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DOMANDE E RISPOSTE PER AFFRONTARE UN VERO FRUTTUOSO ECUMENISMO

Ultimo Aggiornamento: 13/11/2016 14:00
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15/02/2014 17:06
 
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    L’unità dei cristiani dev’essere oggetto di preghiera, come ha ricordatolo stesso Francesco il 20 marzo 2013. Tuttavia, il card Kasper ha anche sottolineato come esista in alcune aree del cristianesimo protestante un«proselitismo aggressivo».

E’ vero, i cattolici a volte sono aggrediti a destra da anticlericali e agnostici in cerca di ambiti di sfogo personale, e a sinistra da protestanti “aggressivi”. Da questo punto di vista appare molto utile il lavoro diL.D.P. Galanti, il quale ha recuperato un testo scritto da padre Vittorio Genovesi nel 1951, come appendice al Catechismo di San Pio X formato a domande e risposte, aggiungendo per ogni argomento una serie di chiari e precisi riferimenti alle fonti bibliche, a cui proprio alcuni protestanti sono soliti fare riferimento per cercare di scalfire, in linea con il principio luterano della “sola Scriptura”, la visione cattolica.

   Ecco il testo: Contro gli errori dei Protestanti. Con la conferma scritturale alle singole risposte.

L’iniziativa, ha spiegato il revisore, è nata dall’esigenza di aiutare una maturazione della propria fede, anche perché «l’ignoranza della propria fede», ha spiegato, «non mi sembra il punto di partenza migliore per dialogare con le altre, e per evitare di lasciare senza replica» critiche e obiezioni. Galanti si augura, infine, «che la riproposizione di questa importante ed introvabile opera possa costituire non un ostacolo ma un ausilio nel dialogo ecumenico, nel quale lo spirito di carità verso i fratelli separati non può prescindere dalla necessità di affermare la verità, ricordando sempre che se è necessario condannare l’errore, si deve sempre rispettare e amare l’errante».

Forse alcune risposte sono un po’ troppo sintetiche, come quella riguardante la salvezza per chi è fuori dalla Chiesa, tuttavia in linea generale sembra un testo utile per una prima e immediata risposta alle principali obiezioni. Come spiegato Giovanni Paolo II, non si può «imitarsi alla ricerca di un minimo denominatore comune», ma occorre «prestare un coraggioso servizio alla verità evidenziando sia aree di convergenza che differenze fondamentali, nello sforzo sincero di superare pregiudizi e malintesi».

La redazione











Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740758] P. Vittorio Genovesi S.J.
Contro gli Errori dei Protestanti


con la conferma scritturale alle singole risposte

edizione riveduta e aggiornata
a cura di L.D.P. Galanti

Milano, 2010


PRESENTAZIONE

Recentemente ho sentito dire da alcuni bambini che si preparavano per la Cresima: “E’ sbagliato invocare i santi e la Madonna: noi dovremmo pregare solo Dio” e poi “Noi non dovremmo circondarci di immagini sacre perché Dio ha proibito ogni raffigurazione”. Sono rimasto molto sorpreso dal sentire affermazioni che sembrava riaffiorassero dalle epoche drammatiche dell’Iconclastia o della Riforma luterana. Mi sono invece reso conto che tali domande originavano dalla contiguità dei bambini con alcuni amichetti cristiani immigrati da regioni di cultura protestante.

Mi sono quindi rivolto alle più fornite librerie cattoliche della mia città per cercare una pubblicazione dedicata a confutare le principali basi delle teorie protestanti. Mi bastava un semplice testo che aiutasse a replicare a tali affermazioni, spiegandone l’erroneità.

Grande è stata quindi la mia meraviglia nel sentirmi apostrofare dai librai con frasi del tipo “un libro del genere non esiste, sarebbe offensivo verso i fratelli protestanti e andrebbe contro quaranta anni di dialogo ecumenico” oppure “non è possibile parlare di
errore in chi ha una fede diversa dalla nostra, sarebbe presuntuoso e contro l’ecumenismo”.

Siccome l’ignoranza della propria fede non mi sembra il punto di partenza migliore per dialogare con le altre, e per evitare di lasciare senza replica affermazioni del tipo di quelle sopra riportate, ho quindi trovato utile recuperare un testo scritto dal padre Vittorio Genovesi ed edito nel 1951 come appendice al Catechismo di San Pio X. Tale pubblicazione non si limita ad elencare una serie di domande e risposte, secondo la struttura tipica del Catechismo
della Chiesa Cattolica, ma aggiunge per ogni argomento una serie di chiari e precisi riferimenti alle fonti bibliche, cui proprio le sette protestanti sono solite fare riferimento secondo il principio luterano della “sola Scriptura”, a scapito della Tradizione tramandata dalla Chiesa Cattolica attraverso gli apostoli e i loro successori.

Pur conservando tale prezioso lavoro del padre Genovesi tutta la sua attualità, ed anzi essendo forse ancora più utile oggi che sessanta anni fa, mi sono permesso di tentare un aggiornamento dei testi biblici, verificando tutte le citazioni sulla base delle versioni attualmente utilizzate (in particolare il testo CEI ed. 2003) e di inserire qualche nota relativa a documenti ufficiali successivi al II Concilio Vaticano. L’ultimo Concilio, infatti, pur non modificando “il Deposito della Fede”, ovvero la “dottrina certa ed immutabile” della Chiesa Cattolica, è stato convocato per esporre tale dottrina “secondo quanto è richiesto dai nostri tempi, … sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione” (secondo il discorso dell’11 ottobre 1962 con cui il papa Giovanni XXIII ha aperto il Concilio).

Spero quindi che la riproposizione di questa importante ed introvabile opera possa costituire non un ostacolo ma un ausilio nel dialogo ecumenico, nel quale lo spirito di carità verso i fratelli separati non può prescindere dalla necessità di affermare la verità, ricordando sempre che se è necessario condannare l’errore, si deve sempre rispettare e amare l’errante. I meriti dell’opera sono dell’Autore, i difetti e le lacune sono solo del revisore.


L.D.P.G.
Milano, 2010


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/02/2014 10:57
 
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  Dopo aver spiegato QUI dove, come  e quando il Battesimo è davvero valido..... segue ora un riepilogo degli argomenti fondamentali per delle catechesi ai catecumeni o ai bambini che si preparano a ricevere i Sacramenti, riprese dalle programmazioni diocesane, ufficiali... 
   

 

Veniamo ora alla preparazione dei "catecumeni", coloro che si apprestano ad entrare nella comunità Cattolica. Inserendo al termine il relativo Documento ufficiale, lo condenso in quanto segue:

- Il testo della Lettera Apostolica in forma di Motu proprio di Giovanni Paolo II «Ad tuendam fidem», pubblicata su «L'Osservatore Romano» del 30 giugno - 1 luglio 1998, con la quale vengono inserite alcune norme nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese orientali, al fine di adeguare la normativa e le sanzioni canoniche a quanto stabilito e prescritto dalla suddetta Formula della «Professione di Fede», specialmente in relazione al dovere di aderire alle verità proposte dal magistero della Chiesa in modo definitivo, è un testo valido per tutti coloro che chiedono di entrare a far parte della grande Famiglia della Chiesa Cattolica. 

I due passi della Ad tuendam fidem che interessano a te, a noi, sono questi due  ;-)

 

Can. 750 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.

 

§ 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente.

 

- Il testo della «Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professione di Fede», resa pubblica dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e comparsa su « L'Osservatore Romano» del 30 giugno -1 luglio 1998, allo scopo di spiegare il significato e il valore dottrinale dei tre commi conclusivi, che si riferiscono alla qualificazione teologica delle dottrine e al tipo di assenso richiesto ai fedeli, deve essere tenuto come fondamento da tutti i Catechisti e da tutti coloro che preparano i catecumeni ad entrare nella Chiesa Cattolica.

 

( qui c'è tutto il testo ufficiale:

http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html  )

 

Le argomentazioni e i temi fondamentali da trattare con le persone che vogliono entrare nella Chiesa Cattolica sono:

 

la Professione della Fede: il Credo (utile vi potrà essere il riferimento alle recenti Udienze che il Papa ha fatto, qui trovi TUTTE le Catechesi sul Credo, da Benedetto XVI a Francesco.... purtroppo il sito vaticano non le ha riunite in un comodo link, qui invece le trovate tutte insieme, anche da poter essere stampate come in un comodo "libretto");

 

- i sette Sacramenti, con i sette doni dello Spirito Santo; specialmente la Confessione e l'Eucaristia; e i Dieci Comandamenti: insegnati non come dei divieti o dei "no" ma come dei "sì a Dio" sulla scia del Magnificat di Maria Santissima..... le virtù teologali e cardinali.... i famosi sette vizi capitali....

 

la missione della Chiesa nel mondo: testimonianze dei Santi, degli Ordini religiosi, dei missionari, delle opere di carità, ecc.... Qui vanno incluse insieme le sette opere di Misericordia spirituale e le sette opere di misericordia corporale.....

la Liturgia: il culto a Dio nella Santa Messa, l'importanza della domenica e delle "feste comandate"; il senso del peccato e la Liturgia intesa quale opera di salvezza e di espiazione...

le devozioni popolari, il culto a Maria e ai Santi, il Rosario ecc.... insegnate nel modo corretto e fruttuoso...

 

Queste sono le programmazioni fondamentali,  argomenti che, come vediamo, si possono sempre sviluppare, approfondire, allargare ed inserire all'interno dei contesti specifici del gruppo o dei singoli che vengono preparati ad entrare nella Chiesa.

 



 




Fraternamente CaterinaLD

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15/01/2015 10:51
 
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   La Chiesa Israele e le religioni del mondo






Il primo capitolo (1), «Israele, la Chiesa e il mondo. I loro rapporti e il loro compito secondo il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992» (pp. 9-26) prende le mosse dalla necessità – soprattutto dopo Auschwitz - della riconciliazione nella storia dei rapporti tra Israele e la cristianità, una storia caratterizzata alternativamente da ostilità e da accoglienza.

Ci si è dunque chiesti se questa ostilità non derivi proprio dalla fede in Cristo crocifisso – e se ciò implichi automaticamente una condanna degli ebrei. «Davvero le cose stanno così, quasi che il nucleo stesso della fede cristiana porti all’intolleranza, anzi all’ostilità nei confronti degli ebrei […]?» (p. 10).

Partendo da queste premesse la vicenda di Cristo ha subito diverse letture riduttive – tendenti, ad esempio, a posticiparne la divinizzazione, attribuita all’influsso ellenistico - che però «non parlano del Gesù delle fonti storiche, ma costruiscono un Gesù nuovo e differente» (ibid.). La questione non viene così affrontata, bensì aggirata, e la domanda di partenza resta tale e quale.

Il cardinale Ratzinger cita il n. 528 del Catechismo della Chiesa cattolica del 1992: la venuta dei Magi «sta a significare che i pagani non possono riconoscere Gesù e adorarlo come Figlio di Dio e Salvatore del mondo se non volgendosi ai giudei e ricevendo da loro la promessa messianica quale è contenuta nell’Antico Testamento. L’Epifania manifesta che “la grande massa delle genti” entra “nella famiglia dei patriarchi” e ottiene la dignitas israelitica – la dignità israelitica» (p. 12). La stessa missione di Gesù si configura così come riconciliazione di tutti i popoli con Dio, mediante il loro «innesto» nel popolo di Israele.

Ciò non toglie ulteriori interrogativi: «L’immagine storica di Gesù, il suo messaggio e la sua opera corrispondono a questa visione o non finiscono proprio per contraddirla?» (p. 14). In particolare «sono proprio i temi della Legge, del Tempio, dell’unicità di Dio [cui il Catechismo dedica rispettivamente i nn. 577-582, 583-586, 587-591, n.d.r.] a portare con sé tutta la carica esplosiva delle lacerazioni ebraico-cristiane» (p. 15). Molte letture moderne si fanno portatrici del clichè della contrapposizione tra un legalismo farisaico e un Cristo ribelle che libererebbe dal giogo della Legge. In realtà i farisei non sono attaccati solo alla lettera, ma anche allo spirito, e Gesù non è venuto ad abolire la Legge ma a svelarne le potenzialità.

Se l’annuncio del Sinai e il discorso della montagna sono intimamente legati, come si giunge allora al conflitto conclusosi sul Calvario? E come sarebbe possibile, in ogni caso, universalizzare una Legge riferita concretamente a Israele, senza che mediatori umani si pongano al posto di Dio?

«Gesù non ha agito come un liberale, che raccomanda e pratica lui stesso un’interpretazione della Legge aperta e accomodante. Nel confronto tra Gesù e le autorità giudaiche del suo tempo non sono di fronte un liberale e una gerarchia ottusa nel proprio tradizionalismo. Una tale ottica tanto diffusa, misconosce alla radice il conflitto del Nuovo Testamento; in tal modo non si rende ragione né di Gesù né di Israele. La sua apertura della Legge Gesù l’ha piuttosto realizzata in senso pienamente teologico, nella consapevolezza e con la pretesa di agire nella più intima unità con Dio, il Padre, proprio in quanto Figlio, di agire cioè nella piena autorità di Dio. […] Il conflitto tra Gesù e le autorità giudaiche del suo tempo non riguarda in definitiva questa o quella singola prescrizione legale, ma la pretesa di Gesù di agire ex auctoritate divina, anzi di essere lui stesso questa auctoritas. “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30)» (p. 21).

Questo rivela sia la legittimità dell’operazione di Gesù, sia, al contempo, la profondità del contrasto: egli è colpevole, agli occhi di chi non ne riconosce l’auctoritas, di aver violato non un precetto qualsiasi, bensì quello fondamentale dell’unicità di Dio.

Il conflitto si conclude sulla croce, che non ha il duplice effetto di condanna per ebrei e redenzione per i pagani, bensì l’unico scopo di redenzione per tutti; ed è sulla croce che avviene il compimento e l’universalizzazione della Torah, senza togliere neppure uno iota e lasciando intatta la sua unità di culto ed ethos: «tutte le prescrizioni cultuali dell’Antico Testamento vengono assunte in questa morte e in essa condotte al loro significato più profondo» (p. 22), poiché «nella croce viene raccolto tutto il culto, anzi, solo nella croce esso si fa pienamente reale.

Secondo la fede cristiana, sulla croce Gesù manifesta e adempie la totalità della Legge e la trasmette così ai pagani, che ora possono farla propria in questa sua totalità, divenendo con ciò figli di Abramo» (p. 23).

La riflessione sulla crocifissione implica inevitabilmente la questione della «responsabilità collettiva» dei giudei, rifiutata dal Concilio Vaticano II, poiché essa è da imputare a tutti i peccatori. «Il Catechismo Romano del 1566, citato dal nuovo Catechismo (598), aggiunge poi che gli ebrei, secondo la testimonianza dell’apostolo Paolo, “se l’avessero saputo non avrebbero mai ucciso il Re della gloria” (1Cor 2,8). Prosegue quindi: “noi invece professiamo di conoscerlo e poi, negandolo con i fatti, pare che leviamo le mani violente contro di lui” (Catech. R. 1,5,11)» (p. 25). Ciò che conta, conclude Ratzinger riferendosi alla lettera agli Ebrei (12,24), è che «il sangue di Gesù ha una voce diversa – più eloquente – da quella del sangue di Abele, del sangue di tutti coloro che nel mondo sono morti ingiustamente. Non invoca punizione, ma è riconciliazione» (ibid.).

 

Nel secondo capitolo, «La nuova alleanza.

Sulla teologia dell’alleanza nel Nuovo Testamento» (pp. 27-48), Ratzinger parte da una questione terminologica - testamento o alleanza? – che va oltre gli aspetti puramente filologici relativi all’interpretazione della parola ebraica «berit»: se «testamento» implica una disposizione unilaterale da parte di Dio, alleanza indica una reciprocità che pone i contraenti sullo stesso piano – e ciò è incompatibile con l’idea di Dio.

Ma se da una parte Dio compie un atto sovrano e unilaterale, «la dinamica del concetto di Dio cambia dall’interno la sostanza del processo, il senso del suo porsi come sovrano. Se ora la vera sostanza di ciò che accade non è più vista a partire dall’idea di patto statuale, ma nell’immagine dell’amore sponsale, come avviene nei Profeti – nel modo più toccante in Ezechiele 16 -, se l’atto contrattuale appare come una storia d’amore tra Dio e il popolo eletto, continua ancora a sussistere l’asimmetria nella sua antica forma? […]

Da una parte, rispetto all’infinita alterità di Dio, il concetto di Dio deve apparire come la più radicale esaltazione dell’asimmetria, dall’altra la vera natura di questo Dio sembra realizzare però un’inattesa reciprocità» (pp. 29-30).

A questo punto l’autore si pone un’altra domanda: «come si distinguono l’“antica” e la “nuova” alleanza? In che cosa consiste l’unità e in cosa la diversità del concetto di alleanza nei due Testamenti?» (p. 30). Se «nella seconda lettera ai Corinzi Paolo pone in netta antitesi l’alleanza instaurata da Cristo e quella di Mosé, definendo quest’ultima transitoria e l’altra permanente» (p. 31), altri testi paolini, in particolare la lettera ai Romani, rivelano la molteplicità dell’antica alleanza – meglio: delle alleanze, al plurale – quella fondamentale con Abramo, incentrata sulla promessa, e quella successiva con Mosé, costituita dalla Legge: «con questa distinzione viene meno la rigida contrapposizione tra antica e nuova alleanza e si esplicita l’unità carica di tensione della storia della salvezza, in cui nelle diverse alleanza si realizza l’unica alleanza.

Se le cose stanno così, non si possono assolutamente contrapporre l’Antico e il Nuovo Testamento come se si trattasse di due diverse religioni; c’è una sola volontà di Dio nei riguardi degli uomini, un solo agire storico di Dio con gli uomini, che si compie nei suoi interventi, certamente diversi e in parte anche contrapposti, ma in verità sempre intimamente legati l’uno all’altro» (p. 34).

Anche nei testi dell’Ultima Cena è presente questo legame. Nella versione di Matteo e Marco (cfr. Mt 26, 26-29; Mc 14,22-25), Cristo dice che il calice è «il mio sangue dell’alleanza» richiamando «il sangue dell’alleanza» (Es 24,8) con cui Mosé asperge l’altare il popolo ai piedi del Sinai: «la Cena è intesa come conclusione dell’alleanza, cioè come prolungamento dell’alleanza sinaitica, che qui non viene messa da parte, ma appare rinnovata» (p. 38).

Nella versione paolino-lucana (Lc 22,19-20; 1Cor 11,23-26), Gesù parla della «nuova alleanza nel mio sangue», richiamando la tradizione profetica confluita in Ger 31,31-34. «Al posto dell’alleanza violata del Sinai Dio stipulerà una nuova alleanza – così promette il profeta – che non potrà più essere violata, poiché essa non starà più dinanzi all’uomo come libro o come tavola di pietra, ma sarà scritta nel suo cuore. […] l’Antico e il Nuovo Testamento non sono semplicemente posti l’uno di fronte all’altro come due mondi separati, ma […] l’idea dell’alleanza violata e di quella nuova, stabilita da Dio, era già presente nella fede stessa di Israele» (p. 39).

Dunque per tornare alla domanda di partenza, in che rapporto stanno le alleanze vetero-testamentarie con la nuova alleanza?

Innanzitutto bisogna ricordare che già l’alleanza con Abramo «mostra un indirizzo universalistico e guarda ai molti che dovranno essere dati ad Abramo come discendenza. […] In questo senso la promessa fatta ad Abramo garantisce fin dall’inizio l’intrinseca continuità della storia della salvezza, dai padri di Israele fino a Cristo e alla Chiesa dei giudei e dei pagani» (p. 42).

Quanto all’alleanza con Mosé, è bene tener presente che Legge e Profeti, cioè Legge e attesa del Messia non vanno dialettizzati: sia perché la prima non è solo un giogo, anzi «la Legge stessa è la forma concreta della grazia» (ibid.), in quanto permette di conoscere la volontà di Dio; sia perché il Messia non toglie il diritto, è lui stesso la legge da seguire. «Così in effetti l’alleanza sinaitica è davvero superata, ma, nel momento in cui le viene tolto ciò che di essa era provvisorio, appare la sua vera definitività, viene alla luce ciò che di essa è definitivo. Per questo l’attesa della nuova alleanza, che emerge con crescente chiarezza nella storia di Israele, non si contrappone all’alleanza sinaitica, ma corrisponde alla dinamica dell’attesa che in essa è racchiusa» (p. 44).

Infine possiamo tornare sulla questione terminologica: testamento o alleanza?

Se tutte le alleanze della Bibbia sono asimmetriche, e pertanto «testamenti», disposizioni sovrane di Dio, d’altra parte Egli si auto-impone degli obblighi, «si è fatto nostro debitore, non perché ha ricevuto qualcosa da noi, ma perché a noi ha promesso cose tanto grandi» (p. 45), come diceva Agostino.

Nella visione di Abramo, Dio stesso passa tra gli animali sacrificati, gesto che significa la volontà di pagare di persona l’eventuale rottura di un giuramento. L’esegesi vi vede un’anticipazione della croce, «in cui Dio, con la morte di suo Figlio, di fa garante dell’indistruttibilità dell’alleanza e si consegna radicalmente all’uomo (Gn 15,1-21).

Fa parte dell’essenza di Dio l’amore per la creatura, e da questa essenza discende anche la sua libera scelta di legarsi, che si spinge fino alla croce» (p. 46), affinché assumendo Egli la nostra natura umana, noi partecipassimo della Sua natura divina: «in questo scambio delle nature, che costituisce l’immagine cristologica fondamentale, il carattere incondizionato dell’alleanza divina si è trasformato in una bilateralità definitiva» (ibid.). Il testamento diventa alleanza.

Infine, alla luce dell’essenza trinitaria di Dio, si comprende come «per lui, che è fino in fondo relazione, l’alleanza non sarebbe allora qualcosa che si colloca al di fuori della storia, lontano dalla sua essenza, ma il farsi manifesto di ciò che lui stesso è, “lo splendore del suo volto”» (p. 48). 

 

«La nuova manna» (pp. 49-55) è l’omelia per una messa officiata nell’agosto 1997 a Monaco di Baviera.

Anche qui si colgono continui contatti tra i due Testamenti, e quindi tra Chiesa e Israele. Nella prima lettura (1Re 19,4-8) il profeta Elia, ultimo profeta rimasto in un Israele divenuto pagano, «deve tornare indietro, per quaranta giorni e quaranta notti, fino al punto dove la storia della fede è propriamente cominciata, fino al monte Oreb» (p. 50), cioè il Sinai.

«Un simile ritorno, il recupero della propria storia, deve ripetersi in continuazione. Avviene nei quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto.

La Chiesa cerca di farlo ogni anno nei quaranta giorni di preparazione alla Pasqua: uscire nuovamente dal peso del paganesimo, che continua a spingerci lontano da Dio, tornare sempre a rivolgerci a lui. E all’inizio della celebrazione eucaristica, nella confessione dei peccati, cerchiamo anche noi di riprendere questo cammino, di uscire nuovamente, di tornare ad incontrare sul monte di Dio la sua parola e la sua presenza» (pp. 50-51).

In questo cammino Elia è sostenuto soltanto da un pezzo di pane e da una brocca d’acqua: è la nuova manna, che richiama quella di cui si era nutrito Israele nei quarant’anni di peregrinazione verso la terra promessa. «La manna doveva mostrare che l’uomo può vivere solo di Dio, deve imparare a vivere di Dio; solo allora vive davvero, solo allora possiede cioè la vita eterna, poiché Dio è eterno» (p. 52).

«Ciò che significa questo “vivere di Dio” è espresso con forza in due frasi del vangelo, intimamente legate tra loro: Chi crede ha la vita eterna. Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo [Gv 6, 47 e 51]. Vivere di Dio significa anzitutto credere ed entrare così in rapporto con lui, entrare in intima armonia con lui. Ma da quando Dio si è fatto carne […] il credere stesso è divenuto qualcosa di corporeo» (p. 53) nella Chiesa, nei sacramenti, e soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, in cui Cristo si dona affinché viviamo in lui, diventando, come dice San Paolo nella seconda lettura (4, 30 – 5, 2), «imitatori di Dio», nelle piccole virtù in cui si concretizza l’amarsi gli uni gli altri - «come Cristo ci ha amati e ha dato sé stesso per noi come dono e sacrificio gradito a Dio» prosegue san Paolo -, cosa impossibile a realizzarsi se non ci si nutre della «vera manna» (p. 55), cioè di Cristo stesso.

L’ultimo saggio, dal titolo «Il dialogo delle religioni e il rapporto tra ebrei e cristiani» (pp. 57-74), prende le mosse da un brano del De pace fidei, scritto nel XV sec. dal cardinale Nicola Cusano, cui il fallimento del tentativo di unione con la Chiesa greca e la minaccia turca seguita alla conquista di Costantinopoli ispirano una sorta di «utopia ecumenica»: «“Cristo come logos universale convoca un concilio celeste, perché lo scandalo della molteplicità delle religioni sulla terra è divenuto intollerabile”; in esso diciassette rappresentanti delle diverse nazioni e religioni, mediante il logos divino, saranno portati a riconoscere che nella Chiesa rappresentata da Pietro le domande religiose di tutti possono essere appagate”» (p. 57).

Nel frattempo, osserva Ratzinger, questo concilio è disceso sulla terra e la questione ecumenica è ormai all’ordine del giorno. Lungi dal risolvere i problemi, tale questione pone sempre ulteriori domande: «come può accadere ciò? Come è possibile l’incontro nella diversità delle religioni e fra i contrasti che proprio oggi assumono spesso forme violente? Che tipo di unità può mai esserci? In quale misura si può almeno tentare di perseguirla?» (p. 60).

Un approccio falsamente «rassicurante» è quello «mistico», che sfumerebbe la molteplicità delle religioni e dei loro dogmi – con annesse presunte intolleranze - in una esperienza sentimentale, il cui carattere prevalentemente interiore terrebbe al riparo dal conflitto con la ragione.

«La New Age è per così dire la proclamazione dell’età della religione mistica, che è razionale proprio in quanto non avanza nessuna pretesa di verità e dunque per sua natura è tollerante; anche se nel contempo garantisce all’uomo la rottura dei limiti dell’essere di cui egli ha bisogno per poter vivere e accettare la propria finitezza» (p. 62). Come logica conseguenza «l’imperativo centrale di Israele: “Ascolta, Israele, il tuo Dio è un Dio vivente”, che di fatto resta costitutivo anche per cristianesimo e islam, perde così i suoi contorni» (p. 63).

Tuttavia, date queste premesse, «la religione […] diventa, per così dire, una terapia individuale: la salvezza si trova al di fuori del mondo; per operare in esso non ci viene data altra indicazione al di fuori della forza che si può accrescere ritirandosi regolarmente nella dimensione spirituale. Ma questa forza, come tale, non ha per noi alcun messaggio chiaramente definibile. Nel nostro agire all’interno del mondo restiamo dunque abbandonati a noi stessi» (p. 64).

Malgrado l’importanza dell’elemento mistico all’interno delle religioni teistiche, «la fede nell’unico Dio implica necessariamente il riconoscimento della volontà di Dio: l’adorazione di Dio non è semplicemente un’immersione, bensì ci restituisce noi stessi e ci impone l’impegno nella vita quotidiana, reclama tutte le energie del nostro intelletto, del nostro sentimento e della nostra volontà» (p. 65).

Altro modello è quello «pragmatico», secondo il quale, al solito, le religioni dovrebbero mettere tra parentesi le differenze dottrinali e la pretesa di verità di ciascuna, per privilegiare l’impegno pratico in difesa della pace, della giustizia, della salvaguardia del creato, in breve sostituendo l’ortoprassi all’ortodossia. «Ma le religioni non possiedono una conoscenza a priori di ciò che hic et nunc è utile alla pace, di come sia possibile costruire la giustizia sociale negli Stati e fra gli Stati, di come si possa tutelare nel modo migliore la creazione» (p. 65).

Il perseguimento di questi scopi spesso richiede mezzi differenti, che rientrano nel campo dell’opinabile: per fare un esempio, posto che la pace non è la semplice assenza di operazioni militari – che di per sé sola sarebbe al massimo una tregua – bensì la «tranquillitas ordinis», un ordine basato sulla giustizia e la carità, non è detto che l’unico mezzo per ottenerla sia la non-violenza; al contrario talvolta proprio per consolidare la pace è necessario l’uso della forza nei confronti di chi la minaccia (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, nn. 480-486).

«Dove questo pluralismo, spesso non superabile, dei percorsi e il faticoso confronto razionale vengono scavalcati da un moralismo con motivazioni religiosi e una sola via è dichiarata giusta, la religione si trasforma in dittatura ideologica, il cui furore totalitario non costruisce la pace, ma la distrugge» (p. 65)

 

A questo punto, «falliti» i tentativi di sfumare le asperità delle religioni teistiche, relativizzando la propria idea di Dio e i dogmi, per portare in primo piano l’impegno pragmatico o l’esperienza mistica, ci si chiederà: «la religione teistica, dogmatica e gerarchicamente ordinata, è di necessità intollerante? La fede nella verità formulata nel dogma rende incapaci di dialogo? L’attitudine alla pace è legata alla rinuncia alla verità?» (p. 69).

La risposta è no.

Ratzinger dice chiaramente che «l’incontro tra le religioni non può avvenire nella rinuncia alla verità, ma è possibile solo mediante il suo approfondimento. Lo scetticismo non unisce. E nemmeno il puro pragmatismo unisce. […] Vanno incoraggiati invece il rispetto profondo per la fede dell’altro e la disponibilità a cercare, in ciò che incontriamo come estraneo, la verità che ci può concernere e può correggerci e farci progredire» (pp. 71-72), pronti anche ad una onesta autocritica – aggiungiamo, senza tradire troppo: previa verifica della fondatezza delle accuse e ricordando che le guance da porgere sono solo due.

Qual è dunque il vero ecumenismo?

Consiste forse nello smettere di evangelizzare, limitandosi invece ad «aiutarsi reciprocamente a diventare migliori cristiani, ebrei, musulmani, induisti o buddisti?

Rispondo di no.

Questa sarebbe infatti la completa assenza di convinzioni, in cui – con il pretesto di convalidare ciò che ciascuno ha di meglio – non prenderemmo sul serio né noi né gli altri e rinunceremmo definitivamente alla verità. La risposta mi sembra essere piuttosto che missione e dialogo non devono più essere forme contrapposte, ma compenetrarsi reciprocamente.

Il dialogo non è un intrattenimento senza scopo, ma ha di mira la persuasione, la scoperta della verità, altrimenti è senza valore. Dall’altro canto la missione in futuro non può più essere compiuta come se si comunicasse con un soggetto fino a quel momento privo di qualunque conoscenza di Dio, a cui deve credere. 
[…] All’altro non si dice qualcosa di completamente ignoto, ma si dischiude la profondità nascosta di ciò che egli ha già sperimentato nella sua fede» (p. 73).

Nel suo viaggio apostolico in Brasile del maggio 2007, Benedetto XVI in un bellissimo Discorso ai Vescovi, così si espresse sul vero ecumenismo:

" L’Ecumenismo, ossia la ricerca dell’unità dei cristiani diventa in questo nostro tempo, nel quale si verifica l’incontro delle culture e la sfida del secolarismo, un compito sempre più urgente della Chiesa cattolica.

In conseguenza, però, della moltiplicazione di sempre nuove denominazioni cristiane e, soprattutto di fronte a certe forme di proselitismo, frequentemente aggressivo, l’impegno ecumenico diventa un lavoro complesso.

In tale contesto, è indispensabile una buona formazione storica e dottrinale, che abiliti al necessario discernimento ed aiuti a capire l’identità specifica di ognuna delle comunità, gli elementi che dividono e quelli che aiutano nel cammino verso la costruzione dell’unità.

Il grande campo comune di collaborazione dovrebbe essere la difesa dei valori morali fondamentali, trasmessi dalla tradizione biblica, contro la loro distruzione in una cultura relativistica e consumistica; e ancora, la fede in Dio Creatore ed in Gesù Cristo, suo Figlio incarnato.

Inoltre, vale sempre il principio dell’amore fraterno e della ricerca di comprensione e di avvicinamenti reciproci; ma anche la difesa della fede del nostro popolo, confermandolo nella gioiosa certezza che l’«unica Christi Ecclesia… subsistit in Ecclesia catholica, a successore Petri et Episcopis in eius communione gubernata» («l’unica Chiesa di Cristo… sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui» (Lumen gentium, 8).

In tale senso si procederà verso un dialogo ecumenico franco ... impegnandosi al pieno rispetto delle altre confessioni religiose, desiderose di rimanere in contatto con la Chiesa cattolica.."

Si legga anche qui: Comprendere bene il tollerare e la tolleranza

 cliccare qui per ritornare all'indice dei Testi di Ratzinger

Note

1) JOSEPH RATZINGER, La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000-di Stefano Chiappalone.

Questo volumetto pubblicato nel 1998 (titolo originale: Die Vielfalt der Religionen un der Eine Bund) e apparso in italiano nel 2000, raccoglie quattro contributi del regnante pontefice - allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede - concepiti separatamente nel periodo 1994-1997 e scaturiti dalla riflessione intorno a due grandi temi, il «dialogo tra le religioni del mondo, che con il progredire dell’incontro e della compenetrazione delle culture è ormai divenuto una necessità interna» (p. 5), e il rapporto tra Chiesa e Israele – inscindibilmente connesso al rapporto tra Antico e Nuovo Testamento – in relazione ad una diffusa tendenza esegetica ad “accantonare” Cristo dalle Scritture, che se apparentemente eliminerebbe gli ostacoli al dialogo col giudaismo, «porterebbe al tempo stesso alla dissoluzione della parentela spirituale che ci lega ad Israele e, quindi, alle conseguenze estreme già delineate da Marcione: il Dio di Israele apparirebbe come un Dio estraneo, che non è certo il Dio dei cristiani» (p. 6).



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Ecco che cosa mi ha detto un tale per farmi deviare dalla fede cattolica


Quesito


Caro Padre Angelo, 
Mi chiamo Alessandro, ho 15 anni (perciò mi scuso per l’eventuale informalità).
Ammiro la vostra bella opera di predicazione, il sito, che più volte mi sono trovato a leggere e quindi oggi ho deciso di chiederle un parere. Mi è venuto in mente di come mesi e mesi fa ho avuto diversi discorsi con mia sorella riguardo la religione, in quanto non è proprio aderente alla Chiesa, seppure si definisce cristiana. Un giorno lei, stufatasi di parlare con me, mi invitò con moltissima insistenza a parlare via Skype con un suo amico del sudamerica, che era a sua volta un “cristiano fai-da-te”. Ci tengo a precisare che sono stato convertito, battezzato e cresimato 2-3 anni fa (a me sembra passata un’eternità)[questo passaggio potrebbe non includerlo nella pubblicazione per privacy?] e perciò quella volta ho detto che non mi avrebbe fatto piacere parlare della religione (non mi sentivo in grado di fare un dibattito del genere), ma alla fine cedetti all’insistenza di mia sorella.
Giusto per farle capire a che livello ho dovuto argomentare un discorsino: lui non sapeva parlare italiano e quindi mia sorella faceva da traduttore, di parte, per me e per lui. Comunque andando al sodo: l’amico sudamericano mi incomincia a parlare della cristianità fin quando non si aprì un discorso sulla cattolicità. Mi disse che lui non era cattolico perché secondo lui i cattolici erano degli sviati che si erano fatti ingannare dalla Chiesa (….sì) la quale aveva tenuto loro nascosta la verità (ovvero i vangeli apocrifi) per affermarsi, e con ciò mi allegò dei passi di vangelo: uno era quello dei sepolcri imbiancati (riferiti ai sacerdoti); un altro era un passo apocrifo che diceva tipo: ”non ci saranno più altari né sacerdoti” (?); e l’altro era quello in cui Gesù spiega che un albero buono si riconosce dai frutti.
In relazione all’ultimo verso che mi citò, incominciò a raccontarmi leggende nere sulla Chiesa, in particolare quella della colonizzazione dell’america latina per mano di cattolici dicendomi che si raccontano alcuni aneddoti riguardo a dei sacerdoti che condannavano migliaia di nativi all’esecuzione permettendo però loro di confessarsi. Dunque, sempre secondo il suo racconto, un sacerdote avrebbe detto ad un nativo che si doveva confessare cosicché poteva andare in Paradiso, ma l’indiano gli avrebbe risposto: ”Se c’è gente come voi, non ci voglio andare!”.
Mi piange il cuore a sentire queste infami diffamazioni. Poi inizia a dire che la Chiesa Romana in realtà era un fantoccio di Costantino (un sudamericano che spiega agli italiani la storia della loro capitale è a dir poco ironico) perché l’imperatore aveva capito che la religione cristiana poteva essere l’unico mezzo di unificazione dell’Impero.
Al di là di tutte queste storie da falò, la cosa strana è che io non seppi davvero cosa rispondere e quello che disse influì negativamente sul mio animo ed in particolar modo su quello di mia sorella, che si era quasi riavvicinata alla Chiesa, che peccato!! Ne uscii dopo un mesetto di combattimenti contro assillanti dubbi, armato di Rosario e corazzato dalla Fede. Ora che è passato tanto tanto tempo, ripenso a quell’evento, e mi rode l’animo per il mio scandaloso silenzio! Avrei voluto far vedere che il cattolico non è zittito in materia di fede, ma nulla, non ci sono riuscito.
Adesso mi rivolgo a voi, famosi per la vostra lotta continua contro le eresie a gloria del Santo Nome di Cristo, della sua Sposa, della sua Verità e della sua Unità: come avrei potuto e potrei (casomai si ripresentasse l’occasione) rispondere a queste accuse?
Qual'è la posizione della Chiesa sui vangeli apocrifi?
Come potrei riavvicinare mia sorella alla Fede Cattolica? Cosa potrei replicare a chi tira fuori questi scheletri nell’armadio della cristianità? Mi interessa la vostra risposta personale, perché io non sono bravo a parole e non so come esprimere quelle tante risposte che mi serbo dentro in modo da essere benevolo e non vanamente rigido. 

Mille grazie in anticipo per la risposta e l’impegno, vi ricorderò in alcune preghiere!


Risposta del sacerdote

Caro Alessandro,
1. capisco il tuo disorientamento di fronte ad una sequenza di accuse, finora mai sentite e sulle quali non potevi avere una risposta pronta.
Tuttavia sebbene inconsapevolmente hai continuato per la strada giusta: hai continuato a recitare il Rosario, corazzato della fede.
E questa è pure la via segreta per rispondere alle accuse più strane.
E cioè sei rimasto attaccato alla tua esperienza di fede, che senti essere vera, perché ti dona luce e respiro.
San Tommaso d’Aquino dice che una vecchietta cristiana quando sente una sequenza di eresie non è in grado di dare una risposta. Ma sente che quello che dicono gli eretici non è vero.
Pertanto la prima cosa che ti dico è proprio questa: continua sempre a vivere l’esperienza cristiana, la vita di fede, l’unione con Gesù nei sacramenti, nella preghiera, nell’ascolto della sua parola. 
Questo è il retroterra indispensabile per non rimanere disorientati.
È questo retroterra o questa vita di fede che ti illumina, ti dà forza e ti dà la capacità di rimanere in piedi nonostante qualsiasi urto improvviso.
Questo invece è ciò che è mancato a tua sorella, che stava facendo i primi passi nell’avvicinarsi a Cristo, ma ha trovato qualcuno che le ha mostrato delle obiezioni, e incapace di rispondervi e soprattutto non avendo il retroterra dell’esperienza della fede, ne è rimasta bloccata.

2. Ma vengo adesso alle singoli obiezioni che ti sono state presentate.
La prima obiezione riguarda gli apocrifi che la Chiesa non considera testi sacri, ragion per cui la Chiesa avrebbe nascosto la verità ai fedeli.
Probabilmente chi dice queste cose non ha mai letto gli apocrifi che sono di epoca tardiva (secondo e terzo secolo) e quasi tutti (soprattutto i vangeli) si differenziano dai testi sacri per lo stile miracolistico e fantasioso.
Ebbene, la prima cosa da dire è questa: la Divina Rivelazione, ciò che Dio ha voluto dire e comunicare agli uomini, si è chiusa con la morte dell’ultimo apostolo. Gli apostoli sono stati i testimoni diretti e oculari dell’insegnamento di Cristo.
Ora la morte dell’ultimo apostolo è avvenuta verso il 100, qualcuno dice anche un decennio dopo, dal momento che Giovanni fu chiamato dal Signore quando era neanias (e cioè adolescente). Così riferisce Papia, morto nel 125 e amico di Giovanni.
Già nel secondo secolo, di fronte al pullulare di varie eresie, soprattutto dell’eresia gnostica, per discernere la vera interpretazione della Divina Rivelazione i santi Padri si sono rifatti al criterio della Tradizione, e cioè al modo di vivere, di comprendere e di predicare il Vangelo che è antecedente agli stessi scritti del Nuovo Testamento.
E hanno detto: andiamo a vedere nelle Chiese fondate dagli apostoli come hanno inteso il Vangelo, come lo hanno interpretato, come lo hanno vissuto.
E hanno trovato una straordinaria concordanza, sebbene queste chiese fossero sparse ai quattro venti dell’orbe terracqueo.
E hanno preso questo criterio: il modo giusto di intendere il vangelo è quello dato dalla Tradizione e cioè è quello che da tutti, dovunque e da sempre è stato ritenuto: “quod ab omnibus, quod ubique, quod a semper creditum est
Questo è il criterio, certamente ignoto al tuo interlocutore sudamericano.
Pertanto tra i testi che circolavano sono stati ritenuti ispirati da Dio solo quelli che da sempre, da tutti e dovunque erano stati ritenuti tali.
Dal momento poi che la divina rivelazione era chiusa con la morte dell’ultimo apostolo, ne seguì che gli apocrifi, scritti per lo più posteriormente, non furono mai considerati autentici da tutti, da sempre e dovunque. E proprio per questo furono detti apocrifi.
Pertanto nessun nascondimento. Anzi, tutto il contrario, tutto alla luce del sole, alla luce di tutti.

3. Gli apocrifi contengono anche delle affermazioni che meritano di essere soppesate, ad esempio sul fatto che non ci saranno più altari o sacerdoti.
Sappiamo che in Israele c’era un unico tempio e un unico altare sul quale si offrivano i sacrifici.
Altrove, in tutte le altre località della Palestina, ma anche dove gli ebrei erano sparsi nel mondo, c’erano le sinagoghe.
Ma la sinagoga non è mai stato il luogo in cui si offrivano i sacrifici. Nella sinagoga ci si radunava e ci si raduna il sabato per l’ascolto della parola di Dio, per sentirne un commento e per elevare salmi a Dio.
L’altare si trovava solo nell’unico tempio, a Gerusalemme. 
Con la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio gli ebrei sono rimasti senza altare e senza sacerdoti che officino.
Ma questo sta a ricordare anche in maniera tangibile che Cristo è l’unico, vero, sommo ed eterno sacerdote e che tutti i sacerdoti dell’Antico Testamento erano un simbolo e una prefigurazione di Lui.
Gesù ha offerto il sacrificio espiatorio per l’umanità. Non l’ha offerto all’interno del tempio, ma sul Calvario. 
E l’altare era lui stesso, il suo cuore.
La vittima da offrire non era costituita da agnelli o altro bestiame, ma da lui stesso.
Cristo dunque sulla croce è altare, vittima e sacerdote.
Ai suoi ha comandato nell’ultima cena: “fate questo in memoria di me”.
Noi a Messa celebriamo il memoriale del sacrifico del Signore.
Memoriale significa che quel sacrificio viene reso presente, attuale, viene offerto come se fosse la prima volta che viene compiuto.
Anche a Messa Gesù è altare, vittima e sacerdote.
Quelli che noi chiamiamo sacerdoti sono ministri di Cristo, unico, vero sommo ed eterno Sacerdote.
L’altare su cui celebriamo il sacrificio di Cristo è solo un segno, un simbolo: il vero altare è il cuore stesso del Signore e per prolungamento il cuore di ognuno di noi.
Dal momento poi che già nell’Antico Testamento il popolo di Dio era chiamato popolo sacerdotale perché offriva sacrifici per se stesso e anche per tutta l’umanità, anche la Chiesa come dice San Pietro e come ricorda l’Apocalisse, è un popolo di sacerdoti.
Tutti diventiamo sacerdoti col Battesimo, nel senso che siamo abilitati a offrire noi stessi come sacrificio a Dio in unione con la vittima spirituale Gesù.
Tra questi sacerdoti alcuni lo diventano anche in modo ministeriale, come i presbiteri (i preti), che noi più comunemente chiamiamo sacerdoti perché abilitati da Cristo stesso a renderlo presente nell’Eucaristia.
Il sacerdozio di tutti i battezzati e dei presbiteri è una partecipazione dell’unico sacerdozio di Cristo.
Senza Cristo né i fedeli né i sacerdoti potrebbero far nulla.
Sotto questo aspetto dunque è vero che non ci sono più i sacerdoti, come erano intesi nell’Antico Testamento, e sotto questo aspetto non c’è neanche più altare, che si poteva trovare solo a Gerusalemme, perché adesso dovunque può essere offerto il sacrificio di Cristo, anche se non c’è l’altare materiale, come avviene quando l’eucaristia viene celebrata in maniera clandestina nelle carceri o nei gulag.
L’aveva già predetto l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento, Malachia: “Poiché dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le nazioni e in ogni luogo si brucia incenso al mio nome e si fanno offerte pure, perché grande è il mio nome fra le nazioni. Dice il Signore degli eserciti” (Mal 1,11).

4. Vengo adesso alla vicenda di Costantino che si sarebbe servito della Chiesa per unificare l’Impero romano.
A parte la lettura ideologica fatta dal tuo interlocutore sudamericano, ci si può domandare: su quali testi antichi può documentare una tale affermazione?
Su nessuno.
A meno che il tuo interlocutore ne abbia sottomano qualcuno e allora ce lo fornisca!
Sappiamo invece che le cose stanno diversamente.
La madre di Costantino era cristiana, sant’Elena, e lui rimase pagano fino all’ultimo.
Perché rimanere pagano se la religione cristiana unificava l’impero?
Non avrebbe dovuto darne l’esempio lui? Tanto più che ai suoi tempi la maggior parte della gente era ancora pagana.
E invece quest’esempio non l’ha dato, né l’hanno dato quelli che erano a corte con Lui.
Pertanto al tuo interlocutore sudamericano, come a tanti altri, bisogna rispondere: meno ideologia (ricostruzione della storia secondo i propri paraocchi) e più documentazione, più fatti.

5. Adesso una parola sulla vicenda della conquista dei nuovi continenti, in particolare dell’America.
Va detto che la conquista non fu fatta dalla Chiesa, che tra l’altro a quei tempi aveva ancora un dominio temporale (lo stato pontificio), ma da altri, e cioè principalmente dai poteri civili dell’Inghilterra, della Spagna e del Portogallo.
Che i conquistatori fossero avidi di potere e di denaro non ci vuole molto per riconoscerlo.
Che abbiano trattato male le popolazioni indigene è altrettanto vero. Non sono andati lì ad accarezzarle.
Sebbene gli storiografi unanimemente debbano riconoscere (e l’hanno riconosciuto) che mentre i conquistatori britannici che non erano cattolici hanno sterminato le popolazioni indigene (si è salvato per miracolo qualche gruppo di pellerossa), i conquistatori cattolici non le hanno sterminate, e poco per volte si sono integrati con quelle indigene, dando origine al meticciato, che costituisce la caratteristica prevalente nella maggior parte dei Paesi latinoamericani. Forse anche il tuo interlocutore lo è.

6. Inoltre va anche detto che di fronte ai soprusi compiuti dai conquistatori la Chiesa ha levato altamente la sua voce a difesa degli indios.
Come non ricordare l’opera dei domenicani Bartolomeo Las Casas,  Antonio de Montesinos e Pietro di Cordova?
Il 21 dicembre del 2013 i domenicani sono stati esortati a ricordare nelle Messe la famosa predica che il loro confratello Antonio de Montesinos aveva fatto proprio 500 anni prima in quel medesimo, dopo un anno che i domenicani erano sbarcati nell’Isola che oggi porta il loro nome (Santo Domingo).
Davanti all’evidente oppressione degli indios, la comunità dei domenicani dedicò molte ore di riunione per studiare a fondo il problema, finché decisero di denunciarlo pubblicamente. Non potevano tacere, poiché “a questo si sentivano obbligati dalla professione che avevano fatto”.
Prepararono la denuncia in forma di omelia alla quale dedicarono lunghe discussioni con la partecipazione di tutti i membri della comunità. Una volta redatto il testo, e avendolo firmato tutti, fra Pedro de Cordoba, che era il Vicario, incaricò fra Antonio de Montesinos di pronunciarlo nella messa principale della quarta domenica di Avvento: era il 21 dicembre 1511.
Ecco quanto fra Bartolomeo de Las Casas riporta nella sua opera Storia delle Indie (libro III, capitolo 4): 
“… Sono la voce di Cristo che grida nel deserto di quest’isola. Pertanto si conviene che con attenzione, non un’attenzione qualsiasi, ma con tutto il vostro cuore e tutti i vostri sensi, l’ascoltiate, la qual voce sarà per voi la più nuova che mai udiste, la più aspra e dura e la più spaventevole e pericolosa che mai avreste pensato di ascoltare… 
Questa voce vi dice che siete tutti in stato di peccato mortale a causa delle crudeltà e dei soprusi che fate subire a queste popolazioni innocenti.
Ditemi: con quale diritto, in nome di quale giustizia tenete gli indiani in una schiavitù così crudele e terribile? 
Con che diritto avete scatenato così tante guerre esecrabili contro questa gente che viveva in pace nella propria terra e che voi avete oppresso con innumerevoli morti e stragi mai udite?
Perché li opprimete così tanto e li sfinite, non dando loro da mangiare e non curandoli quando sono malati dal momento che essi si ammalano e muoiono a causa del lavoro eccessivo a cui voi li costringete; o meglio, perché li uccidete per ammassare ogni giorno un po’ di oro in più? 
E che premura avete perché si insegni loro la dottrina, conoscano il loro Dio e creatore, siano battezzati, ascoltino la Messa, rispettino le feste e le domeniche? Non sono anch’essi degli uomini? Non hanno anch’essi un’anima come ogni creatura razionale? Non avete il dovere di amarli come voi stessi? Proprio non capite? Siete forse immersi in un profondissimo letargo?”. 
Questi sono fatti, sono documenti, non il racconto che ti ha fatto l’interlocutore sudamericano che ha il sapore della favola. 
E quand’anche fosse realmente accaduto (ma non c’è da stupirsi di niente in questo mondo, perché dove ci sono uomini ci sono miserie) non s’identifica evidentemente con l’atteggiamento della Chiesa Cattolica nei confronti delle popolazioni del Sud America.
È come se volessimo giudicare dell’insegnamento di Cristo e del comportamento degli Apostoli dal comportamento di Giuda.

Ti ringrazio per avermi sollecitato questa risposta.
Ti ringrazio anche delle tue preghiere. 
Ti ricorderò volentieri nelle mie e ti benedico.
Padre Angelo





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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24/05/2015 13:32
 
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Influenzato per un periodo della mia vita da protestanti, evangelici e testimoni di Geova mentre recito il rosario penso di fare una cosa sgradita al Signore

Quesito

Reverendo Padre Angelo, 
sono un ragazzo di 18 anni che sta vivendo un periodo di profonda crisi spirituale. Per me è difficile spiegarle cosa sto provando: parto innanzitutto dai continui dubbi che durante la preghiera personale e comunitaria mi assalgono, dubbi orribili che mi sconvolgono l'anima e che mi rendono inquieto. 
Le rivelo che per un periodo della mia vita sono stato influenzato da posizioni  protestanti o geoviste. Per esempio, mi hanno turbato le idee di chi ha addirittura avanzato similitudini tra la Chiesa Cattolica e Babilonia la Grande, descritta nel libro dell'Apocalisse di Giovanni. La Chiesa viene associata ad essa perchè considerata da queste chiese come idolatra (per via della venerazione dei Santi, delle immagini e delle reliquie) e adultera (per loro ha tradito i veri insegnamenti di Cristo) e prostituta, con la quale si sono uniti i re e gli abitanti della terra, sottolineando che la Santa Sede ha propri ambasciatori in tutti gli Stati del mondo e ha buoni rapporti coi potenti della terra. Mi vergogno a dirle, o Padre, che sono rimasto un po' turbato da questi pensieri che mi entrano in testa, pensieri che indeboliscono la mia fede nel Signore e la mia fiducia nell'intercessione della Santa Vergine, che tanto ammiro per la sua umiltà e per il suo coraggio di fedele testimone dell'amore di Dio. A volte, mentre recito il rosario, penso di fare una cosa sgradita al Signore, penso di tradirlo, oppure quando mi fermo davanti ad una statua in Chiesa mi viene un profondo turbamento, pensando che alcuni evangelici addirittura ritengono le statue idoli, dietro le quali si nascondono demoni. So perfettamente qual è il punto di vista cattolico in merito, ma, non so perchè, continuo a dubitare della mia fede cattolica. Nella preghiera chiedo spesso al Signore di aumentare quella flebile fiammella che brucia nel mio cuore, di trasformarmi con la sua Grazia, che attingo soprattutto dai Sacramenti della Confessione e dell'Eucaristia. Spesso recito il rosario e chiedo a Maria di ottenermi dall'Eterno una fede forte e incrollabile, ma vedo che sono ancora molto debole. 
Padre, le chiedo di pregare il Signore per me, affinché mi dia degli occhi nuovi, gli occhi di una fede forte, in cui trovare le risposte alle mie domande, amore in un mondo di odio come il nostro. Mi aiuti. Pregherò per lei la Vergine Madre affinché la sostenga nel suo ministero. Grazie di tutto


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. purtroppo il pensiero dei protestanti della prima ora e oggi di molti evangelici nei confronti della Chiesa Cattolica corrisponde a quello che mi hai riferito e cioè che sia la grande Babilonia, che sia idolatra, adultera e prostituta.
Non c’è Santo (si chiami Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II, don Bosco, Padre Pio, Madre Teresa di Calcutta, Teresina del Bambin Gesù…) che per loro non sia una manifestazione del demonio.

2. Ho detto “dei protestanti della prima ora” perché grazie a Dio molto cammino si è fatto e molti protestanti sono oggi rispettosi della Chiesa Cattolica, non la considerano né prostituta, né Babilonia o altro…
Persiste tuttavia questa mentalità in quasi tutti gli evangelici. Molti di questi mi hanno scritto riferendo proprio quanto tu hai detto.

3. Ma per venire a te e ai tuoi dubbi quando reciti il Santo Rosario: come si può dire che questa preghiera porti fuori strada quando ti mette in comunione con gli eventi della vita di Gesù e ti aiuta a contemplarli (e cioè a farli tuoi) dall’osservatorio migliore che è quello degli occhi e del cuore di Maria?
Mi domando spesso perché non dovrebbero farlo anche loro!
Il Card. Newman, prima di essere cattolico, era protestante, e per precisione anglicano. Diceva che l’unica devozione cattolica che riusciva a fare prima del suo passaggio alla Chiesa Cattolica era il Rosario.
Mi sono domandato spesso perché i protestanti non dovrebbero invidiarci questa preghiera, perché non la dovrebbero far propria. 
Ripeto: cosa c’è di meglio che contemplare e far propri gli eventi di Gesù mettendosi nell’osservatorio migliore costituito dagli occhi e dal cuore di Maria!

4. Ancora: non so come possano considerare malvagia questa preghiera quando le preghiere stesse che la costituiscono sono di origine evangelica. Il Pater è uscito dalla bocca stessa di Cristo. È la preghiera che Lui ci ha insegnato.
L’Ave Maria è uscita per la prima parte dalla bocca di Gabriele che saluta Maria e da Elisabetta in un momento in cui fu piena di Spirito Santo, come dice il Vangelo.
Il Cielo (Gabriele) e la terra riempita di Spirito Santo (Elisabetta) hanno salutato e benedetto la Madonna. Questo lo attesta il Vangelo. E allora perché non dovremmo farlo anche noi?
Non siamo evangelici se non facciamo questo. 
Potremmo portare il nome di evangelici, ma se non facciamo questo di fatto non lo siamo.
La seconda parte saluta Maria con parole della Chiesa: “Santa Maria, Madre di Dio”. Perfin Lutero riconosceva Maria che è Madre di Dio, a meno che si neghi la divinità di Gesù Cristo.
Il Gloria al Padre è di origine apostolica, dunque una preghiera della prima ora mutuando espressioni che si trovano negli ultimi versetti del Vangelo di Matteo e nell’Apocalisse.
Ma non c’è niente da fare. Per loro Lourdes e Fatima sono manifestazioni del demonio. Anche i miracoli verificati dalla scienza per loro sono opera del demonio. E sappiamo bene come la Chiesa Cattolica sia molta cauta nel verificarne l’autencità.
È chiaro che se dovessero riconoscere l’autenticità della apparizioni non potrebbero più essere protestanti o evangelici.
C’è in loro, come vedi, un pregiudizio insanabile che li lascia impoveriti.

5. Il pensiero che ti assale mentre reciti il Rosario (di far una cosa sgradita al Signore) non viene da Dio. 
Anzi non può venire da Dio. 
Perché il Rosario porta a Dio e agli eventi di Cristo con gli occhi e il cuore di Maria e cioè nel modo migliore.
E se questo pensiero non viene da Dio, da dove non può venire se non da colui tra il quale e la Donna Dio ha posto perfetta inimicizia?

6. Mi dici che provi una grande ammirazione per la Santa Vergine a motivo della sua umiltà e del suo coraggio di fedele testimone dell'amore di Dio.
Non limitarti però all’ammirazione. Vivi con lei come un figlio vive con la Madre. Perché questa è la volontà del Signore manifestata dalla croce quando ha detto “Figlio ecco tua madre” e “Donna ecco tuo figlio”.
Vorrei che imparassi ad affidare le tue cause all’intercessione e all’aiuto della Madonna.
Prova.
Vedrai come tutto andrà meglio.

7. Se i cattolici, nonostante le tante chiacchiere degli evangelici e dei geovisti, non abbandonano la devozione a Maria è perché sanno quanto è preziosa. Ne hanno fatto mille volte l’esperienza.
Perché dovrebbero voltare le spalle a Colei alla quale si sono rivolti fidandosi del comando di Cristo e ne hanno ricevuto tangibile soccorso?
È per questo che Dante nella Divina Commedia, esprimendo la sua fede e nel contempo la fede di tutti i credenti dice:
“Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz' ali.
La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate” (Paradiso, canto 33,15-21).

8. Mi dici ancora che gli evangelici pensano che nelle statue si nascondano i demoni.
Sì, pensano proprio così. Ma non è puerile pensare questo?
I cristiani si servono delle statue per ricordare la presenza dei Santi, una presenza che ci accompagna in maniera più continua e benefica di quand’erano quaggiù.
La loro venerazione però non è al gesso o al legno, ma a coloro che vi sono rappresentati!
Questi evangelici e geovisti si dimenticano in fretta che Dio stesso ha comandato di fare un serpente di rame: “Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». 
Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita” (Nm 21,8-9). 
Sembrerebbe una contraddizione con il divieto da lui stesso dato nel secondo comandamento.
Ma solo chi legge in maniera materiale, senza badare al contesto in cui fu dato quel divieto (e cioè senza ragionare), può trovarvi contraddizione.
E poi, come ho detto più volte, se vi fosse la proibizione di fare immagini, dovrebbero evitare di fare le fotografie per la carta d’identità, perché anche quelle sono immagini!

9. Dicono ancora che la Chiesa Cattolica è prostituta perché ha i propri nunzi, che sono i rappresentanti del Papa. 
Anche qui prendono l’espressione “i re della terra” in senso materiale, come se tutti i re o i governanti fossero strumenti del diavolo. Mentre la Sacra Scrittura dietro quest’espressione usata in Ap 19,19 vuol vedere semplicemente le forze ostili a Cristo.
Ma i re e gli abitanti della terra sono proprio espressioni del diavolo?
Gli abitanti della terra hanno cessato di essere fatti ad immagine somiglianza di Dio? 
E che ci sia un rappresentante di Pietro nelle singole nazioni perché sia segno visibile di comunione di tutti i fedeli e i vescovi con Pietro al quale Cristo ha dato l’incarico di pascere fedeli e vescovi (agnelli e pecore) è proprio una cosa sbagliata?

Volentieri ti terrò presente nelle mie preghiere, tanto più che anche tu fai la stessa cosa per me.
Ti benedico. 
Padre Angelo


   



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/08/2015 00:30
 
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 ECCO IL "BENSERVITO" IL "GRAZIE" DELLA CHIESA VALDESE ALLA VISITA DEL PAPA..... da una parte potremo dire al Papa: "ecco santità, il Vangelo suggerisce di non dare le perle ai porci...." ma senza alcun dubbio lo spirito cristiano del dialogo a "tutti i costi" fa ripete a se stesso di aver fatto la scelta giusta nell'andare a far visita ai Valdesi, l'importante è seminare.... e poi CERTE CRITICHE non fanno male, ci danno conferma anche di quel sesto senso che ci fa capire che nonostante tutto la Chiesa Cattolica Romana è sempre e ancora non, ripetiamo NON la numero uno fra le tante altre...., MA L'UNICA VERA CHIESA DI CRISTO ....   

leggendo gli altri interventi valdesi nell'articolo di Magister, è detto chiaramente che Giovanni Paolo II quanto Benedetto XVI mirassero più ad un dialogo ravvicinato con gli Ortodossi che non con i Protestanti 
 il chè è presto detto:
con gli Ortodossi ci divide sempre il primato petrino è vero, ma almeno abbiamo in comune LA PRESENZA REALE DI GESU' NELL'EUCARISTIA e in comune tutti e SETTE i Sacramenti: il Matrimonio è un sacramento ed anche il PRESBITERATO è un sacramento,così come la CONFESSIONE... Lutero tolse pian piano tutto, non abbiamo neppure i Sacramenti in comune SOLO IL BATTESIMO e NON in tutte le comunità protestanti 
 Papa Francesco proviene da un mondo PENTECOSTALE E NON LUTERANO .... la differenza è enorme! e i Valdesi non l'hanno capito, ma hanno capito una cosa: che Papa Francesco NON FA CONCESSIONI E NON FA SCONTI




Un grazie a Sandro Magister per questa raccolta

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Cosa resta dell’abbraccio tra Francesco e i seguaci di Valdo

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valdesi

La visita di papa Francesco al tempio valdese di Torino, lo scorso 22 giugno, ha acceso una vivace discussione dentro la comunità protestante più famosa d’Italia, che si è protratta per tutta l’estate sul suo settimanale “Riforma“, con interventi quasi tutti critici.

Il commento più ufficiale è stato quello del moderatore della Tavola valdese, il pastore Eugenio Bernardini, in un intervista di fine luglio, un mese prima dell’annuale sinodo della comunità, in programma a Torre Pellice dal 23 agosto prossimo.

Bernardini si è felicitato con Francesco per aver “rimesso al centro il rapporto ecumenico con le Chiese protestanti, dopo che i due papi precedenti avevano invece privilegiato il dialogo con gli ortodossi, disinteressandosi abbastanza del protestantesimo, forse considerandolo una forma residuale”.

Positivo è stato anche il primo commento apparso su “Riforma” dopo l’incontro di Torino, affidato a Fulvio Ferrario, docente di teologia sistematica alla facoltà valdese di teologia di Roma e coordinatore delle relazioni ecumeniche.

Ma la sua nota è stata pubblicata come semplice “opinione”. E tutti i successivi interventi sono stati un fuoco di fila di dubbi e di critiche.

Lorenzo Scornaleschi, su “Riforma” del 10 luglio, ha giudicato “effimero” il successo dell’incontro. Perché Francesco resta pur sempre un papa “che ha scommesso tutto sulla sua forza mediatica”, come già i papi precedenti “tranne la breve parentesi ratzingeriana”, cioè per un “cristianesimo di massa che non chiede altro che di avere un divo che unisca, come potrebbe essere un divo dello spettacolo”, un papa, quindi, che “si ripropone come modello autoritario indiscutibile, com’è nella sua natura e nella sua origine”.   (un complimento per Benedetto XVI, nota nostra)

Sullo stesso numero di “Riforma” Joachim Langeneck ha criticato come “troppo facile” la richiesta di perdono fatta da Francesco per le colpe commesse dalla Chiesa cattolica nei secoli passati. Perché invece sulle colpe presenti il papa ha taciuto, “non avendo particolarmente voglia di astenersi dal commetterle”. E tra queste colpe c’è “la sofferenza delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali, dal medesimo papa definite ‘frustrate’ e la cui difficoltà a ottenere diritti civili è legata anche alle pressioni della Chiesa”.

Su “Riforma” del 24 luglio Marco Rostan, già figura di spicco dei giovani valdesi negli anni ruggenti della contestazione extraparlamentare, ha scritto che le differenze tra cattolici e protestanti restano troppo forti per essere conciliate, e che “proprio Francesco, con tutta la sua simpatia, disponibilità, coraggio, rappresenta comunque l’istituzione papale, vale a dire il più grande ostacolo ecumenico, anche se in un domani improbabile si realizzasse una forma di papato conciliare”.

Altri intervenuti hanno spostato le critiche sui rimbalzi mediatici dell’incontro.

Paolo Ribet, pastore della comunità valdese di Torino, nell’editoriale di “Riforma” del 10 luglio si detto in particolare “turbato” dalla descrizione dei valdesi fatta da Eugenio Scalfari su “la Repubblica” dopo il loro incontro con Francesco, per “la ricostruzione storica che lascia allibiti e che non si comprende da dove sia stata tratta”, nella quale “l’unica cosa che si salva è il nome del fondatore, Valdo”.

E conclude:

“Scalfari sostiene che ‘l’obiettivo di Francesco è di aprire la Chiesa a tutte le comunità protestanti e riunirle’. Ma se così fosse, sarebbe esattamente il contrario di quanto si è affermato con una certa solennità il 22 giugno, e cioè che l’ecumenismo che noi prospettiamo è l’unità nella diversità, nel riconoscimento reciproco di ciò che si è. Francamente, mi pare che di un ‘ritorno a Roma’ o di una unità sotto il papato non si sia parlato e non sia assolutamente in agenda. La sensazione è che il cattolicesimo sia più avanti dei suoi ammiratori laici”.

Altri ancora hanno invece aggiunto alle critiche al papa la richiesta alla comunità valdese di fare a sua volta autocritica in casa propria.

Massimo Marottoli, su “Riforma” del 24 luglio, ha scritto che anche la Chiesa valdese, come quella cattolica, non è immune da “un autoritarismo al suo interno”. E prova ne sarebbe che ad accogliere il papa nel tempio di Torino c’era il moderatore della Tavola, come a rappresentarne il “capo”, quando invece “l’unico luogo in cui il potere della Chiesa valdese si esprime in tutta la sua autorevolezza è il sinodo”.

Ma l’autocritica più forte è venuta dal pastore Claudio Pasquet, della commissione per l’evangelizzazione.

“Non credo che la visita del papa cambierà molto per la vita della nostra Chiesa”, scrive. “Avverto infatti insinuarsi nella nostra Chiesa un senso di rassegnazione alla secolarizzazione, che ci accomuna purtroppo a gran parte delle Chiese europee. Ogni anno le statistiche sinodali ci presentano un numero crescente di chiese dove scuole domenicali e catechismi sono ridotti al lumicino, se non inesistenti”.

E prosegue:

“Etica, solidarietà e laicità: non credo di sbagliare dicendo che questi temi monopolizzano l’attuale dibattito all’interno delle Chiese valdesi e metodiste. Sono argomenti che sicuramente ci danno una certa popolarità, anche fra i radical chic, ma quanto incidono come predicazione dell’Evangelo? A volte leggendo la nostra stampa si ha l’impressione di leggere il bollettino di una serie di ONG di orientamento progressista, mentre l’esplicito e forte riferimento al Signore che ci spinge all’impegno resta sottinteso o non traspare”.

E ancora:

“Ci siamo vantati di non essere la Chiesa degli assoluti e della certezza, abbiamo detto che il dubbio è e resta fondamentale nella ricerca della fede, ma non abbiamo in questo modo assolutizzato il dubbio, mettendo in dubbio l’Assoluto? Grazia, speranza, resurrezione, giudizio di Dio, quanto sono rimasti al centro della nostra fede? Dobbiamo riappropriarcene nella nostra predicazione e nelle nostre riflessioni comuni. Chi oggi si interroga su Dio non ci chiede forse di affrontare una riflessione sulle cose ultime?”.

Ha fatto eco al pastore Pasquet, su “Riforma” del 30 luglio, Agostino Garufi:

“Come cristiani, sappiamo che la nostra missione essenziale è annunziare Gesù Cristo e il suo Evangelo anche a coloro che vogliamo beneficare nei loro diritti. Infatti, parafrasando le parole di Gesù (Mt 16, 26), se con la nostra azione sociale riuscissimo a far ottenere a tutti ogni bene terreno, che vero beneficio avrebbero se poi perdessero l’anima loro?”.

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Un sacerdote risponde

La mia ragazza ha influenze evangeliche

Quesito

Salve padre Angelo, 
mi chiamo … e sono fidanzato da più di 1 anno con una ragazza di nome …, all'inizio della nostra storia ero molto distante dalla chiesa, pregavo poco, non mi accostavo ai sacramenti e non andavo in chiesa nel giorno del Signore.
Lei proveniente da una famiglia con padre cattolico e con madre  evangelica, che si è convertita in questi ultimi periodi (a causa di problemi personali e di salute), lei passò dei periodi di debolezza e non essendo molto praticante della chiesa cattolica, cercò aiuto dalla cugina (evangelica da tanto tempo) ed è quindi riuscita a far convertire la madre della mia ragazza.
Negli ultimi mesi ho sentito dentro di me un richiamo da parte del Signore e quindi mi sono riavvicinato molto nella parrocchia che frequentavo prima. Prego sempre, leggo la bibbia e partecipo alle messe e alle adorazioni eucaristiche che avvengono nella mia parrocchia.
In seguito a questo mio riavvicinamento, la mia ragazza soffre di alcuni problemi di salute (nello specifico: di attacchi di panico), la madre dopo la conversione evangelica cominciò a portare la mia ragazza in chiesa con lei, a partecipare ai culti e ai raduni dei giovani. 
Questo in me suscitò molto dispiacere e in questo ultimo periodo sto molto male dentro di me, infatti abbiamo avuto dei discorsi nella nostra relazione e tutto va male.
Un giorno la mia ragazza andò con sua madre alle preghiere di liberazione evangeliche, durante le preghiere mi raccontò la mia ragazza, che è svenuta e riacquistati in sensi non riconosceva nessuno e parlava con una voce strana, insomma non era più lei ...
Dopo che mi ha raccontato questo fatto ho deciso di reagire, di portarla verso la giusta strada di farle vedere la verità, di fare un cammino spirituale insieme verso la fede cattolica, ma ogni mio tentativo è stato inutile.
Questo perchè lei è molto succube di sua madre e della cugina che la fece convertire. E' come se fosse incatenata da loro e non vuole sbilanciarsi verso di me, ha paura di venirmi incontro di accettare di leggere la verità di seguire la giusta via verso Dio. In questi ultimi giorni la nostra relazione è messa molto male, ed io prego sempre, non smetto mai di pregare. E non so cosa fare, come reagire, come posso aiutarla per fargli aprire gli occhi e il cuore?!
La prego di rispondermi e di darmi un aiuto, la ringrazio di cuore. 
Saluti


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. mi dispiace molto di essere giunto solo oggi a leggere le mail del 30 ottobre e quindi anche la tua. Te ne domando scusa.
Forse la mia risposta ti sopraggiungerà fuori tempo, perché magari tante cose si saranno evolute.

2. Mi dispiace molto per questa deriva protestante ed evangelica che ha colpito la tua ragazza e sua madre perché le priva di ricevere la grazia di Dio attraverso i Sacramenti.
I Sacramenti sono le grandi arterie che ci comunicano la vita di Cristo e la sua forza.

3. La tua ragazza si sta privando della Confessione che fin dai primi secoli è stata considerata il primo esorcismo  dopo il Battesimo.
Più che delle preghiere di liberazione della Chiesa evangelica, la tua ragazza ha bisogno di questa liberazione, di quella che ci viene comunicata nella Confessione sacramentale.
Gesù, come sai, l’ha istituita la sera di Pasqua, quando ha detto agli Apostoli: “Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi; a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,23).
In questo sacramento il Signore ci libera dal peccato e anche dalle paure, come ha liberato gli apostoli dalla paura dei giudei tanto che se ne stavano chiusi in casa.
Inoltre in questo Sacramento il Signore ci comunica la potenza, la forza della sua risurrezione.
Di questa vitalità nuova e di questa forza ne abbiamo bisogno tutti e in maniera constante, compresa la tua ragazza.

4. Inoltre la tua ragazza si priva dell’Eucaristia.
Sì, anche gli evangelici ce l’hanno, ma non credono nella presenza reale di Cristo né possono attuarla perché ad essi manca quella forza divina trasmessa ininterrottamente per contatto fisico con l’imposizione delle mani che collega direttamente i sacerdoti a Cristo. È la cosiddetta successione apostolica. 
Per quanto i loro pastori pronuncino le parole consacratorie, non consacrano niente, perché tra loro e Cristo è come se fosse stato tagliato il filo di energia soprannaturale e divina che li collega direttamente. Questa interruzione impedisce di far passare in loro la forza divina di Cristo di rimettere i peccati e di consacrare.

5. Inoltre la tua ragazza, come gli evangelici e i protestanti si priva volontariamente della presenza della Madonna.
E questa privazione è una grande disgrazia perché non invano Gesù morente ha lasciato sua Madre a Giovanni, che ai piedi della croce rappresentava tutti noi. A lui Gesù ha detto: “Figlio, ecco tua madre” (Gv 19,27).

6. Né i protestanti e né gli evangelici possono continuare ad ingannare volutamente la gente dicendo che Gesù ha affidata sua Madre a Giovanni per non lasciarla sola perché proprio San Giovanni, l’estensore del quarto Vangelo, dice che accanto alla croce c’era sua Madre e c’era anche la sorella di sua madre e c’erano altre donne: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala” (Gv 19,25). 
Ora perché affidare ad un estraneo sua madre quando vi era proprio lì una parente che in quel momento le era così vicina? Non sarebbe stato un affronto?

7. Il Vangelo dice che Giovanni “accolse con sé” (Gv 19,27) la Madonna. La traduzione più esatta sarebbe “la prese tra i suoi beni”.
Ora che cosa aveva ancora Giovanni da un punto di vista materiale dal momento che aveva lasciato tutto per seguire il Signore?
Si direbbe niente, ma in compenso possedeva beni molto grandi sotto il profilo spirituale perché aveva la fede, aveva il Vangelo, aveva ricevuto il sacerdozio da poco meno di un giorno, aveva ricevuto il sacramento dell’Eucaristia e adesso tra questi beni più grandi che Gesù gli lascia c’è anche la presenza e l’aiuto della Madonna.

8. Nello stesso tempo Gesù ha detto a sua Madre: “Donna, ecco il tuo figlio” (Gv 19,26) dandole dunque un incarico ben preciso: di fargli da madre in tutto, soprattutto nei beni di ordine spirituale, perché a quelli di ordine materiale Giovanni era abbastanza capace di provvedere a se stesso, tanto più che stava insieme a Giacomo, suo fratello maggiore e aveva ancora i suoi genitori.
Il Signore dunque, che è l’unico vero mediatore tra Dio e gli uomini perché possiede simultaneamente la natura divina e la natura umana, ha voluto servirsi delle creature e principalmente di sua Madre, per provvedere alle necessità dei suoi fratelli.
Non ha voluto fare così anche alle nozze di Cana quando ha compiuto il primo miracolo proprio per l’intervento di sua Madre proprio perché che aveva detto: “Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4)?

9. E non si è servito della presenza di sua Madre per colmare Elisabetta di Spirito Santo?
Il testo sacro dice: “Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo” (Lc 1,41).
Dunque il Signore si è servito di sua Madre per colmare Elisabetta di Spirito Santo.
E si servirà ancora di questa strada, di Maria, per l’effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa nascente nel giorno di Pentecoste. Maria infatti è menzionata specificamente tra gli apostoli e le altre donne.

10. Ancora: il Signore ha voluto che Elisabetta, colma di Spirito Santo, lodasse e benedicesse sua Madre per insegnare a noi che quando siamo colmi di Spirito Santo lodiamo e benediciamo Maria e che chi volutamente non loda e non benedice Maria non ha il suo Santo Spirito.
Ecco il testo sacro: “ed (Elisabetta) esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!” (Lc 1,42).
Mi pare impossibile che i protestanti e gli evangelici possa negare questo!

11. Per Elisabetta è stata una grazia incomparabile aver potuto ricevere la visita e il servizio di Maria. Ecco che cosa dice: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?” (Lc 1,43).
E non finisce di lodarla e di benedirla dicendo: “Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,44-45).
È una grazia incomparabile anche per noi poter ricevere la visita e il servizio di Maria.
Per questo anche noi come l’apostolo san Giovani, la prendiamo tra i nostri beni più cari e preziosi.

12. Dì dunque alla tua ragazza che torni da questa sua dolce Madre, che è Maria.
Il popolo cristiano fin dall’inizio si è espresso nei suoi confronti con questa bella preghiera: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.
È una preghiera del terzo secolo e riflette la fede di coloro che hanno preceduto coloro che l’hanno scritta e pertanto riflette la fede di sempre. 
Dille che vada davanti all’altare di Maria e Le domandi il suo aiuto e la sua protezione. Che le tolga ogni affanno perché questa Vergine gloriosa e benedettalibera da ogni pericolo.
Dille anche che porti sempre con sé la corona benedetta del santo Rosario come tacita e permanente invocazione del suo aiuto.
E vedrai che ne sarà sollevata.

Non vado più oltre, ma ce n’è abbastanza per capire come i protestanti e gli evangelici portino fuori strada e privino i credenti di aiuti preziosissimi che Nostro Signore ci ha dato.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ricordo anche la tua ragazza ed entrambi vi benedico. 
Padre Angelo




Valdesi respingono Papa Francesco se non cambia dottrina

 

Non è bello dire: "che vi avevamo detto?", ma tant'è che....

In una bella raccolta di interventi sulla Rivista Valdese, Sandro Magister - vedi qui -ha collezionato una serie di pensieri da una parte inquietanti perchè esprimono senza mezze parole la riluttanza che hanno provato dell'abbraccio di Papa Francesco alla loro comunità, dall'altra hanno espresso delle ragioni non del tutto sbagliate, per esempio: se il Vescovo di Roma non interviene come dovrebbe (riportare le pecore all'ovile) ma anzi fa comprendere loro che hanno ragione di rimanere dove stanno e che non devono affatto "convertirsi", è naturale che la difesa del proprio habitat aumenta e con essa cresce la difesa del proprio status, in questo caso, dell'essere "valdesi e protestanti" e pure con tanto di soddisfazione e di orgoglio.

E ci siamo, ecco il punto dolente: l'orgoglio di rimanere nel peccato e di rimanere come si è!

Nel momento in cui Papa Francesco ha pronunciato l'ennesimo "mea culpa", si vede bene dal video l'espressione soddisfatta ed orgogliosa del pastore valdese. E' del tutto innocente chiedersi quanto di evangelico NON ci fosse in questo incontro e quanto, piuttosto, di incontro "soddisfattorio" si trattava e in previsione del sinodo Valdese del 23 agosto per il quale forse, Papa Francesco, pensava di poter influire (incidendo contro le scelte perverse del sinodo che invece ha preso lo stesso) con il suo "magnetismo".

Il Papa è andato per dare soddisfazione ai Valdesi, negarlo è come negare che i topi portavano la peste nera. La richiesta di perdono era nell'agenda, il Papa andava lì per chiedere perdono ai Valdesi, e forse chissà, pensava così ad un momento opportuno prima del loro sinodo, punto.

Si dice che il perdono facilita le coscienze e avvicina di più, bè dipende da come viene chiesto, dato e vissuto, di certo quel giorno la Tavola Valdese PRETENDEVA solo il perdono pubblico senza alcuna proiezione verso un futuro di conversione alla Chiesa di Cristo (anche perchè per loro sono già nell'unica chiesa di Cristo e il Papa non ha detto loro che sbagliano a pensarlo).

E chi lo dice questo? il discorso del Papa ai Valdesi nel quale è assente ogni richiamo alla conversione alla vera ed unica Chiesa di Cristo, e poi c'è il discorso del pastore al Papa nel quale c'è la vera richiesta dei Valdesi - o pretesa sarebbe meglio dire - per parlare di futura comunione e di fatto si parla dell'Eucaristia.

O meglio, il pastore valdese HA PRETESO che il Papa riveda l'interpretazione che la Chiesa cattolica ha dato nella Dottrina e nel dogma alle parole del Cristo sulla Presenza reale nell'Eucaristia e l'adegui all'interpretazione valdese.

 

Sì, avete letto bene, ma i giornali e i vaticanisti (escludiamo Magister perchè è il migliore nel riportare i fatti) che sono davvero come capre davanti a questi temi dottrinali, hanno ignorato bellamente questa parte del discorso e che è invece la più imponente e che fa capire quanto fosse marginale la richiesta del perdono (che ai Valdesi in effetti interessa solo dal punto di vista della soddisfazione personale).

Ai Valdesi come a tutti i protestanti è un piacere perverso vedere dal 2000 i Papi piegati in due per chiedere "perdono", non a caso i Valdesi criticano il Pontificato di Benedetto XVI perchè, dicono, "ci ha dimenticati" e non ha fatto loro visita e non ha chiesto loro "perdono". In verità, per Benedetto XVI il famoso Mea Culpa del Giubileo del 2000 era più che sufficiente, era fatto a nome della Chiesa e doveva bastare.

A Benedetto XVI interessava ora vedere dagli altri versanti una qualche reazione positiva a quel gesto. Non a caso non si parla più - e neppure Papa Francesco lo ha mai accennato - della conversione in massa di un congruo gregge anglicano approdato così nell'unico e vero Ovile di Cristo. Benedetto XVI pur lasciando ad essi Statuti speciali a protezione della loro tradizione condivisibile con noi, ha tuttavia imposto che si rispettassero le Norme della Chiesa e l'accettazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, con tutti e sette i Sacramenti insegnati dalla Chiesa.

Per i Valdesi una soluzione del genere è improponibile ed inaccettabile!

Se un Papa chiede "perdono", deve cedere in tutto anche nelle dottrine, lo ha espresso chiaramente il pastore valdese nel discorso rivolto al Papa (e che i giornalisti hanno ignorato) dove arriva, appunto, a dire al Papa che forse - dopo la richiesta del perdono - è arrivato anche il momento di RIVEDERE la dottrina sull'Eucaristia e, attenzione, non ha detto che loro l'avrebbero studiata e approfondita, ma che lui - Papa Francesco - avrebbe dovuto ORA dare vera prova di questa richiesta di perdono rivedendo la dottrina sull'Eucaristia e correggendo una interpretazione che torni condivisibile con la dottrina valdese.

Mica pizza e fichi eh!

Se Papa Francesco non cederà alle dottrine modificandole, della richiesta di perdono "non sappiamo che farcene". Amen.

 

Ora due sono le cose o forse le due cose stanno insieme: due interventi valdesi che fanno però anche capire la confusione che regna dentro la Chiesa se il Papa con i suoi gesti "illude" e da false speranze quando, appunto, non parla come dovrebbe "si, sì - no, no" (cfr Mt.5,37).

Nel primo intervento riportiamo un passo del pastore valdese rivolto al Papa, che dice:

"Lei ha affermato: “L’unità dei cristiani non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere l’altro della fondatezza delle proprie opinioni. Verrà il Figlio dell'Uomo e ci troverà ancora nelle discussioni. Dobbiamo riconoscere che per giungere alla profondità del mistero di Dio abbiamo bisogno gli uni degli altri, di incontrarci e di confrontarci sotto la guida dello Spirito Santo, che armonizza le diversità e supera i conflitti”.

Condividiamo queste sue parole. Secoli di confronto e dibattito non hanno appianato, purtroppo, divergenze teologiche che in larga misura hanno resistito nel tempo. Eppure oggi siamo qui a riconoscerci come figli del Padre, fratelli in Cristo, gli uni e gli altri animati dalla forza dello Spirito santo. Di fronte a noi c’è un mondo inquieto, sofferente, carico di tensioni; un mondo sovraccarico di parole mute, sterili, vane. In questo mondo, noi cristiani siamo chiamati a dire la Parola della verità e della vita, una parola che non ritorna invano ma che cambia i cuori e le menti..."

Se così fosse, perchè chiedere al Papa di cambiare la dottrina sull'Eucaristia?Quanto alle parole del Vangelo da annunciare i Valdesi sono favorevoli all'aborto, al divorzio, all'eutanasia, ai matrimoni omosessuali che già sono una realtà nelle loro comunità, inoltre rigettano i Sette Sacramenti e vietano il Battesimo ai bambini perchè non hanno la stessa dottrina sul Peccato Originale.

Infine il Papa, con le sue parole riportate dal pastore, non sta affatto chiudendo la discussione o il dibattito come ha capito il pastore, al contrario, sta dicendo che le "nostre" discussioni non servono a nulla, proprie come quella fatta dai Valdesi intorno alla visita del Papa, perchè semmai egli invita ad "incontrarci e di confrontarci sotto la guida dello Spirito Santo..."

E' ovvio, come dice il pastore che: " Secoli di confronto e dibattito non hanno appianato, purtroppo, divergenze teologiche che in larga misura hanno resistito nel tempo.." perchè questi confronti hanno permesso però alla Chiesa di Cristo e attraverso il Concilio di Trento, di porre FINE alle discussioni senza lo Spirito Santo e di ribadire così la vera dottrina di Cristo sui dogmi e sull'interpretazione della Chiesa della Scrittura.

Nel tempo resiste sia l'eresia quanto la vera dottrina, il MALE E IL BENE, il brutto e il bello e questo avviene non perchè ce ne inorgoglissimo ma, piuttosto per imparare l'umiltà vera e ringraziare Dio del dono della Sua vera ed unica Chiesa e della Fede retta (cfr Rm.11,28-32). Qui si esercita il libero arbitrio che non è quello di usare la libertà per modificare le dottrine secondo il proprio pensiero oggettivo.

Può forse un cieco guidare un altro cieco? (Lc 6,39-42)

In questa parabola Gesù dice anche: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello..."

Giovanni Paolo II tentò, con il famoso Mea Culpa del Giubileo del 2000, di "togliere" a tutti noi certa cecità storica, ossia, non a livello dottrinale ma a livello comportamentale, a come si comportarono i Cristiani nel dare questa dottrina attraverso spesso dei modi che - seppur troppo facili da giudicare oggi non tenendo conto della mentalità dei momenti storici e delle leggi allora in vigore - non erano tuttavia confacenti al dirsi cristiani. Questa richiesta aveva il dono di offrire a TUTTI i Cristiani (dentro e fuori la Chiesa) di rivedere la propria storia e di voltare pagina senza più rivendicazioni storiche usate come scusa per non convertirsi. Ognuno risponderà a Dio per come l'avrà usata, che cosa ne ha fatto e con quali propositi, ma è palese l'uso distorto che ne hanno fatto i Valdesi.

Giovanni Paolo II "tolse" quella trave dagli occhi della Chiesa pellegrina sulla terra, dalla Chiesa militante, non spetta a noi giudicare le altre Confessioni cristiane se questa "trave" l'hanno tolta o meno dalle loro comunità, ma è palese che i Valdesi ce l'hanno ancora integra.

 

Nel secondo intervento riportiamo, da Magister, Lorenzo Scornaleschi, che su “Riforma” del 10 luglio, dopo la visita del Papa, ha giudicato “effimero” il successo dell’incontro. Perché Francesco resta pur sempre un papa “che ha scommesso tutto sulla sua forza mediatica”, come già i papi precedenti “tranne la breve parentesi ratzingeriana”, cioè per un “cristianesimo di massa che non chiede altro che di avere un divo che unisca, come potrebbe essere un divo dello spettacolo”, un papa, quindi, che “si ripropone come modello autoritario indiscutibile, com’è nella sua natura e nella sua origine”.

Perdonateci se ringraziamo Scornaleschi per aver espresso anche molte delle nostre opinioni oggettive quanto si vuole (e pure soggettive) su questo pontificato, lo abbiamo spiegato in apertura, se un Papa non dice chiaramente, non parla con il "si,sì - no, no" alla fine è l'effimero che trionfa, è l'orgoglio e la superbia che la fanno da padrone. Ma qui Scornaleschi ribadisce anche che il Papa "non cambierà". E' come se avesse detto: non illudetevi, questo sarà più tosto di Wojtyla e di Ratzinger messi assieme, questo sulla dottrina non vi concederà nulla, è come tutti gli altri Papi "volemose bene sì, ma ognuno al posto suo, noi la dottrina non la cambiamo".

O come a riguardo dell'ignoranza oramai cronica di Scalfari dal suo trono di Repubblica che ha infastidito anche i Valdesi che di rimando gli rispondono: "Francamente, mi pare che di un ‘ritorno a Roma’ o di una unità sotto il papato non si sia parlato e non sia assolutamente in agenda. La sensazione è che il cattolicesimo sia più avanti dei suoi ammiratori laici”. Come dargli torto?

E c'è del tragi-comico in tutto ciò perchè in questi giorni c'è il sinodo valdese e Papa Francesco, attraverso il suo Segretario di Stato, ha mandato un messaggio di auguri e di buoni auspici: "AFFINCHÉ IL SIGNORE CONCEDA A TUTTI I CRISTIANI DI CAMMINARE CON SINCERITÀ DI CUORE VERSO LA PIENA COMUNIONE" (perdonate il maiuscolo ma è così il telegramma ufficiale inviato, vedi qui)

"verso la piena comunione" ? (sic) il sinodo Valdese per imprimere una svolta epocale ha dato via libera alla benedizione delle coppie omosessuali, ai registri per il testamento biologico e alla ricerca sulle cellule staminali embrionali.

Tre «sì» che trasformano in faglia la frattura tra valdesi e cattolici.

Per concludere

C'è da anni una perversa "ecumania" attraverso la quale sembrerebbe che con il dialogo "a tutti i costi", l'abbracciarsi per foto istantanee pubbliche, il fare a gara a chi ti cede l'unica sedia rimasta libera, si risolverebbero tutti i problemi.

Si dimentica che la base della divisione è dottrinale e il sinodo Valdese lo ha appena ricordato con i suoi tre "sì" contro la vita e contro Dio e per quanto tutti i Papi dal Concilio Vaticano II hanno tentato di mettere da parte il problema dottrina, nel ribadire "usiamo ciò che ci unisce e lasciamo da parte ciò che ci divide", al nodo (alla dottrina) ci si deve alla fine arrivare.

Sappiamo cosa accadde con la Dominus Jesus voluta da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ci aveva provato e abbiamo visto come è finita e come è stato trattato.

Dal canto suo Papa Francesco crede ciecamente nel suo "fascino" di cattolico moderno e buono (l'ha detto sull'aereo di ritorno dall'America latina: come vuole essere ricordato? come una persona buona!), auspichiamo di cuore che la sua sia una tattica (come sospetta il valdese Scornaleschi e anche noi) e che non creda davvero che basta essere buoni, il volemose bene per giungere alla comunione, è il Vangelo stesso che ammonisce su questo, e il sinodo Valdese gli ha dato la prova provata.

Diceva così San Giovanni Paolo II (che ai valdesi proprio non piaceva): "Dio dona la luce a tutti in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale,concedendo loro la grazia salvifica attraverso vie a lui note (cfr Dominus Iesus, VI, 20-21). Il Documento chiarisce gli elementi cristiani essenziali, che non ostacolano il dialogo, ma mostrano le sue basi, perché un dialogo senza fondamenti sarebbe destinato a degenerare in vuota verbosità..." (vedi qui testi integrali)

E allora, vogliamo essere davvero "ecumenici" ed usare in chiusura non parole nostre e neppure quelle del Papa, ma due interventi di due Valdesi riportate sempre da Magister e che facciamo davvero nostre perchè "sono nostre" domande o, almeno, nostre dovrebbero essere:

“Ci siamo vantati di non essere la Chiesa degli assoluti e della certezza, abbiamo detto che il dubbio è e resta fondamentale nella ricerca della fede, ma non abbiamo in questo modo assolutizzato il dubbio, mettendo in dubbio l’Assoluto? Grazia, speranza, resurrezione, giudizio di Dio, quanto sono rimasti al centro della nostra fede? Dobbiamo riappropriarcene nella nostra predicazione e nelle nostre riflessioni comuni. Chi oggi si interroga su Dio non ci chiede forse di affrontare una riflessione sulle cose ultime?”.

Ha fatto eco al pastore Pasquet, su “Riforma” del 30 luglio, Agostino Garufi:

“Come cristiani, sappiamo che la nostra missione essenziale è annunziare Gesù Cristo e il suo Evangelo anche a coloro che vogliamo beneficare nei loro diritti.Infatti, parafrasando le parole di Gesù (Mt 16, 26), se con la nostra azione sociale riuscissimo a far ottenere a tutti ogni bene terreno, che vero beneficio avrebbero se poi perdessero l’anima loro?”.

Ci viene a mente la spiegazione data da un confratello gesuita - del Papa -, padre James V. Schall, già docente di filosofia politica alla Georgetown University di Washington, agli effetti di certo metodo sotto questo pontificato:

«Per quanto io possa giudicare, in questo peculiare discorso non troviamo quasi più traccia dell’attenzione cristiana per la virtù personale, la salvezza, il peccato, il sacrificio, la sofferenza, il pentimento, la vita eterna, né per una perenne valle di lacrime. Peccati e mali sono trasformati in questioni sociali o ecologiche che richiedono rimedi politici e strutturali».

Peccato per i Valdesi però, che al Sinodo hanno preso tre vie sbagliate nonostante ci fosse qualche voce buona. Inoltre hanno scelto il Papa sbagliato per umiliarlo, questo è tosto, è un gesuita, non si piegherà e i Valdesi perderanno consensi per aver umiliato il Papa "sbagliato".

Cliccate sulle immagini per ingrandirle.

Per chi fosse interessato legga qui: Ratzinger spiega i retroscena della Dominus Jesus

C'è - vedi qui - anche una bella riflessione di Cristina Siccardi sull'accaduto Valdese, da riflettere.

Siano lodati Gesù e Maria + i cui Cuori alla fine trionferanno.




 




[Modificato da Caterina63 26/08/2015 12:03]
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   Intervista a Theobald Beer, 81 anni, sacerdote cattolico, autore di un libro che rivoluziona le tesi correnti su Lutero. Sfatati molti luoghi comuni: il monaco di Wittenberg disprezza Agostino, non è occamista, è contraddetto da Melantone. Ma il vero problema è la sua lacunosa cristologia 

[Da «Trenta Giorni», anno I, n. 4, giugno 1983, pp. 56-58] 

    Il trono di Joseph Lortz e dei suoi discepoli, tra cui eminenti professori come Erwin Iserloh e Peter Manns, inizia a vacillare? La loro interpretazione di Lutero, per decenni considerata la migliore in campo cattolico, sta subendo forti critiche da parte di nuovi ed inesplorati filoni di ricerca. Un libro in particolare ha messo a soqquadro l’intero ambiente dei «luteranologi» suscitando le ire della scuola lortziana: si tratta di «Der fröhliche Wechsel und Streit», «Il gaio commercio e litigio», uscito nella Germania orientale già ne! 1974 e ripubblicato in occidente nel 1980 da Johannes Verlag, la casa editrice svizzera diretta dal teologo Hans Urs von Balthasar. Ne è autore Theobald Beer, un anziano sacerdote cattolico, oggi ultraottantenne, che per quasi quarant’anni è stato parroco a Lipsia, dal 1949 città della Repubblica democratica tedesca. 
    Theobald Beer è un personaggio singolare, simpaticissimo. Vive da solo a Regensburg, (Repubblica federale tedesca), l’antica Ratisbona, sede vescovile della Baviera orientale. Abita in un modesto appartamento, stracolmo di libri in ogni parete, dove fanno spicco i volumi della Weimarer Ausgabe dei testi di Martin Lutero. «Li ha comprati per me mio fratello che viveva a Monaco, all’ovest. Sa io non potevo certo permettermeli» racconta, con tono infervorato. Per il suo libro ha ottenuto nel 1977 il dottorato in teologia honoris causa presso l'università di Regensburg.

    Lei obietta a Lutero di aver costruito una falsa cristologia. Non è un’accusa da poco...

    Theobald Beer: La mia non è un’accusa. È una constatazione. I testi di Lutero a questo proposito sono inequivocabili. In un testo del 1509, precisamente le annotazioni al De vera religione di Agostino, Lutero afferma: «Cristo è fatto (factus) ad immagine di Dio, ipostaticamente (cioè come sostanza reale ndr), ma aggiunto (additucs) ad essa». Ebbene, i padri della Chiesa dicono che per chi afferma ciò riguardo a Cristo, anathema sit.
    L’affermazione di Lutero è, tra l’altro, in netto contrasto con Agostino che invece sostiene che Cristo è Imago Dei e non factus ad imaginem Dei, come fosse una parte qualsiasi della creazione di Dio. 

    L’immagine di un Lutero profondamente «agostiniano» è allora falsa...

    Beer: Su ciò non esiste alcun dubbio. Lutero disprezza Agostino. Vi sono innumerevoli passi in cui egli commenta Agostino con ironia. 

    Chi è dunque Cristo per Lutero?

    Beer: Rispondo con le parole di Lutero. In una annotazione del 1511 egli scrive: «Quando si chiede che cosa — attenzione, Lutero non dice chi è Cristo, ma che cosa è Cristo — i logici rispondono che egli è persona. (Lutero rifiutava la logica ndr). Il teologo invece dice: Cristo è roccia, pietra d’angolo». Lutero spiega quel che lui intende con ciò. Cristo è la roccia che ci protegge dalla collera divina. 

    Cristo come «funzione» e non come «persona»?

    Beer: Esattamente. Lutero fa sì uso della parola hypostatice, ma la annulla aggiungendo l’espressione sed additus. Lutero dice apertamente che Cristo non è persona; rimane cosi solo la funzione di copertura dall’ira divina. Esaurendosi la «funzione» si esaurisce anche Cristo. 

    Le interpretazioni in voga in Germania sono prevalentemente di tipo «storico», e particolarmente attente all’atmosfera ecumenica. Ho letto addirittura di una interpretazione «sovraconfessionale» o «preconfessionale» di Lutero. Lei invece incentra la sua analisi di Lutero sulla cristologia, sulla questione «chi è Cristo» per Lutero. Perché? 

    Beer: La cristologia è il centro della questione. Dalla posizione che si assume di fronte a Cristo dipende tutto il resto. E Lutero non comprende la profonda unità presente nell’incarnazione. Nel 1508 scrive: «Se si dice che Cristo è composto (compositus) e si intende il termine nel suo senso stretto (proprie), allora è giusto. Se invece si afferma che Cristo è costituito (constitutus), allora ciò è falso». Come si vede Lutero tende alla scissione. Non a caso un suo contemporaneo, Hieronymus Dungersheym, lo accusò di arianesimo. Anche lo Scbwenckfeld, un nobile della Slesia che inizialmente si era legato a Lutero, ad un certo punto gli scrisse: «Il tuo discepolo Vadian a St. Gallen va sostenendo che l’umanità in Cristo è un'aggiunta. Ma ciò non concorda con quel che dicono i padri». Lo stesso Lutero, nel 1511, si lascia andare ad affermazioni del tipo: Cristo è fatto per il Padre, nato per la Madre. 

    Come mai nessuno si è accorto di queste gravissime lacune cristologiche?

    Beer: I pochi che se ne sono accorti le hanno attribuite a Melantone, colui che ha «propagato» Lutero in Germania. In verità Melantone è un umanista cristiano e sostiene l’esatto contrario di Lutero. Laddove sulla questione della redenzione e della creazione Lutero dice: humanitate nihil cooperante (Yves Congar ha notato che qui si tratta di una sorta di monergismo, vale a dire che l’umanità di Cristo non coopera alla giustificazione), Melantone parla invece di natura conditrix; la natura umana di Cristo partecipa alla creazione. Nessuno perô si prende la briga di confrontare i due autori. 
    Ci sono naturalmente anche ragioni oggettive che spiegano il ritardo. Le millecinquecento annotazioni di Lutero fatte a margine di numerosi testi, sono state scoperte solo intorno a! 1900. E sono testi decisivi. Per comprenderli bisogna inoltre conoscere a fondo Agostino, Pier Lombardo, Taulero, Gabriele Biel, quest’ultimo un eccellente teologo. Anche la conoscenza di questi autori è per molti un ostacolo. Il Concilio di Trento non conosceva questi testi, altrimenti Lutero sarebbe stato direttamente condannato. 

    Il suo libro ha sollevato aspre polemiche, soprattutto in campo cattolico.

    Beer: Le recensioni critiche che ho ricevuto prescindono per lo più da quel che Lutero ha scritto in tema di cristologia. Per questi critici vale il criterio che ciò che non deve essere, non può essere. Lutero non può avere scritto quelle cose su Cristo: eppure l’ha fatto. Lutero non può aver utilizzato fonti neoplatoniche per iI suo pensiero: eppure l’ha fatto con la Theologia Deutsch. Lutero non può aver fatto largo riferimento a Ermete Trismegisto: eppure è così! 
    Lutero è costellato di riferimenti antibiblici ed è strano che non li si voglia vedere. 

    E i protestanti che cosa dicono degli studiosi cattolici di Lutero?

    Beer: Potrei citare il nome di eminenti studiosi evangelici che mi hanno chiesto: «ma perché la Chiesa cattolica deve ripetere tutte le assurdità che noi abbiamo commesso nel passato?». Una volta un esegeta protestante mi ha detto: «quando vedo esegeti cattolici che adottano principi che noi abbiamo abbandonato, mi viene una paura infernale. Mi chiedo se saremo puniti per questo».

    Con il suo libro pensa di aver ostacolato il dialogo ecumenico?

    Beer: Il vero ecumenismo l’ho conosciuto nei miei dialoghi con gli evangelici all’est. Inoltre non si può fare ecumenismo se non si lascia parlare Lutero stesso. 

T.R.

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Protestanti chiedono scusa ai cattolici. Anzi no.

 
di Paolo Maria Filipazzi


Oggi parliamo di richieste di scuse.

No, fermi, aspettate! Non chiudete questa pagina con un “Vaffa…” alla facciaccia nostra! Stavolta sono scuse assai particolari. 
Per attirare subito la vostra attenzione,diciamo subito che a chiedere scusa... non è stato il Papa. 
 
Andiamo con ordine. La Chiesa Evangelica tedesca (suspense) chiede scusa (squillino le trombe, rullino i tamburi) per la distruzione delle immagini sacre durante il periodo della Riforma. Clamoroso! Piccolo neo: le scuse sono state presentate agli ortodossi… 

In poche parole a fine luglio, in uno di quei simpaticissimi incontri “ecumenici” di cui  molti non hanno ancora afferrato la decisiva utilità, evangelici tedeschi e greco-ortodossi si trovano per discutere del valore delle icone.   

Peccato che fra le basi della Riforma luterana ci sia il tassativo rifiuto delle immagini sacre, manifestatosi soprattutto in copiose distruzioni di opere devozionali cattoliche. Il che agli ortodossi si suppone importi poco in sé, ma si capirà che, se uno malmena una ragazza, al successivo appuntamento con un’altra questo incidente pregresso potrebbe essere comunque fattore di diffidenza da parte della signorina. Allora i padroni di casa hanno deciso signorilmente di levare ogni imbarazzo, producendosi in una condanna di quell'antica pratica.

Entusiasta la testata cattolica tedesca The Tablet, affrettatasi a dare la notizia, a quanto pare senza cogliere l’ironia del cortocircuito. Del resto, si sa, gli ortodossi sono ossi duri: loro le scuse le pre-tendono, e se non hanno niente da pretendere, non disdegnano di accogliere le scuse che spetterebbero ai cattolici ma a cui questi ultimi non sembrano interessati.
 
Intanto, i satanisti e la Chiesa di Fonzie attendono le scuse del Papa. Cosa avrebbero fatto i cattolici a costoro? Non si sa, ma sapete, ormai mancano solo quelli… 





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07/01/2016 20:10
 
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EDITORIALE
Piazza San Pietro
 

Girano discorsi che, volendo promuovere la pace e la collaborazione e abbattere le barriere tra i credenti di confessioni e religioni diverse, si fanno forti della affermazione: «In fondo abbiamo lo stesso Dio». Non c'è frase più esatta di questa, ma nello stesso tempo più pericolosa e deviante.

di padre Riccardo Barile O.P.


«Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18). La liturgia di Natale ripete spesso queste parole conclusive del prologo di Giovanni: il Verbo di Dio incarnato in modo umano ha rivelato o “narrato” Dio, cioè il Padre. E così facendo, preciserà Giovanni più tardi, ci ha fatto conoscere «l’unico “vero” Dio» (Gv 17,3), ci ha comunicato «l’intelligenza per conoscere il “vero” Dio. E noi siamo nel “vero” Dio, nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il “vero” Dio e la vita eterna» (1Gv 5,20). La liturgia continua precisando che tutto questo è avvenuto «perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili» (Prefazio I di Natale).

Questa luce diventa missionaria e apostolica e nell’Epifania - l’altra faccia del mistero del Natale -guida i Magi di tutti i tempi verso Cristo: la stella «si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino» (Mt 2,9), per cui la liturgia conclude: «oggi in Cristo luce del mondo hai rivelato ai popoli il mistero della salvezza» (Prefazio dell’Epifania). A fronte di tanta luce che porta al Dio “vero”, un qualche disorientamento può avvenire e di fatto avviene dal momento che girano discorsi che, volendo promuovere la pace e la collaborazione e abbattere le barriere tra i credenti di confessioni e religioni diverse, si fanno forti della affermazione: «In fondo abbiamo lo stesso Dio»; anzi, talvolta si precisa che «Non esiste un Dio cattolico».

In se stesse non ci sono frasi più esatte di queste, perché o Dio non c’è (tralascio i problemini legati a un’ipotesi del genere), o, se c’è, non può che essere uno. Ma non ci sono frasi più pericolose e devianti di queste dal punto di vista comunicativo perché lasciano intendere altro e generano una sottile inquietudine, oltre che ad attribuire la patente di minorati intellettuali a tanti maestri ebraici, musulmani e cristiani che nei secoli si sono confrontati e hanno litigato su Dio a secondo delle rispettive fedi: possibile che non si siano accorti che abbiamo tutti lo stesso Dio e con ciò la questione è risolta? In realtà se ne sono accorti, ma la chiave per capire tutto è la distinzione tra “Dio” e le “immagini di Dio”, per cui il confronto storico su Dio avveniva sulle diverse “immagini di Dio” e l’inquietudine di oggi è che la frase: «in fondo abbiamo tutti lo stesso Dio» lascia di fatto passare il messaggio: «e in fondo una immagine di Dio - cattolica, ortodossa, protestante, ebraica islamica ecc. - vale l’altra».

La distinzione tra Dio e le immagini di Dio è stata enunciata in un documento di Benedetto XVI che parlava d’altro.
Per promuovere la pace, annotava papa Ratzinger, è necessario «che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce» (Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei 4 Vescovi consacrati dall’Arcivescovo Lefebvre - 10 marzo 2009).
Poiché è indubbio che papa Ratzinger pensasse che c’è un solo Dio, qui egli:
a) teorizza una differenza tra l’unico Dio e le diverse “immagini di Dio”;
b) auspica una collaborazione tra i fedeli per promuovere la pace e, come proseguirà, la sollecitudine verso la giustizia, i poveri e i sofferenti, cioè verso l’uomo.
Bisogna approfondire la distinzione con qualche precisazione.

Che cosa è l’immagine di Dio? Sono le idee, i modi di parlare, le tradizioni e i comportamenti che fanno risalire a chi è Dio per noi e a che cosa vuole da noi per la nostra salvezza ecc. Dal punto di vista cristiano cattolico - come dalle citazioni bibliche e liturgiche iniziali - questa immagine di Dio deriva dalla rivelazione, è contenuta nella Bibbia, è precisata dalle prese di posizione più dogmatiche dei Concili, è esposta esaurientemente e pacificamente nel Catechismo della Chiesa Cattolica, di riflesso appare dalle esigenze pratiche della vita cristiana (andare a Messa alla domenica, pregare tutti i giorni, osservare il venerdì, soccorrere la Chiesa e i poveri ecc.), che esse pure ci rivelano il volto di Dio. Si potrebbe compilare un parallelo elenco per altre confessioni cristiane e per le altre religioni, ma qui urge sottolineare che le “immagini di Dio” sono l’unica strada che abbiamo per andare verso di lui e saranno superate solo in paradiso.

Le “immagini di Dio” saranno rimosse e superate solo in paradiso. Sant’Agostino notava che quaggiù abbiamo le Scritture, ma in cielo, «non ci verrà più letto il profeta, non si aprirà più il libro dell’Apostolo; non andremo più a cercare la testimonianza di Giovanni, non avremo più bisogno del vangelo stesso. Saranno perciò eliminate tutte le Scritture, che nella notte di questo secolo venivano accese per noi come lucerne, perché non restassimo nelle tenebre». Non ci sarà più bisogno delle Scritture perché vedremo Dio direttamente (Trattati su Giovanni 35,9). E potremmo continuare: in cielo non ci sarà più il catechismo, i libri dei dottori della chiesa, le raccolte dei documenti dei papi, le opere dei santi, gli articoli dei teologi e dei giornalisti ecc.

Molto più rigorosamente Benedetto XII (pontificato dal 1334 al 1342), il Papa di Avignone che commissionò il Palazzo dei Papi, volendo correggere alcune idee fatte circolare dal predecessore Giovanni XXII (pontificato dal 1316 al 1334) come teologo privato, con una costituzione apostolica arrivò a “definire” che le anime dei beati «dopo la passione e la morte del Signore Gesù Cristo, hanno visto e vedono l’essenza divina con una visione intuitiva e, più ancora, faccia a faccia, senza che ci sia, in ragione dell’oggetto visto, la mediazione di nessuna creatura» (Costituzione apostolica Benedictus Deus del 29.1.1336: D 1000).
Allora veramente non solo tutti avranno lo stesso Dio, ma tutti saranno in contatto diretto con Dio senza immagini di Dio e ogni discussione sarà troncata e, molto felicemente, non si potrà neppure più peccare. Quaggiù invece non siamo ancora in paradiso e ognuno incontra Dio attraverso le immagini di Dio comunicate dalle diverse tradizioni: cattolica, ortodossa, protestante, ebraica, musulmana, buddista, induista, animista ecc.
E non è possibile “saltare” queste immagini, per cui ognuno incontra Dio attraverso di esse.

Una conclusione urgente è anzitutto di essere convinti che, se certamente non c’è «un Dio cattolico», altrettanto certamente c’è «una immagine cattolica di Dio». 

Altra conclusione è che queste immagini possono avere dei punti in comune più o meno ampi, ma non coincidono, per cui non sono intercambiabili: così tra l’immagine cattolica e ortodossa di Dio ci saranno moltissimi punti in comune ma non tutto è uguale perché, nel momento in cui un cattolico professa che lo Spirito Santo procede dal Padre “e dal Figlio”, ha una immagine diversa di Dio Padre.  
Anche l’immagine di Dio di un cattolico che accetta il Concilio di Trento sulla giustificazione è più bella, più ottimista e più misericordiosa dell’immagine di Dio di un protestante che accetta la giustificazione come spiegata da Lutero e dai primi maestri della Riforma. L’immagine di Dio di un cristiano si discosta ancor di più dall’immagine di Dio di un ebreo o di un musulmano che non riescono a concepire un Dio Padre, Figlio e Spirito Santo né accettano veramente che «il Verbo si è fatto carne». Infine, l’immagine di Dio di un cristiano si discosta radicalmente da concezioni nelle quali Dio è assorbito nella natura o nel divenire ecc.

Se è chiaro che ognuno deve tenersi e difendere la propria immagine di Dio e se è chiaro che quella cattolica è quella vera che si identifica con le citazioni bibliche iniziali e per la quale i martiri hanno versato il sangue, allora rinfocoliamo la polemica e l’odio? No, perché le immagini di Dio vanno confrontate e talvolta, sollecitati dalle immagini altrui, scopriamo una nuova luce nella nostra. Poi bisogna trovare un accordo sulla immagine del mondo e dell’uomo, casa e condizione comune, che permettano la collaborazione in vista della pace e della promozione umana, evitando ogni mutua intolleranza e sopraffazione.

Ma dal punto di vista della professione della fede, dell’attaccamento alla propria tradizione e del confronto intellettuale, di certo è auspicabile un confronto dialettico, una litigiosità a livello alto come sempre ebbe luogo tra i grandi maestri delle grandi religioni che polemizzarono tra di loro non su Dio ma sulle rispettive immagini di Dio, che però erano “il loro Dio”. In modo speciale i cattolici devono marcare la differenza tra la propria immagine di Dio e quella altrui non limitandosi sempre a dire che «in fondo abbiamo tutti lo stesso Dio» e che le diverse immagini di Dio sono «modi diversi di esprimere la stessa verità».

Se ci si limitasse a questo, la celebrazione del Natale e la luce dell’Epifania evocate nelle citazioni bibliche e liturgiche iniziali sarebbero solo delle “cerimonie”. Invece marcando e vivendo le differenze della nostra “immagine cattolica di Dio”, passiamo dalle cerimonie alla celebrazione del mistero e possiamo concludere in tutta autenticità con la preghiera: «La tua luce, o Dio, ci accompagni sempre e in ogni luogo» (Epifania, Orazione dopo la comunione).



  pro memoria: 

dal Catechismo della Chiesa Cattolica:

2105 Il dovere di rendere a Dio un culto autentico riguarda l'uomo individualmente e socialmente. È « la dottrina cattolica tradizionale sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo ». 
Evangelizzando senza posa gli uomini, la Chiesa si adopera affinché essi possano « informare dello spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità » in cui vivono. 
Il dovere sociale dei cristiani è di rispettare e risvegliare in ogni uomo l'amore del vero e del bene. Richiede loro di far conoscere il culto dell'unica vera religione che sussiste nella Chiesa cattolica ed apostolica.....






I giudizi su Lutero, proteste e ragioni

01-08-2016
Monsignor Antonio Livi

Caro direttore,

sono un cristiano evangelico e malgrado condivida alcune vostre  battaglie, sono davvero sconcertato dal chiaro doppiopesismo che usate. Se da una parte non vi lasciate occasione per scagliarvi contro il mondo protestante, chiamandolo per nome, cognome, precisando sul dove chi e quando, se si tratta di esempi negativi, dall'altro quando da quello stesso mondo provengono esempi anche eroici come quello di Christina GrimmieDuck Dinasty fate passare tutto sotto il generico termine "cristiano".

Ma adesso davvero lasciate basiti. Nell'articolo sulla dottrina della giustificazione, fate passare Lutero come uno che abbia predicato di peccare di più a dimostrazione di una maggiore grazia salvifica, il che è davvero un'idiozia di bassa lega, una calunnietta da preti di campagna di dubbia onestà intellettuale alla peggio, o di infiinita ignoranza alla meglio. Infatti anche solo nel linguaggio attuale i puritani entrati come termine del linguaggio comune come esempio di massimo rigore morale, erano protestanti, oppure  no?

E la dottrina della predestinazione, che tra l'altro non tutti i  protestanti, compreso me, condividono, non dice che se pecchi e sei predestinato vai comuqnue in cielo, ma al contrario è che proprio perché sei salvato, e Dio ti ha eletto, tu porterai frutti di  ravvedimento.

State  scrivendo delle menzogne davvero di basso livello, e in ogni  caso, avvisate il "dotto" monsignor Livi che la frase attribuita a Lutero "pecca fortemente ma ancora più credi fortemente" è casomai di  uno che chiamate Santo come Sant'Agostino, che infatti scrive "Pecca fortemente, ma ancor più fortemente confida e godi in Cristo".

Ora per correttezza dovreste chiedere a monsignor Livi di chiamare  eretico anche lui.

Cordiali saluti.

Alessandro da Roma

Prima di lasciare la parola a monsignor Antonio Livi che meglio può dare ragione dei suoi giudizi su Lutero, vorrei precisare che non mi risulta che ci siamo mai scagliati contro il mondo protestante. Tanto che come il lettore testimonia, non abbiamo timore a raccontare storie edificanti che dal mondo protestante arrivano. Se si chiamano cristiani in generale è perché non abbiamo ulteriori dettagli sulla confessione di cui fanno parte, visto che le denominazioni protestanti sono centinaia. 

La Nuova BQ invece si scaglia contro chi tenta in vari modi di "protestantizzare" la Chiesa cattolica, che è cosa ben diversa dal disprezzo verso i protestanti. (R.Cas.)


Risponde monsignor Antonio Livi:

Il gentile lettore ha certamente molte ragioni a sentirsi a disagio nel leggere un sito cattolico dove si parte dal presupposto (ovvio) che il dogma enunciato dalla Chiesa cattolica sia la verità assoluta, in quanto formulazione infallibile della Parola di Dio, ossia della divina Rivelazione. Partendo da questo presupposto, le dottrine luterane sono da considerarsi irrimediabilmente eretiche, così come le ha definite il Conciio di Trento. 

C'è poi un'altra diversa questione: quella dei "buoni rapporti" tra i cattolici (come istituzione, rappresentata dai Pastori) e i protestanti, rappresentati a loro volta dai vari organismi e dai tanti teologi (come Karl Barth) che nel tempo e nello spazio reclamano una legittimità di ispirazione luterana e di intepretazione o adattamento della dottrina di Martin Lutero. Questi "buoni rapporti", che il Vaticano II raccomanda parlando dei "fratelli separati" e gli stessi papi (Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) hanno portato avanti con ottime intenzioni "ecumeniche" (l'unità dei cristiani), non hanno mai significato l'abolizione o la marginalizzazione del dogma. Tanto meno hanno significato un voler dare ragione a Lutero nelle sue accuse al papato e nell'abolizione del Magistero eclesiastico e dei Sacramenti, a cominciare dal sacerdozio. Pertanto, il fatto che un sito cattolico ribadisca la dottrina cattolica non significa che in esso si voglia denigrare o offendere i luterani. 

Il lettore che ha scritto si pone in un'ottica interconfessionale che mira a mettere da parte la verità rivelata per accontentarsi di un vuoto ed effimero scambio di reciproche carinerie; ma quest'ottica (legittima per chi non ha una fede vera e propria ma solo un senso di appartenenza a una qualsiasi religione) non è quella dei redattori della "Nuova Bussola Quotidiana" e tanto meno quella dei collaboratori come me, che ho passato la vita a studiare e a difendere la verità rivelata proprio come verità, l'unica verità che salva.

Il lettore ironizza sul fatto che qualcuno mi consideri "colto": ma questo  non è un complimento cui ambisco, è piuttosto un dato di fatto che il lettore avrebbe potuto verificare visitando il sito che espone le mie ricerche teologiche (www.antoniolivi.com).

Quanto poi alla frase attribuita a Lutero, essa è effettivamente del Riformatore. L'analoga frase di Agostino - che certamente Lutero conosceva, essendo un monaco agostiniano - è stata da lui deformata nel senso e nel significato, e utilizzata per insegnare il contrario di quanto insegna il "dottore della grazia". Del resto, Lutero è riuscito a deformare e manipolare perfino le parole di san Paolo nella Lettera ai Romani: se ha abusato della Parola stessa di Dio, nessuna sopresa che abbia voluto abusare della parola di un uomo, ancorché santo e dottore della Chiesa...

 




[Modificato da Caterina63 01/08/2016 23:10]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Differenze tra ebraismo, cristianesimo e islam






Cattura 


Lezione della prof Angela Pellicciari, nella rubrica mensile di Radio Maria La vera storia della Chiesa”, 19 settembre 2016


Inizio la trascrizione di questa interessantissima conversazione proprio nel giorno in cui Papa Francesco accoglie ad Assisi i rappresentanti delle varie religioni per promuovere il dialogo e l’immenso bene della pace. Lo faccio anche per coloro che, in questo tempo di rimescolamento di popoli e religioni, vogliono conoscere un po’ meglio quelle che vengono chiamate “religioni del Libro”, o religioni monoteiste. Angela Pellicciari, da storica e da credente in Cristo, ci dà la possibilità di conoscere più a fondo queste tre fedi, e qual è la loro idea di Dio. Ritengo infatti che l’ignoranza di queste differenze non giovi a un vero e costruttivo dialogo


 


Buon giorno amici! Sono molto contenta di ricominciare quest’anno, anche se con le sue difficoltà. Sono contenta di avere la possibilità di parlarvi.


Oggi riprendo a fare quello che ho fatto lo scorso anno, e cioè riproporre per radio quello che ho scritto nel mio libro, a cui sono molto affezionata, che ha per titolo: “Una storia della Chiesa” (anche se non è la stessa cosa), seguendone le tracce. Lo scorso anno eravamo giunti a quel punto meraviglioso della storia della Chiesa, che è quello dell’evangelizzazione di tutti i popoli che, nel corso dei secoli, si sono riversati da nord e da nord est, sui territori dell’ex Impero Romano d’Occidente: di tutti i barbari. E l’evangelizzazione dei barbari è davvero una cosa meravigliosa. Perché questi erano davvero barbari, che sono stati trasformati dai santi cristiani, in cristiani romani. Cioè, cristiani certamente, ma che hanno ereditato tutta la cultura romana, che la chiesa ha loro trasmesso. La Chiesa stessa aveva ereditato da quel mondo, molto ricco in cultura e sul piano della legge, facendolo proprio.


La puntata di oggi sarà dedicata a una realtà che si è imposta nel corso di tutto questo tempo. Una realtà che però ci è sempre stata nemica. Da quando è cominciata, fino ad oggi, questa realtà ci è stata nemica. È stata un nemico mortale del cristianesimo per tanti versi. Sto parlando dell’islam. All’islam aderisce più di un miliardo di persone. È quindi una realtà smisurata. Fra gli aderenti all’islam ci sono persone degnissime e sante. Però certamente l’islam, come religione, come fondatore, eccetera, vuole la nostra scomparsa, perché per essere islamici bisogna sottomettere tutto il mondo a Dio. Quindi i cristiani devono scomparire, perché bisogna che tutti diano gloria ad Allah, diventando musulmani. Come potete immaginare è un argomento abbastanza complesso e delicato. Per questo cercherò di esporlo nel modo più semplice possibile.


Cominciamo dalla convinzione fondamentale che hanno i musulmani – io ne ho conosciuti molti -, di rappresentare il compimento della rivelazione. Perché loro sono convinti che la rivelazione – che è cominciata col popolo ebraico, poi coi cristiani, con Gesù -, si compia con il profeta Maometto, che riceve, dettate dall’angelo Gabriele, direttamente da Dio, le parole del Corano. Questo è dunque l’ultimo profeta.


Possiamo allora considerare, anche noi cristiani ed ebrei, l’islam come una religione rivelata? Beh, dal punto di vista ebraico cristiano, certamente no! Perché il Dio in cui confidano, in cui credono e adorano i musulmani non è certamente, né il Dio degli ebrei, né il Dio dei cristiani. Ci vien detto: “Adorate un solo Dio”. Certamente c’è un solo Dio al mondo, e questo Dio è uno e trino! Lo sappiamo, perché Cristo è la verità. Cristo è la seconda Persona della Trinità. Questo lo sappiamo. Però la raffigurazione di questo unico Dio non è la stessa nelle tre fedi. Nella rivelazione dell’Antico Testamento c’è un punto centrale, ed è quello in cui Mosè insiste con Dio, prima di affrontare la missione che Dio gli affiderà, di liberare il suo popolo dal faraone e dall’oppressione degli egiziani. E Mosè insiste: “Come ti chiami? Ma chi sei?”. E Dio Risponde. Dio rivela il suo nome. Il nome è la parte più segreta della persona. Infatti, se vi ricordate, nell’Apocalisse c’è scritto che ciascuno di questi redenti “avrà un nome segreto impresso sulla fronte”. Perché il nome è la parte che ci contraddistingue. Io mi chiamo Angela, e quando uno mi chiama, rispondo io. Il nome è la parte più profonda di noi.


Che cosa risponde Dio a Mosè? Gli dice il suo nome dicendo: “Io sono colui che sono”. Siccome in ebraico non c’è distinzione fra il presente e il futuro, questo “Io sono Colui che sono” può essere anche tradotto con «Io sono colui che sarò». Allora, «Io sono», per Israele è essere, è, esiste! Questa è la certezza di fondo: il Dio nostro «è»! E come è? Qui c’è tutta la rivelazione che culmina con Cristo, che dice come è. Gli ebrei lo sanno perfettamente che questo Dio che è, è Padre, è Sposo. I cristiani riprendono pari pari questo aspetto. Dio è Padre! Tutta la Bibbia parla di Dio come Padre e come Sposo! Pensate, Israele ha l’ardire di definire Dio che è onnipotente, infinito, come Sposo. La comunità ebraica è chiamata ad essere sposa di Dio, sposa di Jahvè. E così il Cantico dei Cantici dice: “Il tuo sposo è il tuo Creatore”. Ma tanti autori, come Osea, Il Cantico dei Cantici, descrive questa meraviglia che è l’unione fra Dio e la sua sposa, che è Israele. E infatti il Cantico dei cantici si legge prima di ogni Pasqua, cioè in preparazione alla Pasqua, alla vittoria sulla schiavitù, che Jahvè compie!


E quanto a noi, noi certamente in Cristo siamo chiamati a essere sposi, sposi di Cristo. E Cristo, questo Padre, questo Sposo, ha dato la vita nella Seconda Persona della Trinità, di Suo Figlio, per farci sapere quanto ci ama! Gesù, poi, nel Vangelo di Giovanni, attribuisce a se stesso quella definizione, quel nome che Dio aveva rivelato a Mosè. Perché dice per tre volte nell’ottavo capitolo di Giovanni: “Io sono”. “Se non credete che io sono, morirete nei vostri peccati”. “Quando avrete elevato il Figlio dell’uomo, allora saprete che «Io sono»”. “Prima che Abramo fosse, io sono”. Questa è la rivelazione ebraico-cristiana.


Invece la rivelazione che ha avuto Maometto, è Allah, il Dio rivelato attraverso l’arcangelo Gabriele, è molto diversa! Il Corano attribuisce a Dio 99 nomi. Di questi 99 nomi non fa parte l’Essere, non fa parte la definizione centrale con cui Dio parla di se stesso ad Ebrei e Cristiani. Non c’è l’Essere. Perché Dio, Allah, per i musulmani è completamente altro dall’uomo, completamente altro dalla creazione, anche altro, in qualche maniera, dall’essere. È prima dell’essere! In qualche modo si potrebbe anche dire che non è essere, perché l’essere non fa parte della sua natura! Guardate che questo ha conseguenze e implicazioni filosofiche e teologiche profondissime, questo non essere la divinità musulmana concepibile come essere!


Dio è completamente altro. Dio si rivolge a Israele e alla Chiesa con una Alleanza. La prima e la seconda Alleanza. Niente di simile è pensabile nell’ambito islamico, perché per l’islam non ha senso parlare di alleanza! Tra gli uomini è Dio non è possibile nessuna alleanza, perché c’è nei confronti di Dio una totale alterità. L’uomo deve solo essere islamico, cioè sottomesso. Perché islam significa sottomissione. Tutto l’inverso di ciò che la Bibbia descrive per gli ebrei e i cristiani. Come è inimmaginabile l’alleanza, così è inimmaginabile l’analogia. Sapete che la filosofia cristiana espressa in Tommaso, ma non solo in lui, sviluppa quanto dice la Genesi: “Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza”, quindi con la possibilità di fare un’analogia: “Così come Dio è, noi siamo”. Così come Dio è buono, noi siamo chiamati ad essere buoni. Isaia dice: “Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo”. Cioè, l’analogia fra Israele, fra la Chiesa e il loro Creatore è posta continuamente in gioco. Niente di questo è possibile e immaginabile all’interno dell’islam! Non c’è un rapporto di Padre e figlio. L’unica realtà possibile è la sottomissione.


Quindi, da questa diversità fondamentale in quelle che vengono chiamate rivelazioni, di Israele, della Chiesa e dell’islam, deriva una differenza fondamentale anche nell’antropologia. Per antropologia intendiamo il concetto di uomo. Come ho appena detto, per gli ebrei e per i cristiani l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio. E quindi c’è questo rapporto strettissimo già nella creazione, nel concepimento dell’uomo da parte di Dio. Poiché l’uomo assomiglia a Dio, è creato per amore, e quindi ama ed è chiamato a rispondere all’amore con cui è stato creato. Anche lui amando Dio, in primo luogo. Niente di tutto ciò è applicabile all’islam.


L’uomo è dotato anche di libertà, perché Dio, facendo questa sua creatura il culmine della creazione, facendo l’uomo simile a se stesso, l’ha fatto libero. Perché? Perché Dio è amore, e l’amore non si può comprare. Non può essere acquistato con la forza, con la violenza! L’amore è libero! Quindi l’uomo – sia per gli ebrei, che per noi, è dotato di libero arbitrio, in quanto l’uomo può aderire al comandamento di Dio, che è un comandamento di vita, così come lo può rifiutare. E questo è il peccato, questo è il male che entra nel mondo e che procurala morte. Il sommo male, il sommo peccato, quello che, secondo Paolo sarà l’ultimo a essere vinto, è la morte.


Il mondo islamico è completamente altro da questo. E in questo è simile al luteranesimo. Ci sono certi aspetti di Lutero che ricordano l’islam. L’uomo non è dotato di libero arbitrio, perché non è una persona. L’uomo è un nulla, in qualche modo. L’uomo non è un essere, come non è un essere Dio. E quindi se non è un essere, non ha una realtà ontologica. Non esiste! È solo, in qualche modo, una pedina, un qualcuno senza volontà che deve solo appiattirsi, inchinarsi sotto questa presenza onnipotente e veramente altra, che è il suo Dio.


Anche la concezione dell’uomo e della donna che hanno Israele e la Chiesa è completamente altra. All’inizio della Genesi Dio dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. “Maschio e femmina li creò. A sua immagine li creò”. Questa è davvero un’enorme rivoluzione per quello che riguarda la concezione dei rapporti che devono intercorrere fra l’uomo e la donna, che sono la stessa realtà, la stessa essenza davanti a Dio, perché tutti e due sono a sua immagine e somiglianza.


Niente di simile nell’islam, perché la donna deve essere sottomessa all’uomo. La donna conta molto meno dell’uomo. La manifestazione evidente di questa realtà è che l’uomo può avere 4 mogli legittime – per non parlare delle concubine -, mentre la donna ovviamente no, non può avere 4 maschi. La donna è in una posizione nettamente inferiore; non ha lo stesso status civile! E anche nell’al di là la situazione della donna è diversa da quella dell’uomo. Anche l’escatologia, così come l’antropologia, la visione dei tempi ultimi (escaton), è completamente diversa.


Gli ebrei, all’interno della Bibbia sono inseriti in una storia che Dio percorre col suo popolo: la storia della salvezza. È una storia nella quale pian piano Dio rivela al suo popolo il suo piano di salvezza. Non è come il Corano che viene rivelato tutto in un momento. Il Corano è metastorico, oltrepassa la storia, perché è su un’altra prospettiva: la prospettiva di Dio. All’interno della storia Dio rivela al suo popolo la realtà stupenda che ha pensato per lui. E qual è all’interno di Israele questa rivelazione? Ve lo ricorderete: basta pensare a Gesù nel momento in cui i sadducei e i farisei si avvicinano a lui per tentarlo, ma i Sadducei, che non credono nella risurrezione, gli fanno l’esempio della donna che rimane in vita dopo la morte del primo marito, senza figli, e rimane poi vedova di altri sei mariti. Allora gli chiedono: “In paradiso, di chi sarà questa donna? Quanti mariti avrà?” Questo dà il destro a Gesù per dire che “in paradiso Dio sarà tutto in tutti. Non ci sono più mariti e mogli, perché il nostro Creatore sarà il nostro Sposo”. Quello è il destino che ci aspetta!La contemplazione di Dio, l’esultanza nella comunione dei Santi totale. Nella perfezione della vita! E non ci sarà più la morte! Non ci saranno più tutti i limiti, tutte le lacrime. Non ci saranno più. Quindi l’escatologia, per gli ebrei che credono nella risurrezione, e per i cristiani, è questa meravigliosa visione di Dio-


Invece per i fedeli dell’islam, i sottomessi, ci sarà un premio meraviglioso, che non sarà la visione di Dio, perché Dio è sempre completamente altro, ma avranno una realtà paradisiaca che consisterà essenzialmente nel godimento sessuale. Perché i maschi, vincitori, sottomessi, che hanno combattuto la jihad – cioè, la guerra santa -, i maschi, avranno un’infinita schiera di vergini da sverginare. Ecco, questa è la loro concezione del paradiso. Queste brevi parole sono per dire che quando si parla di un unico Dio, come compimento della rivelazione, si dicono cose molto imprecise per non dire false!


Altro aspetto dell’islam: come si fa la volontà di Dio? La volontà di dio per gli ebrei si fa obbedendo al decalogo (alla Legge). E qual è il cuore del Decalogo, rivelato a Mosè, descritto in Deuteronomio 6, 4-9, che è il cuore di tutta la legge e di tutto l’Antico Testamento? Che cosa dice Dio a Mosè? Dice: “Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio. Il Signore è uno. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. Allora, qual è la volontà di Dio? Come si fa la volontà di Dio? Amando Dio con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze. E i cristiani? Lo stesso. Perché c’è un Uomo che ha compiuto la volontà di Dio. Nessuno di noi è in grado di farlo con la stessa intensità e perfezione! Infatti si dice che il giusto peccherà sette volte al giorno. Perciò i cristiani sono chiamati a fare come ha fatto Gesù. Cioè: “Amatevi come io ho amato voi”. Che vuol dire questo? Dare la vita per i propri nemici. Così ha fatto Gesù: ha dato la vita per noi quando – ricorda Paolo – eravamo nemici. Questo, per gli ebrei e per i cristiani, è fare la volontà di Dio.


Per i musulmani, che non credono che l’uomo sia dotato di una libera volontà, perché i musulmani devono essere sottomessi, il progetto del Dio in cui credono, è il dominio sul mondo. E qui possiamo vedere l’immensa differenza che c’è tra l’islam e la fede cristiana. Perché, come Gesù, vero Uomo e vero Dio, muore in croce per salvarci, così come tanti profeti, così come lo stesso Mosè, che è stato messo in discussione dal suo popolo, che pure aveva salvato dalla schiavitù in Egitto, hanno parlato. Invece, come fanno la volontà del Dio di Maometto, Allah, i musulmani? La fanno permettendo ad Allah di governare tutto il mondo. Di estendere il suo dominio su tutto il mondo.


Ora vi cito due shure del Corano, che come sappiamo sono parola di Dio dettata dall’Arcangelo Gabriele a Maometto. Bene, nella shura 5°, al versetto 33 e nella shura VIII, dai versetti 12 al 17, dice quello che i musulmani devono fare per togliere l’empietà. E che cos’è l’empietà? L’empietà è propria di quelli che non riconoscono Allah come Dio e Maometto come suo profeta. La shura 5° dice: “In verità, la ricompensa di coloro che combattono Iddio e il suo messaggero, cioè coloro che si danno a corrompere la terra, è che essi saranno massacrati o crocifissi, o amputati delle mani e dei piedi dai lati opposti, o banditi dalla terra”. Questo, per i musulmani, è fare la volontà di Dio. “Getterò il terrore nel cuore dei miscredenti! Colpiteli tra capo e collo. Colpi teli su tutte le falangi! Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi! Sicché la guerra che sottomette gli infedeli, è santa. I musulmani fanno perciò la volontà di Dio mettendo in pratica questo comando.


Che cos’è il male per ebrei, cristiani e musulmani? Per gli ebrei e per noi cristiani, il male è il peccato. È quel fare entrare la concupiscenza nel mondo, e cioè il voler mettere se stessi al posto di Dio, decidendo noi cos’è bene e cos’è male! Questo hanno fatto Eva e Adamo! E questo facciamo noi costantemente. Per questo dobbiamo continuamente chiedere perdono a Dio, perché costantemente giudichiamo Dio e il progetto che Egli ha sulla nostra vita, specialmente quando le cose non vanno come vorremmo.


Nello schema teologico dell’islam, invece, il male non è il frutto del libero arbitrio, che riguarda ciascun uomo. Il male è qualcosa che è esterno all’islam. Non riguarda l’islam, perché gli islamici sono sottomessi a Dio. Quindi quelli fanno il bene. Il male riguarda quelli che stanno fuori. Il male è quelli che non si sono ancora convertiti all’islam. Questa, guardate, è una differenza enorme, fra il giuda esimo, il cristianesimo e l’islam! Sia gli ebrei che noi, infatti, sappiamo che il male abita dentro di noi, e contro quello dobbiamo combattere. Contro i vizi, che sono nella nostra anima, dobbiamo combattere con l’aiuto di Dio!


Invece gli islamici sanno che devono combattere contro quelli che ancora non sono musulmani. E questo spiega, in qualche maniera, anche quell’efferata violenza, la totale mancanza di pietà con cui vengono trattati anche oggi nei cosiddetti gruppi del Califfo o di Al Qaeda, eccetera, gli infedeli. (Qualcuno dei nostri spesso esce con la frase: “Anche nella Bibbia però ci sono espressioni truci! Anche i cristiani, ora e nel passato, hanno fatto il male! Verissimo! Ma quando è stato fatto, non per la difesa, ma in modo aggressivo, lo abbiamo fatto tradendo le parole di Cristo, che ha detto: “Avete udito che fu detto: occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico: amate i vostri nemici. Fate del bene a chi vi fa del male!”. Qui sta la differenza! N d t).


Mentre la Bibbia, che è certamente Parola di Dio, ma parola dettata a profeti che hanno la loro personalità, il loro essere, la loro caratteristica, che varia nel tempo, nel Corano le cose stanno in modo diverso. Il Corano nasce perfetto. È un fatto intrinsecamente non storico. È metastorico. È il prodotto di un atto divino, e quindi immutabile (non interpretabile con una esegesi, come la Bibbia), immutabile e perfetto. Corano significa recitazione, e Maometto è l’uomo che recita per conto di Dio. Il soggetto del Corano è Dio, che è assoluto e che annulla perciò qualsiasi individualità umana, come invece non succede nella Bibbia.






   continua.................


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Differenze tra ebraismo, cristianesimo e islam

Ora, Maometto è uno strumento passivo. Che cosa significa ciò? Significa che se voi leggete il Corano, ci sono in shure diverse comportamenti consigliati opposti. Come ci sono quelle shure che impongono di tagliare la testa o gli arti, o crocifiggere, come abbiamo detto poco fa, in altri punti invece – siccome Allah è misericordioso -, i musulmani devono avere misericordia. Però, siccome il Corano è assoluto dettato di Dio, metastorico, non è che i musulmani possano fare (perlomeno fin’ora non l’hanno fatto -, possano fare una distinzione fra quello che Allah dice in certe shure, rispetto a quello che dice in altre, privilegiando alcune e togliendo le altre. No, perché è tutto, alla lettera, Parola di Dio! E questo è il motivo di fondo per cui quelli che compiono alla lettera la parola di Dio nella shura 5° e VIII, appena citate, questi in teoria non possono essere condannati dagli altri musulmani. La distinzione che si fa normalmente tra islam moderato e islam radicale. Non si può a rigore condannare chi applica il Corano alla lettera, perché il Corano va obbedito alla lettera! E seci sono delle parti in contraddizione con altre, ciò non toglie quelli che mettono in pratica il Corano alla lettera, certamente non fanno male!

Vediamo ora un po’ chi è Maometto. Che tipo di uomo è Maometto? Il Corano dà 5 precetti, che sarebbero l’equivalente dei nostri comandamenti. Il primo è: “Non c’è Dio, se non Allah, e Maometto è il suo profeta”. Maometto è un uomo unico. È l’ultima rivelazione, l’ultima persona che ha una rivelazione da parte di Dio, per cui in lui la rivelazione è compiuta. Ora si potrebbe paragonare – se volessimo farlo in modo un po’ blasfemo -, Maometto a Mosè e Maometto a Gesù. Però è un paragone che non sta in piedi. Non sta in piedi per un motivo sostanziale, perché Mosè e Gesù, come del resto tutti i profeti, sono emarginati e perseguitati dagli stessi ebrei. Vi ricordavo prima la contestazione che Mosè ha dovuto affrontare nella sua vita. tutti i profeti – per non parlare di Gesù, che è Dio -, sono santi, “perché «Io» sono santo”. Cioè, sono chiamati ad essere perfetti secondo quella legge di amore che Dio ha loro dato!

Invece Maometto non è un uomo come gli altri! Certo, nemmeno Mosè o Gesù erano uomini come tutti gli altri. Però Maometto non è un uomo come gli altri nel senso proprio materiale della parola. Questo è inimmaginabile sia per gli ebrei che per i cristiani, perché tutti i profeti che Dio manda sono fari, sono luci, sono sentinelle, sono un aiuto che Dio dà perché tutti possano, guardando a loro, conformarsi alla santità della loro condotta. San Paolo lo dice in continuazione: “Fate come vedete fare me”! Perché lui è un esempio di comportamento cristiano.

Invece a Maometto Dio concede proprio dei privilegi materiali. Per esempio la legge che riguarda i rapporti fra uomini e donne, è che a ogni uomo sono concesse un massimo di 4 mogli, escluse le concubine. E vediamo che cosa dice Allah a Maometto nella Shura 33, versetti 50-51: “Un privilegio speciale che è concesso a te, escluso tutti i credenti, non ci sarà peccato per te. Per te è legale”! che cosa è legale? Avere in pratica tutte le mogli che vuole. Vediamo: “O Profeta, ti abbiamo reso lecite le spose alle quali hai versato il dono nuziale, le schiave che possiedi e che Allah ti ha dato dal bottino. Le figlie del tuo zio paterno (le cugine), le figlie delle tue zie materne, che sono emigrate con te, e ogni donna credente che si offre al profeta, a condizione che il profeta voglia sposarla”. E il Corano Continua: “Questo è un privilegio che ti è riservato, che non riguarda gli altri credenti. Ben sappiamo quello che abbiamo imposto loro a proposito delle loro spose e delle schiave che possiedono, così che non ci sia imbarazzo alcuno per te”. Allah è per donatore misericordioso. «Se farai aspettare quelle che vorrai, e chiamerai a te quella che vorrai, e se andrai a riprenderne una che avevi fatto aspettare, non ci sarà colpa per te. Così che siano confortate e cessi la loro afflizione, e siano contente di ciò che avrai concesso loro. Allah conosce quello che c’è nei vostri cuori. Allah è sapiente e magnanimo”. Questo è un privilegio che Maometto, unico fra gli uomini, in ragione della sua unicità, ha come dono munifico di Allah.

Se però Maometto in pratica può avere tutte le donne che vuole, ecco che Allah concede a lui un altro privilegio. Lo leggiamo nella shura 8, 41: “Un quinto del bottino di tutte le conquiste di guerra spetta a Maometto”. Il 20% di tutti i beni che i musulmani acquisiscono o razziano con la guerra santa, questo, per volere di Allah va a Maometto, e poi andrà ai califfi che gli succederanno. Infatti, anche l’odierno califfo, che ha fondato questo terribile, orrendo Stato Islamico, in cui egli fa carne da macello di tutti quelli che non sono musulmani della sua stessa setta. Anche lui, l’abbiamo visto dalla cronaca, si prende tutte le donne che vuole.

Un ultimo aspetto che voglio mostrarvi è quello che riguarda la convinzione che l’islam sia la religione della pace. Questo sempre, perché il Corano è una realtà contraddittoria che in alcuni punti dice una cosa e in altri dice il contrario. Allora, da quello che ho detto risulta chiaro che l’islam non è tutta questa religione di pace.L’islam fa una distinzione netta fra la casa della guerra (che è sempre la casa degli infedeli, che secondo l’islam debbono essere sempre combattuti), e la casa della pace, che è la Umma dei fedeli musulmani. Questi hanno la pace. Ma le cose non sono così perché, non solo l’islam deve portare la guerra santa, perché la guerra è santa. Così gli infedeli devono scomparire dalla faccia della terra, perché Allah deve trionfare! E trionferà quando sono scomparsi tutti gli altri.

Però, non solo l’islam non porta la pace agli altri, anzi, li ammazza, li tortura, li violenta, li fa vivere nel terrore, ma anche all’interno stesso della comunità musulmana non c’è pace, e non c’è pace fin dall’inizio! Maometto muore nel 632 e subito dopo ci sono 4 califfi, 4 successori elettivi che sono due suoceri e due generi di Maometto. Il primo, che si chiama Abu Bakr, che vive due anni dopo Maometto e che muore di morte naturale, gli altri sono tutti e tre ammazzati, perché c’è una faida, una guerra fratricida violentissima fra i musulmani. Il quarto califfo elettivo, che è Alì, che è sia cugino, che genero, di Maometto, e ha sposato Fatima, l’unica figlia che sopravvive al Profeta. Questo Alì è fondatore degli Shiti (che sono essenzialmente in Persia, in parte della Siria e in Iraq. Comunque questi shiti fanno una guerra spietata contro i sunniti, e viceversa. Quindi all’interno dell’islam tutto c’è, fuorché la pace!

Fatte queste precisazioni di carattere più teologico e filosofico, che storico, vediamo un po’ qualche dato. Maometto vive dal 570 al 632, e dopo di lui, nel giro di pochissimi anni tutto il mondo civile, che era quello romano e quello persiano, così come noi lo conosciamo, scompare. Perché scompare? Perché i califfi, i 4 califfi elettivi mettono in pratica la jihad, mettono in pratica il dovere di sottomettere gli infedeli a Allah – e qui siamo di fronte a un processo storico che per le sue dinamiche ricorda il dopo Rivoluzione luterana, che si estenderà a macchia d’olio nell’Europa settentrionale, per causa di ragioni simili a quelle di cui parliamo -, insomma, nel giro di 10 anni vengono sconfitti i massimi imperi dell’epoca: l’Impero Romano d’Oriente e l’Impero Persiano. Nel 636 c’è la disfatta dei Bizantini e nel 637 è espugnata Tesifonte, che è la capitale dell’Impero Persiano. La ricchissima capitale di quell’impero, che viene ricordato nelle “Mille e una notte”! Ma la Persia è un gioiello, come è un gioiello Roma. Bene, di tutto il bottino che i califfi razzieranno a Tesifonte, il 20% sarà del Califfo.

Gerusalemme cade nel 637. Insieme a Gerusalemme sono espugnati la Siria, l’Egitto, la Palestina, la Mesopotamia, la Persia, eccetera. Ma limitandosi ai territori dell’Impero Romano d’Oriente, e cioè Egitto, Siria e Palestina. Questi erano i territori più ricchi dell’Impero romano d’Oriente. Bisanzio resiste, resiste con l’Asia Minore, resiste con quella che oggi è la Turchia, ma privata di tutte le province più ricche e più colte, la Siria e l’Egitto, che sono anche quelle con la più antica tradizione cristiana. Dopo la persia e dopo Bisanzio, sotto Ottman, il terzo Califfo, sono occupate l’Armenia e Cipro. Poi è il turno degli Omaiadi, che sono quelli che hanno un califfato ereditario e che, dal 661 al 750, continuano la conquista. Pure questi – a proposito di quello che dicevo prima a riguardo dell’Islam come casa della pace -, anche questi califfi ereditari saranno sterminati! Tutta la famiglia uccisa, e questo perché saranno sostituiti da altri califfi, quelli degli Abbazidi, che sposteranno la capitale da Damasco a Bagdad. Solo uno degli Omaiadi, riuscendo a scappare, rimarrà in vita, e andrà a costituire il Califfato di Cordoba in Spagna. Comunque gli Omaiadi conquistano tutta l’Africa settentrionale, e vanno poi in Spagna. Mentre a est l’islam arriva fino all’India e al Turkestan. Costantinopoli, alla fine del VII secolo, nel 697, viene attaccata per la prima volta. E resiste. Cadrà nel 1453, e sarà un dramma enorme. Costantinopoli resisterà quindi per più di 700 anni.

L’islam dilaga attraverso la violenza, la sopraffazione, la morte, l’ingiustizia. È un potere, per tanti versi, feroce. La spiegazione di tutto ciò deriva anche dal fatto che l’Impero Romano e l’Impero Persiano si facevano la guerra da secoli, senza che nessuno dei due riuscisse a prevalere sull’altro. Sappiamo che la guerra costa, e come si può trovare il denaro per saldare i debiti di guerra? Tassando! Quindi la tassazione all’interno dell’Impero Romano era diventata intollerabile, perché le popolazioni non ce la facevano più. In un certo senso, quindi, all’inizio i cristiani d’Oriente possono aver accolto gli arabi come liberatori, perché pensavano che avrebbero tolto tutta quella tassazione che uccideva tutte le energie della popolazione.

Poi però, una volta che l’islam ha conquistato – e questo è un punto fondamentale da tener presente -, le popolazioni non possono più tornare indietro. Non possono dire: “Ci siamo sbagliati, preferiamo i cristiani”. Non possono più dirlo! Perché? Perché l’apostasia è un peccato gravissimo! È il peccato più grave! Quindi, se un musulmano si converte al cristianesimo, gli altri – a cominciare dai parenti – lo devono ammazzare, perché quello ha disonorato Dio. E così è! Così è alla lettera anche oggi. Diciamo che dove è arrivato Allah (Gerusalemme, Palestina, Egitto, Siria, eccetera), non si può più tornare indietro. Quei territori non possono più riconoscere un altro Dio all’infuori di Allah. Perché se così fosse, Allah sarebbe disonorato. Non è possibile disonorare Allah! E questo spiega la situazione drammatica in cui oggi si trova Israele. Israele è in un posto in cui c’era l’Islam. Nella terza città santa per i musulmani, che è Gerusalemme! E questo, per i musulmani non è accettabile, perché è un disonore enorme che è stato gettato su Allah. Non lo possono tollerare!

Quindi il problema che ha Israele, è un problema, a mio modo di vedere, di natura prettamente religiosa!Perché l’islam non potrà mai accettare che lì, in un territorio conquistato da Allah, si sia installato qualcun altro che fa riferimento a un altro Dio, come certamente è per Israele. E questo anche se si tratta di uno Stato sostanzialmente laico. Un articolo scritto recentemente citava gli studi di Bill Warner, un esperto di islam politico, secondo il quale, leggo: “sommando tutte le cifre dei morti nelle varie conquiste islamiche, si giunge alla conclusione che, dal VII secolo a oggi, sono stati uccisi approssimativamente 270milioni di infedeli, per la gloria di Allah. Io ho personalmente molti dubbi su queste cifre, perché è difficile su un tempo così lungo, avere dati certi, e per arrivare a 270 milioni ce ne vuole. Però certamente, se si vedono i fatti, si può notare come una civiltà, che era quella romana cristiana, che era molto prospera, che aveva dato vita al fenomeno eremitico in Egitto, al cenobitismo, al monachesimo, eccetera, queste comunità così ricche, fiorenti, splendide nelle icone, nell’arte, nella tradizione, tutto questo è praticamente scomparso. E oggi nelle zone del Medio Oriente siamo alla fine dell’antichissima cristianità, perché i cristiani sono scacciati dappertutto. E certamente questo è avvenuto con stragi inenarrabili.

In questa situazione in cui i fedeli di Allah fanno bottino e uccidono quanti si rifiutano di convertirsi, c’è un aspetto, una realtà interessante che fa eccezione, ed è quella che ha fatto parlare della tolleranza dell’islam. Mi sto riferendo a quello che si chiama “Patto di Omar”. Il califfo Omar è quello che fa costruire a Gerusalemme, sulle rovine dell’antico Tempio ebraico, la meravigliosa moschea che porta il suo nome. Anzi, sulla spianata del Tempio sono state costruite due moschee, quella di Omar e quella chiamata Al Axa (la lontana). Allora, nel 637 Omar, questo califfo, si rende conto che lì c’è una situazione particolare. Gerusalemme allora era una città cristiana, piena di chiese, di monasteri (gli ebrei erano nella diaspora dopo la distruzione del tempio per opera dei Romani, nel 70 d. C. N d t), e si rende conto che lì c’è un qualcosa di particolare e che quindi non si può distruggere tutto, forse per paura di reazioni forti dei cristiani. Ma questa – dice la Pellicciari – è una mia idea.

E allora, nel 637, Omar concede ai cristiani che rimangono in Palestina, quello che viene chiamato “Patto di Omar”. Ve lo voglio leggere, anche se è un po’ lungo, ma ne vale la pena. Che cosa stabilisce Omar? «Omar concede ai cristiani sicurezza per loro stessi, il loro denaro, le loro chiese, le loro croci, i loro malati e sani e per tutta la comunità. Che le loro chiese non siano occupate, né distrutte, né che niente manchi nelle loro proprietà, in tutto o in parte; né delle loro croci, né niente del loro denaro, e non vengano obbligati a lasciare la loro religione, e nessuno di essi sia maltrattato”. Questa è la protezione che Omar concede ai cristiani. Ma in cambio della benevolenza del Califfo, i cristiani che cosa daranno? I cristiani, per questa protezione, pagheranno una tassa, un po’ come la mafia che, per offrire protezione ai negozianti e industriali, vuole il pizzo. Così i cristiani pagavano – e pagano ancora da tante parti – questa tassa (la Gizia). Devono però espellere dal loro interno i romani e i banditi. Chi sono costoro, i romei? Sono i cristiani. E i banditi sono quelli che non vogliono essere obbligati a pagare la gizia o a farsi musulmani.

Ora vediamo cosa promettono i cristiani in cambio della protezione. I cristiani sottoscrivono quanto segue: «Non costruiremo nelle vostre città (e dire che Gerusalemme era allora cristiana, così come le terre sopra descritte. Ma adesso i cristiani dicono che “queste sono le vostre città”). Allora: «non costruiremo nelle vostre città o fuori da esse, nuovi monasteri, chiese o eremi. Non ripareremo edifici religiosi caduti in rovina, né restaureremo quelle che si trovano nei quartieri musulmani delle città. Non rifiuteremo l’ingresso ai musulmani nelle nostre chiese, giorno e notte. Apriremo le porte ai viaggiatori e ai pellegrini. Ospiteremo ogni viaggiatore musulmano nelle nostre case, per offrirgli vitto e alloggio per tre notti» Perciò i viaggiatori, i mercanti, possono girare da una casa all’altra, perché i cristiani sono costretti a dar loro vitto e alloggio per tre notti. «Non nasconderemo spie nelle nostre chiese o nelle nostre case, né daremo asilo a nessun nemico dei musulmani. Noi non insegneremo il Corano ai nostri figli; non faremo pubbliche dimostrazioni della religione cristiana, né inviteremo nessuno ad abbracciarla». Cioè, noi non faremo ciò che Gesù dice chiaramente: “Andate e predicate il Vangelo a tutte le nazioni”. «Non impediremo invece ai nostri parenti di abbracciare l’islam, se lo desiderano. Onoreremo i musulmani e cederemo loro il posto nelle nostre assemblee». (Beh, ma questo si è visto purtroppo anche recentemente, nelle nostre chiese per ricevere da una parte di loro solidarietà per gli attentati o lo sgozzamento in Francia di padre Hamel. Ma mi chiedo, quanti politici e persino ecclesiastici, conoscono davvero la storia come ci è stata raccontata fin qui, per agire in modo più prudente? N d t). «Non li imiteremo nell’abbigliamento, nei copricapi, nei turbanti, nelle calzature o nelle pettinature». Cosa vuol dire? Vuol dire che i cristiani si devono riconoscere, come nel tempo orrendo per gli ebrei, in cui dovevano portare una fascia gialla per poter essere riconosciuti. Lì i musulmani avevano il potere e perciò facevano la moda, ma i cristiani non potevano vestire alla loro moda, perché loro comandavano per volontà di Dio. «Non esporremo la croce sopra le nostre chiese, né metteremo in mostra le nostre croci o i nostri libri sacri nelle strade dei musulmani o nei loro mercati. Nelle nostre chiese batteremo le mani in modo leggero. Non reciteremo le nostre preghiere ad alta voce quando un musulmano è presente». Invece il muezzin, quello che prega ufficialmente 5 volte al giorno, deve urlare dal minareto la preghiera, in modo che tutti la ascoltino. «Non porteremo rami di palma, né le nostre immagini votive in processione lungo le strade. Nel corso dei funerali non canteremo ad alta voce; né porteremo candele per le strade dei musulmani o nei loro mercati. Non prenderemo nessuno schiavo che sia già stato proprietà di un musulmano. Non faremo le spie nelle loro case e non picchieremo nessun musulmano. Promettiamo di osservare tutte queste regole a vantaggio nostro e di tutti coloro che credono in una religione simile alla nostra. In cambio riceveremo da voi protezione. Se violeremo qualche condizione di questo accordo, allora perderemo la vostra protezione, e avrete la libertà di trattarci come nemici e ribelli». Se avete ascoltato questo patto, che non è un patto di tolleranza, vi renderete conto che è un patto in cui i cristiani firmano la loro morte certa! Non una morte che avviene dall’oggi al domani, come nel caso dei martiri, delle crocifissioni, dei saccheggi o dei bottini, ma avviene col tempo.

Questo patto di Oman è stato applicato anche nella Spagna occupata dai musulmani, perché gli spagnoli rimasti cristiani erano molti, e quindi anche li il Califfo ha avuto il buon senso di non decretare la guerra di sterminio, ma avrebbero anche lì rispettato questo patto, che va sotto il nome di “grande tolleranza”.

Detto questo – ora non affronto il tema delle crociate. Lo farò più avanti, analizzando il contesto in cui la prima crociata, e poi le altre, hanno luogo. Però siamo a Radio Maria, una radio cristiana, e non possiamo non porci il problema del perché Dio ha permesso questa sciaguraCom’è che ha permesso la scomparsa delle regioni della più antica cristianità? Di tanti martiri, di tanti uomini meravigliosi che hanno vissuto una vita santa. Com’è che dio ha permesso tutto ciò? Lo ha permesso perché, come dicono il Vecchio e Nuovo Testamento, noi, dopo aver ricevuto da Dio tutti gli immensi benefici, noi lo ripudiamo e diventiamo apostati. Allora Dio ci abbandona nelle mani dei nemici, così come ha fatto con Israele, quando ha permesso, per le colpe accumulate nel corso dei secoli, ha permesso ai Romani di distruggere Gerusalemme e di disperdere in tutto il mondo gli ebrei, in quella che conosciamo come diaspora. Così ha fatto anche con i cristiani che risiedevano nelle terre conquistate dall’islam. E la distruzione arrivò al culmine nel 1453.

Il dramma nasce dal fatto che è proprio l’Impero Romano d’Oriente che promuove le eresie! Quindi che promuove che cosa? La divisione all’interno della Chiesa, mentre Gesù ha comandato l’unità, dicendo: “Amatevi come io vi ho amato”! l’unità è il segno che io sono con voi! E l’Oriente, con tutte le eresie che sono state sponsorizzate e accolte, a cominciare da Ario. Così per tre secoli: arianesimo, nestorianesimo, monofisismo, monotelismo e tutte le derivazioni varie che da questi si sono staccate, così come la lotta di supremazia fra Antiochia e Alessandria. Tutto questo, certamente ha provocato l’abbandono di questi territori all’occupazione cruenta dell’islam. Certo, per noi italiani il ricordare questi fatti non è che ci faccia prevedere nei prossimi tempi un paradiso! Perché se c’è una popolazione che in questi due millenni è stata riempita di grazie, quella è la nostra! Con Pietro che è a Roma, con tutti i santi che lo Spirito Santo ha suscitato in Italia e nell’Italia centrale. Ma noi siamo diventati un popolo di apostati. Un popolo che ha perso la propria identità. Ha perso la propria storia! Non sa più chi è! È tanto disperato che non fa più figli!

Pensate che il sindaco di Roma, che dà questo spettacolo nel non essere capace di trovare assessori. Questa donna, tutta contenta, ha celebrato le nozze di due omosessuali che indossavano due cappelli apparendo abbastanza ridicoli, questa donna tutta contenta ha fatto questa “omelia”: «Vi auguro di superare gli ostacoli che la vita ci pone davanti. Questa è la sfida che vi accingete a intraprendere, andate avanti a testa alta con forza e divertitevi, il segreto è divertirsi. Vi auguro una vita intensa». Ecco, che a Roma ci sia un sindaco che dica che l’importante è divertirsi, questo è il segno del degrado a cui è arrivata la nostra società, la nostra cultura, che ha in mano tutti i mezzi di comunicazione di massa. Tutti sono in mano a gnostici, a nemici della Chiesa, che hanno diffuso menzogne di tutti i tipi. Menzogne che hanno dipinto l’islam – per odio anticattolico –, pur di diffamare la Chiesa, hanno esaltato l’islam come religione di pace. Cioè, noi siamo stati dominati da questo tipo di cultura, e l’abbiamo fatta nostra! Quindi CHE COSA CI DOBBIAMO ASPETTARE?

Speriamo che Dio abbia misericordia di quel “resto” che c’è sempre! Si mantiene sempre un resto, sia in Israele che presso di noi. Però, insomma, bisogna pregare. Sono convinta che bisogna pregare e pregare parecchio.(Come sappiamo, prima della dolorosa frattura tra i cristiani, operata da Lutero e dalla riforma protestante, il cattolicesimo si stava diffondendo nell’America Latina. E ora, mentre l’Europa si sta purtroppo secolarizzando, il cristianesimo si sta diffondendo in Africa e in Cina. Preghiamo e operiamo affinché l’Europa ritrovi in Cristo unità e senso! N d t).

Comunque adesso voglio chiudere ricordando gli interventi di un grande italiano, nel suo libro: “Memorie e digressioni di un italiano cardinale”. Si, Giacomo Biffi cardinale e vescovo di Bologna. Biffi è stato un gigante del pensiero e anche un gigante della franchezza. Un gigante che ha proclamato la verità, una verità che tutti facevano in modo di nascondere per poter così meglio distruggere la Chiesa, per poter così comandare con più facilità. Allora, nella nota pastorale per la sua comunità che Biffi scrive il 12 settembre del 2000, Biffi scrive accennando a quali dovrebbero essere i criteri per ammettere gli immigrati. E scrive: «I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali che pure hanno il loro peso. Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l’identità propria della nazione. L’Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un’inconfondibile fisionomia culturale e spirituale!». Ecco, invece siamo ridotti un po’ così, come diceva Biffi. «In vista di una pacifica e fruttuosa convivenza, se non di una possibile e auspicabile integrazione, le condizioni di partenza dei nuovi arrivati non sono ugualmente propizie». Non possiamo perciò mettere sullo stesso piano immigrati musulmani e immigrati cristiani. Non sono sullo stesso piano! E continua Biffi: «Il tema dei musulmani va trattato con particolare attenzione. Essi hanno una forma di alimentazione diversa – e fin qui, poco male -, un diverso giorno festivo; un diritto di famiglia incompatibile col nostro; una concezione della donna lontanissima dalla nostra, sino ad ammettere e praticare la poligamia. Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica. Sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica, fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se di solito a proclamarla e a farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti». Possiamo vedere come questa è una situazione che rispecchia alla lettera quello che è successo.

Siccome adesso i musulmani pensano di essere diventati abbastanza preponderanti in un’Europa che ha fatto poltiglia di tutte le tradizioni meravigliose che ha ricevuto da Dio, che cosa ci possiamo aspettare? Qualche tempo dopo, rispondendo a una intervista rilasciata al Corriere, Biffi insisteva su questo fatto che i governanti dovevano tener conto di una cosa che sarebbe stata ovvia, e cioè che bisogna fare distinzione nell’accoglienza agli immigrati, fra quelli che sono islamici e quelli che non lo sono. E bisogna preferire i cristiani! «Io non ho nessuna paura dell’islam – diceva Biffi –, ho paura di altre cose. Ho paura della straordinaria imprevidenza dei responsabili della nostra vita pubblica! Ho paura dell’inconsistenza dei nostri opinionisti! Ho paura dell’insipienza di molti cattolici, specie i più acculturati e loquaci”. Certo, tutti i cattolici che parlano, parlano, parlano. Parlano di che? Parlano della tolleranza dell’islam, della religione di pace. E prosegue Biffi: «Il mio compito è quello di evangelizzare i musulmani. Il compito dello Stato laico è invece quello di tenere presente tutte le difficoltà di inserimento dei musulmani nella vita civile. Nella stragrande maggioranza i musulmani vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra umanità. Ben decisi a restare sostanzialmente diversi, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro».

Grazie, Giacomo Biffi, per questo coraggio che hai avuto, che ti è costato la gogna, a cominciare da tutti questi cattolici loquaci (Che sono i più pericolosi, perché danno ottimi spunti a chi, lontano dalla Chiesa, li adula, per poter ottenere meglio i loro scopi. N d t.). E prosegue la Pellicciari: Gli è costata la gogna anche di tutta la intellighenzia culturale, per non parlare della classe politica, che continuavano a urlare contro questo intollerante Biffi, che faceva discriminazione fra gli uni e gli altri, mentre gli uomini sono tutti uguali. E tutte le baggianate che abbiamo sentito per tanti decenni.

Io ho finito, ma forse abbiamo tempo per una domanda. Proviamo.

Buon giorno! Sono Vito Valente da Moncalieri. Sono stato anche itinerante del Cammino. Volevo chiederti – ti do del tu -: “Come si evangelizzano i musulmani»?

Pellicciarei. – He, he, come gli altri. Come gli altri, Vito! Come li vuoi evangelizzare? Perché loro, come noi, hanno bisogno di sapere che Dio ci ama e che è finito in croce per salvarmi. non per sterminarmi! E se sono una donna, io in paradiso, non è che ci devo andare a fare la vergine per essere sverginata dagli uomini, ma PER VEDERE DIO, CHE È MIO SPOSO! Cioè, la Buona Notizia del Dio che ci ama, che è nostro Padre e che ha vinto la morte per noi. E che uomini e donne sono allo stesso modo figli di Dio, chiamati ad essere suoi sposi. Questa è una buona notizia, di cui anche i musulmani hanno bisogno! E quindi questa Buona Notizia, perché il Vangelo è davvero una buona notizia, ci deve rendere consapevoli che noi abbiamo un tesoro che non possiamo tenere nascosto! Si tratti di musulmani o indù, non importa! Tutti hanno bisogno di sapere CHE LA LORO VITA HA UN SENSO! Anche se la loro vita non è servita per ammazzare qualcuno. HA UN SENSO! Perché anche la sofferenza è redenta in Cristo! La totalità della vita è redenta in Cristo! Questo ce l’abbiamo solo noi cristiani. Non ce l’ha nessun altro!(Lasciate che vi dica che il trascrittore Claudio, trascrivendo questo passaggio, si è commosso per la forza e la verità di queste parole di Angela).

Quindi a maggior ragione ne hanno bisogno i musulmani! Conclude la Pellicciari. Io avevo un cugino musulmano, che è morto santamente! Quindi bisogna distinguere fra Maometto, il Corano e i singoli. C’è tanta brava gente che non conosce, non lo sa della vittoria sulla morte fatta da Cristo per Amore! E quindi noi, come possiamo stare zitti?

Allora ringrazio don Vito che mi ha fatto questa domanda. Vi auguro un buon mese, e ci risentiamo, se Dio vuole, il prossimo terzo lunedì di ottobre. A risentirci!

(Trascrizione di Claudio Forti)









Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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27/10/2016 09:56
 
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Lutero affigge le 95 tesi
 

In vista della commemorazione luterano-cattolica esce un libro del professor Castellano che analizza vita e opere di Lutero alla luce dei frutti politici della sua eresia. "Lutero è il canto del gallo della Modernità. E' il padre dell'assolutismo, del laicismo e della concezione della politica come mero potere. Per questo nessuno può «riabilitarlo» nè proporlo come maestro da imitare. 

di Lorenzo Bertocchi

A pochi giorni dalla Commemorazione luterano-cattolica della Riforma protestante, (il prossimo 31 ottobre, infatti, Papa Francesco si recherà in Svezia per i 500 anni della riforma luterana), esce un libro dal titolo intrigante: Martin Lutero. Il canto del gallo della Modernità(Edizioni Scientifiche Italiane). Il testo esce anche in spagnolo presso la casa editrice Marcial Pons di Madrid.

L'autore è il professor Danilo Castellano, allievo del filosofo cattolico Augusto Del Noce, già preside della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Udine. «Il presente lavoro», si legge nella Prefazione, «deliberatamente ignora le grandi questioni religiose poste da Lutero», anche se implicitamente ne tiene conto, e si concentra in modo originale su ciò che la Riforma «ha significato e significa sul piano etico, politico e giuridico». Un libro di uno studioso, capace di andare in profondità e offrire uno sguardo controcorrente. La Nuova BQ l'ha intervistato

Prof. Castellano, nel sottotitolo del suo recentissimo libro dedicato a Martin Lutero, scrive che il riformatore tedesco rappresenta il «canto del gallo della Modernità». Perché?

Lutero preannuncia la «Modernità» come il canto del gallo preannuncia l'aurora. Il riformatore tedesco, pur fra incertezze, ripensamenti, contraddizioni, sta all'origine del «mondo moderno» sia per le grandi questioni etiche (si pensi, per esempio, al suo modo di intendere la coscienza) sia per le questioni politiche (il modo d'intendere la libertà e soprattutto il popolo).

Scusi, ma cosa intende per “modernità”?

La «Modernità» non va intesa in senso cronologico, cioè non si identifica con l'epoca moderna anche se in questa trova sviluppo, ma in senso assiologico, ossia come visione del mondo. Lutero è padre dell'Assolutismo e della democrazia moderna, che sono due aspetti della stessa medaglia. Può sembrare strano, ma è proprio così. Credo di averlo spiegato ampiamente nelle pagine del libro. L'Assolutismo è una logica conseguenza della dottrina politica luterana, come la democrazia moderna: sia quella magistralmente teorizzata da Rousseau, imposta all'Europa dalla Rivoluzione francese ed esportata dagli eserciti napoleonici, sia quella elaborata in America (Stati Uniti) sulla base delle premesse del protestantesimo più rigoroso che coerentemente rifiutò la pace di Augusta.

Quindi anche il liberalismo è figlio di Lutero...

Il liberalismo è una reazione interna alla Weltanschauung protestante; non è una sua alternativa. Dirò di più. Anche parte della cultura politica «cattolica» «dipende» da Lutero, talvolta nell'opposizione, come per esempio con Francisco Suárez, talvolta abbracciandola come è avvenuto nell'epoca contemporanea con Jacques Maritain, per esempio, e con taluni uomini di cultura del nostro tempo. La Riforma è una rivoluzione gnostica integrale che ha caratterizzato e tuttora caratterizza le diverse (talvolta apparentemente, ma solo apparentemente, contrarie) teorie politiche del «mondo moderno».

Possiamo affermare che Lutero sia il padre del laicismo e quindi di una innaturale separazione tra Chiesa e Stato?

Lutero, personalmente molto religioso, anche se eretico, apostata ed immorale, e anche molto superstizioso, pone le premesse del laicismo. Sia di quello europeo continentale, si pensi alla «laicità escludente» della Rivoluzione francese, sia di quello nordamericano, si pensi alla «laicità includente» dell'americanismo. Per quanto riguarda i rapporti Chiesa/Stato, Lutero non è favorevole a una loro separazione, già di per sé inaccettabile perché la dottrina cattolica ortodossa è per la distinzione, non per la separazione. Teorizza la subordinazione della Chiesa allo Stato, come avvenuto con la pace di Augusta (1555) e come avviene nel nostro tempo in coerente applicazione delle diverse teorie. Le quali, comunque, hanno proprio questa “laicità” come denominatore comune. In Italia, per esempio, ciò è avvenuto con il Risorgimento e con il Fascismo (nonostante i Patti lateranensi) e, forse, in maniera più radicale con la Costituzione repubblicana del 1948.

Non possiamo ora approfondire questi spunti che lei offre, pur meritevoli, perciò mi limito a chiederle: se dovesse indicare la più grande trasformazione della politica in seguito alle idee luterane, quale segnalerebbe?

La politica con Lutero e dopo Lutero viene identificata con il mero potere. È un'identificazione assurda, disumana. Il potere è (o può, talvolta deve essere uno) strumento della politica, non è la politica. Questa è scienza ed arte del bene comune, il quale è il bene «naturale» dell'uomo, di ogni uomo e, perciò, comune a tutti gli uomini. Cosa difficile da capire, oggi; perfettamente compresa, invece, in altre epoche, soprattutto da pensatori, come per esempio Aristotele, non influenzati, ovviamente, né per adesione né per opposizione al Cristianesimo.

Quale è stato, a suo parere, il risultato di questa trasformazione?

Che la politica come potere non è regolata dal bene. Se regolata dal bene, essa sarebbe quello che deve essere per sua natura: potestas che aiuta gli uomini a divenire migliori. La politica come mero potere, invece, è un bene apparente. Si considera un bene in quanto consente a chi esercita il potere, sia esso il sovrano, il dittatore o il popolo, di realizzare la sua volontà non guidata dalla ragione. Ciò che conta, pertanto, è l’effettività, l’imposizione di qualsiasi volontà anche assurda ed iniqua. Si pensi, per esempio, a molte leggi del nostro tempo che consentono o, addirittura, prescrivono il male.

Infine, mi scusi, una domanda che viene spontanea: perché questo libro?

Nel mio lavoro sugli aspetti etici, politici, giuridici del pensiero di Martin Lutero ho cercato di dimostrare lo stretto ed ineliminabile legame che intercorre fra teoria e prassi, richiamando l'attenzione su alcuni fatti storici che evidenziano come le teorie luterane stanno all'origine di diversi regimi e, conseguentemente, di molte loro opzioni. Le teorie luterane sono razionalmente inaccettabili. È per questo che nessuno, dico nessuno, può «riabilitare» Lutero e tanto meno proporlo come maestro ed esempio da imitare e seguire.





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Conferenza a Trento del prof. Roberto de Mattei sul Concilio di Trento

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LA NOSTRA REGISTRAZIONE AUDIO DELLA CONFERENZA DEL PROF. ROBERTO DE MATTEI, STORICO DELLA CHIESA, SUL CONCILIO DI TRENTO TENUTASI PROPRIO A TRENTO IL 25 OTTOBRE 2016, ORGANIZZATO DALLA FONDAZIONE LEPANTO.

 

Il Concilio di Trento: risposta cattolica all’eresia protestante

PRIMA PARTE: presentazione dell’evento e conferenza del prof. de Mattei

SECONDA PARTE: il prof. de Mattei risponde alle domande del pubblico


Professio Fidei Tridentina

Il 31 ottobre 1517 segnò l’inizio della rivoluzione protestante con l’affissione delle tesi di Martin Lutero a Wittenberg. Nel V centenario che si apre, ricordiamo la Professione di Fede antiluterana promulgata da papa Pio IV nel 1564 a conclusione del Concilio di Trento.

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Scrittura e Parola di Dio non sono la stessa cosa. La Scrittura è il testo dei libri ispirati dallo Spirito, la Parola di Dio è la pienezza di significato che assumono quando sono predicati sotto la sua azione. La Scrittura è la stessa, ma la Parola di Dio che ne salta fuori è un’altra e spesso vicendevolmente inaccettabile.

di padre Riccardo Barile O.P.

Nell’intervista del 28 ottobre sulla Civiltà Cattolica in vista del viaggio a Lund per l’inizio del cinquecentesimo anniversario della Riforma, Papa Francesco, alla domanda «Che cosa la Chiesa cattolica potrebbe imparare dalla tradizione luterana?», risponde a tamburo battente: «Mi vengono in mente due parole: “riforma” e “Scrittura”». La Nuova BQ ha già commentato la categoria “riforma”, aggiungendo qualcosa - ma molto poco - su “Scrittura” perché questa categoria sembra più condivisibile. E invece è più insidiosa di “riforma”.

Su “Scrittura” Papa Francesco così si spiega: «La seconda parola è “Scrittura”, la Parola di Dio. Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo».

La frase andrebbe precisata, ma con una premessa di metodo: il Papa non è una “macchina dogmatica”, ma una persona normale e bisogna concedergli di dare risposte a braccio o risposte che tengono conto del tipo di comunicazione nel quale si trova: ora è evidente che una intervista non è né una enciclica né una definizione dogmatica e richiede un linguaggio immediato. Il pericolo viene dopo: costruire delle teorie o delle prassi a partire da questo linguaggio come se non fosse una intervista, ma una enciclica o una disposizione canonica. Proprio per evitare questo, credo siano necessarie alcune precisazioni.

La frase riportata passa immediatamente da “Scrittura” a “Parola di Dio”: non sono la stessa cosa! La Scrittura è il testo dei libri ispirati dallo Spirito Santo; la Parola di Dio è la pienezza di significato che questi vengono ad assumere quando sono letti, predicati, commentati sempre sotto l’azione dello Spirito. Ora la Scrittura è la stessa per protestanti e cattolici, ma la Parola di Dio che ne salta fuori è un’altra e spesso è vicendevolmente inaccettabile.

Infatti l’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini (30.09.2010) di Benedetto XVI ha ricordato la complessità della nozione cattolica della Parola di Dio e, al suo interno, il posto delle Scritture. Al n. 7 è spiegato che “Parola di Dio” è un’espressione “sinfonica”, che indica: a) il Logos fatto carne, cioè la persona di Gesù Cristo; b) la creazione come «libro della natura» in cui l’unico Verbo si esprime; c) l’intera storia della salvezza sino alla pienezza dell’incarnazione e del mistero pasquale; d) la parola predicata dagli Apostoli e «trasmessa nella Tradizione viva della Chiesa»; e) «infine, la Parola di Dio attestata e divinamente ispirata è la Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento».

È chiaro che la Sacra Scrittura è nella Parola di Dio, ma il testo della Scrittura come tale non è tutta la Parola di Dio, la quale comprende la rivelazione di Dio nel mondo e la tradizione ecclesiale, cioè le definizioni dogmatiche; il patrimonio dei concili anche nel non strettamente definito; le tradizioni di vita discrete ma forti come l’obbedienza, la castità, la devozione mariana ecc. È chiaro che a questo punto la Parola di Dio in Lutero e nella Chiesa Cattolica non possono coincidere ed è chiaro che a questo livello la Chiesa Cattolica ha ben poco da imparare da Lutero.

Veniamo ora al nocciolo del problema partendo da uno scritto/esempio base di Lutero: il De captivitate babylonica ecclesiae praeludium (1520). Qui egli rivede tutto il sistema sacramentale con una sorta di rasoio: “Questo sacramento ha o non ha una esplicita istituzione testuale nella Scrittura del Nuovo Testamento?”. Il risultato è che si salvano solo due sacramenti (Battesimo ed Eucaristia) ed un terzo a metà e poi ripudiato (Penitenza).

Lutero dunque usa la Scrittura facendola diventare Parola di Dio con tre procedimenti molto poco cattolici.

- Il primo è che di fatto considera il cristianesimo una “religione del Libro”, mentre «nella Chiesa veneriamo grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una “religione del Libro”» ma «la “religione della Parola di Dio”, non di una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente» (Verbum Domini 7). Se nel cristianesimo tutto dipendesse solo dalle Scritture, bisognerebbe estromettervi Cristo che non scrisse nulla...

- Il secondo è che, limitandosi alla sola Scriptura, si suppone di arrivare a una primitiva purezza scevra da interpretazioni storiche o attuali, cioè si suppone di agire nel “vuoto ermeneutico”: ora tale vuoto ermeneutico non si dà, perché ogni volta che si cita una Scrittura, che la si accosta ad un’altra, che da qui si passa a come devono essere la Chiesa o la vita cristiana ecc., la si interpreta. E così Lutero, alla interpretazione “papista” dei padri e dei concili spesso da lui sbeffeggiata, sostituisce... la sua!

- Infine le due operazioni di cui sopra generano un uso in cui la Scrittura è come “esterna” alla Chiesa, quasi per costruire e giudicare la Chiesa dal di fuori.

Certo, si può concedere la buona fede o la non piena avvertenza di arrivare a questi risultati, ma se «Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo», è così che l’ha messa, con criteri cattolicamente discutibili per non dire inaccettabili.

Se non possiamo prendere esempio da Lutero quanto alla “Parola di Dio”, possiamo prendere esempio da lui quanto allo zelo verso la “Scrittura” nel tradurre la Bibbia in tedesco e con ciò avviando a un più diretto contatto con il testo biblico. È vero che a quei tempi la Chiesa cattolica sembrò un poco in ritardo, ma va ricordato il ministero ecclesiale che in un mondo di analfabeti aveva formato dei credenti i quali attraverso la parola viva e le immagini avevano acquisito una conoscenza biblica di certo superiore all’attuale. E poi anche Lutero non fu uno stinco di santo, a volte piegando i testi alle sue teorie. Ad esempio, per provare che l’Eucaristia come promessa e testamento del Signore dà tranquillità quale che sia il nostro turbamento interno, citò il Salmo 22,5 così: «Tu hai preparato davanti ai miei occhi una mensa contro tutti i miei tormenti»: ora il testo parla di “nemici” e non di “tormenti”, ma a Lutero facevano comodo i tormenti e non si fece scrupolo di una traduzione irrispettosa (Un sermone sul Nuovo Testamento cioè sulla santa Messa - 1520, n. 37).

Dunque lo zelo verso le Scritture sarebbe di Lutero mentre la Chiesa Cattolica ne sarebbe un poco lontana? Assolutamente no. Però la Chiesa Cattolica si accosta alle Scritture in un modo diverso che mi piace collegare a due citazioni autorevoli.

La prima è di san Bonaventura († 1274): «Tutta la Scrittura è come una cetra; l’ultima corda da sola non fa armonia, ma insieme alle altre. Similmente, un luogo della Scrittura dipende da un altro, anzi mille luoghi si riferiscono ad un luogo solo» (Collationes in Hexaemeron 19,7). Estendendo l’immagine bonaventuriana, la Scrittura deve fare armonia non solo al suo interno, ma anche con questo mondo, con le definizioni conciliari, con quanto nella vita cristiana è saldamente acquisito o maturato (ad esempio i tre gradi dell’ordine sacerdotale che nel NT non sono così chiari) ecc.: «la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile» (Verbum Domini7).

La seconda citazione è di un teologo dei nostri tempi, Yves Congar († 1995): «La Chiesa non riceve il contenuto della sua fede dalla Scrittura: essa ve lo ritrova, il che è ben diverso ... la realtà stessa è molto più profonda di qualunque enunciato» (Vera e falsa riforma nella Chiesa. Jaca Book, Milano 1972, p. 377). È una affermazione ardita, che sembra negare la 1Cor 15,3-4: «(...) Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture (...) fu sepolto (...) è risorto il terzo giorno secondo le Scritture». In realtà non è semplice trovare nell’AT dei testi esatti che parlino della morte, sepoltura e risurrezione non di qualcuno ma di Gesù Cristo: se Paolo ve li trova è perché prima ha trovato il Cristo vivente nella Chiesa. E questo procedimento vale per tanti altri contenuti di ieri e di oggi.

In conclusione, il Concilio Vaticano II ha chiesto di aprire più largamente i tesori della Bibbia perché in questo modo la liturgia, la predicazione e la teologia santamente vigoreggiano (SC 24,51; DV 24). Quando però parla dei rapporti della Chiesa Cattolica con il mondo della Riforma (UR 21), sempre vede l’accordo su la “Sacra Scrittura” e il disaccordo su la “Parola di Dio”, dichiarando che vi sono divergenze sul modo magisteriale e cattolico di «esporre e predicare la parola di Dio scritta». Questa distinzione del Vaticano II, fin qui illustrata, mi pare un saggio criterio interpretativo delle parole di Papa Francesco e di dove possiamo o non possiamo prendere esempio da Lutero riguardo alla Bibbia.

Resta inteso che la convergenza su le «Sacre Parole / Sacra Eloquia» è l’avvio al dialogo «per il raggiungimento di quella unità che il Salvatore offre a tutti gli uomini». Anche se il raggiungimento dell’unità significherà accettare una “Parola di Dio” “cattolica”. Altrimenti è meno peggio restare correttamente (e dolorosamente) separati che scorrettamente uniti.

 




STORIA
 

La strage di ugonotti (calvinisti) francesi, avvenuta il 24 agosto 1572, fu una decisione politica della corona più che una scelta religiosa, e va contestualizzata in quel quarantennio in cui la Chiesa fu sistematicamente vessata e derubata dai protestanti.

di Letizia Laurenzi
Notte di san Bartolomeo

“Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”: così Gesù parla di Bartolomeo (Natanaele) nel momento in cui lo incontra. Apostolo scuoiato vivo e raffigurato da Michelangelo col trofeo della sua pelle in mano, a Bartolomeo è capitata post mortem una sorte infausta perché proprio nella notte del giorno festivo a lui dedicato, a Parigi avviene una strage di ugonotti (calvinisti francesi) arrivati nella capitale per festeggiare il matrimonio del loro leader Enrico di Borbone, re di Navarra, con la principessa Margherita di Valois, sorella del re. Nozze che, non essendo il matrimonio ritenuto dai calvinisti un sacramento, non devono essere celebrate in chiesa ma solo sul sagrato. Una vistosa concessione della corona francese al credo riformato che pure a Parigi non era riuscito a mettere piede.

La notte del 24 agosto 1572 dunque, si scatena una violenza indiscriminata contro gli ugonotti. Violenza che tutti i libri di storia non smettono di ricordare, raccapricciati, additando nel cattolicesimo la vera origine di ogni sopruso, intolleranza e guerra. Guerra di religione.

Ricordiamo invece come andò davvero. Lutero comincia la sua rivoluzione nel 1517: da allora l’assalto ai beni della Chiesa è generalizzato. Nel nome del puro vangelo e della vera religione, dal momento che i voti religiosi sono dichiarati inammissibili e la gerarchia ecclesiastica estinta, tutta l’enorme ricchezza accumulata dalla Chiesa nel corso dei secoli (amministrata per lo più in favore della popolazione, in particolare della popolazione povera) viene a perdere i legittimi proprietari. Per volontà di Lutero i beni ecclesiastici passano ai soli principi e di qui le guerre civili scatenate prima dai cavalieri poi dai contadini. Nel 1536 inizia la riforma di Calvino e anche in questo caso i beni della Chiesa perdono i loro proprietari. Anche in questo caso c’è un enorme bottino da spartire. 

Francesco I re di Francia perseguita gli ugonotti ma le cose cambiano con Enrico II (1547-1559) e soprattutto con sua moglie Caterina de' Medici che, rimasta vedova, esercita una durevole influenza nella conduzione del regno che passa in breve successione ai tre figli maschi (Francesco II, Carlo IX, Enrico III). La purezza della fede riformata voluta da Calvino induce i calvinisti francesi ad alleanze internazionali con gli altri puri (luterani e anglicani) in funzione anticattolica: si tratta di un vistoso tradimento della patria cui Caterina e i suoi figli contrappongono una politica oscillante, ambigua, di fatto favorevole ai protestanti che sono ovviamente ostili agli Asburgo, i principali difensori della Chiesa e dei suoi beni (la Francia, da sempre, vuole essere il numero uno in Europa e, pur di ottenere una posizione di preminenza rispetto alla Germania, si allea con i nemici della Chiesa, siano essi turchi o protestanti).

La popolazione francese è cattolica. Dal 1560 al 1598 si combattono in Francia otto guerre di religione. Non volute dai cattolici. Scatenate dall’odio protestante che, con l’aiuto di truppe, soldi e armi luterani e anglicani, devasta e saccheggia ripetutamente le regioni centro meridionali della Francia, radendo al suolo centinaia di villaggi, chiese e monasteri. In difesa dei cattolici combattono la nobile famiglia Guisa, la Santa Sede e, soprattutto Filippo II di Spagna. Nasce la Lega: un movimento popolare spontaneo che raccoglie il 90% della popolazione. Una risposta nazionale contro l’aggressione straniera sollecitata dagli ugonotti. A guerre di religione concluse con l’Editto di Nantes del 1598, Enrico IV, divenuto dopo l’ennesima conversione al cattolicesimo re di Francia, per gettare discredito sulla memoria e sulle ragioni del popolo cattolico, ordinerà la distruzione di tutti i documenti della Lega e ne fa stampare e diffondere di falsi.

Nell’editto di Saint Germain del 1570, dopo il saccheggio di buona parte della Francia centro-meridionale, la regina madre Caterina arriva a ringraziare per il loro aiuto i prìncipi stranieri definiti “buoni vicini, genitori e amici”. Questo è il contesto in cui, per motivi di potere, lo stesso Carlo IX e la stessa Caterina scatenano a Parigi la repressione contro gli ugonotti. Regina madre e re che non sembrano guidati da grande spirito cattolico. L’uccisione degli ugonotti – organizzata dalla corona - non è comunque paragonabile al vandalismo di cui per quattro decenni si è macchiata l’internazionale protestante. 

In un’intervista a papa Bergoglio realizzata da Scalfari e pubblicata su Repubblica l'11 novembre, il Fondatore mette sulla bocca del Pontefice questa considerazione: “Certo ci sono state guerre sostenute dalla Chiesa contro altre religioni e ci sono state perfino guerre dentro la nostra religione. La più crudele fu la strage di San Bartolomeo e purtroppo molte altre analoghe. Ma avvenivano quando le varie religioni e la nostra, come e a volte più delle altre, anteponevano il potere temporale alla fede e alla misericordia”.

Bel colpo, Scalfari. Uno dei numerosissimi contro la Chiesa cui nei decenni ci hai abituato.


[Modificato da Caterina63 13/11/2016 14:00]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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