezione di un’anima consiste nell’amar Gesù Cristo
nostro Dio, nostro sommo bene e nostro Salvatore. La carità…unisce e conserva
tutte le virtù che rendono l’uomo perfetto.

Forse Iddio non si merita tutto il nostro amore? Egli ci ha amati sin
dall’eternità. «Uomo, dice il Signore, considera ch’io sono stato il primo ad
amarti. Tu non eri ancora al mondo, il mondo neppur v’era ed io già t’amavo. Da
che sono Dio, io t’amo». […] Egli… ha creato… il cielo e la terra e tante altre
cose tutte per amor dell’uomo; acciocché servano all’uomo, e l’uomo l’ami per
gratitudine di tanti doni.

Ma Iddio non è stato contento di donarci tutte queste belle creature.
Egli per cattivarsi tutto il nostro amore è giunto a donarci tutto se stesso.
L’Eterno Padre è giunto a darci il suo medesimo ed unico Figlio. Vedendo che
noi eravamo tutti morti e privi della sua grazia per causa del peccato, che
fece? Per l’amor immenso, anzi, come scrive l’Apostolo, pel troppo amore che ci
portava mandò il Figlio diletto a soddisfare per noi, e così renderci quella
vita che il peccato ci aveva tolta.





Dalla «Lettera»
detta di Barnaba: 
«La speranza
della vita è il principio e il termine della nostra fede»

Per l'amore che vi porto voglio mettervi a parte di quanto ho avuto, sicuro di
ricevere beneficio dal servizio che vi rendo. Vi scrivo dunque alcune cose
perché la vostra fede arrivi ad essere conoscenza perfetta. Tre sono le grandi
realtà rivelate dal Signore: la speranza della vita, inizio e fine della nostra
fede, la salvezza, inizio e fine del piano di Dio; il suo desiderio di farci
felici, pegno e promessa di tutti i suoi interventi salvifici.

Il Signore ci ha fatto capire, per mezzo dei profeti, le
cose passate e presenti, e ci ha messo in grado di gustare le primizie delle
cose future. E poiché vediamo ciascuna di esse realizzarsi proprio come ha
detto, dobbiamo procedere sempre più sulla via del santo timore di Dio. […]

Timore e pazienza devono essere il sostegno della nostra
fede, longanimità e continenza le nostre alleate nella lotta… Queste sono le
cose che Dio vuole da noi. Il Signore infatti ci ha insegnato per mezzo di
tutti i profeti che egli non ha bisogno di sacrifici, né di olocausti, né di
offerte. Che m'importa, dice, dei vostri sacrifici senza numero? Sono sazio
degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di
agnelli e di capri io non lo gradisco. Non presentatevi nemmeno davanti a me
per essere visti. Infatti chi ha mai richiesto tali cose dalle vostre mani? Non
osate più calpestare i miei atri. Se mi offrirete fior di farina, sarà vano;
l'incenso è un abominio per me. I vostri noviluni e i vostri sabati non li
posso sopportare (cfr. Is 1, 11-13).




Dal «Discorso
tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore» da Anastasio sinaita,
vescovo: 
«È bello restare
con Cristo!»

Il mistero della sua Trasfigurazione Gesù lo manifestò ai suoi discepoli sul
monte Tabor. Egli aveva parlato loro del Regno di Dio e della sua seconda
venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente
forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e
profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli
eventi futuri, volle mostrare il fulgore della sua divinità e così offrire loro
un'immagine prefigurativa del Regno dei Cieli. […]

L'evangelista, per parte sua, allo scopo di provare che
Cristo poteva tutto ciò che voleva, aggiunse: «Sei giorni dopo, Gesù prese con
sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un
alto monte. E là fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il
sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero
loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui» (Mt 17,1-3). Ecco le realtà
meravigliose della solennità presente, ecco il mistero di salvezza che trova
compimento per noi oggi sul monte, ecco ciò che ora ci riunisce: la morte e
insieme la gloria del Cristo.

Per penetrare il contenuto intimo di questi ineffabili e sacri misteri 
insieme con i discepoli scelti e illuminati da Cristo, ascoltiamo Dio 
che con la sua misteriosa voce ci chiama a sé insistentemente dall'alto.
Portiamoci là sollecitamente. Anzi, oserei dire andiamoci come Gesù, 
che ora dal cielo si fa nostra guida e battistrada... La 
nostra fisionomia spirituale si trasformerà e si modellerà sulla sua. 
Come lui entreremo in una condizione stabile di trasfigurazione, perché 
saremo partecipi della divina natura e verremo preparati alla vita 
beata.








Da
«Scientia Crucis» di Santa Teresa Benedetta della Croce, vergine e martire

«Ai credenti in Cristo Crocifisso viene aperta la porta della vita»

Cristo si era addossato lui stesso il giogo della legge,
osservandola e adempiendola perfettamente, tanto da morire per la legge e
vittima della legge. Nello stesso tempo, tuttavia, egli ha esonerato dalla
legge tutti quelli che avrebbero accettato la vita da lui. I quali però
avrebbero potuto riceverla solo disfacendosi della propria. Infatti «quanti
sono stati battezzati in Cristo, sono stati battezzati nella sua morte» (Rm 6,
3). Essi si immergono nella sua vita per divenire membra del suo corpo, e sotto
questa qualifica soffrire e morire con lui; ma anche per risuscitare con lui
alla eterna vita divina. Questa vita sorgerà per noi nella sua pienezza
soltanto nel giorno della glorificazione. Tuttavia, sin da ora «nella carne»
noi vi partecipiamo, in quanto crediamo: crediamo che Cristo è morto per noi, per
dare la vita a noi. […]

La croce non è fine a se stessa… non è soltanto un’insegna,
è anche l’arma vincente di Cristo, la verga da pastore con cui… Davide esce
incontro all’infernale Golia, il simbolo trionfale con cui egli batte alla
porta del cielo e la
spalanca. Allora ne erompono i fiotti della luce divina,
sommergendo tutti quelli che marciano al seguito del Crocifisso.






Lunedì 11 agosto, memoria di S. Chiara d’Assisi

Benedetto XVI, Udienza Generale, 15 settembre 2010

Una delle Sante più amate è senz’altro santa Chiara
d’Assisi, vissuta nel XIII secolo, contemporanea di san Francesco. La sua
testimonianza ci mostra quanto la Chiesa tutta sia debitrice a donne coraggiose
e ricche di fede come lei, capaci di dare un decisivo impulso per il rinnovamento
della Chiesa. […]

Nata nel 1193, Chiara apparteneva ad una famiglia
aristocratica e ricca. Rinunciò a nobiltà e a ricchezza per vivere umile e
povera, adottando la forma di vita che Francesco d’Assisi proponeva.

Resistendo alle pressioni dei suoi familiari che
inizialmente non approvarono la sua scelta, Chiara si stabilì con le prime
compagne nella chiesa di san Damiano dove i frati minori avevano sistemato un
piccolo convento per loro. In quel monastero visse per oltre quarant’anni fino
alla morte, avvenuta nel 1253. […]

Giacomo di Vitry [un vescovo fiammingo in visita in Italia],
aveva colto con perspicacia un tratto caratteristico della spiritualità
francescana cui Chiara fu molto sensibile: la radicalità della povertà
associata alla fiducia totale nella Provvidenza divina. Per questo motivo, ella
agì con grande determinazione, ottenendo dal Papa Gregorio IX o, probabilmente,
già dal papa Innocenzo III, il cosiddetto Privilegium Paupertatis (cfr FF,
3279). In base ad esso, Chiara e le sue compagne di san Damiano non potevano
possedere nessuna proprietà materiale. […]

Ciò mostra come anche nei secoli del Medioevo, il ruolo
delle donne non era secondario, ma considerevole. A questo proposito, giova
ricordare che Chiara è stata la prima donna nella storia della Chiesa che abbia
composto una Regola scritta, sottoposta all’approvazione del Papa. […]

Nel convento di san Damiano Chiara praticò in modo eroico le
virtù che dovrebbero contraddistinguere ogni cristiano: l’umiltà, lo spirito di
pietà e di penitenza, la
carità. Pur essendo la superiora, ella voleva servire in
prima persona le suore malate, assoggettandosi anche a compiti umilissimi.







Giovedì 14 agosto, memoria di S. Massimiliano M. Kolbe

Dalle
lettere di san Massimiliano Maria Kolbe

«
Zelo apostolico per la salvezza e la santificazione delle anime»

Nei nostri tempi, constatiamo, non senza tristezza, il propagarsi
dell’«indifferentismo». Una malattia quasi epidemica che si va diffondendo in
varie forme non solo nella generalità dei fedeli, ma anche tra i membri degli
istituti religiosi. Dio è degno di gloria infinita. La nostra prima e
principale preoccupazione deve essere quella di dargli lode nella misura delle
nostre deboli forze, consapevoli di non poterlo glorificare quanto egli merita.
[…]

Attraverso la via dell’obbedienza noi superiamo i limiti della nostra
piccolezza, e ci conformiamo alla volontà divina che ci guida ad agire
rettamente con la sua infinita sapienza e prudenza. Aderendo a questa divina
volontà a cui nessuna creatura può resistere, diventiamo più forti di tutti.

Questo è il sentiero della sapienza e della prudenza, l’unica via nella quale
possiamo rendere a Dio la massima gloria. Se esistesse una via diversa e più
adatta, il Cristo l’avrebbe certamente manifestata con la parola e con
l’esempio. Il lungo periodo della vita nascosta di Nazareth è compendiato dalla
Scrittura con queste parole: «e stava loro sottomesso» (Lc 2, 51). Tutto il
resto della sua vita è posto sotto il segno dell’obbedienza, mostrando
frequentemente che il Figlio di Dio è disceso sulla terra per compiere la
volontà del Padre.














Venerdì 15 agosto, solennità dell’Assunzione della Beata
Vergine Maria

Dalla
Costituzione Apostolica «Munificentissimus Deus» di Pio XII, papa


«
Santo e glorioso è il corpo della Vergine
Maria»


I santi padri e i grandi dottori nelle omelie e nei discorsi, rivolti al popolo
in occasione della festa odierna, parlavano dell'Assunzione della Madre di Dio
come di una dottrina già viva nella coscienza dei fedeli e da essi già
professata; ne spiegavano ampiamente il significato, ne precisavano e ne
approfondivano il contenuto, ne mostravano le grandi ragioni teologiche. Essi
mettevano particolarmente in evidenza che oggetto della festa non era
unicamente il fatto che le spoglie mortali della beata Vergine Maria fossero
state preservate dalla corruzione, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua
celeste glorificazione, perché la Madre ricopiasse il modello, imitasse cioè il
suo Figlio unico, Cristo Gesù`.

San Giovanni Damasceno, che si distingue fra tutti come teste
esimio di questa tradizione,…esclama con vigorosa eloquenza: «Colei che nel
parto aveva conservato illesa la sua verginità doveva anche conservare senza
alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Colei che aveva portato nel suo seno il
Creatore, fatto bambino, doveva abitare nei tabernacoli divini. […]

In tal modo l'augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù
Cristo fin da tutta l'eternità «con uno stesso decreto» di predestinazione,
immacolata nella sua concezione, vergine illibata nella sua divina maternità,
generosa compagna del divino Redentore, vittorioso sul peccato e sulla morte,
alla fine ottenne di coronare le sue grandezze, superando la corruzione del
sepolcro. Vinse la morte, come già il suo Figlio e fu innalzata in anima e
corpo alla gloria del cielo dove risplende Regina alla destra del Figlio suo,
Re immortale dei secoli.




Dalle «Omelie sul
vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo: 
«Sale della terra
e luce del mondo»

«Voi siete il sale della terra» (Mt 5, 13). Vi viene affidato il ministero
della parola, dice il Cristo, non per voi, ma per il mondo intero. […] Un uomo
mite, umile, misericordioso e giusto non tiene nascoste in sé simili virtù, ma
fa sì che queste ottime sorgenti scaturiscano a vantaggio degli altri. E chi ha
un cuore puro, amante della pace e soffre per la verità, dedica la sua vita per
il bene di tutti. […]

Il sale non salva ciò che è putrefatto… prima Dio rinnovava
i cuori e li liberava dalla corruzione, poi li affidava agli apostoli, allora
essi diventavano veramente «il sale della terra», mantenendo e conservando gli
uomini nella nuova vita ricevuta dal Signore. È opera di Cristo liberare gli
uomini dalla corruzione del peccato, ma impedire di ricadere nel precedente
stato di miseria spetta alla sollecitudine e agli sforzi degli apostoli. […]

Gesù afferma: «Ma se il sale perdesse il sapore, con che
cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e
calpestato dagli uomini» (Mt 5, 13). Perché poi, udendo la frase: «Quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi»
(Mt 5, 11), non temano di farsi avanti, sembra voler dire: Se non sarete pronti
alle prove, invano io vi ho scelti. Così verranno le maledizioni a
testimonianza della vostra debolezza. Se, infatti, per timore dei
maltrattamenti, non mostrerete tutto quell'ardimento che vi si addice, subirete
cose ben peggiori, avrete cattiva fama e sarete a tutti oggetto di scherno.
Questo vuol dire essere calpestati.

Subito dopo passa ad un'altra analogia più elevata: «Voi siete la luce
del mondo» (Mt 5, 14). Nuovamente dice del mondo, non di un solo popolo o di
venti città, ma dell'universo intero: luce intelligibile, più splendente dei
raggi del sole. Parla prima del sale e poi della luce, per mostrare il
vantaggio di una parola ricca di mordente e di una dottrina elevata e luminosa.










Mercoledì 20 agosto, memoria di S. Bernardo, abate e dott.
della Chiesa

Dai
«Discorsi sul Cantico dei Cantici» di san Bernardo, abate
: «Amo perché amo, amo per
amare»

L’amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé.
È a se stesso merito e premio. L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi
all’infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere. Amo perché amo, amo per
amare. Grande cosa è l’amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla
sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per
continuare a scorrere. L’amore è il solo tra tutti i moti dell’anima, tra i sentimenti
e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se
non alla pari; l’unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in
questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere
amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che
l’ameranno si beeranno di questo stesso amore. […]

Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama
con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c’è tutto.
Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così
ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei
due, a meno che uno dubiti che l’anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.

























[Modificato da Caterina63 24/08/2014 17:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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