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L’APOSTOLICITÀ DELLA CHIESA E LA SUCCESSIONE APOSTOLICA

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2014 14:04
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21/02/2014 11:25
 
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II. L’originalità del fondamento apostolico della Chiesa

Il fondamento apostolico ha come suo carattere proprio l’essere insieme storico e spirituale.

È storico nel senso che è posto da un atto di Cristo durante la sua vita terrestre: la chiamata dei Dodici fin dall’inizio del ministero pubblico di Gesù, la loro investitura per rappresentare il nuovo Israele e per essere associati sempre più strettamente al suo cammino pasquale che culmina nella croce e nella risurrezione (Mc 1, 17; 3, 14; Lc 22, 28; Io 15, 16). La risurrezione non rovescia ma conferma la struttura apostolica prepasquale. Cristo fa dei Dodici, in maniera speciale, i testimoni della sua risurrezione secondo lo stesso ordine che egli ha istituito prima della sua morte: la più antica confessione di fede nel Risorto include Pietro e i Dodici come testimoni privilegiati della risurrezione (1 Cor 15, 5). Coloro che Gesù aveva associati a sé dall’inizio del suo ministero fino alle soglie della sua Pasqua, possono testimoniare pubblicamente che proprio quello stesso Gesù è risuscitato (Io 15, 27). Dopo la defezione di Giuda e anche prima della Pentecoste, prima cura degli Undici è di far partecipare al loro ministero apostolico uno dei discepoli che hanno accompagnato Gesù dal tempo del suo battesimo, affinché sia insieme con essi testimone della sua risurrezione (Act 1, 17; 22 s.). Lo stesso Paolo, chiamato dal Risorto medesimo e così inserito nel fondamento della Chiesa, è consapevole di aver bisogno della comunione coi Dodici.

Tale fondamento non è solamente storico, ma anche spirituale. La Pasqua di Cristo, anticipata nella Cena, istituisce il popolo della nuova alleanza e avvolge quindi tutta la storia umana. La missione di evangelizzazione, di governo, di riconciliazione e di santificazione, affidata ai primi testimoni, non può essere ristretta al tempo della loro vita.

Per quanto concerne l’Eucaristia, la Tradizione, le cui linee fondamentali si stabiliscono già fin dal primo secolo (cf. Lc e Io), afferma che mediante questa partecipazione degli Apostoli alla Cena è stato loro conferito il potere di presiedere la celebrazione eucaristica. Il ministero apostolico è in tal modo un’istituzione escatologica. La sua origine spirituale trasparisce nella preghiera del Cristo, ispirata dallo Spirito Santo, nella quale egli discerne, come nelle grandi svolte della sua vita, la volontà del Padre (Lc 6, 12 s.). La partecipazione spirituale degli Apostoli al mistero del Cristo si completa nel dono pieno dello Spirito Santo, dopo la Pasqua (Io 20, 22; Lc 24, 44-49), e li introduce in una comprensione più profonda del mistero di lui (Io 16, 13-15). Così, per essere compreso in se stesso, il kèrigma non dev’essere separato né astratto dalla fede a cui i Dodici e Paolo hanno aderito nella loro conversione al Signore Gesù, né dalla testimonianza che ne hanno data con tutta la loro vita.

III. Gli Apostoli e la successione apostolica nella storia

I documenti del Nuovo Testamento mostrano una diversità nell’organizzazione delle comunità al principio della Chiesa, ancor viventi gli Apostoli, ma egualmente una tendenza del ministero di insegnamento e di direzione ad affermarsi e a rafforzarsi nel periodo successivo.

Gli uomini che dirigevano le comunità quando gli Apostoli erano ancora vivi o dopo la loro morte portano nei testi del Nuovo Testamento diversi nomi: presbytèroi-episkopoi, e sono descritti comepoimèneshégoumenoiproistamenoikyberneseis. Ciò che caratterizza questi presbytèroi-episkopoi per rapporto al resto della Chiesa è il loro ministero apostolico d’insegnamento e di direzione. Quale che sia la maniera con cui sono stati scelti, per autorità o in dipendenza dai Dodici o da Paolo, essi partecipano all’autorità degli Apostoli istituiti da Cristo, i quali conservano per sempre la loro caratteristica unica.

Nel corso del tempo questo ministero ha conosciuto uno sviluppo, prodottosi in forza d’una conseguenza e di una necessità interne, e favorito da fattori esterni, soprattutto la difesa contro gli errori e la mancanza di unità fra le comunità. Ma quando le comunità furono private della presenza degli Apostoli e tuttavia vollero continuare a riferirsi alla loro autorità, fu necessario che venissero mantenute e continuate in maniera adeguata le funzioni degli Apostoli in seno a tali comunità e di fronte ad esse.

Già negli scritti neotestamentari che riflettono il passaggio dall’epoca apostolica a quella post-apostolica si delinea uno sviluppo che, nel secondo secolo, porta alla stabilizzazione e al riconoscimento generale del ministero del vescovo. Le tappe di questo sviluppo si scorgono negli ultimi scritti del corpus paolino e in altri testi che si riallacciano all’autorità degli Apostoli. Ciò che gli Apostoli avevano rappresentato per le comunità al tempo della fondazione della Chiesa, venne riconosciuto come essenziale per la struttura della Chiesa o per le comunità particolari, attraverso la riflessione del tempo post-apostolico al suo inizio. Il principio dell’apostolicità della Chiesa, acquisito in questa riflessione, portò con sé il riconoscimento del ministero d’insegnamento e di direzione come istituzione derivata da Cristo attraverso e mediante gli Apostoli. La Chiesa vive nella certezza che, prima di lasciare questo mondo, Gesù ha mandato gli Undici in missione universale, con la promessa di rimanere con loro tutti i giorni sino alla fine del mondo (Mt 28, 10-20). Il tempo della Chiesa, tempo di questa missione universale, resta dunque esso stesso compreso in questa presenza di Cristo, che è la medesima nel tempo apostolico e in quello post-apostolico, e che prende la forma d’un unico ministero apostolico.

Le tensioni tra comunità e soggetto d’un ministero d’autorità non possono essere totalmente evitate, come si vede già negli scritti del Nuovo Testamento. Paolo s’è applicato, da un lato, a comprendere il Vangelo con e nella comunità, e a trovare norme di vita cristiana; d’altro lato, però, egli si poneva di fronte ad essa col suo potere apostolico, quando trattavasi della verità del Vangelo (cf. Gal) e dei principi insostituibili di vita cristiana (cf. 1 Cor 7, ecc.). Similmente, il ministero di direzione non deve mai tagliarsi fuori dalla comunità ed elevarsi al disopra di essa, ma deve compiere il proprio servizio in seno ad essa e per essa. Tuttavia ricevendo la direzione apostolica — quella degli Apostoli medesimi o quella dei ministri che ad essi succedono — le comunità neotestamentarie si sottomettono alla direzione del ministero, riferito — per loro tramite — all’autorità del Signore stesso.

La scarsità di documenti non permette di precisare come si vorrebbe i passaggi operatisi. La fine del primo secolo ha conosciuto una situazione in cui gli Apostoli, i loro collaboratori immediati e infine i loro successori danno vita a collegi locali di presbytèroi e di episkopoi. Al principio del secondo secolo l’immagine del vescovo unico a capo delle comunità appare vigorosamente nelle lettere di sant’Ignazio, il quale afferma ancora che tale istituzione si trova stabilita «fino ai confini della terra» (Ad Ephesios, 3,2). Durante il secondo secolo questa istituzione è riconosciuta in maniera esplicita, nel solco della lettera di Clemente, come veicolo della successione apostolica. L’ordinazione con l’imposizione delle mani, attestata dalle Lettere pastorali, appare all’interno del processo di chiarificazione come un passo importante per la tutela della tradizione apostolica e per la garanzia della successione nel ministero. I documenti del terzo secolo (Tradizione d’Ippolito) mostrano che essa era specificamente acquisita, e considerata come istituzione necessaria.

Clemente e Ireneo sviluppano una dottrina del governo pastorale e della Parola, facendo derivare dall’unità della Parola, della missione e del ministero l’idea della successione apostolica, divenuta base permanente della maniera con cui la Chiesa cattolica comprende se stessa.

 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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