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Tempo della Quaresima 2014 e Messaggio del Santo Padre ed altre meditazioni

Ultimo Aggiornamento: 20/04/2014 15:01
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 cari amici, il Signore sta per donarci un nuovo Tempo di Grazia... approfittiamone!
Qui per le meditazioni degli anni passati e l'ultimo Messaggio del 2013 del Santo Padre Benedetto XVI.

Sia per tutti noi un Tempo di conversione a Cristo!

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
PER LA QUARESIMA 2014

Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9)


 

Cari fratelli e sorelle,

in occasione della Quaresima, vi offro alcune riflessioni, perché possano servire al cammino personale e comunitario di conversione. Prendo lo spunto dall’espressione di san Paolo: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).
L’Apostolo si rivolge ai cristiani di Corinto per incoraggiarli ad essere generosi nell’aiutare i fedeli di Gerusalemme che si trovano nel bisogno. Che cosa dicono a noi, cristiani di oggi, queste parole di san Paolo? Che cosa dice oggi a noi l’invito alla povertà, a una vita povera in senso evangelico?

La grazia di Cristo

Anzitutto ci dicono qual è lo stile di Dio. Dio non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà: «Da ricco che era, si è fatto povero per voi…». Cristo, il Figlio eterno di Dio, uguale in potenza e gloria con il Padre, si è fatto povero; è sceso in mezzo a noi, si è fatto vicino ad ognuno di noi; si è spogliato, “svuotato”, per rendersi in tutto simile a noi (cfr Fil 2,7; Eb 4,15). È un grande mistero l’incarnazione di Dio! Ma la ragione di tutto questo è l’amore divino, un amore che è grazia, generosità, desiderio di prossimità, e non esita a donarsi e sacrificarsi per le creature amate. La carità, l’amore è condividere in tutto la sorte dell’amato. L’amore rende simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze. E Dio ha fatto questo con noi. Gesù, infatti, «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22).

Lo scopo del farsi povero di Gesù non è la povertà in se stessa, ma – dice san Paolo – «...perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Non si tratta di un gioco di parole, di un’espressione ad effetto! E’ invece una sintesi della logica di Dio, la logica dell’amore, la logica dell’Incarnazione e della Croce. Dio non ha fatto cadere su di noi la salvezza dall’alto, come l’elemosina di chi dà parte del proprio superfluo con pietismo filantropico. Non è questo l’amore di Cristo! Quando Gesù scende nelle acque del Giordano e si fa battezzare da Giovanni il Battista, non lo fa perché ha bisogno di penitenza, di conversione; lo fa per mettersi in mezzo alla gente, bisognosa di perdono, in mezzo a noi peccatori, e caricarsi del peso dei nostri peccati. E’ questa la via che ha scelto per consolarci, salvarci, liberarci dalla nostra miseria. Ci colpisce che l’Apostolo dica che siamo stati liberati non per mezzo della ricchezza di Cristo, ma per mezzo della sua povertà. Eppure san Paolo conosce bene le «impenetrabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8), «erede di tutte le cose» (Eb 1,2).

Che cos’è allora questa povertà con cui Gesù ci libera e ci rende ricchi? È proprio il suo modo di amarci, il suo farsi prossimo a noi come il Buon Samaritano che si avvicina a quell’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada (cfr Lc10,25ss). Ciò che ci dà vera libertà, vera salvezza e vera felicità è il suo amore di compassione, di tenerezza e di condivisione. La povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio. La povertà di Cristo è la più grande ricchezza: Gesù è ricco della sua sconfinata fiducia in Dio Padre, dell’affidarsi a Lui in ogni momento, cercando sempre e solo la sua volontà e la sua gloria. È ricco come lo è un bambino che si sente amato e ama i suoi genitori e non dubita un istante del loro amore e della loro tenerezza. La ricchezza di Gesù è il suo essere il Figlio, la sua relazione unica con il Padre è la prerogativa sovrana di questo Messia povero. Quando Gesù ci invita a prendere su di noi il suo “giogo soave”, ci invita ad arricchirci di questa sua “ricca povertà” e “povera ricchezza”, a condividere con Lui il suo Spirito filiale e fraterno, a diventare figli nel Figlio, fratelli nel Fratello Primogenito (cfr Rm 8,29).

È stato detto che la sola vera tristezza è non essere santi (L. Bloy); potremmo anche dire che vi è una sola vera miseria: non vivere da figli di Dio e da fratelli di Cristo.

La nostra testimonianza

Potremmo pensare che questa “via” della povertà sia stata quella di Gesù, mentre noi, che veniamo dopo di Lui, possiamo salvare il mondo con adeguati mezzi umani. Non è così. In ogni epoca e in ogni luogo, Dio continua a salvare gli uomini e il mondo mediante la povertà di Cristo, il quale si fa povero nei Sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa, che è un popolo di poveri. La ricchezza di Dio non può passare attraverso la nostra ricchezza, ma sempre e soltanto attraverso la nostra povertà, personale e comunitaria, animata dallo Spirito di Cristo.

Ad imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle. La miseria non coincide con la povertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza. Possiamo distinguere tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria morale e la miseria spirituale. La miseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana: privati dei diritti fondamentali e dei beni di prima necessità quali il cibo, l’acqua, le condizioni igieniche, il lavoro, la possibilità di sviluppo e di crescita culturale.
Di fronte a questa miseria la Chiesa offre il suo servizio, la sua diakonia, per andare incontro ai bisogni e guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità. Nei poveri e negli ultimi noi vediamo il volto di Cristo; amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo. Il nostro impegno si orienta anche a fare in modo che cessino nel mondo le violazioni della dignità umana, le discriminazioni e i soprusi, che, in tanti casi, sono all’origine della miseria. Quando il potere, il lusso e il denaro diventano idoli, si antepongono questi all’esigenza di una equa distribuzione delle ricchezze. Pertanto, è necessario che le coscienze si convertano alla giustizia, all’uguaglianza, alla sobrietà e alla condivisione.

Non meno preoccupante è la miseria morale, che consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato.

Quante famiglie sono nell’angoscia perché qualcuno dei membri – spesso giovane – è soggiogato dall’alcol, dalla droga, dal gioco, dalla pornografia! Quante persone hanno smarrito il senso della vita, sono prive di prospettive sul futuro e hanno perso la speranza! E quante persone sono costrette a questa miseria da condizioni sociali ingiuste, dalla mancanza di lavoro che le priva della dignità che dà il portare il pane a casa, per la mancanza di uguaglianza rispetto ai diritti all’educazione e alla salute.
In questi casi la miseria morale può ben chiamarsi suicidio incipiente. Questa forma di miseria, che è anche causa di rovina economica, si collega sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore. Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, che in Cristo ci tende la mano, perché pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento. Dio è l’unico che veramente salva e libera.

Il Vangelo è il vero antidoto contro la miseria spirituale: il cristiano è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna. Il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza! È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio. Si tratta di seguire e imitare Gesù, che è andato verso i poveri e i peccatori come il pastore verso la pecora perduta, e ci è andato pieno d’amore. Uniti a Lui possiamo aprire con coraggio nuove strade di evangelizzazione e promozione umana.

Cari fratelli e sorelle, questo tempo di Quaresima trovi la Chiesa intera disposta e sollecita nel testimoniare a quanti vivono nella miseria materiale, morale e spirituale il messaggio evangelico, che si riassume nell’annuncio dell’amore del Padre misericordioso, pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona. Potremo farlo nella misura in cui saremo conformati a Cristo, che si è fatto povero e ci ha arricchiti con la sua povertà. La Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spogliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole.

Lo Spirito Santo, grazie al quale «[siamo] come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» (2 Cor 6,10), sostenga questi nostri propositi e rafforzi in noi l’attenzione e la responsabilità verso la miseria umana, per diventare misericordiosi e operatori di misericordia. Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.

Dal Vaticano, 26 dicembre 2013

Festa di Santo Stefano, diacono e primo martire

 

 

 

FRANCESCO






  vi proponiamo il breve ma intenso Discorso che Benedetto XVI  fece a braccio nel 2007, noteremo una profonda continuità dei contenuti con le parole del Santo Padre Francesco....




VIA CRUCIS AL COLOSSEO

DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Palatino
Venerdì Santo, 6 aprile 2007

http://d1.yimg.com/sr/img/1/a6c397a6-75ec-336b-8c9b-4cf1556ae36a




 

Cari fratelli e sorelle,

seguendo Gesù nella via della Sua passione vediamo non soltanto la passione di Gesù, ma vediamo tutti i sofferenti del mondo ed è questa la profonda intenzione della preghiera della Via Crucis: di aprire i nostri cuori e aiutarci a vedere con il cuore.

I Padri della Chiesa hanno considerato come il più grande peccato del mondo pagano la insensibilità, la durezza del cuore e amavano la profezia del profeta Ezechiele: "Vi toglierò il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne" (cf Ez 36,26). Convertirsi a Cristo, divenire cristiano voleva dire ricevere un cuore di carne, un cuore sensibile per la passione e la sofferenza degli altri.

Il nostro Dio non è un Dio lontano, intoccabile nella sua beatitudine: il nostro Dio ha un cuore. Anzi ha un cuore di carne, si è fatto carne proprio per poter soffrire con noi ed essere con noi nelle nostre sofferenze. Si è fatto uomo per darci un cuore di carne e per risvegliare in noi l’amore per i sofferenti, per i bisognosi.

Preghiamo in questa ora il Signore per tutti i sofferenti del mondo. Preghiamo il Signore perché ci dia realmente un cuore di carne, ci faccia messaggeri del Suo amore non solo con parole, ma con tutta la nostra vita. Amen.




    e gli fa seguito Papa Francesco:





 

   e... così ricordando, testimoniamo la continuità dei Sommi Pontefici nel delicato compito di trasmettere la medesima fede e Dottrina, oltre che a confermarla per ordine di Gesù, nostro Dio!




"Ci sarebbe anche bisogno di un paziente sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell'esistenza e della vita; gioia dell'amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio.
Il cristiano potrà purificarle, completarle, sublimarle: non può disdegnarle. La gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali. Molto spesso partendo da queste, il Cristo ha annunciato il Regno di Dio (...)
Chi non ricorda la parola di Sant'Agostino: «Tu ci hai creati per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te»? Perciò, è col diventare maggiormente presente a Dio e con lo staccarsi dal peccato che l'uomo può veramente entrare nella gioia spirituale. Senza dubbio, «la carne e il sangue» ne sono incapaci. Ma la rivelazione può aprire questa prospettiva e la grazia operare questo rovesciamento. Il nostro proposito è precisamente quello di invitarvi alle sorgenti della gioia cristiana. Come lo potremmo, senza metterci tutti di fronte al piano di Dio, in ascolto della Buona Novella del suo amore? (...)

Fratelli e Figli carissimi, non è forse normale che la gioia abiti in noi allorché i nostri cuori ne contemplano o ne riscoprono, nella fede, i motivi fondamentali? Essi sono semplici: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito; mediante il suo Spirito, la sua Presenza non cessa di avvolgerci con la sua tenerezza e di penetrarci con la sua Vita; e noi camminiamo verso la beata trasfigurazione della nostra esistenza nel solco della risurrezione di Gesù. Sì, sarebbe molto strano se questa Buona Novella, che suscita l'alleluia della Chiesa, non ci desse un aspetto di salvati. 
La gioia di essere cristiano, strettamente unito alla Chiesa, «nel Cristo», in stato di grazia con Dio, è davvero capace di riempire il cuore dell'uomo"

Ven. Paolo VI, Esortazione Apostolica "Gaudete in Domino", 9 maggio 1975.



     



[Modificato da Caterina63 07/02/2014 08:54]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 9 febbraio 2014

Video

  

Fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel Vangelo di questa domenica, che viene subito dopo le Beatitudini, Gesù dice ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13.14). Questo ci stupisce un po’, se pensiamo a chi aveva davanti Gesù quando diceva queste parole. Chi erano quei discepoli? Erano pescatori, gente semplice… Ma Gesù li guarda con gli occhi di Dio, e la sua affermazione si capisce proprio come conseguenza delle Beatitudini. Egli vuole dire: se sarete poveri in spirito, se sarete miti, se sarete puri di cuore, se sarete misericordiosi… voi sarete il sale della terra e la luce del mondo!

Per comprendere meglio queste immagini, teniamo presente che la Legge ebraica prescriveva di mettere un po’ di sale sopra ogni offerta presentata a Dio, come segno di alleanza. La luce, poi, per Israele era il simbolo della rivelazione messianica che trionfa sulle tenebre del paganesimo. I cristiani, nuovo Israele, ricevono dunque una missione nei confronti di tutti gli uomini: con la fede e con la carità possono orientare, consacrare, rendere feconda l’umanità. Tutti noi battezzati siamo discepoli missionari e siamo chiamati a diventare nel mondo un vangelo vivente: con una vita santa daremo “sapore” ai diversi ambienti e li difenderemo dalla corruzione, come fa il sale; e porteremo la luce di Cristo con la testimonianza di una carità genuina. Ma se noi cristiani perdiamo sapore e spegniamo la nostra presenza di sale e di luce, perdiamo l’efficacia. Ma che bella è questa missione di dare luce al mondo! E’ una missione che noi abbiamo. E’ bella! E’ anche molto bello conservare la luce che abbiamo ricevuto da Gesù, custodirla, conservarla. Il cristiano dovrebbe essere una persona luminosa, che porta luce, che sempre dà luce! Una luce che non è sua, ma è il regalo di Dio, è il regalo di Gesù. E noi portiamo questa luce. Se il cristiano spegne questa luce, la sua vita non ha senso: è un cristiano di nome soltanto, che non porta la luce, una vita senza senso. Ma io vorrei domandarvi adesso, come volete vivere voi? Come una lampada accesa o come una lampada spenta? Accesa o spenta? Come volete vivere? [la gente risponde: Accesa!] Lampada accesa! E’ proprio Dio che ci dà questa luce e noi la diamo agli altri. Lampada accesa! Questa è la vocazione cristiana.


Dopo l'Angelus:

Dopodomani, 11 febbraio, celebreremo la memoria della Beata Vergine di Lourdes, e vivremo la Giornata Mondiale del Malato. E’ l’occasione propizia per mettere al centro della comunità le persone malate. Pregare per loro e con loro, stare loro vicini. Il Messaggio per questa Giornata è ispirato ad una espressione di san Giovanni: Fede e carità: «Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16). In particolare, possiamo imitare l’atteggiamento di Gesù verso i malati, malati di ogni genere: il Signore si prende cura di tutti, condivide la loro sofferenza e apre il cuore alla speranza.

Penso anche a tutti gli operatori sanitari: che lavoro prezioso fanno! Grazie tante per il vostro lavoro prezioso. Essi incontrano ogni giorno nei malati non solo dei corpi segnati dalla fragilità, ma delle persone, alle quali offrire attenzione e risposte adeguate. La dignità della persona non si riduce mai alle sue facoltà o capacità, e non viene meno quando la persona stessa è debole, invalida e bisognosa di aiuto. Penso anche alle famiglie, dove è normale prendersi cura di chi è malato; ma a volte le situazioni possono essere più pesanti… Tanti mi scrivono, e oggi vorrei assicurare una preghiera per tutte queste famiglie, e dico loro: non abbiate paura della fragilità! Non abbiate paura della fragilità! Aiutatevi gli uni gli altri con amore, e sentirete la presenza consolante di Dio.

L’atteggiamento generoso e cristiano verso i malati è sale della terra e luce del mondo. La Vergine Maria ci aiuti a praticarlo, e ottenga pace e conforto per tutti i sofferenti.

 

Prego per quanti stanno soffrendo danni e disagi a causa di calamità naturali, in diversi Paesi - anche qui a Roma -: sono loro vicino. La natura ci sfida ad essere solidali e attenti alla custodia del creato, anche per prevenire, per quanto possibile, le conseguenze più gravi.

E prima di congedarmi, mi viene in mente quella domanda che ho fatto: lampada accesa o lampada spenta? Cosa volete? Accesa o spenta? Il cristiano porta la luce! E’ una lampada accesa! Sempre avanti con la luce di Gesù!

A tutti auguro una buona domenica



 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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02/03/2014 14:57
 
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[SM=g1740738] La vera miseria spiegata da Papa Francesco Quaresima 2014

Che cosa è la vera miseria?


Papa Francesco ci offre delle brevi ma intense meditazioni nel suo Messaggio per la Quaresima 2014
Abbiamo cercato così di offrirvi questo Messaggio in formato Via Crucis per avviarci bene in questo Tempo di conversione.
gloria.tv/?media=577025

Vi ricordiamo che sull'argomento abbiamo trattato anche dei video per:
il Digiuno nella Tradizione della Chiesa: www.gloria.tv/?media=398895
e le Ceneri fra storia e devozione: www.gloria.tv/?media=395799

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org



[SM=g1740717]



e... a seguire

UN FANTASTICO DON RETO - di GloriaTV - dove in soli 5 minuti ti descrive il problema che stiamo vivendo
NON PERDETELO.... [SM=g1740722] è per una buona Quaresima...
gloria.tv/?media=577399


[SM=g1740717]


[SM=g1740733]

[Modificato da Caterina63 04/03/2014 14:20]
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05/03/2014 12:44
 
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  Mercoledì delle Ceneri. Dal Messaggio del Beato Giovanni Paolo II per la Quaresima 2002 

Ci accingiamo a ripercorrere il cammino quaresimale, che ci condurrà alle solenni celebrazioni del mistero centrale della fede, il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. […] La Quaresima… costituisce un ritorno alle radici della fede, perché, meditando sul dono di grazia incommensurabile che è la Redenzione, non possiamo non renderci conto che tutto ci è stato dato per amorevole iniziativa divina. […]

« Che cosa mai possiedi — ammonisce san Paolo — che tu non abbia ricevuto? » (1 Cor 4, 7). Amare i fratelli, dedicarsi a loro è un'esigenza che scaturisce da questa consapevolezza. Più essi hanno bisogno, più urgente diventa per il credente il compito di servirli. […] Chiaro è il comando di Gesù: « Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? » (Mt 5, 46). Il mondo valuta i rapporti con gli altri sulla base dell'interesse e del proprio tornaconto, alimentando una visione egocentrica dell'esistenza, nella quale troppo spesso non c'è posto per i poveri e i deboli. Ogni persona, anche la meno dotata, va invece accolta e amata per se stessa, al di là dei suoi pregi e difetti. Anzi, più è in difficoltà, più deve essere oggetto del nostro amore concreto. È quest'amore che la Chiesa, attraverso innumerevoli istituzioni, testimonia facendosi carico di ammalati, emarginati, poveri e sfruttati. I cristiani, in tal modo, diventano apostoli di speranza e costruttori della civiltà dell'amore. […]

Quale periodo più opportuno del periodo della Quaresima per rendere questa testimonianza di gratuità di cui il mondo ha tanto bisogno? Nell'amore stesso che Dio ha per noi c'è la chiamata a donarci, a nostra volta, agli altri gratuitamente… Sia così per ogni cristiano, nelle diverse situazioni in cui egli si trova.



Dal «Commento al Libro di Giobbe» di san Gregorio Magno, papa

Paolo, osservando in se stesso le ricchezze della sapienza interiore e vedendo che all'esterno egli era corpo corruttibile, disse: «Abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (2 Cor 4, 7). Ecco che nel beato Giobbe il vaso di creta sentì all'esterno i colpi e le rotture, ma questo tesoro internamente rimase intatto. Al di fuori si screpolò a causa delle ferite, ma il tesoro della sapienza all'interno rinasceva inesauribilmente, tanto da manifestarsi all'esterno in queste sante espressioni: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?» (Gb 2, 10). […]

E' certamente un grande conforto nelle tribolazioni richiamare alla memoria i benefici del nostro Creatore, mentre si sopportano le avversità. Né ciò che viene dal dolore ci può scoraggiare, se subito richiamano alla mente il conforto che i doni ci recano. Per questo è stato scritto: Nel tempo della prosperità non dimenticare la sventura e nel tempo della sventura non dimenticare il benessere (cfr. Sir 11, 25).

Chiunque gode prosperità, ma nel tempo di essa non ha timore anche dei flagelli, a causa del benessere cade nell'arroganza. Chi invece, oppresso da flagelli, non cerca al tempo stesso di consolarsi con la memoria dei doni ricevuti, è annientato dai sentimenti di sconforto o anche di disperazione. Bisogna dunque unire assieme le due cose, in modo che l'una sia sempre sostenuta dall'altra.



Dalla «Spiegazione dell'Ecclesiaste» di san Gregorio di Agrigento, vescovo
"L'anima mia esulti nel Signore"

«Va', mangia con gioia il tuo pane, bevi con cuore lieto il tuo vino perché Dio ha già gradito le opere tue» (Qo 9, 7). Potremmo prendere queste parole come una sicura e sana norma di saggezza umana per la vita di tutti i giorni. Tuttavia la spiegazione anagogica ci porta ad una considerazione più alta, e ci insegna a considerare il pane celeste e mistico che è disceso dal cielo e ha portato la vita nel mondo. Così pure bere il vino spirituale con cuore sereno significa dissetarsi di quel vino che uscì dal costato della vera vite, al momento della sua passione salvifica. […]

«Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato» (Pro 9, 5). Coloro ai quali viene rivolto questo invito, devono compiere opere di luce, in modo da avere le loro anime splendenti non meno della luce stessa, come dice il Signore nel vangelo: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5, 16). Anzi in tal caso vedranno scendere sul loro capo anche l'olio, cioè lo Spirito di verità, che li proteggerà e li preserverà da ogni maleficio di peccato.



Dal «Commento all'Ecclesiaste» di san Girolamo, sacerdote
"Cercate le cose di lassù"

«Ogni uomo, a cui Dio concede ricchezze e beni, ha anche facoltà di goderli e prendersene la sua parte, e di godere delle sue fatiche: anche questo è dono di Dio. Egli non penserà infatti molto ai giorni della sua vita, poiché Dio lo tiene occupato con la gioia del suo cuore» (Qo 5, 18-19). […Per] colui che si nutre delle sue sostanze nel turbinio delle sue preoccupazioni e dei suoi affanni e, con grave peso e tedio della vita, accumula cose destinate poi a perire… c'è solo un cumulo di fastidi. […]

Ma è meglio, secondo l'Apostolo, scorgere il bene da godere non tanto nel cibo e nella bevanda materiale, ma nel nutrimento dello spirito concesso da Dio. […] Deve ritenersi veramente saggio colui che, istruito nelle divine Scritture, ha tutta la sua fatica sulle sue labbra e la sua brama non è mai sazia (cfr. Qo 6, 7), dal momento che sempre desidera di imparare. In questo il savio si trova in condizione migliore dello stolto (cfr. Qo 6, 8), perché, sentendosi povero (quel povero che è proclamato beato dal vangelo), si affretta ad abbracciare ciò che riguarda la vera vita… ed è povero di opere malvage, e sa dove risiede Cristo, che è la vita.






PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì delle Ceneri, 5 marzo 2014

http://d2.yimg.com/sr/img/1/9d751937-c5e7-31f5-adc1-1e7dc987ef86

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno

inizia oggi, Mercoledì delle Ceneri, l’itinerario quaresimale di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, cuore del mistero della nostra salvezza.
La Quaresima ci prepara a questo momento tanto importante, per questo è un tempo “forte”, un punto di svolta che può favorire in ciascuno di noi il cambiamento, la conversione. Tutti noi abbiamo bisogno di migliorare, di cambiare in meglio. La Quaresima ci aiuta e così usciamo dalle abitudini stanche e dalla pigra assuefazione al male che ci insidia. Nel tempo quaresimale la Chiesa ci rivolge due importanti inviti: prendere più viva consapevolezza dell’opera redentrice di Cristo; vivere con più impegno il proprio Battesimo.

La consapevolezza delle meraviglie che il Signore ha operato per la nostra salvezza dispone la nostra mente e il nostro cuore ad un atteggiamento di gratitudine verso Dio, per quanto Egli ci ha donato, per tutto ciò che compie in favore del suo Popolo e dell’intera umanità. Da qui parte la nostra conversione: essa è la risposta riconoscente al mistero stupendo dell’amore di Dio. Quando noi vediamo questo amore che Dio ha per noi, sentiamo la voglia di avvicinarci a Lui: questa è la conversione.

Vivere fino in fondo il Battesimo – ecco il secondo invito – significa anche non abituarci alle situazioni di degrado e di miseria che incontriamo camminando per le strade delle nostre città e dei nostri paesi. C’è il rischio di accettare passivamente certi comportamenti e di non stupirci di fronte alle tristi realtà che ci circondano. Ci abituiamo alla violenza, come se fosse una notizia quotidiana scontata; ci abituiamo a fratelli e sorelle che dormono per strada, che non hanno un tetto per ripararsi. Ci abituiamo ai profughi in cerca di libertà e dignità, che non vengono accolti come si dovrebbe. Ci abituiamo a vivere in una società che pretende di fare a meno di Dio, nella quale i genitori non insegnano più ai figli a pregare né a farsi il segno della croce.

Io vi domando: i vostri figli, i vostri bambini sanno farsi il segno della croce? Pensate. I vostri nipoti sanno farsi il segno della croce? Glielo avete insegnato? Pensate e rispondete nel vostro cuore. Sanno pregare il Padre Nostro? Sanno pregare la Madonna con l'Ave Maria? Pensate e rispondetevi. Questa assuefazione a comportamenti non cristiani e di comodo ci narcotizza il cuore!

La Quaresima giunge a noi come tempo provvidenziale per cambiare rotta, per recuperare la capacità di reagire di fronte alla realtà del male che sempre ci sfida. La Quaresima va vissuta come tempo di conversione, di rinnovamento personale e comunitario mediante l’avvicinamento a Dio e l’adesione fiduciosa al Vangelo. In questo modo ci permette anche di guardare con occhi nuovi ai fratelli e alle loro necessità. Per questo la Quaresima è un momento favorevole per convertirsi all’amore verso Dio e verso il prossimo; un amore che sappia fare proprio l’atteggiamento di gratuità e di misericordia del Signore, il quale «si è fatto povero per arricchirci della sua povertà» (cfr 2 Cor 8,9).

Meditando i misteri centrali della fede, la passione, la croce e la risurrezione di Cristo, ci renderemo conto che il dono senza misura della Redenzione ci è stato dato per iniziativa gratuita di Dio.

Rendimento di grazie a Dio per il mistero del suo amore crocifisso; fede autentica, conversione e apertura del cuore ai fratelli: questi sono elementi essenziali per vivere il tempo della Quaresima. In questo cammino, vogliamo invocare con particolare fiducia la protezione e l’aiuto della Vergine Maria: sia Lei, la prima credente in Cristo, ad accompagnarci nei giorni di preghiera intensa e di penitenza, per arrivare a celebrare, purificati e rinnovati nello spirito, il grande mistero della Pasqua del suo Figlio.


Saluti:

Chers amis de langue française, je suis heureux de vous accueillir ce matin. Je salue particulièrement les membres de la faculté de théologie d’Angers, les paroisses et les nombreux groupes de jeunes venus de France et de Suisse. Que la Vierge Marie vous accompagne en ces jours de prière intense et de pénitence qui nous préparent à célébrer le grand mystère de la Pâque de son Fils ! Bon carême à tous!

[Cari amici di lingua francese, sono felice di accogliervi quest’oggi. Saluto in particolare i membri della Facoltà di Teologia di Angers, i gruppi parrocchiali e i numerosi giovani venuti dalla Francia e dalla Svizzera. Che la Vergine Maria vi accompagni in questi giorni di intensa preghiera e di penitenza che ci preparano a celebrare il grande mistero della Pasqua del suo Figlio! Buona Quaresima a tutti!]

I greet all the English-speaking pilgrims present at today’s Audience, including those from Malta, Denmark, Sweden, Indonesia, Canada and the United States. May the Lenten journey we begin today bring us to Easter with hearts purified and renewed by the grace of the Holy Spirit. Upon you and your families I invoke joy and peace in Christ our Redeemer!

[Saluto tutti i pellegrini di lingua inglese presenti a questa Udienza, specialmente quelli provenienti da Malta, Danimarca, Svezia, Indonesia, Canada e Stati Uniti. A tutti auguro che il cammino quaresimale che oggi iniziamo ci porti alla gioia della Pasqua con cuori purificati e rinnovati dalla grazia dello Spirito Santo. Su voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace in Cristo nostro Redentore!]

Ein herzliches Willkommen an alle Gäste aus Deutschland, Österreich, aus der Schweiz und aus Südtirol! Besonders begrüße ich die jungen Menschen, die Schülergruppen und die Studierenden, die heute unter uns sind. Euch allen wünsche ich eine erfüllte und gnadenreiche Fastenzeit und einen schönen Aufenthalt hier in Rom. Gott segne euch!

[Un vivo benvenuto ai pellegrini venuti dalla Germania, dall’Austria, dalla Svizzera e dall’Alto Adige. In particolare, saluto i giovani, i gruppi di alunni e gli studenti, che sono oggi tra noi. Vi auguro un tempo quaresimale ricco di grazia e un bel soggiorno qui a Roma. Dio vi benedica!]

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España, México, Argentina y otros países latinoamericanos. En este tiempo de Cuaresma, invito a todos a invocar con confianza la ayuda de la Virgen María, para que nos acompañe en estos días de oración y de penitencia, para llegar a celebrar, renovados en el espíritu, el gran misterio de la Pascua de su Hijo. Muchas gracias.

Com ânimo feliz e agradecido, saúdo o grupo vindo de Riberão e Guimarães e também os professores e os alunos das comunidades escolares de Lourinhã e Viana do Castelo. Sobre vós e demais peregrinos de língua portuguesa, invoco a protecção daVirgem Maria. Que Ela vos tome pela mão durante os próximos quarenta dias, ajudando-vos a ficar mais parecidos com Jesus ressuscitado.Desejo-vos uma santa e frutuosa Quaresma!

[Con animo gioioso e riconoscente, saluto il gruppo venuto da Ribeirão e Guimarães ed anche i professori e gli alunni delle comunità scolastiche di Lourinhã e Viana do Castelo. Su di voi e su tutti gli altri pellegrini di lingua portoghese, invoco la protezione della Vergine Maria: Ella vi prenda per mano lungo i prossimi quaranta giorni, aiutandovi a diventare più simili a Gesù risorto. Vi auguro una Quaresima santa e ricca di frutti.]

أتوجه بتحية حارة إلى الأخوات والإخوة الناطقين باللغة العربية، وخاصة القادمين من جمهورية مصر العربية ومن الشرق الأوسط: إن زمن الصوم الأربعيني هو فرصة تأتينا من العناية الإلهية حتى ندرك توبة القلب، وكي نطهر أنفسنا من خطيئة اللامبالاة أمام آلام ومعاناة الآخرين. ليرشدكم الرب، بشفاعة العذراء مريم، إلى عيش زمن صوم مثمر!

[Rivolgo un caro saluto ai fratelli e alle sorelle di lingua araba, specialmente quelli provenienti dall’Egitto e dal Medio Oriente: il tempo della Quaresima è un’opportunità offerta dalla Provvidenza per raggiungere la conversione del cuore, e per purificarci dal peccato dell’indifferenza di fronte al dolore e alla sofferenza degli altri. Il Signore vi guidi, con l’intercessione della Vergine Maria, a vivere una Quaresima fruttuosa!]

Drodzy polscy pielgrzymi. Wielki Post jest czasem dziękczynienia za zbawczą miłość Chrystusa, czasem nawrócenia i otwarcia serca na miłość braci. Zawierzamy tę drogę Najświętszej Maryi, która jako pierwsza wierząca w Chrystusa towarzyszy nam w dniach modlitwy i pokuty, abyśmy oczyszczeni i odnowieni w duchu mogli celebrować wielką tajemnicę Paschy Jej Syna. Z serca wam błogosławię.

[Cari pellegrini polacchi, la Quaresima è un tempo di ringraziamento per l’amore salvifico di Cristo, della conversione e dell’apertura del cuore all’amore dei fratelli. Affidiamo questo cammino a Maria Santissima, che, prima tra i credenti in Cristo, ci accompagna in questi giorni di preghiera e di penitenza, affinché, purificati e rinnovati nello spirito, possiamo celebrare il grande mistero della Pasqua del suo Figlio. Vi benedico di cuore!]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana. .....Tutti esorto a vivere con gioia la fede, testimoniando l’amore del Signore per ogni persona.

Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi, Mercoledì delle Ceneri, inizia l’itinerario quaresimale. Cari giovani, vi auguro di vivere questo tempo di grazia con un autentico spirito penitenziale, come un ritorno al Padre, che tutti attende a braccia aperte. Cari malati, vi incoraggio ad offrire le vostre sofferenze per la conversione di quanti vivono lontani da Dio; ed auguro a voi, cari sposi novelli, di costruire con coraggio e generosità la vostra famiglia sulla salda roccia dell'amore divino.




 





[Modificato da Caterina63 05/03/2014 15:39]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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2014-03-05 Radio Vaticana

La Quaresima è un invito a tornare a Dio, perché “qualcosa non va bene in noi, nella società e nella Chiesa e abbiamo bisogno di convertirci”. Così il Papa celebrando questo pomeriggio presso la Basilica di santa Sabina sull’Aventino il mercoledì delle Ceneri.

“Viviamo in un mondo sempre più artificiale dove - ha detto il Pontefice - senza accorgercene escludiamo Dio dal nostro orizzonte”. “La Quaresima – è stata l’esortazione - viene a risvegliarci dall’inerzia e dalla routine per “andare oltre il nostro orticello”. Prima della Messa, la processione penitenziale dalla Chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino. Il servizio diPaolo Ondarza:

Preghiera, digiuno, elemosina per non farsi dominare dalle cose che appaiono, perché “quel che conta – spiega Papa Francesco - non è l’apparenza o il successo, ma quanto abbiamo dentro”: questi tre elementi caratterizzano il cammino quaresimale che comprende la croce e la rinuncia. Il Papa li ha indicati invitando ad “aprirsi a Dio e ai fratelli” in un mondo sempre più artificiale, in “una cultura del fare e dell’utile”, dove senza accorgercene “escludiamo Dio dal nostro orizzonte”. “La Quaresima – ha detto - ci chiama a riscuoterci, a ricordarci che siamo creature e non siamo Dio”.

Quando io guardo nel piccolo ambiente quotidiano alcune lotte di potere per spazi, io penso: “Ma, questa gente gioca a Dio Creatore!”. Ancora non se ne sono accorti che non sono Dio!

La preghiera – ha spiegato il Santo Padre- è la forza del cristiano e di ogni credente. Nella debolezza e nella fragilità della vita possiamo rivolgerci a Dio con la fiducia di figli con una preghiera “capace di farsi carico delle necessità dei fratelli” in povertà o sofferenza.

Dinanzi a tante ferite che ci fanno male e che ci potrebbero indurire il cuore, noi siamo chiamati a tuffarci nel mare della preghiera, che è il mare dell’amore sconfinato di Dio, per gustare la sua tenerezza.

“Il digiuno – ha proseguito Papa Francesco – comporta la scelta di una vita sobria, che non spreca, non scarta”. “Digiunare aiuta ad allenare il cuore all’essenzialità e alla condivisione: è un segno di presa di coscienza e di responsabilità di fronte ad ingiustizie e soprusi specialmente nei confronti dei poveri e dei piccoli; è segno della fiducia riposta in Dio e nella provvidenza.

Dobbiamo stare attenti a non praticare un digiuno formale, o che in verità ci “sazia” perché ci fa sentire a posto. Il digiuno ha senso se veramente intacca la nostra sicurezza, e anche se ne consegue un beneficio per gli altri, se ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china sul fratello in difficoltà e si prende cura di lui.

Espressione di quella gratuità che dovrebbe caratterizzare ogni cristiano che da Dio ha ricevuto tutto gratuitamente è, infine, l’elemosina: si da a qualcuno da cui non ci si aspetta di ricevere qualcosa in cambio. Un‘azione spesso estranea dalla vita quotidiana dove – ha constato il Papa - tutto è calcolo e misura, tutto si vende e si compra”.

L’elemosina ci aiuta a vivere la gratuità del dono, che è libertà dall’ossessione del possesso, dalla paura di perdere quello che si ha, dalla tristezza di chi non vuole condividere con gli altri il proprio benessere.

Ma perché dobbiamo tornare a Dio come esortano le Scritture? “ Perché – è la risposta del Papa - qualcosa non va bene in noi, nella società e nella Chiesa e abbiamo bisogno di cambiare, di convertirci”. “La Quaresima – ha concluso – viene a ricordarci che è possibile realizzare in noi e attorno a noi qualcosa di nuovo, perché Dio è fedele e pronto a perdonare e a ricominciare da capo”.


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SANTA MESSA, BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di Santa Sabina
Mercoledì, 5 marzo 2014

Video

 

 

«Laceratevi il cuore e non le vesti» (Gl 2,13).

Con queste penetranti parole del profeta Gioele, la liturgia ci introduce oggi nella Quaresima, indicando nella conversione del cuore la caratteristica di questo tempo di grazia. L’appello profetico costituisce una sfida per tutti noi, nessuno escluso, e ci ricorda che la conversione non si riduce a forme esteriori o a vaghi propositi, ma coinvolge e trasforma l’intera esistenza a partire dal centro della persona, dalla coscienza. Siamo invitati ad intraprendere un cammino nel quale, sfidando la routine, ci sforziamo di aprire gli occhi e le orecchie, ma soprattutto aprire il cuore, per andare oltre il nostro “orticello”.

Aprirsi a Dio e ai fratelli. Sappiamo che questo mondo sempre più artificiale ci fa vivere in una cultura del “fare”, dell’“utile”, dove senza accorgercene escludiamo Dio dal nostro orizzonte. Ma anche escludiamo l’orizzonte stesso! La Quaresima ci chiama a “riscuoterci”, a ricordarci che noi siamo creature, semplicemente che noi non siamo Dio. Quando io guardo nel piccolo ambiente quotidiano alcune lotte di potere per occupare spazi, io penso: questa gente gioca a Dio Creatore. Ancora non si sono accorti che non sono Dio.

E anche verso gli altri rischiamo di chiuderci, di dimenticarli. Ma solo quando le difficoltà e le sofferenze dei nostri fratelli ci interpellano, soltanto allora possiamo iniziare il nostro cammino di conversione verso la Pasqua. E’ un itinerario che comprende la croce e la rinuncia. Il Vangelo di oggi indica gli elementi di questo cammino spirituale: la preghiera, il digiuno e l’elemosina (cfr Mt 6,1-6.16-18). Tutti e tre comportano la necessità di non farsi dominare dalle cose che appaiono: quello che conta non è l’apparenza; il valore della vita non dipende dall’approvazione degli altri o dal successo, ma da quanto abbiamo dentro.

Il primo elemento è la preghiera. La preghiera è la forza del cristiano e di ogni persona credente. Nella debolezza e nella fragilità della nostra vita, noi possiamo rivolgerci a Dio con fiducia di figli ed entrare in comunione con Lui. Dinanzi a tante ferite che ci fanno male e che ci potrebbero indurire il cuore, noi siamo chiamati a tuffarci nel mare della preghiera, che è il mare dell’amore sconfinato di Dio, per gustare la sua tenerezza. La Quaresima è tempo di preghiera, di una preghiera più intensa, più prolungata, più assidua, più capace di farsi carico delle necessità dei fratelli; preghiera di intercessione, per intercedere davanti a Dio per tante situazioni di povertà e di sofferenza.

Il secondo elemento qualificante del cammino quaresimale è il digiuno. Dobbiamo stare attenti a non praticare un digiuno formale, o che in verità ci “sazia” perché ci fa sentire a posto. Il digiuno ha senso se veramente intacca la nostra sicurezza, e anche se ne consegue un beneficio per gli altri, se ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china sul fratello in difficoltà e si prende cura di lui. Il digiuno comporta la scelta di una vita sobria, nel suo stile; una vita che non spreca, una vita che non “scarta”. Digiunare ci aiuta ad allenare il cuore all’essenzialità e alla condivisione. E’ un segno di presa di coscienza e di responsabilità di fronte alle ingiustizie, ai soprusi, specialmente nei confronti dei poveri e dei piccoli, ed è segno della fiducia che riponiamo in Dio e nella sua provvidenza.

Terzo elemento, l’elemosina: essa indica la gratuità, perché nell’elemosina si dà a qualcuno da cui non ci si aspetta di ricevere qualcosa in cambio. La gratuità dovrebbe essere una delle caratteristiche del cristiano, che, consapevole di aver ricevuto tutto da Dio gratuitamente, cioè senza alcun merito, impara a donare agli altri gratuitamente. Oggi spesso la gratuità non fa parte della vita quotidiana, dove tutto si vende e si compra. Tutto è calcolo e misura. L’elemosina ci aiuta a vivere la gratuità del dono, che è libertà dall’ossessione del possesso, dalla paura di perdere quello che si ha, dalla tristezza di chi non vuole condividere con gli altri il proprio benessere.

Con i suoi inviti alla conversione, la Quaresima viene provvidenzialmente a risvegliarci, a scuoterci dal torpore, dal rischio di andare avanti per inerzia. L’esortazione che il Signore ci rivolge per mezzo del profeta Gioele è forte e chiara: «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Perché dobbiamo ritornare a Dio? Perché qualcosa non va bene in noi, non va bene nella società, nella Chiesa e abbiamo bisogno di cambiare, di dare una svolta. E questo si chiama avere bisogno di convertirci! Ancora una volta la Quaresima viene a rivolgere il suo appello profetico, per ricordarci che è possibile realizzare qualcosa di nuovo in noi stessi e attorno a noi, semplicemente perché Dio è fedele, è sempre fedele, perché non può rinnegare se stesso, continua ad essere ricco di bontà e di misericordia, ed è sempre pronto a perdonare e ricominciare da capo. Con questa fiducia filiale, mettiamoci in cammino!






 

[Modificato da Caterina63 06/03/2014 10:17]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/03/2014 17:19
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARROCI DI ROMA

Aula Paolo VI
Giovedì, 6 marzo 2014

Video

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(...)

3. Misericordia significa né manica larga né rigidità.

Ritorniamo al sacramento della Riconciliazione. Capita spesso, a noi preti, di sentire l’esperienza dei nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato nella Confessione un sacerdote molto “stretto”, oppure molto “largo”, rigorista o lassista.E questo non va bene. Che tra i confessori ci siano differenze di stile è normale, ma queste differenze non possono riguardare la sostanza, cioè la sana dottrina morale e la misericordia. Né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido; il lassista invece si lava le mani:solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato. La vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della riconciliazione. E questo è faticoso, sì, certamente. Il sacerdote veramente misericordioso si comporta come il Buon Samaritano… ma perché lo fa? Perché il suo cuore è capace di compassione, è il cuore di Cristo!

Sappiamo bene che né il lassismo né il rigorismo fanno crescere la santità. Forse alcuni rigoristi sembrano santi, santi… Ma pensate a Pelagio e poi parliamo… Non santificano il prete, e non santificano il fedele, né il lassismo né il rigorismo! La misericordia invece accompagna il cammino della santità, la accompagna e la fa crescere… Troppo lavoro per un parroco? E’ vero, troppo lavoro! E in che modo accompagna e fa crescere il cammino della santità? Attraverso la sofferenza pastorale, che è una forma della misericordia. Che cosa significa sofferenza pastorale? Vuol dire soffrire per e con le persone. E questo non è facile! Soffrire come un padre e una madre soffrono per i figli; mi permetto di dire, anche con ansia…

Per spiegarmi faccio anche a voi alcune domande che mi aiutano quando un sacerdote viene da me. Mi aiutano anche quando sono solo davanti al Signore!

Dimmi: Tu piangi? O abbiamo perso le lacrime? Ricordo che nei Messali antichi, quelli di un altro tempo, c’è una preghiera bellissima per chiedere il dono delle lacrime. Incominciava così, la preghiera: “Signore, Tu che hai dato a Mosè il mandato di colpire la pietra perché venisse l’acqua, colpisci la pietra del mio cuore perché le lacrime…”: era così, più o meno, la preghiera. Era bellissima. Ma, quanti di noi piangiamo davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla distruzione di una famiglia, davanti a tanta gente che non trova il cammino?… Il pianto del prete… Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime?

Piangi per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione davanti al Tabernacolo?

Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha lottato: “E se fossero meno? E se fossero 25? E se fossero 20?...” (cfr Gen 18,22-33). Quella preghiera coraggiosa di intercessione… Noi parliamo di parresia, di coraggio apostolico, e pensiamo ai piani pastorali, questo va bene, ma la stessa parresia è necessaria anche nella preghiera. Lotti con il Signore? Discuti con il Signore come ha fatto Mosè? Quando il Signore era stufo, stanco del suo popolo e gli disse: “Tu stai tranquillo… distruggerò tutti, e ti farò capo di un altro popolo”. “No, no! Se tu distruggi il popolo, distruggi anche a me!”. Ma questi avevano i pantaloni! E io faccio la domanda: Noi abbiamo i pantaloni per lottare con Dio per il nostro popolo?

Un’altra domanda che faccio: la sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore o con la televisione?

Com’è il tuo rapporto con quelli che aiutano ad essere più misericordiosi? Cioè, com’è il tuo rapporto con i bambini, con gli anziani, con i malati? Sai accarezzarli, o ti vergogni di accarezzare un anziano?

Non avere vergogna della carne del tuo fratello (cfr Reflexiones en esperanza, I cap.). Alla fine, saremo giudicati su come avremo saputo avvicinarci ad “ogni carne” – questo è Isaia. Non vergognarti della carne di tuo fratello. “Farci prossimo”: la prossimità, la vicinanza, farci prossimo alla carne del fratello. Il sacerdote e il levita che passarono prima del buon samaritano non seppero avvicinarsi a quella persona malmenata dai banditi. Il loro cuore era chiuso. Forse il prete ha guardato l’orologio e ha detto: “Devo andare alla Messa, non posso arrivare in ritardo alla Messa”, e se n’è andato. Giustificazioni! Quante volte prendiamo giustificazioni, per girare intorno al problema, alla persona. L’altro, il levita, o il dottore della legge, l’avvocato, disse: “No, non posso perché se io faccio questo domani dovrò andare come testimone, perderò tempo…”. Le scuse!… Avevano il cuore chiuso. Ma il cuore chiuso si giustifica sempre per quello che non fa. Invece quel samaritano apre il suo cuore, si lascia commuovere nelle viscere, e questo movimento interiore si traduce in azione pratica, in un intervento concreto ed efficace per aiutare quella persona.

Alla fine dei tempi, sarà ammesso a contemplare la carne glorificata di Cristo solo chi non avrà avuto vergogna della carne del suo fratello ferito ed escluso.

Io vi confesso, a me fa bene, alcune volte, leggere l’elenco sul quale sarò giudicato, mi fa bene: è in Matteo 25.

Queste sono le cose che mi sono venute in mente, per condividerle con voi. Sono un po’ alla buona, come sono venute… [Il cardinale Vallini: “Un bell’esame di coscienza”] Ci farà bene. [applausi]

A Buenos Aires – parlo di un altro prete – c’era un confessore famoso: questo era Sacramentino. Quasi tutto il clero si confessava da lui. Quando, una delle due volte che è venuto, Giovanni Paolo II ha chiesto un confessore in Nunziatura, è andato lui. E’ anziano, molto anziano… Ha fatto il Provinciale nel suo Ordine, il professore… ma sempre confessore, sempre. E sempre aveva la coda, lì, nella chiesa del Santissimo Sacramento. In quel tempo, io ero Vicario generale e abitavo nella Curia, e ogni mattina, presto, scendevo al fax per guardare se c’era qualcosa. E la mattina di Pasqua ho letto un fax del superiore della comunità: “Ieri, mezz’ora prima della Veglia Pasquale, è mancato il padre Aristi, a 94 – o 96? – anni. Il funerale sarà il tal giorno…”. E la mattina di Pasqua io dovevo andare a fare il pranzo con i preti della casa di riposo - lo facevo di solito a Pasqua -, e poi – mi sono detto - dopo pranzo andrò alla chiesa. Era una chiesa grande, molto grande, con una cripta bellissima. Sono sceso nella cripta e c’era la bara, solo due vecchiette lì che pregavano, ma nessun fiore. Io ho pensato: ma quest’uomo, che ha perdonato i peccati a tutto il clero di Buenos Aires, anche a me, nemmeno un fiore… Sono salito e sono andato in una fioreria – perché a Buenos Aires agli incroci delle vie ci sono le fiorerie, sulle strade, nei posti dove c’è gente – e ho comprato fiori, rose… E sono tornato e ho incominciato a preparare bene la bara, con fiori... E ho guardato il Rosario che avevo in mano… E subito mi è venuto in mente - quel ladro che tutti noi abbiamo dentro, no? -, e mentre sistemavo i fiori ho preso la croce del Rosario, e con un po’ di forza l’ho staccata. E in quel momento l’ho guardato e ho detto: “Dammi la metà della tua misericordia”. Ho sentito una cosa forte che mi ha dato il coraggio di fare questo e di fare questa preghiera! E poi, quella croce l’ho messa qui, in tasca. Le camicie del Papa non hanno tasche, ma io sempre porto qui una busta di stoffa piccola, e da quel giorno fino ad oggi, quella croce è con me. E quando mi viene un cattivo pensiero contro qualche persona, la mano mi viene qui, sempre. E sento la grazia! Sento che mi fa bene. Quanto bene fa l’esempio di un prete misericordioso, di un prete che si avvicina alle ferite…

Se pensate, voi sicuramente ne avete conosciuti tanti, tanti, perché i preti dell’Italia sono bravi! Sono bravi. Io credo che se l’Italia ancora è tanto forte, non è tanto per noi Vescovi, ma per i parroci, per i preti! E’ vero, questo è vero! Non è un po’ d’incenso per confortarvi, lo sento così.

La misericordia. Pensate a tanti preti che sono in cielo e chiedete questa grazia! Che vi diano quella misericordia che hanno avuto con i loro fedeli. E questo fa bene.

Grazie tante dell’ascolto e di essere venuti qui.

Angelus Domini …


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 Papa Francesco e la preghiera "per chiedere il dono delle lacrime" nel "Messale antico" (ma c'è anche in quello nuovo!)



Papa Francesco durante l'incontro con i sacerdoti della diocesi di Roma (qui video completo), ha parlato della preghiera che era presente nel "Messale antico" per chiedere la grazia di piangere i propri peccati e aprirsi alla Misericordia di Dio:
Omnípotens et mitíssime Deus, qui sitienti pópulo fontem viventis aquæ de petra produxísti: educ de cordis nostri durítia lácrimas compunctiónis; ut peccata nostra plángere valeámus, remissionémque eorum, te miseránte, mereámur accípere. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Fílium tuum, qui tecum vivit et regnat, in unitate Spíritus Sancti, Deus, per omnia sæcula sæculorum. Amen O Dio onnipotente e mitissimo, che hai fatto scaturire dalla roccia una fonte d’acqua viva per il popolo assetato, fa uscire dalla durezza del nostro cuore lacrime di pentimento: affinché possiamo piangere i nostri peccati e meritare, per tua misericordia, la loro remissione. Per il nostro Signore Gesú Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Nel messale del 1962 il titolo della Messa votiva citata da Papa Francesco e che vi riporto completamente è:
AD PETENDAM COMPUNCTIONEM CORDIS
Oratio Omnípotens et mitíssime Deus, qui sitiénti pópulo fontem vivéntis aquae de petra produxísti: educ de cordis nostri durítia lácrimas compunctiónis; ut peccáta nostra plángere valeámus, remissionémque eórum, te miseránte, mereámur accípere. Per Dóminum nostrum. 
Secreta Hanc oblatiónem, quaesumus, Dómine Deus, quam tuae maiestáti pro peccátis nostris offérimus, propítius réspice: et produc de óculis nostris lacrimárum flúmina, quibus débita flammárum incéndia valeámus exstínguere. Per Dóminum. 
Postcommunio Grátiam Spíritus Sancti, Dómine Deus, córdibus nostris cleménter infúnde: quae nos gemítibus lacrimárum effíciat máculas nostrórum dilúere peccatórum; atque optátae nobis, te largiénte, indulgéntiae praestet efféctum. Per Dóminum nostrum.

Ma la bella notizia è che nella III edizione latina tipica del Messale Romano di Paolo VI, quella che avremo - si spera - presto in Italiano, sono state reintrodotte come "formulario alternativo" queste preghiere "ad petendas lacrimas" (un po' ritoccate la super oblata post communionem...). Uscite dalla porta, rientrano dalla finestra.
Le preghiere citate da Papa Francesco per chiedere il dono delle lacrime di pentimento e rinnovamento, le trovate nel Missale Romanum 2002 tra le messe "Ad diversa", num. 38: "Pro remissione peccatorum", formulario B aliae orationes
Eccovi qui le orazioni del "Nuovissimo Messale" che ricalcano quelle dell' "Antico", e che potete usare nelle vostre messe votive:
Collecta Omnipotens et mitissime Deus, qui sitienti populo tuo fontem viventis aquae de petra produxisti: educ de cordis nostri duritia lacrimas compunctionis; ut peccata nostra plangere valeamus, remissionemque eorum, te miserante, mereamur accipere. Per Dominum...
Super oblata Hanc oblationem, quaesumus, Domine quam maiestati tuae pro peccatis nostris offerimus, propitius respice et praesta, ut sacrificium ex quo hominibus profluit fons veniae Sancti Spiritus gratiam lacrimas effundendi pro nostris offensionibus largiatur. Per Christum...
Post communionem Tui, Domine, sacramenti veneranda perceptio faciat nos gemitibus lacrimarum maculas nostrorum diluere peccatorum atque optatae nobis, te largiente, indulgentiae praestet effectum. Per Christum...


Testo preso da: Papa Francesco e la preghiera "per chiedere il dono delle lacrime" nel "Messale antico" (ma c'è anche in quello nuovo!) http://www.cantualeantonianum.com/2014/03/papa-francesco-e-la-preghiera-per.html#ixzz2vCRrNsPW 
http://www.cantualeantonianum.com 


 


[Modificato da Caterina63 06/03/2014 17:35]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/03/2014 18:58
 
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  Il Papa all’Angelus: ascoltate Gesù e condividete la sua Parola. Portate sempre il Vangelo con voi



ANGELUS

Piazza San Pietro
II Domenica di Quaresima, 16 marzo 2014

Video

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi il Vangelo ci presenta l’evento della Trasfigurazione. E’ la seconda tappa del cammino quaresimale: la prima, le tentazioni nel deserto, domenica scorsa; la seconda: la Trasfigurazione. Gesù «prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1). La montagna nella Bibbia rappresenta il luogo della vicinanza con Dio e dell’incontro intimo con Lui; il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore. Lassù sul monte, Gesù si mostra ai tre discepoli trasfigurato, luminoso, bellissimo; e poi appaiono Mosè ed Elia, che conversano con Lui. Il suo volto è così splendente e le sue vesti così candide, che Pietro ne rimane folgorato, tanto che vorrebbe rimanere lì, quasi fermare quel momento. Subito risuona dall’alto la voce del Padre che proclama Gesù suo Figlio prediletto, dicendo: «Ascoltatelo» (v. 5).
Questa parola è importante! Il nostro Padre che ha detto a questi apostoli, e dice anche a noi: “Ascoltate Gesù, perché è il mio Figlio prediletto”. Teniamo, questa settimana, questa parola nella testa e nel cuore: “Ascoltate Gesù!”. E questo non lo dice il Papa, lo dice Dio Padre, a tutti: a me, a voi, a tutti, tutti! E’ come un aiuto per andare avanti nella strada della Quaresima. “Ascoltate Gesù!”. Non dimenticare.

È molto importante questo invito del Padre. Noi, discepoli di Gesù, siamo chiamati ad essere persone che ascoltano la sua voce e prendono sul serio le sue parole. Per ascoltare Gesù, bisogna essere vicino a Lui, seguirlo, come facevano le folle del Vangelo che lo rincorrevano per le strade della Palestina. Gesù non aveva una cattedra o un pulpito fissi, ma era un maestro itinerante, che proponeva i suoi insegnamenti, che erano gli insegnamenti che gli aveva dato il Padre, lungo le strade, percorrendo tragitti non sempre prevedibili e a volte poco agevoli.
Seguire Gesù per ascoltarlo.
Ma anche ascoltiamo Gesù nella sua Parola scritta, nel Vangelo.
Vi faccio una domanda: voi leggete tutti i giorni un passo del Vangelo? Sì, no…sì, no… Metà e metà… Alcuni sì e alcuni no. Ma è importante!
Voi leggete il Vangelo? E’ cosa buona; è una cosa buona avere un piccolo Vangelo, piccolo, e portarlo con noi, in tasca, nella borsa, e leggerne un piccolo passo in qualsiasi momento della giornata. In qualsiasi momento della giornata io prendo dalla tasca il Vangelo e leggo qualcosina, un piccolo passo. Lì è Gesù che ci parla, nel Vangelo! Pensate questo. Non è difficile, neppure necessario che siano i quattro: uno dei Vangeli, piccolino, con noi. Sempre il Vangelo con noi, perché è la Parola di Gesù per poterlo ascoltare.

Da questo episodio della Trasfigurazione vorrei cogliere due elementi significativi, che sintetizzo in due parole: salita ediscesa. Noi abbiamo bisogno di andare in disparte, di salire sulla montagna in uno spazio di silenzio, per trovare noi stessi e percepire meglio la voce del Signore. Questo facciamo nella preghiera. Ma non possiamo rimanere lì!
L’incontro con Dio nella preghiera ci spinge nuovamente a “scendere dalla montagna” e ritornare in basso, nella pianura, dove incontriamo tanti fratelli appesantiti da fatiche, malattie, ingiustizie, ignoranze, povertà materiale e spirituale. A questi nostri fratelli che sono in difficoltà, siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo la grazia ricevuta. E questo è curioso. Quando noi sentiamo la Parola di Gesù, ascoltiamo la Parola di Gesù e l’abbiamo nel cuore, quella Parola cresce.
E sapete come cresce? Dandola all’altro! La Parola di Cristo in noi cresce quando noi la proclamiamo, quando noi la diamo agli altri! E questa è la vita cristiana. E’ una missione per tutta la Chiesa, per tutti i battezzati, per tutti noi: ascoltare Gesù e offrirlo agli altri. Non dimenticare: questa settimana, ascoltate Gesù! E pensate a questa cosa del Vangelo: lo farete? Farete questo? Poi domenica prossima mi direte se avete fatto questo: avere un piccolo Vangelo in tasca o nella borsa per leggere un piccolo passo nella giornata.

E adesso rivolgiamoci alla nostra Madre Maria, e affidiamoci alla sua guida per proseguire con fede e generosità questo itinerario della Quaresima, imparando un po’ di più a “salire” con la preghiera e ascoltare Gesù e a “scendere” con la carità fraterna, annunciando Gesù.

Dopo l'Angelus:

Fratelli e sorelle,

saluto tutti voi, cari fedeli di Roma e pellegrini!

Saludo a los peregrinos de Valencia, España; come pure i gruppi provenienti da Mannheim (Germania) e Skara (Svezia).

Saluto e ringrazio i gruppi bandistici e corali venuti da Piemonte, Liguria, Emilia e Toscana, con alcune Autorità civili.

Una parola va alla Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, che venerdì prossimo, alla sera, guiderà per le strade del centro di Roma una speciale “Via Crucis” per le donne vittime della tratta. Sono bravi questi!  

Vi invito a ricordare nella preghiera i passeggeri e l’equipaggio dell’aereo della Malaysia e i loro familiari. Siamo vicini a loro in questo difficile momento.

Saluto i gruppi parrocchiali, in particolare i fedeli di Giave, Liedolo, San Prospero, Sorrento, Codogno e Nostra Signora di Czestochowa in Roma; e le Suore Francescane Minime del Sacro Cuore.

Saluto le numerose scuole di tante parti d’Italia e di altri Paesi - non posso nominarle tutte! -; ma ricordo la scuola cattolica “Mar Qardakh” di Erbil, nel Kurdistan. Ricordiamola insieme: è lontana, ma col nostro cuore ricordiamola; e quella della diocesi di London in Ontario – Canada.

Saluto i giovani della Società di San Vincenzo De Paoli, il Rotary Club di Massafra-Mottola, i ragazzi di Calcio e quelli di None, i bambini di Soliera e San Felice sul Panaro.

A tutti auguro una buona domenica





[Modificato da Caterina63 16/03/2014 19:16]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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29/03/2014 15:41
 
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  Autentica apologetica del Risorto


Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!
(Galati 1,8)

Durante un incontro con i catechisti di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi parlò della Resurrezione di Cristo. Al termine, si avvicinò una catechista di lunga data che gli chiese: "Eminenza, se ho capito bene, lei sta dicendo che Gesù è vivo, veramente come lo siamo io e lei... Ma lei è sicuro?". Biffi strabuzzò gli occhi al sentirsi chiedere questo da una catechista e rispose: "Sì, signora, il Risorto è vivo e vegeto, non è un morto dell'al di là". "Davvero? Adesso lo dico a mio marito". "Brava, signora, lo dica a suo marito". Il cardinale li osservò parlare un po', dopo il marito si avvinò a lui e gli chiese: "Eminenza, ma mia moglie ha capito bene quello che lei le ha detto? Il Cristo Risorto è vivo?". Alla conferma di Biffi, l'uomo esclamò: "Cristo Risorto è vivo! Ma questo cambia tutto!". Eh sì... cambia tutto... 

La controversia gnostica del II secolo fa scivolare la Risurrezione di Gesù in secondo piano. La gnosi punta l’attenzione sull’incarnazione di Gesù. In età patristica l’evento della Resurrezione non sembra avere una trattazione autonoma, ma viene fatto giocare in funzione di questo discorso sulla figura di Gesù vero Dio - vero uomo e in funzione del discorso sulla resurrezione di Gesù. Relativamente a questo periodo bisogna ricordare come fosse anche molto sviluppato il filone apologetico, che difendeva la Resurrezione di Gesù.

 

Nel periodo patristico domina la prospettiva storico-salvifica, non siamo ancora nella prospettiva essenzialistica della scolastica. Si insiste sull’argomentazione apologetica effetto-causa: dall’effetto miracoloso si deduce come vera la causa annunciata.

 

Dice San Giovanni Crisostomo: “Come si spiega che tutti i discepoli quando il Cristo era ancora vivo non avevano saputo resistere a pochi Giudei, mentre poi giacendo morto avrebbero ricevuto tanto coraggio da schierarsi vittoriosamente contro il mondo intero? Quale realtà si può presumere se non il miracolo della resurrezione?”. [1]

Esibireste questa argomentazione apologetica in una buona catechesi, oggi?

Questa è una affermazione valida, razionale e logica ma non più sufficiente, non più esclusiva soprattutto dopo l'eresia ariana che si ripresenta oggi sotto nuove vesti.

 In ogni caso, nel corso dei secoli, si va in modo progressivo verso l’oblìo della Resurrezione di Gesù, in favore della considerazione statica della sua natura umana: non è più tanto Gesù nella sua carne che riempie di grazia e di verità quelli che a Lui si affidano, ma è il Dio-uomo che salva l’uomo. Progressivamente la fede cristiana smarrisce l’Oggetto – il Crocifisso Risorto – e assume il termine vero Dio e vero uomo.

E alla fine, nei nostri giorni, si è messo da parte “Dio” e si è elevato l'uomo che era il Cristo, con una devastazione della dottrina stessa dell'Incarnazione, ma anche della Croce.

Allora la domanda è diventata: “è veramente Dio, Gesù?”, piuttosto che: “è veramente Risorto Gesù, in quanto Dio?”.

La fede cristiana si è imbattuta fin dall’inizio col mondo greco, con la sua cultura segnata da una metafisica dualistica, metafisica della verità dalla quale il tema della libertà era stato estraniato (la fede si accetta e basta). La fede cristiana dovendo reagire a questa cultura assume quella strumentazione concettuale che era tipica di quella metafisica.

In sostanza e gradualmente, la proposta dell’Oggetto della fede cristiana, il Risorto, non riesce più a presentare la storia, la carne, la libertà stessa del Soggetto stesso per cui si parla e si discute, ossia, di Gesù – Dio Incarnato – quale “luogo” del manifestarsi della volontà di Dio (occorrerà attendere San Tommaso d'Aquino per riportare forza e credibilità, a livello teologico, della dottrina sul Dio Incarnato).

La storia di Gesù fatica a determinare da qui in avanti il discorso su Dio e la Presenza reale di Dio fra gli uomini:

Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. […] Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,10-15)

Tutta questa era racchiuso - anche se condensato - nel manuale, oggi in disuso, della “Teologia fondamentale apologetica”, nel trattato intitolato “De Christo Dei legato”, che aveva come compito quello di dimostrare la fondatezza della fede cristiana, la quale aveva come questione decisiva la Resurrezione come prova ultima del fatto che Gesù è veramente Dio, Via, Verità e Vita: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto» (Gv 14,6-7)

 

La Chiesa dei primi secoli e fino ai Concili che ne stabilirono i dogmi principali della Fede, premetteva queste discussioni nei suoi manuali:

  • De praedestinatione Christi: scopo e fine della missione del Cristo.
  • De verbo incarnato: sul dogma dell’incarnazione di Gesù vero Dio-vero uomo.
  • De Christo Redemptore: riepilogo del mistero pasquale alla morte di Gesù, nella quale si compie adeguatamente la soddisfazione della giustizia divina.

La Resurrezione viene, in un certo senso però, scorporata dall’unità del mistero salvifico, diventa di competenza dell’indagine apologetica, tesa a comprovare la divinità di Gesù attestata dal dogma. La Resurrezione diventa così il motivo che certifica l’avvenuta locutio Dei (Dio ha parlato!).

Ciò che impegnerà la qualità teologica del procedimento non è lo schema “registrazione della pretesa di Gesù – dimostrazione della pretesa di Gesù”, ma il “tacito presupposto teorico” che comanda l’intero manuale di tutta la teologia: la storia di Gesù è funzionalizzata a comprovare le verità dogmatiche.

I trattati apologetici dei Padri insistevano sulla storicità della Resurrezione e delle apparizioni, spiegati in termini tassativi a causa delle molte eresie – la gnosi ma anche l’arianesimo poi – che tendevano a fare del Cristo o l'inaccessibile, o il tutto uomo in qualche modo alla fine divinizzato, lasciando la questione della Resurrezione relegata ad un evento di cornice.

Infatti, fin dalle prime dispute, la Resurrezione di Gesù viene sezionata in due parti:

  1. verità storica, motivo della fede, dice il fatto della Resurrezione > siamo al razionalismo;
  2. verità rivelata, oggetto della fede, dice il contenuto della Resurrezione > siamo al fideismo.

Questa divisione esplode nella questione lessinghiana [2] del rapporto storia-verità. La storicità dell’evento escatologico non è stato più mantenuta nella sua valenza simbolo-verità ma è diventata relativa alla conferma della fede in alcune  verità dogmatiche; in poche parole e dall'epoca dei cosiddetti “Lumi” la questione apologetica si è ridotta a questo schema-scontro per certi versi anche inquietante:

  1. la Resurrezione di Gesù non è fondamento della fede in quanto argomento storico. Piuttosto, la resurrezione di Gesù, nelle tracce della sua reperibilità storica, vale quale argomento ragionevole di quella fede che essa stessa ha fondato: soggettivismo;
  2. la fede cristiana si dà come accoglienza del “farsi vedere” dell’Assoluto di Gesù che, proprio nel darsi a “vedere” procura le condizioni dell’evidenza complessiva della sua vicenda teocentrica; muovendo alla fede: oggettivismo-conversione.

I nodi fondamentali intorno ai quali le teologie fondamentali si soffermano, e verso i quali i Pontefici sollecitano allo studio approfondito, sono essenzialmente due: 

  1. La Resurrezione di Gesù viene trattata tenendo conto dell’orizzonte ermeneutico: lo sfondo della Resurrezione di Gesù è rappresentato dal rapporto storia-rivelazione-tradizione. Fondamentale è quel collocare la Resurrezione di Gesù dentro la rivelazione di Dio, dentro la viva Tradizione della Chiesa, la quale a sua volta viene riconnessa alla storia del Gesù narrato nei Vangeli, una storia autentica riapprezzata come il luogo della rivelazione.
  2. Si cerca di prendere le distanze dallo schema interpretativo soggettivo della vicenda pasquale: quello schema, tipico delle basi che abbiamo sopra analizzato e che hanno dato origine a molte eresie; della verità intesa in senso soggettivistico, dualistico nel senso di separare la divinità dall'umanità acquisita dal Cristo.

Secondo questo schema, infatti, la Resurrezione di Gesù (nelle varie teologie) veniva storicizzata in modo soggettivistico perdendo l’unità nella quale si connette la Resurrezione di Gesù (risorge proprio perchè è Dio e non perchè uomo) con la testimonianza, la fede dei discepoli che giungono a donare la propria vita per essere, a loro volta, testimoni della Verità che hanno incontrato.

 

Dopo l’irruzione di Martin Heidegger sull'esistenzialismo, sull’umanesimo e varie, vale la pena ricomprendere l’unitarietà dell’evento della Resurrezione di Gesù e della testimonianza dei discepoli in chiave cattolica.

La Resurrezione di Gesù, in quanto evento storico e teologicamente Verità che si rivela, provoca la fede dei discepoli, è pura grazia questo darsi a vedere dell’Eterno che provoca la libertà dei discepoli alla fede, che propizia, schiude gli occhi perché vedano, produce quella fede necessaria all'incontro con il Risorto e non più al semplicemente “il Nazareno”.

Ricordiamo tutti la scena di Tommaso:

Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!... Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20,24-29)

Il dato della Resurrezione di Gesù è dunque comprensivo della fede dei discepoli, è Tradizione viva come ammonisce San Paolo ai Tessalonicesi: “Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” (2Tess 2-15).

Gesù non è solo Oggetto di fede, ma motivo-Autore della fede: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6-7), essendone Egli il Soggetto stesso della fede per la quale si muore, ci si lascia crocifiggere, ci si lascia perseguitare per il Suo Nome santo.

È molto difficile oggi trovare  manuali allineati alla  purezza del dogma cattolico... non pochi teologi o esegeti, o apologeti modernisti si affrettano a contestualizzare la fede pasquale in una sorta di un orizzonte ermeneutico e a rivendicare la realtà delle testimonianze apostoliche in chiave soggettiva, puramente orizzontale ed umanistica, ossia, come evento storico al quale si è tolto l'imperativo del “credere e convertirsi”.

Difficile riscontrare nelle dispute odierne quella “ricerca delle condizioni trascendentali” che spinsero Gesù stesso a compiere la volontà del Padre per darcene anche l'esempio: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42). «Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo» (Ebr 10,9).

Ci si ferma all’argomentazione dogmatica privata dell’apologetica, ossia, non si argomenta più la credibilità di quell’annuncio pasquale e con quel senso trascendentale che ha sempre contraddistinto l'intera patristica dei primi secoli.

Per quanto riguarda il rapporto tra la fede dei discepoli e la nostra fede – la fede di prima mano e la fede di seconda mano – esso viene spesso evocato come problematico ma non viene mai svolto nella sua semplicità, come avveniva appunto nelle prime comunità cristiane alle quali bastava semplicemente l'Annuncio, la testimonianza dei discepoli per dare origine a nuove comunità che si lasciavano semplicemente attrarre dal messaggio e non certo dalle dispute o dalle asserzioni teologiche come si pretende oggi.

Certo, non basta oggi descrivere la fede pasquale dei primi testimoni e poi dire “per analogia – la nostra fede” e tutto finisce qui.

Il “come” va esplicitato nelle sue ragioni e nelle sue possibilità reali di sussistere ancora nel nostro oggi, Presenza del Risorto vivo e reale nel nostro quotidiano.

Ed è ovvio che la dinamica della genesi della loro fede non è quella della nostra fede. La nostra fede non è neanche solo ripetizione della loro, non è un scimmiottare.

Insomma, il Cristianesimo non è solo una questione di fede ripetitiva, ma è ragione, ragione non soggettiva e finalizzata ad un fideismo fatto ad personam o su misura, ma finalizzato a quella oggettività che, essendo incontrastabile perché è Verità, fa scatenare da sempre le persecuzioni contro la Chiesa, contro i Cristiani.

È quel segno di contraddizione che vide la Vergine Santa, ai piedi della Croce, assorbire tutto il dramma del Figlio non nella incomprensione degli eventi – infatti Maria non avvierà mai alcuna discussione –, ma nella donazione totale di sé: e del Figlio e della Madre uniti per condividere il Progetto del Padre.

«Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47), oppure: «Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io» (1Tim 1,15).

 

Il problema non è quello di discutere, oggi, sul chi sarà condannato, ma sul come possiamo salvarci, e la domanda deve essere: Gesù è venuto sì, per salvarci, ma da che cosa, da chi? È ovvio che Lui non ci condanna e non è venuto per condannarci, e non perché è “buono” e quindi ci lascia liberi di fare quello che vogliamo, ma perché eravamo e siamo già condannati. La dinamica è questa: Gesù è venuto per salvarci, se non accogliamo questa salvezza non c'è bisogno di una ulteriore condanna, siamo già condannati, ossia privati della Grazia, la causa del Peccato Originale. A questo servono i Sacramenti a cominciare da quello del Battesimo che ci rende, appunto: figli adottivi di Dio, fratelli del Cristo, eredi della beatitudine eterna. Chi rifiuta questa salvezza si autoesclude da questa eredità divina!

Allora la domanda essenziale che potremmo farci sarà: a quali condizioni è accessibile quella verità di Dio che i primi testimoni hanno visto nella Pasqua di Gesù?

Loro hanno confessato di averlo visto, noi non possiamo confessare di averlo “visto”!

Questa è vera apologetica ed ermeneutica del problema della Verità oggi imbastardita dalle dispute moderniste: la Verità viene compresa non più quale Soggetto che si offre nella libertà e promuove quindi, oggettivamente, la sua apertura ed accoglienza, ma la Verità viene riletta in chiave soggettiva – il Soggetto che è Cristo è trasformato in oggetto a seconda delle proprie immagini ed interpretazioni – come ciò verso cui la libertà è orientata, privandola dai dogmi letti oramai come catene alla libertà di coscienza.

Conseguenza è che la Resurrezione di Gesù viene destituita da ogni carattere di verità, è la libertà che produce la verità, non è più la Verità a determinare-promuovere la libertà dell'individuo. In sostanza la Verità diventa soggettiva, mentre la menzogna diventa oggettiva.

Ci ritroviamo nuovamente nel piazzale del Pretorio quando Pilato offre alla folla la scelta fra Gesù e Barabba: scegliere fra la Verità e la menzogna (Lc 23,18).

Il famoso: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda» (Gv 15,16) diventa un triste: “Io scelgo il Gesù che più soddisfa le mie necessità; scelgo il ‘dio’ che mi rende libero da tutto, anche da lui… porto al mondo la mia fede soggettiva perché fondata sulla mia libera coscienza che è al di sopra di ogni dogma... io scelgo Barabba perché mi fa pena ed era un perseguitato dai romani...”, e così via con altre amenità.

In conclusione si tratta di rintracciare quelle condizioni di credibilità universale della Pasqua di Gesù.

L’annuncio pasquale predica la Pasqua di Gesù: è manifestazione ultima della novità di Dio. Si tratta di soffermarsi nel rapporto tra la fede dei discepoli di prima mano e la nostra fede.

Può essere la nostra fede ripetizione della loro fede? No, è evidente.

Per questo il venerabile Pio XII aveva chiarito, quasi profeticamente, contro quel “archeologismo” del cristianesimo, quel prurito ad un ritorno della fede del primo secolo con la pretesa di cancellare tutto il supporto dogmatico e dottrinale della Chiesa fino ad oggi.

Pio XII ritorna su questi aspetti nell’enciclica “Humani generis” [3] nella quale rilancia un nuovo avvertimento contro un “relativismo dogmatico” che, abbandonando il modo di esprimersi della Chiesa finisce per usare termini che mutando lungo il corso della storia per esprimere il contenuto della fede, finisce per modificarne il contenuto, relativizzandolo alla comprensione del momento impedendone, così, la comprensione cattolica=universale già sostenuta dalla Chiesa.

Qual è dunque la natura della fede dei discepoli alla quale dobbiamo aderire?

La fede è un atto soprannaturalmente libero, ma è anche un dono che va umilmente richiesto, se dunque la fede dei discepoli è incardinata in questa dinamica del farsi vedere del Risorto (=richiesta), come può essere mantenuto e compreso il carattere necessariamente libero (=scelgo di credere) della loro stessa fede?

Sembra che la certezza della fede dei discepoli coincida con una evidenza incontrovertibile, cioè, essi chiedono di “vedere” e Gesù li accontenta, ma noi anche se chiediamo non possiamo “vederlo” perciò dobbiamo comportarci  non tanto come i primi discepoli, ma somigliare di più alle dinamiche di fede intraprese, per esempio, da S. Agostino.

Punto di partenza: “Gesù è risorto”, anzi, come dirà in modo più coinvolgente San Luca: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (24,34).

Questa affermazione sottolinea l’aspetto presente più che l’aspetto passato; il Risorto è davvero risorto ed è apparso, è vivo, è presente, è ieri, oggi e domani.

Indica la presenza reale di Gesù veramente risorto, più che qualcosa che è avvenuto allora, del passato, è una realtà dell’oggi, di ogni epoca alla quale il Risorto continua a rivolgersi.

Che cosa però mi informa sul fatto passato? È il Nuovo Testamento accostato senza pregiudizi.

E che cosa mi informa sul fatto oggettivo che il Risorto è presente, vivo? È sempre il Vangelo accompagnato dalla Tradizione e dal Magistero vivo della Chiesa, dalla testimonianza dei Santi, accostati senza pregiudizi.

I Padri della Chiesa ci insegnano la differenza fra quel “chi ha visto ha creduto”, da quel più dogmatico e cattolico: “chi credette vide che qui era all’opera Dio in persona”. Occorre credere per “vedere” e non già “vedere per credere”.

 

L’espressione “Davvero il Signore è risorto” significa che: il Gesù che è stato Crocifisso è vivo, è presente e chiama oggi a continuare la sua opera nella Chiesa sua Sposa.

È infine fondamentale che la Resurrezione di Gesù può essere compresa solo a partire dalla relazione reale che abbiamo dall'Incarnazione, dalla vita e fino alla Sua morte di Croce. Questo fatto che è reale, concreto, storico, mette in luce quell’inedito cristologico che troviamo in diversi Salmi: “Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia” (Sal 2,2) un, sedicente Messia, è morto nel modo che ci è stato raccontato. Questi Israeliti che erano discepoli di Gesù, faticosamente iniziati da Gesù a una comprensione di Dio, attendevano quasi certamente che il Messia risorgesse. Ma non che risorgesse quel messia lì della croce. Sembra che nel momento in cui quel “sedicente Messia” ha concluso la sua pretesa di essere messia sulla croce, i discepoli non lo consideravano più Messia, e per questo non attendessero più la resurrezione da Lui annunciata, perché non lo consideravano più tale. La speranza nella resurrezione, laddove fosse stata effettiva, comunque crolla con la morte di Gesù: crollo della speranza nel Venerdì Santo (vedi Lc 22,54).

 

Vi lasciamo con le parole del profeta Isaia per attestare la verità di quanto abbiamo qui condiviso con voi (cap. 53).

 

1 Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?

A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?

2 È cresciuto come un virgulto davanti a lui

e come una radice in terra arida.

Non ha apparenza né bellezza

per attirare i nostri sguardi,

non splendore per provare in lui diletto.

3 Disprezzato e reietto dagli uomini,

uomo dei dolori che ben conosce il patire,

come uno davanti al quale ci si copre la faccia,

era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.

4 Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,

si è addossato i nostri dolori

e noi lo giudicavamo castigato,

percosso da Dio e umiliato.

5 Egli è stato trafitto per i nostri delitti,

schiacciato per le nostre iniquità.

Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;

per le sue piaghe noi siamo stati guariti.

6 Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,

ognuno di noi seguiva la sua strada;

il Signore fece ricadere su di lui

l'iniquità di noi tutti.

7 Maltrattato, si lasciò umiliare

e non aprì la sua bocca;

era come agnello condotto al macello,

come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,

e non aprì la sua bocca.

8 Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;

chi si affligge per la sua sorte?

Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,

per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte.

9 Gli si diede sepoltura con gli empi,

con il ricco fu il suo tumulo,

sebbene non avesse commesso violenza

né vi fosse inganno nella sua bocca.

10 Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.

Quando offrirà se stesso in espiazione,

vedrà una discendenza, vivrà a lungo,

si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.

11 Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce

e si sazierà della sua conoscenza;

il giusto mio servo giustificherà molti,

egli si addosserà la loro iniquità.

12 Perciò io gli darò in premio le moltitudini,

dei potenti egli farà bottino,

perché ha consegnato se stesso alla morte

ed è stato annoverato fra gli empi,

mentre egli portava il peccato di molti

e intercedeva per i peccatori.

 

Sia lodato Gesù Cristo.

Sempre sia lodato.

 

NOTE

1] Dalle «Omelie sulla prima lettera ai Corinzi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 4, 3. 4; PG 61, 34-36)

 

2] “questione lessinghiana”: come rappresentante di spicco dell'Illuminismo tedesco Lessing viene considerato un precoce pensatore della presa di coscienza della classe borghese della sua identità e forza sociale. Tema ricorrente nel pensiero di Lessing è quello che la ricerca è superiore al possesso della verità: «Se Dio tenesse nella sua destra tutta la verità e nella sua sinistra il solo tendere alla verità con la condizione di errare eternamente smarrito e mi dicesse: “Scegli, io mi precipiterei con umiltà alla sua sinistra e direi: Padre, ho scelto; la pura verità è soltanto per te», una frase ad effetto, accattivante a prima lettura, ma che nasconde tuttavia una grave presa di posizione antidogmatica secondo la quale ogni conoscenza acquisita deve essere aperta alle correzioni e ai contributi che vengono dalle nuove esperienze, così che la conoscenza autentica non è quella di chi difende le posizioni raggiunte (dogmi e dottrine - asserzioni definitive sull'identità del Cristo, in questo caso) ma quella di chi si espone alla ricerca rischiosa di nuovi risultati, indipendentemente dalle verità già acquisite. In sostanza la Verità assoluta, acquisita, non esiste più. Afferma infatti Lessing nella sua “riabilitazione di G. Cardano”: «Da un giudice non si può pretendere altro che egli si schieri con quella parte che sembra avere il maggiore diritto. [Per le controversie che hanno per oggetto la verità questa non appartiene al vincitore per diritto, così che il perdente può correggere gli errori e partecipare alla verità di chi ha vinto. Il filosofo deve essere onesto e non deve mettere da parte quei dati che possono contestare il suo sistema a vantaggio del sistema altrui.] Se si comporta diversamente, allora è chiaro che egli stravolge la verità a proprio tornaconto e la vuole rinchiudere negli angusti limiti della propria pretesa infallibilità ». Un conto è se questo pensiero resta applicabile alle questioni fra gli uomini, alle dispute del mondo, altra cosa è quando si pretende di usare questa teoria riguardo al Cristo e soprattutto nei confronti della Chiesa in qualità di Maestra e per diritto divino infallibile nella dottrina che imparte.

 

3] Pio XII Enciclica Humani generis del 22 agosto 1950.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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03/04/2014 15:22
 
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A dieci anni dal film The Passion 

Gesù il Cristo colpevole di tanta Passione!

 

Nella Settimana Santa di dieci anni orsono, quella del 2004, usciva il film The Passion, La Passione di Cristo, fra mille polemiche che, in verità, non si sono mai assopite del tutto.

Il regista Mel Gibson, pur con tutti i suoi difetti, aveva voluto solamente offrire al grande "pubblico" non una biografia di Gesù Cristo come se ne erano viste tante e diverse dagli anni Sessanta (1), ma esprimere una riproduzione fedele dei fatti narrati dai Vangeli, a tal punto fedele al fatto storico da non voler inserire alcun altro dialogo di quello che non fosse riportato dalla Scrittura e dalle Visioni della Beata Caterina Emmerick, nessun dialogo se non quello inerente ai fatti storici usando persino le lingue di quel tempo quali l'aramaico, il latino, l'ebraico.

 

In una accesa discussione si è sentito un sacerdote schernire il film con questa affermazione: "San Mel Gibson, ora pro nobis. Un film di una noia insopportabile, è come se la vita di Gesù fosse solo la passione. Ma se si continua a considerare rivelazione la Emmerick e non i Vangeli questi sono i frutti..."(2)

Il problema è che al di là delle Visioni della Beata Emmerick (mai smentite o condannate dalla Chiesa e per giunta pure beatificata da un Pontefice a breve canonizzato), e al di la del fatto che senza dubbio i sottotitoli scorrevoli nel film, impegnano la persona ad una attenzione assai diversa di quella che si può gestire durante un film d'azione, o seguendo un giallo o una storia d'amore, questo film è al di fuori di ogni etichetta hollywoodiana, al di fuori dei grandi Colossal.  E' piuttosto una storia d'amore, questa, al di fuori di ogni "politica corretta" perchè l'amore non è dipinto fra albe e tramonti, fra un bacio e le parole verbose del "ti amo fino a che dura" o di una carezza delle interminabili e davvero noiose telenovelas, fra un "Via col vento" o peggio, uno stuzzicare colui che guarda attraverso scene hard...

Qui ci troviamo davanti a quell'Amore inaccettabile che vede un Padre mandare il proprio Figlio al "macello", come dice Isaia, a morire sulla Croce.

Inaudito!

Questo sacerdote dovrebbe spiegarci come è possibile che un Ministro di questo Dio così "pazzo di questo Amore sublime", si "annoia" nel rileggere e rileggere la Passione di Cristo, ci chiediamo che razza di Messa celebra visto che è sempre ripetitiva, e ci chiediamo come tradurrebbe Isaia cap. 53 e come potrebbe mai sopportare espressioni del tipo:

" Disprezzato e reietto dagli uomini,

uomo dei dolori che ben conosce il patire,

come uno davanti al quale ci si copre la faccia...

(..) Maltrattato, si lasciò umiliare

e non aprì la sua bocca;

era come agnello condotto al macello,

come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,

e non aprì la sua bocca."

... e già, una vera noia!! e che questo lo dica un laico, passi, ma che lo dica un sacerdote è davvero inaccettabile e non per difendere il film di Gibson, quanto per difendere la realtà e la verità contenuta nei fatti narrati nel film. Siamo certi che il sacerdote ci risponderebbe: "avete capito male, io mi riferivo al film e non certo a quello che è narrato dai Vangeli!", ma perchè, cosa è narrato nei Vangeli della Passione che il film non ha riportato o che avrebbe falsificato?

Ci troviamo ancora una volta di fronte ad un Cristo colpevole di aver osato di parlare d'amore, anzi di aver testimoniato l'amore non attraverso baci e carezze, ma attraverso la Passione e la morte. Una morte vergognosa, nudo, con le carni squarciate dalla flagellazione, dalle cadute sotto la Croce durante la camminata sul Calvario sotto il peso dei nostri peccati - non dimentichiamolo mai - per raggiungere il luogo della crocifissione: "Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca, come agnello condotto al macello"...

... e già, una vera noia... mortale!! una noia mortale... insopportabile! e qui non c'entra affatto il film perchè il sacerdote specifica: "è come se la vita di Gesù fosse solo la passione"

Bè, ci perdonerà questo sacerdote, e chi la pensa come lui, se è stato Nostro Signore Gesù Cristo ad affermare che: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità» (Gv 18,37).

«Per questo sono venuto nel mondo». Per che cosa era venuto nel mondo? e a fare che?

Quando Gesù pronuncia queste parole ci troviamo davanti alla scena della Sua condanna a morte. Pilato ha capito che Gesù era innocente e lo dice per ben tre volte, ma non lo ascoltano, vogliono Gesù morto!

Pilato cerca di liberarlo, Gli prospetta il suo potere attraverso il quale egli avrebbe potuto liberare Gesù in nome di Cesare, ma Gesù gli risponde rivelandogli un potere decisamente assai più grande dal quale dipende persino il potere di Cesare. Davanti a queste asserzioni Pilato cede, Gesù non ha alcuna intenzione di difendersi, nè sembra preoccupato a voler cambiare il proprio destino di morte, allora Pilato si lava le mani cedendo al compromesso che possa soddisfare le parti contendenti: il Sinedrio e il potere di Cesare.

E non solo di Cesare o del Sinedrio perchè nel piazzale antistante al Pretorio c'eravamo anche noi quel giorno quando Pilato, dopo essersi lavato le mani, fa ricadere sulla nostra decisione che fine debba fare il Cristo; ed offre alla folla di scegliere fra Gesù e Barabba: scegliere fra la Verità e la menzogna (Lc.23,18).

Certo che la vita di Gesù Cristo non è stata e non è solo la Passione dal momento che  c'è stata anche la Risurrezione (cfr.1Cor.15,13-14), ma senza dubbio è questa Passione e morte, con la Risurrezione ad essere il cuore pulsante di tutta la Scrittura, persino nella Chiesa la Liturgia con il culto Eucaristico è il cuore-motore di tutta la sua vita presente, passata e futura e persino della Chiesa già trionfante in Cielo, si pensi solo al fatto che per acquistare una indulgenza per le Anime del Purgatorio è inderogabile la Messa, il Sacrificio perfetto per la loro e nostra beatitudine; e non è forse l'Eucaristia quel dolce Viatico per accompagnare il moribondo nell'altra vita?

" Gli Apostoli che presero parte all'Ultima Cena capirono il significato delle parole uscite dalle labbra di Cristo? Forse no. Quelle parole si sarebbero chiarite pienamente soltanto al termine del Triduum sacrum, del periodo cioè che va dalla sera del Giovedì fino alla mattina della Domenica. In quei giorni si inscrive il mysterium paschale; in essi si inscrive anche il mysterium eucharisticum..." (3)

Sì caro Sacerdote, il cuore della vita di Gesù Cristo è stata solo la Passione!

La stessa Incarnazione divina non è stata forse la prima umiliazione di Dio, la Sua prima Passione? Si è incarnato per fare che cosa, una gita, una scampagnata sulla terra?

La strada che Gesù intraprende per salvare (= per regnare) non si pone forse in contrasto con ogni più ragionevole attesa perché Egli sceglie non la forza e la ricchezza, ma la debolezza e la povertà, l'ingiustizia e la Croce? E vertice della liturgia della Parola nella Domenica delle Palme non è forse  la lettura della Passione?

" Proprio in questo misterioso scandalo di umiliazione, di sofferenza, di abbandono totale si compie il disegno salvifico di Dio. Nell’impatto con la croce la fede vacilla: il peso di una forca schiaccia il Giusto per eccellenza e sembra dar ragione alla potenza dell’ingiustizia, della violenza e della malvagità. Sale inquietante la domanda del «perché» di questo cumulo insopportabile di sofferenza e di dolore che investe Gesù, il Crocifisso, e con lui tutti i crocifissi della storia. Sulla croce muoiono tutte le false immagini di Dio che la mente umana ha partorito e che noi, forse, continuiamo inconsciamente ad alimentare. Dov’è l’onnipotenza di Dio, la sua perfezione, la sua giustizia? Perché Dio non interviene in certe situazioni intollerabili?" (4)

Se per chiarire questo dubbio o questa affermazione di un prete: " Un film di una noia insopportabile, è come se la vita di Gesù fosse solo la passione..." era necessario fare una disputa con e sul film di Mel Gibson, ed offrire a noi una sana apologetica, allora questo film ha già vinto l'Oscar più eccelso che ci sia, quello della Verità!

A noi non interessa discutere sugli effetti sonori o cinematografici, sugli attori o sul regista, ma ci interessa capire che cosa è stata questa Passione, fino a che punto ne siamo coinvolti o ci coinvolge, che cosa dice a noi, oggi questa, e non altra, Passione.

 

Gesù il Cristo colpevole di essere Dio! O se preferite: La “colpa” di Gesù Cristo? Quella di essere il vero Dio...

La disputa che anima il mondo da duemila anni a questa parte è sempre la stessa, non è cambiata. Sempre più spesso ci sentiamo dire: "ma i tempi sono cambiati, le situazioni sono cambiate..." asserendo così che è il Vangelo a dover essere cambiato, e lo stanno facendo! (5)

Certo, la mentalità è diversa e cambia, ma la parola di Dio no! e neppure i fatti che si sono svolti.

Non possiamo adattare la Bibbia alla mentalità ciclica e generazionale di ogni epoca, è esattamente il contrario, è ogni tempo che deve adattarsi alla Parola di Dio, Lui è Ieri, oggi e sempre, è Lui che ci rende davvero moderni con la sua Parola che è sempre nuova; nuova però perchè dobbiamo conoscerla e non perchè dobbiamo cambiarla.

Così la Passione del Cristo è sempre la stessa e quel sacerdote non ripete forse ogni giorno le medesime parole nella Liturgia o nel Breviario, o nel Rosario?

Forse è per questo che molti sacerdoti non pregano più, non recitano il Breviario e il Rosario?

Alzino la mano quanti di noi laici troviamo oggi i nostri sacerdoti in ginocchio davanti all'Eucaristia a pregare!

E del resto da questa noia ci aveva messi in guardia San Paolo: "Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero" (2Tim.4,3-5)

 

Di tutto ciò siamo confermati dai Santi, dalle parole di Sant'Alfonso M. de Liguori:

 

"L'amante dell'anime, il nostro amantissimo Redentore, dichiarò che non ebbe altro fine in venire in terra a farsi uomo, che di accendere fuoco di santo amore nei cuori degli uomini: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso (Lc 12, 49). Ed oh che belle fiamme di carità ha egli accese in tante anime, specialmente colle pene che elesse di patir nella sua morte, affin di dimostrarci l'amore immenso che per noi conserva! Oh quanti cuori felici, nelle piaghe di Gesù, come in tante fornaci d'amore, si sono talmente infiammati ad amarlo che non hanno ricusato di consacrargli i beni, la vita e tutti se stessi, superando con gran coraggio tutte le difficoltà che loro si attraversavano nell'osservanza della divina legge, per amore di quel Signore che, essendo Dio, volle tanto soffrire per loro amore! Questo fu appunto il consiglio che ci diè l'Apostolo per non mancare, e per correre speditamente nella via del cielo: Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sè una così grande ostilità da parte dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo (Eb 12, 3).

Perciò l'innamorato S. Agostino, stando a vista di Gesù impiagato sulla croce, così dolcemente pregava: Scrivi, o mio amantissimo Salvatore, scrivi sopra il mio cuore le tue piaghe, acciocché in quelle io legga sempre il vostro dolore e il vostro amore; sì, perché avendo avanti gli occhi miei il gran dolore che voi, mio Dio, soffriste per me, io soffrirò con pace tutte le pene che mai mi occorrerà di patire; ed a vista del vostro amore, che mi avete dichiarato sulla croce, io non amerò nè potrò amare altri che voi.

E da che mai i santi han preso animo e fortezza a soffrire i tormenti, i martiri e le morti, se non dalle pene di Gesù crocifisso?..."

 

e ancora:

"Un giorno S. Tommaso d'Aquino visitando S. Bonaventura gli dimandò di qual libro più si fosse servito per registrar tante belle dottrine che egli avea scritte. S. Bonaventura gli dimostrò l'immagine del Crocifisso, tutta annerita per tanti baci che l'avea dati, dicendo: « Ecco il mio libro, da cui ricavo tutto ciò che scrivo; egli mi ha insegnato tutto quel poco che ho saputo ».

Tutti i santi in somma hanno appresa l'arte d'amare Dio dallo studio del Crocifisso.... (..) Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della legge, diventando egli stesso maledizione per noi come sta scritto: maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti (Gal 3, 13-14). Qui dice S. Ambrogio: Si è fatto lui maledetto sulla croce, affinché tu fossi benedetto nel Regno di Dio."

 

e ancora:

"... dice San Giovanni Crisostomo che bastava sì una preghiera di Gesù per redimerci, ma non bastava per dimostrarci l'amore che questo Dio ci porta: Ciò che bastava per la Redenzione non bastava per l'amore. E lo conferma S. Tommaso dicendo: Cristo, patendo per amore, offrì a Dio più di quanto esigesse la riparazione dell'offesa fatta dal genere umano. Perché Gesù ci amava assai, voleva assai esser amato da noi; e perciò fece quanto potè anche col patire per conciliarsi il nostro amore e per farci intendere che esso non avea quasi più che fare per farsi amare da noi. Dice S. Bernardo, Egli prese molto a patire per molto obbligare l'uomo ad amarlo..."(6)

 

E così ai giorni nostri:

"Dio avrebbe potuto liberare l'uomo dal peccato e dalle sue nefaste conseguenze, la più terribile delle quali è la dannazione eterna, con un semplice condono, con un suo semplicissimo atto di perdono. Infatti sarebbe stata sufficiente la pura onnipotenza divina per redimere l'uomo. Dio avrebbe potuto benissimo perdonare l'uomo e riconciliarlo a sè senza pretendere alcuna soddisfazione, ma richiedendogli soltanto la conversione del cuore. Di fatto però, Dio ha scelto un altro modo per riconciliare a sè l'uomo: ha voluto la passione di Cristo... Giustificati per il Suo Sangue, saremo salvati per mezzo di Lui. In questo modo l'amore e la giustizia di Dio, la misericordia e la giusta riparazione del peccato trionfano insieme perchè Cristo trova la sua glorificazione nello stesso mistero della Pasqua..." (7)

 

 

La colpa di Gesù e per la quale fu decretata la Sua morte era proprio questo Amore di Dio!

Ma Gesù lo sapeva e per questo è venuto nel mondo!

In questo senso Egli è andato "controcorrente": a chi si attendeva un Cristo, il Messia, vendicatore dei regimi totalitari, sconquassatore di poteri mondani, ideatore di sperduti paradisi terrestri e pacifista, ecologista o compagnone, e quant'altro di più aberrante che la fantasia umana è stata capace di escogitare per fuggire dal Calvario, a chi si attende ancora oggi questo Cristo fantasioso, non potrà che rimanere deluso dal film di Gibson, ma anche dai Vangeli veri, dalle parole di Isaia, dalle meditazioni dei Santi.

Il vero Messia "è di scandalo" come dice San Paolo, perchè ha portato alla cruda realtà della Croce. Tutto il cuore del suo messaggio è in questo sconfinato Amore che è possibile scorgere solo sul Calvario, solo "guardando al Crocefisso".

Certo tutto il Vangelo con le sue parabole, con i suoi aforismi, con i miracoli e prodigi, aiutano a conoscere il Cristo la cui identità però è svelata paradossalmente sotto i veli del Mistero Eucaristico al quale si accede solo attraverso il mistero della Croce.

Non c'è altra via!

 

Il film di Mel Gibson ha avuto il merito di riportare i fatti della Passione alla loro nuda e cruda realtà storica e teologica, e non stupisce il perchè non sia piaciuto specialmente agli Ebrei ma anche a molti Cristiani che hanno abbracciato da tempo  l'immagine del Cristo compagnone, pacifista, hippy, ecologista...

 

L'attore Jim Caviezel ha spiegato in una recente intervista del 2011 che dopo aver interpretato Gesù nel film La Passione di Cristo di Mel Gibson, la sua carriera è andata “distrutta”, ma, ha aggiunto, che non se ne pente.

Parlando al Daily Mail, Caviezel, 42 anni, spiega come dopo aver interpretato Cristo nel famoso film, in cui tra l’altro è stato colpito da un fulmine durante le riprese e si è slogato una spalla in una scena della crocifissione, le porte di Hollywood si sono chiuse una dopo l'altra: “Sono stato rifiutato da molti nel mio ambiente” ha dichiarato, così come è accaduto per Mel Gibson.

 

Il mondo non ama il vero Cristo: " Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; ... Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato.... Chi odia me, odia anche il Padre mio... Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione" (Gv.5,18-25)

 

Ad un gruppo di fedeli in una chiesa di Orlando, in Florida, dove è arrivato per promuovere un audio libro sulla Bibbia, Caviezel, che si è dichiarato cattolico, ha detto che era consapevole del fatto che questa discriminazione sarebbe potuta accadere ma non si pente di aver interpretato Cristo. Mel Gibson, regista del film, lo aveva anche avvertito delle possibili conseguenze negative per la sua carriera se avesse accettato il ruolo.

“Mel mi disse, «Non troverai mai lavoro in questa città (Hollywood)» al che gli risposi: «Dobbiamo tutti abbracciare le nostre croci». Gesù è combattuto oggi come lo fu all’epoca. Le cose non sono cambiate molto in duemila anni” ha detto.

Riguardo a Mel Gibson, Jim Caviezel ha anche affermato che “si tratta certo di un grande peccatore, ma non ha bisogno di giudizi quanto di preghiere”.

L'attore ha anche detto che la Fede lo guida personalmente e professionalmente. Per questo pensa che non sia stato un caso che “all'età di 33 anni mi è stato chiesto di interpretare Gesù” ed ha anche scherzato sul fatto che le sue iniziali (JC) sono le stesse di quelle di Gesù Cristo.

Nel marzo del 2004, Jim Caviezel è stato ricevuto dal beato Papa Giovanni Paolo II con il quale ha potuto parlare per una decina di minuti insieme a sua moglie e i figli con i quali dice in famiglia il Rosario, ed ai suoi genitori. Qualche tempo prima, l'attore aveva rilasciato un’interessante intervista ad Aci Prensa in cui spiegava meglio come il fatto di interpretare Gesù abbia trasformato la sua vita e notevolmente rafforzato la sua fede. In quell'occasione ha pure dichiarato: “Questa esperienza mi ha buttato nelle braccia di Dio”(8)

 

Noi vogliamo terminare il ricordo di questo anniversario e ringraziare Mel Gibson attraverso le parole di Sant'Alfonso M. de Liguori le quali non solo confermano la promozione di questo film, ma ci donano le corrette coordinate per vederlo e meditarlo nel modo giusto.

 

"E volle dire l'Apostolo che non tanto ciò che ha patito Gesù Cristo, quanto l'amore che ci ha dimostrato nel patire per noi, ci obbliga e quasi ci costringe ad amarlo. Udiamo quel che dice S. Francesco di Sales su del testo citato: «Sapendo noi che Gesù, vero Dio, ci ha amati sino a soffrire per noi la morte e morte di croce, non è questo un avere i nostri cuori sotto d'un torchio, e sentirlo stringere per forza, e spremerne l'amore per una violenza ch'è tanto più forte quanto è più amabile?»

Indi soggiunge: «Ah, perchè non ci gettiamo dunque sovra di Gesù crocifisso, per morire sulla croce con colui che ha voluto morirvi per amore di noi? Io lo terrò, dovressimo dire, e non l'abbandonerò giammai; morirò con lui, ed abbrucerò nelle fiamme del suo amore. Uno stesso fuoco consumerà questo divin Creatore e la sua miserabile creatura. Il mio Gesù si dà tutto a me ed io mi do tutto a lui. Io viverò e morirò sul suo petto; nè la morte nè la vita mi separeranno mai da lui. O Amore eterno, l'anima mia vi cerca e vi elegge eternamente. Deh venite, Spirito Santo, ed infiammate i nostri cuori colla vostra dilezione. O amare o morire. Morire ad ogni altro amore, per vivere a quello di Gesù. O Salvatore dell'anime nostre, fate che cantiamo eternamente: Viva Gesù che amo; amo Gesù che vive ne' secoli de' secoli».

 

Era tanto l'amore che Gesù Cristo portava agli uomini, che gli facea desiderare l'ora della sua morte, per dimostrar loro l'affetto che per essi serbava; onde andava in sua vita dicendo: Baptismo... habeo baptizari, et quomodo coarctor usque dum perficiatur? (Luc. XII, 50). Io ho da essere battezzato col mio medesimo sangue, ed oh come mi sento stringere dal desiderio che presto venga l'ora della mia Passione, affinchè presto con ciò l'uomo conosca l'amore che gli porto! E perciò S. Giovanni, parlando di quella notte in cui Gesù diè principio alla sua Passione, scrive: Sciens Iesus quia venit hora eius ut transeat ex hoc mundo ad Patrem, cum dilexisset suos... in finem dilexit eos (Io. XIII, 1). Chiamava il Redentore quell'ora, ora sua — hora eius —, perchè il tempo della sua morte era il tempo da lui desiderato: mentre allora volea dare agli uomini l'ultima prova del suo amore, morendo per essi in una croce, consumato da' dolori...." (9)

 

Sia lodato Gesù Cristo.

Sempre sia lodato.

 

Note

1) leggere qui sulla questione cinematografica e l'identità del Cristo: Voi chi dite che io sia?

2) ci riferiamo ad un vecchio articolo che troverete in questo link: La “colpa” di Gesù Cristo? Quella di essere il vero Dio

3) Giovanni Paolo II enciclica Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003)

4) Messale Romano Liturgia della Domenica delle Palme Anno C

5) Quello che Gesù avrebbe dovuto dire....

6) Meditazioni sulla Passione di Sant'Alfonso M. de Liguori. Testo che troverete scaricabile nella nostra area Download

7) Fr.Louis Chardon O.P. "Meditazioni sulla Passione di Gesù"

8) D.C. Washington, 05 maggio. 11 / 01:31 (ACI)

9) Sant'Alfonso M. de Liguori Pratica per amare Gesù, trovate il file scaricabile nella nostra area Download

 
CLICCA QUI PER VEDERE L'ALBUM DI FOTO E I VIDEO SUL FILM THE PASSION


   




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09/04/2014 10:10
 
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“... (Gesù) sarà un re dei poveri, un povero tra i poveri e per i poveri. La povertà s'intende nel senso degli anawim d'Israele, di quelle anime credenti ed umili nella prospettiva della prima Beatitudine del Discorso della montagna. Uno può essere materialmente povero, ma avere il cuore pieno di bramosia... Proprio il fatto che egli vive nell'invidia e nella cupidigia... desidera di rovesciare la ripartizione dei beni, ma per arrivare ad essere lui stesso nella situazione dei ricchi di prima. La povertà nel senso di Gesù – nel senso dei profeti – presuppone soprattutto la libertà interiore dall'avidità di possesso e dalla smania di potere. Si tratta di una realtà più 
grande di una semplice ripartizione diversa dei beni, che resterebbe però nel campo materiale, rendendo anzi i cuori più duri. Si tratta innanzitutto della purificazione del cuore... La libertà interiore è il presupposto per il superamento della corruzione e dell'avidità che ormai devastano il mondo; tale libertà può essere trovata soltanto se Dio diventa la nostra ricchezza; può essere trovata soltanto nella pazienza delle rinunce quotidiane, nelle quali essa si sviluppa come libertà vera”. 
Benedetto XVI - Omelia 
Domenica delle Palme 2006















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CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME
E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
XXIX Giornata Mondiale della Gioventù
Domenica, 13 aprile 201
4

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Questa settimana incomincia con la processione festosa con i rami di ulivo: tutto il popolo accoglie Gesù. I bambini, i ragazzi cantano, lodano Gesù.

Ma questa settimana va avanti nel mistero della morte di Gesù e della sua risurrezione. Abbiamo ascoltato la Passione del Signore. Ci farà bene farci soltanto una domanda: chi sono io? Chi sono io, davanti al mio Signore? Chi sono io, davanti a Gesù che entra in festa in Gerusalemme? Sono capace di esprimere la mia gioia, di lodarlo? O prendo distanza? Chi sono io, davanti a Gesù che soffre?

Abbiamo sentito tanti nomi, tanti nomi. Il gruppo dei dirigenti, alcuni sacerdoti, alcuni farisei, alcuni maestri della legge, che avevano deciso di ucciderlo. Aspettavano l’opportunità di prenderlo. Sono io come uno di loro?

Abbiamo sentito anche un altro nome: Giuda. 30 monete. Sono io come Giuda? Abbiamo sentito altri nomi: i discepoli che non capivano niente, che si addormentavano mentre il Signore soffriva. La mia vita è addormentata? O sono come i discepoli, che non capivano che cosa fosse tradire Gesù? Come quell’altro discepolo che voleva risolvere tutto con la spada: sono io come loro? Sono io come Giuda, che fa finta di amare e bacia il Maestro per consegnarlo, per tradirlo? Sono io, traditore? Sono io come quei dirigenti che di fretta fanno il tribunale e cercano falsi testimoni: sono io come loro? E quando faccio queste cose, se le faccio, credo che con questo salvo il popolo?

Sono io come Pilato? Quando vedo che la situazione è difficile, mi lavo le mani e non so assumere la mia responsabilità e lascio condannare – o condanno io – le persone?

Sono io come quella folla che non sapeva bene se era in una riunione religiosa, in un giudizio o in un circo, e sceglie Barabba? Per loro è lo stesso: era più divertente, per umiliare Gesù.

Sono io come i soldati che colpiscono il Signore, Gli sputano addosso, lo insultano, si divertono con l’umiliazione del Signore?

Sono io come il Cireneo che tornava dal lavoro, affaticato, ma ha avuto la buona volontà di aiutare il Signore a portare la croce?

Sono io come quelli che passavano davanti alla Croce e si facevano beffe di Gesù: “Era tanto coraggioso! Scenda dalla croce, a noi crederemo in Lui!”. Farsi beffe di Gesù…

Sono io come quelle donne coraggiose, e come la Mamma di Gesù, che erano lì, soffrivano in silenzio?

Sono io come Giuseppe, il discepolo nascosto, che porta il corpo di Gesù con amore, per dargli sepoltura?

Sono io come le due Marie che rimangono davanti al Sepolcro piangendo, pregando?

Sono io come quei capi che il giorno seguente sono andati da Pilato per dire: “Guarda che questo diceva che sarebbe risuscitato. Che non venga un altro inganno!”, e bloccano la vita, bloccano il sepolcro per difendere la dottrina, perché la vita non venga fuori?

Dov’è il mio cuore? A quale di queste persone io assomiglio? Che questa domanda ci accompagni durante tutta la settimana.

 



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ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica delle Palme, 13 aprile 2014

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[dopo l’Orazione dopo la Comunione]

Al termine di questa Celebrazione, rivolgo un saluto speciale ai 250 delegati – vescovi, sacerdoti, religiosi e laici – che hanno partecipato all’incontro sulle Giornate Mondiali della Gioventù organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici. Comincia così il cammino di preparazione del prossimo raduno mondiale, che si svolgerà nel luglio 2016 a Cracovia e che avrà per tema «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7).

Tra poco i giovani brasiliani consegneranno ai giovani polacchi la Croce delle Giornate Mondiali della Gioventù. L’affidamento della croce ai giovani fu compiuto trent’anni fa dal beato Giovanni Paolo II: egli chiese loro di portarla in tutto il mondo come segno dell’amore di Cristo per l’umanità.

Il prossimo 27 aprile avremo tutti la gioia di celebrare la canonizzazione di questo Papa, insieme con Giovanni XXIII.Giovanni Paolo II, che è stato l’iniziatore delle Giornate Mondiali della Gioventù, ne diventerà il grande patrono; nella comunione dei santi continuerà ad essere per i giovani del mondo un padre e un amico.

Chiediamo al Signore che la Croce, insieme all’icona di Maria Salus Populi Romani, sia segno di speranza per tutti rivelando al mondo l’amore invincibile di Cristo.

[Passaggio della Croce]

Saluto tutti i romani e i pellegrini! 

In questo contesto ho la gioia di annunciare che, a Dio piacendo, il 15 agosto prossimo, a Daejeon, nella Repubblica di Corea, incontrerò i giovani dell’Asia nel loro grande raduno continentale.

Ed ora ci rivolgiamo alla Vergine Madre, perché ci aiuti a seguire sempre con fede l’esempio di Gesù.

Angelus Domini…

[Benedizione]


 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/04/2014 15:22
 
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UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 16 aprile 2014

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, a metà della Settimana Santa, la liturgia ci presenta un episodio triste: il racconto del tradimento di Giuda, che si reca dai capi del Sinedrio per mercanteggiare e consegnare ad essi il suo Maestro. «Quanto mi date se io ve lo consegno?». Gesù in quel momento ha un prezzo. Questo atto drammatico segna l’inizio della Passione di Cristo, un percorso doloroso che Egli sceglie con assoluta libertà. Lo dice chiaramente Lui stesso: «Io do la mia vita… Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10,17-18). E così, con questo tradimento, incomincia quella via dell’umiliazione, della spogliazione di Gesù. Come se fosse nel mercato: questo costa trenta denari…. Una volta intrapresa la via dell’umiliazione e della spogliazione, Gesù la percorre fino in fondo.

Gesù raggiunge la completa umiliazione con la «morte di croce». Si tratta della morte peggiore, quella che era riservata agli schiavi e ai delinquenti. Gesù era considerato un profeta, ma muore come un delinquente. Guardando Gesù nella sua passione, noi vediamo come in uno specchio le sofferenze dell’umanità e troviamo la risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte. Tante volte avvertiamo orrore per il male e il dolore che ci circonda e ci chiediamo: «Perché Dio lo permette?». È una profonda ferita per noi vedere la sofferenza e la morte, specialmente quella degli innocenti! Quando vediamo soffrire i bambini è una ferita al cuore: è il mistero del male. E Gesù prende tutto questo male, tutta questa sofferenza su di sé. Questa settimana farà bene a tutti noi guardare il crocifisso, baciare le piaghe di Gesù, baciarle nel crocifisso. Lui ha preso su di sé tutta la sofferenza umana, si è rivestito di questa sofferenza.

Noi attendiamo che Dio nella sua onnipotenza sconfigga l’ingiustizia, il male, il peccato e la sofferenza con una vittoria divina trionfante. Dio ci mostra invece una vittoria umile che umanamente sembra un fallimento. Possiamo dire che Dio vince nel fallimento! Il Figlio di Dio, infatti, appare sulla croce come uomo sconfitto: patisce, è tradito, è vilipeso e infine muore. Ma Gesù permette che il male si accanisca su di Lui e lo prende su di sé per vincerlo. La sua passione non è un incidente; la sua morte –quella morte – era “scritta”. Davvero non troviamo tante spiegazioni. Si tratta di un mistero sconcertante, il mistero della grande umiltà di Dio: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Questa settimana pensiamo tanto al dolore di Gesù e diciamo a noi stessi: questo è per me. Anche se io fossi stato l’unica persona al mondo, Lui l’avrebbe fatto. L’ha fatto per me. Baciamo il crocifisso e diciamo: per me, grazie Gesù, per me.

Quando tutto sembra perduto, quando non resta più nessuno perché percuoteranno «il pastore e saranno disperse le pecore del gregge» (Mt 26,31), è allora che interviene Dio con la potenza della risurrezione. La risurrezione di Gesù non è il finale lieto di una bella favola, non è l’happy end di un film; ma è l’intervento di Dio Padre e là dove si infrange la speranza umana. Nel momento nel quale tutto sembra perduto, nel momento del dolore, nel quale tante persone sentono come il bisogno di scendere dalla croce, è il momento più vicino alla risurrezione. La notte diventa più oscura proprio prima che incominci il mattino, prima che incominci la luce. Nel momento più oscuro interviene Dio e risuscita.

Gesù, che ha scelto di passare per questa via, ci chiama a seguirlo nel suo stesso cammino di umiliazione. Quando in certi momenti della vita non troviamo alcuna via di uscita alle nostre difficoltà, quando sprofondiamo nel buio più fitto, è il momento della nostra umiliazione e spogliazione totale, l’ora in cui sperimentiamo che siamo fragili e peccatori. È proprio allora, in quel momento, che non dobbiamo mascherare il nostro fallimento, ma aprirci fiduciosi alla speranza in Dio, come ha fatto Gesù. Cari fratelli e sorelle, in questa settimana ci farà bene prendere il crocifisso in mano e baciarlo tanto, tanto e dire: grazie Gesù, grazie Signore. Così sia.

 
 



Oggi Giovedì Santo, giorno in cui ricordiamo e riviviamo l'Istituzione dell'Eucaristia e del Sacerdozio Ordinato, pensiamoci bene..... e ritorniamo a credere nella Presenza Reale di Gesù nell'Ostia Consacrata, tornando a riceverla, dignitosamente, alla bocca!

"La Comunione alla mano ha facilitato questo mercato che per un Ostia consacrata arrivano a pagare fino a 150 euro, bisogna rieducare alla Presenza reale e la devozione nel prendere l'Eucarestia alla bocca perchè dimostrano di avere più fede i satanisti in quest'Ostia e nella Presenza vera di Nostro Signore che odiano, che non i fedeli che lo trattano come un simbolo fino alla superstizione".
(padre Gabriele Amorth - Memorie di un esorcista)



 


[Modificato da Caterina63 17/04/2014 09:51]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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SANTA MESSA DEL CRISMA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Giovedì Santo, 17 aprile 201
4

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Unti con l’olio della gioia

 

Cari fratelli nel sacerdozio! Nell’Oggi del Giovedì Santo, in cui Cristo ci amò fino all’estremo (cfr Gv 13,1), facciamo memoria del giorno felice dell’Istituzione del sacerdozio e di quello della nostra Ordinazione sacerdotale. Il Signore ci ha unto in Cristo con olio di gioia e questa unzione ci invita a ricevere e a farci carico di questo grande dono: la gioia, la letizia sacerdotale. La gioia del sacerdote è un bene prezioso non solo per lui ma anche per tutto il popolo fedele di Dio: quel popolo fedele in mezzo al quale è chiamato il sacerdote per essere unto e al quale è inviato per ungere.

Unti con olio di gioia per ungere con olio di gioia. La gioia sacerdotale ha la sua fonte nell’Amore del Padre, e il Signore desidera che la gioia di questo Amore «sia in noi» e «sia piena» (Gv 15,11). A me piace pensare la gioia contemplando la Madonna: Maria, la «madre del Vangelo vivente, è sorgente di gioia per i piccoli» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 288), e credo che non esageriamo se diciamo che il sacerdote è una persona molto piccola: l’incommensurabile grandezza del dono che ci è dato per il ministero ci relega tra i più piccoli degli uomini. Il sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù non lo arricchisce con la sua povertà, è il più inutile servo se Gesù non lo chiama amico, il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce pazientemente come Pietro, il più indifeso dei cristiani se il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge. Nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze; perciò la nostra preghiera di difesa contro ogni insidia del Maligno è la preghiera di nostra Madre: sono sacerdote perché Lui ha guardato con bontà la mia piccolezza (cfr Lc 1,48). E a partire da tale piccolezza accogliamo la nostra gioia. Gioia nella nostra piccolezza!

Trovo tre caratteristiche significative nella nostra gioia sacerdotale: è una gioia che ci unge (non che ci rende untuosi, sontuosi e presuntuosi), è una gioia incorruttibile ed è una gioia missionaria che si irradia a tutti e attira tutti, cominciando alla rovescia: dai più lontani.

Una gioia che ci unge. Vale a dire: è penetrata nell’intimo del nostro cuore, lo ha configurato e fortificato sacramentalmente. I segni della liturgia dell’ordinazione ci parlano del desiderio materno che ha la Chiesa di trasmettere e comunicare tutto ciò che il Signore ci ha dato: l’imposizione delle mani, l’unzione con il santo Crisma, il rivestire con i paramenti sacri, la partecipazione immediata alla prima Consacrazione… La grazia ci colma e si effonde integra, abbondante e piena in ciascun sacerdote. Unti fino alle ossa… e la nostra gioia, che sgorga da dentro, è l’eco di questa unzione.

Una gioia incorruttibile. L’integrità del Dono, alla quale nessuno può togliere né aggiungere nulla, è fonte incessante di gioia: una gioia incorruttibile, che il Signore ha promesso che nessuno potrà togliercela (cfr Gv 16,22). Può essere addormentata o soffocata dal peccato o dalle preoccupazioni della vita ma, nel profondo, rimane intatta come la brace di un ceppo bruciato sotto le ceneri, e sempre può essere rinnovata. La raccomandazione di Paolo a Timoteo rimane sempre attuale: Ti ricordo di ravvivare il fuoco del dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani (cfr 2 Tm 1,6).

Una gioia missionaria. Questa terza caratteristica la voglio condividere e sottolineare in modo speciale: la gioia del sacerdote è posta in intima relazione con il santo popolo fedele di Dio perché si tratta di una gioia eminentemente missionaria. L’unzione è in ordine a ungere il santo popolo fedele di Dio: per battezzare e confermare, per curare e consacrare, per benedire, per consolare ed evangelizzare.

E poiché è una gioia che fluisce solo quando il pastore sta in mezzo al suo gregge (anche nel silenzio della preghiera, il pastore che adora il Padre è in mezzo alle sue pecorelle) e per questo è una “gioia custodita” da questo stesso gregge. Anche nei momenti di tristezza, in cui tutto sembra oscurarsi e la vertigine dell’isolamento ci seduce, quei momenti apatici e noiosi che a volte ci colgono nella vita sacerdotale (e attraverso i quali anch’io sono passato), persino in questi momenti il popolo di Dio è capace di custodire la gioia, è capace di proteggerti, di abbracciarti, di aiutarti ad aprire il cuore e ritrovare una gioia rinnovata.

“Gioia custodita” dal gregge e custodita anche da tre sorelle che la circondano, la proteggono, la difendono: sorella povertà, sorella fedeltà e sorella obbedienza.

La gioia del sacerdote è una gioia che ha come sorella la povertà. Il sacerdote è povero di gioia meramente umana: ha rinunciato a tanto! E poiché è povero, lui, che dà tante cose agli altri, la sua gioia deve chiederla al Signore e al popolo fedele di Dio. Non deve procurarsela da sé. Sappiamo che il nostro popolo è generosissimo nel ringraziare i sacerdoti per i minimi gesti di benedizione e in modo speciale per i Sacramenti. Molti, parlando della crisi di identità sacerdotale, non tengono conto che l’identità presuppone appartenenza. Non c’è identità – e pertanto gioia di vivere – senza appartenenza attiva e impegnata al popolo fedele di Dio (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 268). Il sacerdote che pretende di trovare l’identità sacerdotale indagando introspettivamente nella propria interiorità forse non trova altro che segnali che dicono “uscita”: esci da te stesso, esci in cerca di Dio nell’adorazione, esci e dai al tuo popolo ciò che ti è stato affidato, e il tuo popolo avrà cura di farti sentire e gustare chi sei, come ti chiami, qual è la tua identità e ti farà gioire con il cento per uno che il Signore ha promesso ai suoi servi. Se non esci da te stesso, l’olio diventa rancido e l’unzione non può essere feconda. Uscire da sé stessi richiede spogliarsi di sé, comporta povertà.

La gioia sacerdotale è una gioia che ha come sorella la fedeltà. Non tanto nel senso che saremmo tutti “immacolati” (magari con la grazia di Dio lo fossimo!) perché siamo peccatori, ma piuttosto nel senso di una sempre nuova fedeltà all’unica Sposa, la Chiesa. Qui è la chiave della fecondità. I figli spirituali che il Signore dà ad ogni sacerdote, quelli che ha battezzato, le famiglie che ha benedetto e aiutato a camminare, i malati che sostiene, i giovani con cui condivide la catechesi e la formazione, i poveri che soccorre… sono questa “Sposa” che egli è felice di trattare come prediletta e unica amata e di esserle sempre nuovamente fedele. E’ la Chiesa viva, con nome e cognome, di cui il sacerdote si prende cura nella sua parrocchia o nella missione affidatagli, è essa che gli dà gioia quando le è fedele, quando fa tutto ciò che deve fare e lascia tutto ciò che deve lasciare pur di rimanere in mezzo alle pecore che il Signore gli ha affidato: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,16.17).

La gioia sacerdotale è una gioia che ha come sorella l’obbedienza. Obbedienza alla Chiesa nella Gerarchia che ci dà, per così dire, non solo l’ambito più esterno dell’obbedienza: la parrocchia alla quale sono inviato, le facoltà del ministero, quell’incarico particolare… bensì anche l’unione con Dio Padre, dal quale deriva ogni paternità. Ma anche l’obbedienza alla Chiesa nel servizio: disponibilità e prontezza per servire tutti, sempre e nel modo migliore, a immagine di “Nostra Signora della prontezza” (cfr Lc 1,39: meta spoudes), che accorre a servire sua cugina e sta attenta alla cucina di Cana, dove manca il vino. La disponibilità del sacerdote fa della Chiesa la Casa dalle porte aperte, rifugio per i peccatori, focolare per quanti vivono per strada, casa di cura per i malati, campeggio per i giovani, aula di catechesi per i piccoli della prima Comunione… Dove il popolo di Dio ha un desiderio o una necessità, là c’è il sacerdote che sa ascoltare (ob-audire) e sente un mandato amoroso di Cristo che lo manda a soccorrere con misericordia quella necessità o a sostenere quei buoni desideri con carità creativa.

Colui che è chiamato sappia che esiste in questo mondo una gioia genuina e piena: quella di essere preso dal popolo che uno ama per essere inviato ad esso come dispensatore dei doni e delle consolazioni di Gesù, l’unico Buon Pastore che, pieno di profonda compassione per tutti i piccoli e gli esclusi di questa terra, affaticati e oppressi come pecore senza pastore, ha voluto associare molti al suo ministero per rimanere e operare Lui stesso, nella persona dei suoi sacerdoti, per il bene del suo popolo.

In questo Giovedì Santo chiedo al Signore Gesù che faccia scoprire a molti giovani quell’ardore del cuore che fa ardere la gioia appena uno ha la felice audacia di rispondere con prontezza alla sua chiamata.

In questo Giovedì Santo chiedo al Signore Gesù che conservi il brillare gioioso negli occhi dei nuovi ordinati, che partono per “mangiarsi” il mondo, per consumarsi in mezzo al popolo fedele di Dio, che gioiscono preparando la prima omelia, la prima Messa, il primo Battesimo, la prima Confessione… E’ la gioia di poter condividere – meravigliati – per la prima volta come unti, il tesoro del Vangelo e sentire che il popolo fedele ti torna ad ungere in un’altra maniera: con le loro richieste, porgendoti il capo perché tu li benedica, stringendoti le mani, avvicinandoti ai loro figli, chiedendo per i loro malati… Conserva Signore nei tuoi giovani sacerdoti la gioia della partenza, di fare ogni cosa come nuova, la gioia di consumare la vita per te.

In questo Giovedì sacerdotale chiedo al Signore Gesù di confermare la gioia sacerdotale di quelli che hanno parecchi anni di ministero. Quella gioia che, senza scomparire dagli occhi, si posa sulle spalle di quanti sopportano il peso del ministero, quei preti che già hanno tastato il polso al lavoro, raccolgono le loro forze e si riarmano: “cambiano aria”, come dicono gli sportivi. Conserva Signore la profondità e la saggia maturità della gioia dei preti adulti. Sappiano pregare come Neemia: la gioia del Signore è la mia forza (cfr Ne 8,10).

Infine, in questo Giovedì sacerdotale, chiedo al Signore Gesù che risplenda la gioia dei sacerdoti anziani, sani o malati. E’ la gioia della Croce, che promana dalla consapevolezza di avere un tesoro incorruttibile in un vaso di creta che si va disfacendo. Sappiano stare bene in qualunque posto, sentendo nella fugacità del tempo il gusto dell’eterno (Guardini). Sentano, Signore, la gioia di passare la fiaccola, la gioia di veder crescere i figli dei figli e di salutare, sorridendo e con mitezza, le promesse, in quella speranza che non delude.

   

 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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VIA CRUCIS AL COLOSSEO

PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Palatino
Venerdì Santo, 18 aprile 2014

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Dio ha messo sulla Croce di Gesù tutto il peso dei nostri peccati, tutte le ingiustizie perpetrate da ogni Caino contro suo fratello, tutta l’amarezza del tradimento di Giuda e di Pietro, tutta la vanità dei prepotenti, tutta l’arroganza dei falsi amici. Era una Croce pesante, come la notte delle persone abbandonate, pesante come la morte delle persone care, pesante perché riassume tutta la bruttura del male. Tuttavia, è anche una Croce gloriosa come l’alba di una notte lunga, perché raffigura in tutto l’amore di Dio che è più grande delle nostre iniquità e dei nostri tradimenti. Nella Croce vediamo la mostruosità dell’uomo, quando si lascia guidare dal male; ma vediamo anche l’immensità della misericordia di Dio che non ci tratta secondo i nostri peccati, ma secondo la sua misericordia.

Di fronte alla Croce di Gesù, vediamo quasi fino a toccare con le mani quanto siamo amati eternamente; di fronte alla Croce ci sentiamo “figli” e non “cose” o “oggetti”, come affermava San Gregorio Nazianzeno rivolgendosi a Cristo con questa preghiera: «Se non fossi Tu, o mio Cristo, mi sentirei creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco. Mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi, io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali, che non hanno peccati. Ma io, cosa ho di più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi Tu, o Cristo mio, mi sentirei creatura finita. O nostro Gesù, guidaci dalla Croce alla resurrezione e insegnaci che il male non avrà l’ultima parola, ma l’amore, la misericordia e il perdono. O Cristo, aiutaci a esclamare nuovamente: “Ieri ero crocifisso con Cristo; oggi sono glorificato con Lui. Ieri ero morto con Lui, oggi sono vivo con Lui. Ieri ero sepolto con Lui, oggi sono risuscitato con Lui”».

Infine, tutti insieme, ricordiamo i malati, ricordiamo tutte le persone abbandonate sotto il peso della Croce, affinché trovino nella prova della Croce la forza della speranza, della speranza della resurrezione e dell’amore di Dio.









Che la Santa Pasqua di Cristo Nostro Signore e Nostro Dio, ci porti in dono e grazia il discernimento di Santa Monica, madre di Sant'Agostino  Buona Vigilia Pasquale a tutti!
 












     




[Modificato da Caterina63 19/04/2014 16:42]
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20/04/2014 15:01
 
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PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Palatino
Venerdì Santo, 18 aprile 2014

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Dio ha messo sulla Croce di Gesù tutto il peso dei nostri peccati, tutte le ingiustizie perpetrate da ogni Caino contro suo fratello, tutta l’amarezza del tradimento di Giuda e di Pietro, tutta la vanità dei prepotenti, tutta l’arroganza dei falsi amici. Era una Croce pesante, come la notte delle persone abbandonate, pesante come la morte delle persone care, pesante perché riassume tutta la bruttura del male. Tuttavia, è anche una Croce gloriosa come l’alba di una notte lunga, perché raffigura in tutto l’amore di Dio che è più grande delle nostre iniquità e dei nostri tradimenti. Nella Croce vediamo la mostruosità dell’uomo, quando si lascia guidare dal male; ma vediamo anche l’immensità della misericordia di Dio che non ci tratta secondo i nostri peccati, ma secondo la sua misericordia.

Di fronte alla Croce di Gesù, vediamo quasi fino a toccare con le mani quanto siamo amati eternamente; di fronte alla Croce ci sentiamo “figli” e non “cose” o “oggetti”, come affermava San Gregorio Nazianzeno rivolgendosi a Cristo con questa preghiera: «Se non fossi Tu, o mio Cristo, mi sentirei creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco. Mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi, io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali, che non hanno peccati. Ma io, cosa ho di più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi Tu, o Cristo mio, mi sentirei creatura finita. O nostro Gesù, guidaci dalla Croce alla resurrezione e insegnaci che il male non avrà l’ultima parola, ma l’amore, la misericordia e il perdono. O Cristo, aiutaci a esclamare nuovamente: “Ieri ero crocifisso con Cristo; oggi sono glorificato con Lui. Ieri ero morto con Lui, oggi sono vivo con Lui. Ieri ero sepolto con Lui, oggi sono risuscitato con Lui”».

Infine, tutti insieme, ricordiamo i malati, ricordiamo tutte le persone abbandonate sotto il peso della Croce, affinché trovino nella prova della Croce la forza della speranza, della speranza della resurrezione e dell’amore di Dio.

  


 







VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Sabato Santo, 19 aprile 2014

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Il Vangelo della risurrezione di Gesù Cristo incomincia con il cammino delle donne verso il sepolcro, all’alba del giorno dopo il sabato. Esse vanno alla tomba, per onorare il corpo del Signore, ma la trovano aperta e vuota. Un angelo potente dice loro: «Voi non abbiate paura!» (Mt 28,5), e ordina di andare a portare la notizia ai discepoli: «È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea» (v. 7).  Le donne corrono via subito, e lungo la strada Gesù stesso si fa loro incontro e dice: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno» (v. 10). “Non abbiate paura”, “non temete”: è una voce che incoraggia ad aprire il cuore per ricevere questo annuncio.

Dopo la morte del Maestro, i discepoli si erano dispersi; la loro fede si era infranta, tutto sembrava finito, crollate le certezze, spente le speranze. Ma ora, quell’annuncio delle donne, benché incredibile, giungeva come un raggio di luce nel buio. La notizia si sparge: Gesù è risorto, come aveva predetto… E anche quel comando di andare in Galilea; per due volte le donne l’avevano sentito, prima dall’angelo, poi da Gesù stesso: «Che vadano in Galilea, là mi vedranno». “Non temete” e “andate in Galilea”.

La Galilea è il luogo della prima chiamata, dove tutto era iniziato! Tornare là, tornare al luogo della prima chiamata. Sulla riva del lago Gesù era passato, mentre i pescatori stavano sistemando le reti. Li aveva chiamati, e loro avevano lasciato tutto e lo avevano seguito (cfr Mt 4,18-22).

Ritornare in Galilea vuol dire rileggere tutto a partire dalla croce e dalla vittoria; senza paura, “non temete”. Rileggere tutto – la predicazione, i miracoli, la nuova comunità, gli entusiasmi e le defezioni, fino al tradimento – rileggere tutto a partire dalla fine, che è un nuovo inizio, da questo supremo atto d’amore.

Anche per ognuno di noi c’è una “Galilea” all’origine del cammino con Gesù. “Andare in Galilea” significa qualcosa di bello, significa per noi riscoprire il nostro Battesimo come sorgente viva, attingere energia nuova alla radice della nostra fede e della nostra esperienza cristiana. Tornare in Galilea significa anzitutto tornare lì, a quel punto incandescente in cui la Grazia di Dio mi ha toccato all’inizio del cammino. E’ da quella scintilla che posso accendere il fuoco per l’oggi, per ogni giorno, e portare calore e luce ai miei fratelli e alle mie sorelle. Da quella scintilla si accende una gioia umile, una gioia che non offende il dolore e la disperazione, una gioia buona e mite.

Nella vita del cristiano, dopo il Battesimo, c’è anche un’altra “Galilea”, una “Galilea” più esistenziale: l’esperienza dell’incontro personale con Gesù Cristo, che mi ha chiamato a seguirlo e a partecipare alla sua missione. In questo senso, tornare in Galilea significa custodire nel cuore la memoria viva di questa chiamata, quando Gesù è passato sulla mia strada, mi ha guardato con misericordia, mi ha chiesto di seguirlo; tornare in Galilea significa recuperare la memoria di quel momento in cui i suoi occhi si sono incrociati con i miei, il momento in cui mi ha fatto sentire che mi amava.

Oggi, in questa notte, ognuno di noi può domandarsi: qual è la mia Galilea?Si tratta di fare memoria, andare indietro col ricordo.Dov’è la mia Galilea? La ricordo? L’ho dimenticata? Cercala e la troverai! Lì ti aspetta il Signore. Sono andato per strade e sentieri che me l’hanno fatta dimenticare. Signore, aiutami: dimmi qual è la mia Galilea; sai, io voglio ritornare là per incontrarti e lasciarmi abbracciare dalla tua misericordia. Non abbiate paura, non temete, tornate in Galilea!

Il Vangelo è chiaro: bisogna ritornare là, per vedere Gesù risorto, e diventare testimoni della sua risurrezione. Non è un ritorno indietro, non è una nostalgia. E’ ritornare al primo amore, per ricevere il fuoco che Gesù ha acceso nel mondo, e portarlo a tutti, sino ai confini della terra. Tornare in Galilea senza paura.

«Galilea delle genti» (Mt 4,15; Is 8,23): orizzonte del Risorto, orizzonte della Chiesa; desiderio intenso di incontro… Mettiamoci in cammino!









 










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