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Gli interventi del cardinale Muller

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2018 20:16
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30/11/2015 19:24
 
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  Divina Rivelazione


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La Pontificia Università Gregoriana ha organizzato in collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede tre giornate di studio dedicate alle Dei Verbum che si sono aperte con la conferenza “Ascoltare la Parola di Dio – vedere il mondo alla luce della fede” del cardinale Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione.


di Angela Ambrogetti (23-11-2015)


Il 2015 è un anno molto appropriato per la riflessione sui documenti del Concilio Vaticano II. Molti infatti furono promulgati esattamente 50 anni fa, nelle ultime sessioni conciliari e gli studiosi in questo anno che sta per concludersi stanno approfittando del giubileo conciliare per riflettere sui testi più significativi.



La scorsa settimana la Pontificia Università Gregoriana ha organizzato in collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede tre giornate di studio dedicate alle Dei Verbum che si sono aperte con la conferenza “Ascoltare la Parola di Dio – vedere il mondo alla luce della fede” del Card. Gerhard Ludwig Müller, il Prefetto della Congregazione.


Una riflessione che parte dalla interpretazione del Concilio e di un supposto “spirito del Concilio” fon troppo malinteso. “Negli ultimi cinquantʼanni- spiega il cardinale- tante cose, che non avevano niente a che fare con il Concilio, vennero confuse con esso, lette in chiave selettiva e interpretate, mentre per lʼermeneutica si scelsero criteri non inerenti al Concilio stesso. Alcuni brani e documenti isolati furono favoriti e citati, altri invece silenziosamente ignorati.


Avvenne tra lʼaltro, che lʼideale teorico-scientifico di un testo stilisticamente e intellettualmente uniforme di un singolo autore, fu più considerato rispetto al risultato di un lungo, spesso faticoso, ma comune sforzo del Concilio, il quale non deve cercare soltanto una comunicazione sincronica, ma vuole collocarsi anche diacronicamente allʼinterno della corrente della tradizione. Testi conciliari che portano sempre anche lʼimpronta di questo sforzo, esito di vari correnti e sviluppi, vennero diffamati da alcuni teologi come “compromessi della disonestà reciproca”, nati – così si sostenne – da una sorta di “commercio” tra le forze conservatrici e progressiste, che avrebbero tradito lo “spirito” di ciò che era invece voluto dai Padri conciliari. Questo verdetto venne emesso soprattutto in merito alla Costituzione sulla divina Rivelazione, che oggi si colloca al centro della nostra riflessione. E in verdetti del genere dilagava unʼermeneutica sbagliata e fatale.”


Ma negli ultimi anni in cui sono stati ricordati tanti “giubilei” di documenti conciliari molte cose sono state chiarite. Ed ora è il momento della Dei Verbum. Per il porporato sono cinque i momenti di impatto della Costituzione conciliare nella storia.


Si inizia con il tema della Rivelazione come “illuminazione” tramite Dio, la fede come luce, recuperando la parola “illuminismo” e sottraendola al razionalismo. Cristo è il Verbo eterno che illumina tutti gli uomini.


E la Rivelazione che si attua tramite la dottrina ma tramite la liturgia: “La liturgia non è un lusso che la Chiesa si permette, finalizzato alla sua autorappresentazione, in modo da poterla plasmare a nostro piacimento, secondo le sole leggi della plausibilità e dellʼattrattiva. Anzi, la liturgia è un locus theologicus, in cui il popolo rende presente la dimensione indescrivibile della fedeltà e della presenza di Dio, al di là di quanto possa essere contenuto in una dottrina”.


C’è poi la unità della Rivelazione nella Creazione e nella storia: “la più recente risonanza di questa visione si trova nellʼenciclica Laudato si‘ di Papa Francesco, dove egli insiste sul legame intrinseco che esiste tra natura e Rivelazione, tra Creazione e redenzione” spiega Müller.


La Scrittura è poi “anima della teologia”, e inoltre “la Dei Verbum ha messo nuovamente in evidenza la consapevolezza dellʼunità intrinseca della Sacra Scrittura composta da Antico e Nuovo Testamento.”


Interessante la relazione tra Rivelazione e misericordia. Spiega il cardinale: “la divina misericordia non è soltanto un qualche isolato atto di perdono dei nostri peccati (lo è anche), ma si colloca nel più intimo della comunicazione di Dio stesso. La Rivelazione è fondamentalmente misericordia divina proprio perché non è unʼinteressante rivelazione di verità soprannaturali, ma lʼavvenimento della comunicazione tra Dio e il suo popolo”.


Ma la De Verbum deve anche affrontare delle sfide oggi. Lo sfondo è quello della teologia pluralista delle religioni. E oggi “la critica che la Rivelazione biblica rivolge alle religioni e ai loro dei, è ritenuta responsabile per lʼindisturbato assorbimento tecnologico della natura; la chiara professione dellʼunico vero Dio, propria del monoteismo, viene accusata di intolleranza e violenza intrinseca”.


Una sfida che arriva soprattutto dal mondo occidentale che “parte dal presupposto che Dio rimanga un mistero e che non esista religione in grado di nominarlo e mostrarlo in toto. Il giudaismo e il cristianesimo – e cioè le forme istituzionalizzate della fede biblica sin dai tempi di Abramo – vengono poi sussunti come due forme delle tante “religioni” esistenti. In questo modo, si tralasciano soprattutto le affermazioni della teologia della Rivelazione, che la Dei Verbum riporta in modo sistematico”.


Altra sfida è la questione della “realtà della vita” come locus theologicus. Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede spiega che “il cristianesimo non è una religione del Libro, come si ama definirlo, ma Rivelazione divina nella storia del popolo che Egli ha scelto a questo scopo. Per questa ragione, il principio della sola scriptura non è mai stato sufficiente per trovare una misura per una vita di fede. La teologia cattolica invece ha coniato la formula “Scrittura e tradizione”, che, essendo fondamentalmente niente di nuovo, significava soltanto lʼapplicazione di quel principio che fece parlare già nel giudaismo di una tradizione scritta e di una tradizione orale”.


Una delle questioni aperte è che “oggi la tradizione della Chiesa – anche quella che ha conosciuto un vivido progresso – viene spesso e volentieri compresa come “principio generale” e “dottrina astratta”, oppure caratterizzata come “ideale” irraggiungibile, che non avrebbe alcuna “capacità di connessione con le odierne costellazioni mondane“ e perciò nessuna rilevanza per lʼuomo nella sua situazione concreta”. Ma “la visione che contrappone la dottrina della Chiesa, la sua tradizione e la verità vissuta dagli uomini del nostro tempo, quasi fossero delle alternative reciproche, è errata. La Dei Verbum ci indica unʼaltra direzione”. E aggiunge: “Le indicazioni ci dicono che la “realtà della vita” per noi rilevante non è una qualsiasi realtà che ha a che fare con la vita; non è compito della statistica o dell’opinione riportata dalla stampa, ma si tratta della realtà della vita in obbedienza alla fede pienamente realizzata e vissuta (cfr. Rm 1,5), oppure – cristologicamente parlando – della sequela di Cristo. È vero: bisogna prendere sul serio le biografie degli uomini con i loro progressi, le loro crepe. Poiché anche noi cristiani non dobbiamo farci un’immagine illusoria della nostra vita. Dobbiamo affrontare la nostra realtà. E non lo facciamo fabbricando di essa una norma su come Dio dovrebbe vedere noi e il mondo, ma confrontando la nostra debole, fragile vita con il disegno divino, collocandola allʼinterno della “luce della fede” che nonostante non sappia tutto, sa illuminare tutto”.


In conclusione la Dei Verbum è un invito all’ascolto della Parola per la Chiesa e per gli uomini con con quel desiderio che i Padri espressero 50 anni fa: “che il tesoro della Rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre di più il cuore degli uomini”.




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Il “Rapporto sulla speranza” del card. Muller

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muller crocifissoCome avevamo già preannunciato in questi giorni (vedi QUI) è uscito in Spagna un libro-intervista al cardinale Gherard L. Muller, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. In attesa della pubblicazione dell’esortazione post-sinodale, presumibilmente tra il 4 e il 15 aprile, indichiamo di seguito alcuni passaggi rilevanti del libro di Muller così come sono stati pubblicati dal noto vaticanista Sandro Magister nel suo seguitissimo spazio web.

CHI PUO’ ACCEDERE ALL’EUCARISTIA?

Ci sono solo due sacramenti che costituiscono lo stato di grazia: il battesimo e il sacramento della riconciliazione. Quando uno ha perso la grazia santificante, necessita del sacramento della riconciliazione per ricuperare questo stato, non come merito proprio ma come regalo, come un dono che Dio gli offre nella forma sacramentale. L’accesso alla comunione eucaristica presuppone certamente la vita di grazia, presuppone la comunione nel corpo ecclesiale, presuppone anche una vita ordinata conforme al corpo ecclesiale per poter dire “Amen”. San Paolo insiste sul fatto che chi mangia il pane e beve il vino del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore (1 Cor 11. 27).

Se le cose stessero diversamente, potremmo cadere nella tentazione di concepire la vita cristiana nel modo delle realtà automatiche. Il perdono, per esempio, si convertirebbe in qualcosa di meccanico, quasi in una esigenza, non in una domanda che dipende anche da me, poiché io la devo realizzare. Io andrei, allora, alla comunione senza lo stato di grazia richiesto e senza accostarmi al sacramento della riconciliazione.

MORALE SESSUALE E “CHI SONO IO PER GIUDICARE?”

Dalla Sacra Scrittura si ricava il disordine intrinseco degli atti omosessuali, poiché non procedono da una vera complementarietà affettiva e sessuale. Si tratta di una questione molto complessa, per le numerose implicazione che sono emerse con forza negli ultimi anni. In ogni caso, la concezione antropologica che si ricava dalla Bibbia comporta alcune ineludibili esigenze morali e nello stesso tempo uno scrupoloso rispetto per la persona omosessuale.

…la Chiesa, con il suo magistero, ha la capacità di giudicare la moralità di certe situazioni. Questa è una verità indiscussa: Dio è il solo giudice che ci giudicherà alla fine dei tempi e il papa ed i vescovi hanno l’obbligo di presentare i criteri rivelati per questo giudizio finale che oggi già si anticipa nella nostra coscienza morale.
La Chiesa ha detto sempre “questo è vero, questo è falso” e nessuno può interpretare in modo soggettivista i comandamenti di Dio, le beatitudini, i concili, secondo i propri criteri, il proprio interesse o persino le proprie necessità, come se Dio fosse solo lo sfondo della sua autonomia. Il rapporto tra la coscienza personale e Dio è concreto e reale, illuminato dal magistero della Chiesa; la Chiesa possiede il diritto e l’obbligo di dichiarare che una dottrina è falsa, precisamente perché una tale dottrina devia la gente semplice dalla strada che porta a Dio.
A partire dalla rivoluzione francese, dai successivi regimi liberali e dai sistemi totalitari del secolo XX, l’obiettivo dei principali attacchi è sempre stato la visione cristiana dell’esistenza umana ed del suo destino. Quando non si poté vincere la sua resistenza, si permise il mantenimento di alcuni dei suoi elementi, ma non del cristianesimo nella sua sostanza; il risultato fu che il cristianesimo cessò di essere il criterio di tutta la realtà e si incoraggiarono le suddette posizioni soggettiviste.

Queste hanno origine in una nuova antropologia non cristiana e relativista che prescinde del concetto di verità: l’uomo odierno si vede obbligato a vivere perennemente nel dubbio. Di più: l’affermazione che la Chiesa non può giudicare situazioni personali si basa su una falsa soteriologia, cioè che l’uomo è il suo proprio salvatore e redentore.

CELIBATO SACERDOTALE

Il Concilio Vaticano II e altri documenti magisteriali più recenti insegnano una tale conformità o adeguazione interna tra celibato e sacerdozio che la Chiesa di rito latino non sente di avere la facoltà di cambiare questa dottrina con una decisione arbitraria che romperebbe con lo sviluppo progressivo, durato secoli, della regolamentazione canonica, a partire dal momento in cui è stato riconosciuto questo vincolo interno, anteriormente alla suddetta legislazione. Noi non possiamo rompere unilateralmente con tutta una serie di dichiarazioni di papi e di concili, come neppure con la ferma e continua adesione della Chiesa cattolica all’immagine del sacerdote celibe.

La crisi del celibato nella Chiesa cattolica latina è stato un tema ricorrente in momenti specialmente difficili nella Chiesa. Per citare qualche esempio, possiamo ricordare i tempi della riforma protestante, quelli della rivoluzione francese e, più recentemente, gli anni della rivoluzione sessuale, nei decenni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Ma se qualcosa possiamo imparare dallo studio della storia della Chiesa e delle sue istituzioni è che queste crisi hanno sempre mostrato e consolidato la bontà della dottrina del celibato.

SACERDOZIO FEMMINILE

Papa Francesco è stato chiaro, come anche i suoi predecessori. Al riguardo, ricordo che san Giovanni Paolo II, al n. 4 dell’esortazione apostolica “Ordinatio sacerdotalis” del 1994, rafforzò con il plurale maiestatico (“declaramus”), nell’unico documento nel quale quel papa utilizzò questa forma verbale, che è dottrina definitiva insegnata infallibilmente dal magistero ordinario universale (can. 750 § 2 CIC) il fatto che la Chiesa non ha autorità per ammettere le donne al sacerdozio.

Compete al Magistero decidere se una questione è dogmatica o disciplinare; in questo caso, la Chiesa ha già deciso che questa proposta è dogmatica e che, essendo di diritto divino, non può essere cambiata e nemmeno rivista. La si potrebbe giustificare con molte ragioni, come la fedeltà all’esempio del Signore o il carattere normativo della prassi multisecolare della Chiesa, tuttavia non credo che questa materia debba essere discussa di nuovo a fondo, poiché i documenti che la trattano espongono a sufficienza i motivi per respingere questa possibilità.

Non voglio mancare di segnalare che c’è una essenziale uguaglianza tra l’uomo e la donna nel piano della natura ed anche nel rapporto con Dio tramite la grazia (cfr. Gal 3, 28). Ma il sacerdozio implica una simbolizzazione sacramentale del rapporto di Cristo, capo o sposo, con la Chiesa, corpo o sposa. Le donne possono avere, senza nessun problema, più incarichi nella Chiesa: al riguardo, colgo volentieri l’occasione di ringraziare pubblicamente il numeroso gruppo di donne laiche e religiose, alcune della quali con qualificati titoli universitari, che prestano la loro indispensabile collaborazione nella congregazione per la dottrina della fede.

PROTESTANTIZZAZIONE DELLA CHIESA

Il teologo Karl-Heinz Menke dice il vero quando asserisce che la relativizzazione della verità e l’adozione acritica delle ideologia moderne sono l’ostacolo principale verso l’unione nella verità.

In questo senso,  una protestantizzazione della Chiesa cattolica a partire da una visione secolare senza riferimento alla trascendenza non soltanto non ci può riconciliare con i protestanti, ma nemmeno può consentire un incontro con il mistero di Cristo, poiché in Lui siamo depositari di una rivelazione sovrannaturale alla quale tutti noi dobbiamo la totale ubbidienza dell’intelletto e della volontà (cfr. “Dei Verbum”, 5).

Penso che i principi cattolici dell’ecumenismo, così come furono proposti e sviluppati dal decreto del Concilio Vaticano II, sono ancora pienamente validi (cfr. “Unitatis redintegratio”, 2-4). D’altra parte, il documento della congregazione per la dottrina della fede “Dominus Iesus”, dell’anno santo del 2000, incompreso da molti e ingiustamente rifiutato da altri, sono convinto che sia, senza alcun dubbio, la magna carta contro il relativismo cristologico ed ecclesiologico di questo momento di tanta confusione.






[Modificato da Caterina63 30/03/2016 16:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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