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Gli interventi del cardinale Muller

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2018 20:16
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16/05/2016 14:21
 
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Esercizi di lettura. La "Amoris laetitia" del cardinale Müller


In un monumentale discorso in Spagna, il prefetto della dottrina della fede riconduce l'esortazione postsinodale nell'alveo della disciplina precedente della Chiesa. Troppo tardi. Perché ormai Francesco l'ha scritta in modo da far capire il contrario 

di Sandro Magister




ROMA, 11 maggio 2016 – Con la "Amoris laetitia" sta accadendo nella Chiesa cattolica qualcosa di simile a quanto accadde mezzo secolo fa con la "Humanae vitae". A parti rovesciate.

L'enciclica di Paolo VI sulla procreazione era chiarissima. Ma teologi, vescovi e conferenze episcopali dissenzienti ne diffusero interpretazioni artificiose e fumose, al fine di far apparire lecito ciò che il papa proibiva.

L'esortazione postsinodale di Francesco sulla famiglia è stata scritta invece in forma volutamente vaga, consentendo a chiunque di leggervi ciò che desidera, in particolare sulla questione cruciale della comunione ai divorziati risposati. E tocca a teologi, vescovi e cardinali volonterosi affaticarsi a darne una lettura chiara ed univoca, in accordo con il magistero della Chiesa di sempre.

Tra questi, il più alto d'autorità è il cardinale Gerhard L. Müller, già vescovo di Ratisbona, curatore dell'opera omnia di Joseph Ratzinger e dal 2012 prefetto della congregazione per la dottrina della fede.

Già pochi giorni prima della pubblicazione della "Amoris laetitia" Müller aveva ribadito i punti fermi dai quali il magistero della Chiesa non si poteva discostare, in un libro uscito in Spagna dal titolo: "Informe sobre la esperanza":

> Come il cardinale Müller rilegge il papa (29.3.2016)

Ma ai primi di maggio, ad "Amoris laetitia" pubblicata, egli è tornato in Spagna, prima a Madrid poi a Oviedo, non solo per presentare il suo libro, ma soprattutto per dettare una lettura dell'esortazione papale rigorosamente aderente a ciò che vi si trova scritto.

Il cardinale Müller ha tenuto il suo lungo e argomentato discorso di illustrazione della "Amoris laetitia" nel seminario di Oviedo, il 4 maggio. E in quest'altra pagina web si può leggerlo integralmente così come l'ha pronunciato, in lingua spagnola:

> ¿Qué podemos esperar de la familia?

La traduzione italiana integrale è qui:

> Che cosa possiamo aspettarci dalla famiglia?

E qui quella in inglese:

> What can we expect from the family?


Mentre qui c'è quella in lingua tedesca, pubblicata in Germania da "Die Tagespost" e corredata da una decina di note:

> Was dürfen wir von der Familie erwarten?

Qui di seguito sono invece riprodotte le parti centrale e finale del discorso.

Leggendolo, si vedrà come Müller interpreta le ambiguità della "Amoris laetitia" non come un via libera a cambiamenti della dottrina e della prassi, ma al contrario come la prova che papa Francesco non ha inteso in alcun modo rompere con la precedente disciplina, perché se davvero "avesse voluto cancellare una disciplina tanto radicata e di tanta rilevanza l'avrebbe detto con chiarezza e presentando ragioni a sostegno", cosa che non ha fatto.

Quanto all'ormai famosa nota 351, su cui fanno leva i fautori della comunione ai divorziati risposati, Müller mostra come essa non tocchi affatto il caso specifico.

E quanto al "discernimento" per esaminare se una persona è o no colpevole soggettivamente e grazie a ciò ammetterla o no alla comunione, dice:

"L'economia dei sacramenti è un'economia di segni visibili, non di disposizioni interne o di colpevolezza soggettiva. Una privatizzazione dell'economia sacramentale certamente non sarebbe cattolica".

Ma l'elemento portante dell'intero discorso è la sua architettura dottrinale e teologica. Dice il cardinale:

"Il principio di fondo è che nessuno può veramente desiderare un sacramento, quello dell'eucaristia, senza desiderare anche di vivere in accordo con gli altri sacramenti, tra cui quello del matrimonio. […] Cambiare la disciplina in questo punto concreto, ammettendo una contraddizione tra l'eucaristia e il matrimonio, significherebbe necessariamente cambiare la professione di fede della Chiesa, che insegna e realizza l'armonia tra tutti i sacramenti, tale e quale l'ha ricevuta da Gesù. Su questa fede nel matrimonio indissolubile, non come ideale lontano ma come realtà concreta, è stato versato sangue di martiri".

Colpisce che un discorso di tale portata il cardinale Müller l'abbia pronunciato non a Roma ma in Spagna e senza che abbia avuto particolare pubblicità. "L'Osservatore Romano" l'ha del tutto ignorato.

Perché agli effetti pratici il suo impatto è minimo. Come marginale, irrilevante, è ormai il ruolo del prefetto della congregazione per la dottrina della fede.

Con Francesco è cambiata infatti la forma del magistero papale.

La chiarissima "Humanae vitae" di Paolo VI fu travolta dalle fumosità di vescovi e cardinali dissenzienti.

Mentre invece la "Amoris laetitia" è vittoriosa proprio grazie alla sua calcolata vaghezza. Perché a tutti i livelli della Chiesa come nella pubblica opinione è ormai passato ciò che non vi è scritto a chiare lettere, ma è solo fatto intuire.

__________



Che cosa possiamo aspettarci dalla famiglia?

Una cultura di speranza per la famiglia, partendo dalla "Amoris laetitia"
 
di Gerhard L. Müller

 
Introduzione

[…]


1. Chiesa e famiglia: l'arca di Noè

[…]


2. L'architettura dell'arca: l'amore di Cristo vissuto nella famiglia

[…] Il papa insiste sul fatto che la pastorale matrimoniale deve essere “una pastorale del vincolo” (AL 211). Dinanzi a una pastorale emotiva, che cerchi soltanto di incoraggiare i sentimenti o accontentarsi di esperienze intimiste dell'incontro con Dio, una pastorale del vincolo è una pastorale che prepara al “sì per sempre”. La preparazione al matrimonio prende luce da qui: accompagnando le tappe del fidanzamento affinché i giovani imparino a dire "sì, voglio" e accolgano il progetto che Dio ha per loro. Coltivando il vincolo, l'amore esce da sé stesso, supera il sentimento fluttuante, diventa forte per sostenere la società ed accogliere i figli. Si tratta di dare una dimora alla famiglia, della quale il vincolo matrimoniale è la chiave di volta. Nel vincolo si supera l'individualismo degli sposi o della coppia e si crea una cultura della famiglia, un ambiente dove l'amore può fiorire, l'arca di Noè per navigare insieme nel diluvio della postmodernità liquida. Agli sposi la Chiesa garantisce che, in ogni occasione, in qualsiasi situazione si trovino, veglierà su questo vincolo, lo renderà stabile e lo proteggerà affinché resti vivo, affinché possiate sempre tornare ad esso, perché in esso sta la vostra più profonda vocazione.

Bisogna capire da qui l'insistenza di papa Francesco su quello che lui chiama "ideale cristiano". Alcuni hanno interpretato questo ideale come un obiettivo lontano, solo per pochi. Ma non è questo il pensiero di Francesco. Il papa non è platonico! Tutto il contrario, per lui il cristianesimo tocca la carne dell'uomo (cf. "Evangelii gaudium" 88, 233). Lo si vede chiaramente quando Francesco ci avverte che non dobbiamo presentare "un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono" (AL 36). Qui il papa stesso nega che l'ideale sia astratto e artificioso. 

Di che cosa ci parla allora il papa quando fa riferimento all'ideale del matrimonio? Nella Chiesa l'ideale è sempre l'ideale incarnato, perché il Verbo, il Logos, si è fatto carne e accompagna la sua vita nei sacramenti. Questa presenza viva e trasformatrice dell'amore pieno di Gesù si trova precisamente nei sacramenti, che contengono in sé l'architettura dell'arca di Noè. La "Amoris laetitia", infatti, parla in diverse occasioni del rapporto tra l'iniziazione cristiana e la vita matrimoniale (AL 84, 192, 206-207, 279) e del nesso tra eucaristia e matrimonio (AL 318). Potremmo concludere che ogni famiglia e tutta la Chiesa si fondano su questa cultura dell'amore di Gesù, che è custodita nell'economia dei sacramenti. Questi rimangono segno vivo di Cristo per generare la sua stessa vita tra gli uomini. Costituiscono l'architettura dell'arca, quell'arca le cui misure furono dettate da Dio.

Il nostro tempo, pieno di desideri liquidi, ha bisogno, come dicevo prima, di una dimora dell'amore, di una cultura dell'amore. La Chiesa promuove questa cultura dell'amore precisamente nei suoi sacramenti, che la costituiscono. Essa potrà offrire speranza agli uomini, a tutti, anche ai lontani, se si mantiene fedele a questa dimora che ha ricevuto da Dio e mentre promuove questa cultura comune dell'amore di Cristo, confessata nei segni sacramentali, che sono l'architettura della nave che ci fa approdare nel buon porto.

L'immagine dell'arca di Noè, della Chiesa che naviga e porta la speranza in mezzo al mondo, è unita al numero otto che simboleggiava sin dai primi tempi l'ottavo giorno, il giorno della risurrezione di Cristo, l'inizio del mondo futuro. In questo modo si insisteva sul fatto che la Chiesa non cammina soltanto verso una lontana pienezza, bensì che in lei questa pienezza dell'amore è già stata inaugurata. Si, è possibile vivere l'amore di cui ci parla san Paolo nel suo inno e per questo non dobbiamo aspettare la fine dei tempi. Questo amore possiamo viverlo adesso, perché la Chiesa, nei suoi sacramenti, mantiene viva ed efficace, come dono originario di Cristo, la dimora che accoglie, sostiene e dona vigore alle nostre povere forze.


3. Accogliere nell'arca i più lontani: accompagnare, discernere, integrare

Partendo da questo grande orizzonte della cultura dell'amore, possiamo affrontare una domanda alla quale il papa ha dedicato la sua attenzione nella "Amoris laetitia": come dare speranza a quanti vivono lontani e, specialmente, a quanti hanno vissuto il dramma e la ferita di una seconda unione civile dopo un divorzio? Sono quelli che, per dirla così, sono naufragati nel diluvio della postmodernità liquida e hanno dimenticato quella promessa sponsale per la quale sigillarono in Cristo un amore per sempre. Possono ritornare nell'arca di Noè, costruita sull'amore di Cristo, e sfuggire al diluvio? In tre parole il papa ci ha indicato la via per questo compito della Chiesa: accompagnare, discernere, integrare (AL 291-292). Partendo da esse si può leggere il capitolo ottavo della "Amoris laetitia". 


3.1. Accompagnare: l'arca che galleggia e naviga

Si tratta, anzitutto, di accompagnare. Questi battezzati non sono esclusi dalla Chiesa. Al contrario, la Chiesa, nuova arca di Noè, li accoglie, anche se la loro vita non corrisponde alle parole di Gesù. Questa capacità di accoglienza è descritta da sant'Agostino stabilendo una distinzione, sempre riguardo all'arca di Noè come immagine della Chiesa. In primo luogo, nell'arca non furono ammessi soltanto gli animali puri secondo la Legge. Questo significava per Agostino che la Chiesa accoglie nel suo seno giusti e peccatori sotto un medesimo tetto; che è fatta di uomini che cadono e si rialzano, che devono pronunciare, all'inizio di ogni messa: “Io confesso”. In questo modo, la Chiesa cattolica si distacca dalla visione donatista, che prospettava una "Chiesa dei puri", nella quale non c'era posto per il peccatore. Dio separerà il grano dalla zizzania soltanto alla fine dei tempi, compresa la zizzania che germoglia in ogni credente. 

Ebbene, dice sant'Agostino, tutti questi animali, puri ed impuri, passarono sotto la stessa porta ed abitarono in una stessa dimora, con le stesse pareti e lo stesso tetto. Qui il vescovo d'Ippona fa riferimento ai sacramenti, con il battesimo come porta, e con il cambiamento di vita che chiedono a quanti vogliono riceverli, abbandonando il peccato. In questa armonia tra i sacramenti e la vita visibile dei cristiani, dice sant'Agostino, la Chiesa pone davanti al mondo la testimonianza non soltanto di come visse Gesù, ma di come sono chiamati a vivere i membri del corpo di Gesù. La coerenza tra i sacramenti e il modo di vita dei cristiani assicura, dunque, che la cultura sacramentale nella quale vive la Chiesa e che essa propone al mondo resti abitabile. Soltanto così può ricevere i peccatori, accogliendoli con premura ed invitandoli a un cammino concreto affinché superino il peccato. Ciò che la Chiesa non deve mai abbandonare è l'architettura dei sacramenti, pena la perdita del dono originario che la sostiene e l'oscuramento dell'amore di Gesù e del modo con cui questo amore trasforma la vita cristiana. È proprio assimilando questa struttura sacramentale che la Chiesa evita i due modi possibili di diventare una "Chiesa dei puri", l'esclusione dei peccatori e l'esclusione del peccato.

Dunque, il primo elemento chiave per questo cammino di accompagnamento è l'armonia tra la celebrazione sacramentale e la vita cristiana. Questa è la ragione della disciplina eucaristica che la Chiesa ha mantenuto sin dalle sue origini. Grazie ad essa la Chiesa può essere una comunità che accompagna, accoglie il peccatore senza per questo benedire il peccato e così offre la base affinché sia possibile un percorso di discernimento ed integrazione. San Giovanni Paolo II confermò questa disciplina nella "Familiaris consortio" 84 e nella "Reconciliatio et poenitentia" 34; la congregazione per la dottrina della fede, a sua volta, lo affermò nel suo documento del 1994; Benedetto XVI l'approfondì nella "Sacramentum caritatis" 29. Si tratta di un insegnamento magisteriale consolidato, appoggiato sulla Scrittura e fondato su una ragione dottrinale: l'armonia salvifica dei sacramenti, cuore della "cultura del vincolo" che vive la Chiesa. 

Alcuni hanno affermato che la "Amoris laetitia" ha eliminato questa disciplina e ha permesso, almeno in alcuni casi, che i divorziati risposati possano ricevere l'eucaristia senza la necessità di trasformare il loro modo di vita secondo quanto indicato in FC 84, cioè abbandonando la nuova unione o vivendo in essa come fratello e sorella. A questo bisogna rispondere che se la "Amoris laetitia" avesse voluto cancellare una disciplina tanto radicata e di tanta rilevanza l'avrebbe detto con chiarezza e presentando ragioni a sostegno. Invece non vi è alcuna affermazione in questo senso; né il papa mette in dubbio, in nessun momento, gli argomenti presentati dai suoi predecessori, che non si basano sulla colpevolezza soggettiva di questi nostri fratelli, bensì sul loro modo visibile, oggettivo, di vita, contrario alla parole di Cristo.

Ma non si trova questa svolta – obiettano alcuni – in una nota a piè di pagina in cui si dice che, in alcuni casi, la Chiesa potrebbe offrire l'aiuto dei sacramenti a chi vive in situazione oggettiva di peccato (n. 351)? Senza entrare in un'analisi dettagliata, basta dire che questa nota fa riferimento a situazioni oggettive di peccato in generale, senza citare il caso specifico dei divorziati in nuova unione civile. La situazione di questi ultimi, effettivamente, ha caratteristiche particolari che la distinguono da altre situazioni. Questi divorziati vivono in contrasto con il sacramento del matrimonio e, dunque, con l'economia dei sacramenti, il cui centro è l'eucaristia. Questa è, infatti, la ragione richiamata dal precedente magistero per giustificare la disciplina eucaristica di FC 84; un argomento che non è presente nella nota né nel suo contesto. Ciò che afferma, dunque, la nota 351 non tocca la disciplina precedente: è sempre valida la norma di FC 84 e di SC 29 e la sua applicazione in ogni caso. 

Il principio di fondo è che nessuno può veramente desiderare un sacramento, quello dell'eucaristia, senza desiderare anche di vivere in accordo con gli altri sacramenti, tra cui quello del matrimonio. Chi vive in contrasto col vincolo matrimoniale si oppone al segno visibile del sacramento del matrimonio; in ciò che tocca la sua esistenza corporea, anche se dopo soggettivamente non fosse colpevole, egli si rende "anti-segno" dell'indissolubilità. E precisamente perché la sua vita corporea è contraria al segno, non può formare parte, ricevendo la comunione, del supremo segno eucaristico, dove si rivela l'amore incarnato di Gesù. La Chiesa, se lo ammettesse, cadrebbe in quello che san Tommaso d'Aquino chiamava la "falsità nei segni sacramentali". E non siamo dinanzi a una conclusione dottrinale eccessiva, bensì dinanzi alla base stessa della costituzione sacramentale della Chiesa, che abbiamo paragonato all'architettura dell'arca di Noè. È un'architettura che la Chiesa non può modificare perché viene da Gesù stesso; perché essa, la Chiesa, nasce da qui, e qui si appoggia per navigare nelle acque del diluvio. Cambiare la disciplina in questo punto concreto, ammettendo una contraddizione tra l'eucaristia e il matrimonio, significherebbe necessariamente cambiare la professione di fede della Chiesa, che insegna e realizza l'armonia tra tutti i sacramenti, tale e quale l'ha ricevuta da Gesù. Su questa fede nel matrimonio indissolubile, non come ideale lontano ma come realtà concreta, è stato versato sangue di martiri.

Qualcuno potrebbe insistere: non ha poca misericordia Francesco se non compie questo passo? Non è troppo chiedere a queste persone che camminino verso una vita conforme alla Parola di Gesù? Succede piuttosto il contrario. Diremmo, utilizzando l'immagine dell'arca, che Francesco, sensibile alla situazione di diluvio vissuta dal mondo attuale, ha aperto tutte le finestre possibili della nave e ci ha tutti invitati a lanciare corde dalle finestre per trarre dentro nella barca l'uomo naufrago. Ma permettere, sia pure soltanto in alcuni casi, che si dia la comunione a chi tiene visibilmente un modo di vita contrario al sacramento del matrimonio non sarebbe aprire una finestra in più, ma aprire una breccia nel fondo della nave, lasciando che vi entri il mare e mettendo in pericolo la navigazione di tutti e il servizio della Chiesa alla società. Più che una via d'integrazione sarebbe una via di disintegrazione dell'arca ecclesiale, una via d'acqua. Nel rispettare questa disciplina, quindi, non solo non si pone un limite alla capacità della Chiesa di salvare la famiglie, ma si assicura anche la stabilità della nave e la sua capacità per portarci in un buon porto. L'architettura dell'arca è necessaria proprio perché la Chiesa non permetta che nessuno si blocchi in una condizione contraria alla parola di vita eterna di Gesù, cioè, perché la Chiesa non condanni “eternamente nessuno” (cf. AL 296-297). 

Nel preservare l'architettura dell'arca si preserva, potremmo dire, la nostra casa comune che è la Chiesa, stabilita sull'amore di Gesù; si preserva la cultura o l'ambiente della famiglia, decisiva per tutta la sua pastorale familiare e il suo servizio alla società. In questo modo ritorniamo a quello che abbiamo considerato il punto centrale della speranza della Chiesa per la famiglia: la necessità di creare una cultura della famiglia, di offrire una dimora al desiderio e all'amore. Si tratta di animare una “cultura del vincolo”, parallela alla “pastorale del vincolo” di cui parla il papa; cultura che oggi, nella società postmoderna, soltanto la Chiesa cattolica genera. Qui vediamo che questa disciplina della Chiesa ha un enorme valore pastorale.

Abbiamo discusso molto in questi anni sulla possibilità di dare la comunione ai divorziati in una nuova unione civile. All'inizio della "Amoris laetitia" il papa ha ricordato alcune posizioni eccessive che sono state affacciate. Gli argomenti sono stati molti e molto vari, con il rischio di perdersi in selve intricate di casistiche. Cerchiamo per un attimo di prendere un poco di distanza e guardare la questione in prospettiva, dimenticando i dettagli. Se la Chiesa ammettesse alla comunione i divorziati che vivono in una nuova unione senza chiedere loro un cambio di vita, lasciando che continuino nella loro situazione, non dovrebbe dire semplicemente che ha accettato il divorzio in certi casi? Certamente, non lo avrà accettato per iscritto, continuerà ad affermare [l'indissolubilità] come ideale, ma non la ammette come ideale anche la nostra società? In che cosa la Chiesa sarebbe diversa allora? Potrebbe dire che è ancora fedele alle parole di Gesù, parole chiare, che allora suonarono dure? Non furono queste parole contrarie alla cultura e alla prassi del suo tempo, permissive con un divorzio caso per caso per adattarsi alla fragilità dell'uomo? In pratica, l'indissolubilità del matrimonio rimarrebbe come un bel principio, perché comunque non sarebbe confessata nell'eucaristia, il vero luogo dove si professano le verità cristiane che toccano la vita e danno forma alla testimonianza pubblica della Chiesa.

Dobbiamo chiederci: non abbiamo considerato questo problema troppo dal punto di vista dei singoli individui? Tutti possiamo capire il desiderio di accedere alla comunione di questi nostri fratelli e le difficoltà che hanno ad abbandonare la loro unione o a vivere in essa in un altro modo. Dal punto di vista di ognuna di queste storie, potremmo pensare: che cosa ci costa, in fondo, lasciare che si comunichino? Abbiamo dimenticato, mi sembra, di guardare le cose da un più ampio orizzonte, dalla Chiesa come comunione, dal suo bene comune. Perché da una parte il matrimonio ha un carattere intrinsecamente sociale. Cambiare il matrimonio per alcuni casi significa cambiarlo per tutti. Se vi sono alcuni casi in cui non è importante vivere contro il vincolo sacramentale, non bisognerebbe dire ai giovani che vogliono sposarsi che queste eccezioni valgono anche per loro? Non penetrerà poi questa idea anche anche in quelle coppie che lottano per rimanere unite ma soffrono il peso del cammino e la tentazione di abbandonare? Inoltre, da un altro lato, l'eucaristia ha anche una struttura sociale (cf. AL 185-186), non dipende soltanto dalle mie condizioni soggettive, ma anche da come mi relaziono con gli altri dentro il corpo della Chiesa, perché la Chiesa nasce dall'eucaristia. Intendere il matrimonio e l'eucaristia come atti individuali, senza prendere in considerazione il bene comune della Chiesa, finisce per dissolvere la cultura della famiglia, come se Noè, nel vedere tanti naufraghi attorno alla nave, smontasse fondo e pareti per dare a ciascuno una tavola. La Chiesa perderebbe la sua essenza comunionale, fondata nell'ontologia dei sacramenti, e diventerebbe una congerie di individui che galleggiano senza meta in balia delle onde.

In realtà, i divorziati in una nuova unione civile che si astengono dall'accostarsi all'eucaristia e camminano per poter rigenerare il loro desiderio in conformità ad essa, stanno proteggendo la dimora della Chiesa, la nostra casa comune. E anche per loro stessi è un bene mantenere intatte le pareti dell'arca, della dimora dove è contenuto il segno dell'amore di Gesù. Così la Chiesa può ricordare loro: "Non ti fermare, c'è possibilità anche per te, non sei escluso dal ritorno all'alleanza sacramentale che hai contratto, anche se ci vorrà tempo; puoi vivere, con la forza di Dio, in fedeltà ad essa". E se qualcuno dice che questo è impossibile, ricordiamo le parole della "Amoris laetitia": “Sicuramente è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo” (AL 102). Dunque, nessuno si senta escluso dal cammino verso la vita grande di Gesù. Il desiderio di ricevere la comunione può condurre, con l'aiuto del pastore (e qui si apre la via del discernimento) a una rigenerazione del desiderio, affinché ritroviamo in noi la sete di vivere secondo le parole del Signore.

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(apriamo una parentesi per ricordare le parole di Benedetto XVI all'incontro con le Famiglie a Milano 2 giugno 2012 e di come il pensiero sia unico, in tal senso da Benedetto, a Francesco e in Muller)

In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino. E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno.  

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Insomma, il papa nell'esortazione ci avverte contro due deviazioni. Ci sono quelli che vogliono condannare e si accontentano di un immobilismo che non apre nuove vie affinché queste persone possano rigenerare il loro cuore. E dell'altra parte ci sono quelli che vedono la soluzione nel trovare eccezioni in diversi casi, rinunciando a rigenerare il cuore delle persone. Non sarebbe necessario elevarsi sopra tutto questo e prendere un altro punto di vista? Questo punto di vista è quello della comunione ecclesiale, quello del bene comune della Chiesa, quello di mantenere vivo nel suo centro, come cultura della famiglia, la vita stessa di Cristo che ci anima nei sacramenti. Se demoliamo la struttura dell'arca di Noè, come possiamo essere sicuri che si manterrà a galla e che non colerà a picco la speranza cristiana per tutte la famiglie?


3.2. Discernere e integrare

Dentro questa cultura della famiglia, che si poggia sull'architettura dell'arca, possiamo allora chiederci: quali sono le nuove vie che la "Amoris laetitia" ci invita ad aprire? Il papa riflette su di esse esortandoci a discernere e integrare.

Interroghiamoci anzitutto sul discernimento. Alcuni hanno interpretato che il papa, dicendo che bisogna tener più conto delle circostanze attenuanti, stia chiedendo che il discernimento si fondi su queste, come se ciò consistesse nell'esaminare se la persona è o no colpevole soggettivamente. Ma questo discernimento sarebbe alla fin fine impossibile, poiché soltanto Dio scruta i cuori. Inoltre, l'economia dei sacramenti è un'economia di segni visibili, non di disposizioni interne o di colpevolezza soggettiva. Una privatizzazione dell'economia sacramentale certamente non sarebbe cattolica. Non si tratta di discernere una mera disposizione interiore, bensì, come dice san Paolo, di "discernere il corpo" (cf. AL 185-186), le visibili relazioni concrete nelle quali viviamo.

E ciò significa che la Chiesa non ci lascia da soli dinanzi a questo discernimento. Il testo della "Amoris laetitia" ci indica i criteri chiave per arrivarne a capo. Il primo consiste nella meta che si vuole nel discernere. È la meta che la Chiesa annuncia per tutti, in qualsiasi caso e situazione, e che non deve essere taciuta per rispetto umano né per paura di scontrarsi con la mentalità del mondo, come ricorda il papa (AL 307). Consiste nel tornare alla fedeltà del vincolo matrimoniale, rientrando così di nuovo in quella dimora o arca che la misericordia di Dio ha offerto all'amore e al desiderio dell'uomo. Tutto il processo si indirizza, passo dopo passo, con pazienza e misericordia, a rinascere e a guarire la ferita della quale soffrono questi fratelli, che non è il fallimento del matrimonio precedente, bensì la nuova unione stabilita.

Il discernimento è necessario, quindi, non per scegliere la meta, ma per scegliere il cammino. Avendo chiaramente in mente dove vogliamo portare la persona (la vita piena che Gesù ci ha promesso) si possono discernere le vie affinché ognuno, nel suo caso particolare, possa arrivare li. E qui entra, come secondo criterio, la logica dei piccoli passi di crescita, dei quali anche il papa parla (AL 305). La chiave è che questi divorziati rinuncino a stabilirsi nella loro situazione, che non facciamo pace con la nuova unione nella quale vivono, che siano pronti ad illuminarla alla luce delle parole di Gesù. Tutto ciò che porti ad abbandonare questo modo di vivere è un piccolo passo di crescita che bisogna promuovere e animare. 

Veramente, chi desidera cibarsi di Gesù nell'eucaristia avrà anche il desiderio, usando l'immagine biblica, di cibarsi delle sue parole, di assimilarle nella sua vita. O meglio, come dice Sant'Agostino, avrà il desiderio di essere assimilato ad esse. Perché non è Gesù che si adegua al nostro desiderio, ma è il nostro desiderio che è chiamato a conformarsi a Gesù, per trovare in lui la sua piena realizzazione.
 
Da qui possiamo passare alla terza parola, "integrare", ed esaminare le nuove vie che la "Amoris laetitia" apre per i divorziati in una nuova unione. Il papa ci chiede, seguendo il sinodo, di sviluppare un percorso che deve essere realizzato in ogni diocesi sotto la guida del vescovo e secondo l'insegnamento della Chiesa (AL 300). Questo dovrebbe farsi, se possibile, con una équipe di pastori qualificati ed esperti.

È essenziale che nel percorso si annunci la parola di Dio, specialmente in ciò che riguarda il matrimonio (AL 297). Così, questi battezzati faranno man mano luce su questa seconda unione che hanno iniziato e nella quale vivono. Si aprirebbe qui anche la possibilità di rivedere un'eventuale nullità del matrimonio sacramentale, secondo le nuove norme emanate dal papa.

In questo cammino troviamo anche un'altra novità, aperta dal Papa nella "Amoris laetitia". Senza cambiare la normativa canonica generale, il papa ammette che possano esservi eccezioni riguardo all'assunzione da parte di questi divorziati di alcune cariche pubbliche ecclesiali. Il criterio è, come ho indicato prima, il cammino di crescita concreta della persona verso la guarigione.

Lungo tutto questo percorso è bene ricordare che i sacramenti non sono soltanto una celebrazione puntuale, bensì un cammino: chi inizia a muoversi verso la penitenza si trova già in un processo sacramentale, non è escluso dalla struttura sacramentale della Chiesa, già riceve in un certo modo l'aiuto dei sacramenti. Di nuovo, l'importante è essere disponibili a lasciarsi trasformare da Gesù, anche se si sa che il cammino sarà lungo, e a lasciarsi accompagnare in questo cammino. Ciò che muove il pastore è il desiderio di introdurre la persona nella cultura del vincolo, offrendo una dimora al suo desiderio, affinché possa rigenerarsi secondo le parole del Signore.

Il papa ci invita a intraprendere un percorso; questa è la chiave. La comunione eucaristica sarà nell'orizzonte finale e arriverà nel momento voluto da Dio, poiché è Lui che agisce nella vita dei battezzati, aiutandoli a rigenerare i loro desideri in conformità al Vangelo. Iniziamo passo per passo, aiutandoli a partecipare alla vita della Chiesa, finché raggiungano “la pienezza del piano di Dio in loro” (AL 297).

Concludo. Nelle acque della postmodernità liquida, la Chiesa può offrire una speranza a tutte la famiglie e a tutta la società, come l'arca di Noè. Essa riconosce la debolezza e la necessità di conversione dei suoi membri. Appunto per questo è chiamata a mantenere, nel medesimo tempo, la concreta presenza in essa dell'amore di Gesù, vivo ed efficace nei sacramenti, che danno all'arca la sua struttura e dinamismo, facendola capace di solcare le acque. La chiave è sviluppare, e la sfida non è piccola, una “cultura ecclesiale della famiglia” che sia “cultura del vincolo sacramentale”. 

San Giovanni Crisostomo dice che l'arca di Noè si differenzia dalla Chiesa in un dettaglio importante. L'antica arca accolse nel suo seno gli animali irrazionali, "alogos", e li ha  mantenuti sempre irrazionali. La Chiesa, invece, riceve anche l'uomo che, a causa del peccato, ha perso il Logos, la ragione, ed è pertanto "irrazionale", cammina senza la luce dell'amore. Ma precisamente perché la Chiesa ha l'ambiente vitale del corpo di Cristo, perché preserva l'armonia dei sacramenti, essa, a differenza dell'arca di Noè, è capace di rigenerare l'uomo, di conformare il cuore umano al Verbo (Logos) di Gesù. In essa gli uomini entrano "irrazionali" ed escono "razionali", cioè pronti a vivere secondo la luce di Cristo, secondo il suo amore che "tutto spera" e "che dura per sempre".


(Traduzione dall'originale spagnolo di Helena Faccia Serrano, Alcalá de Henares, España).

 


[Modificato da Caterina63 16/05/2016 15:09]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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