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Gli interventi del cardinale Muller

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2018 20:16
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11/11/2017 09:54
 
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  • AMORIS LAETITIA/L'INTERVISTA

Müller: "Mai detto di eccezioni sulla comunione ai risposati"

«Nessun cambiamento e nessuna demolizione dei Dubia. L'unico modo di interpretare Amoris Laetitia è in continuità con la Tradizione e il Magistero precedente». Così il cardinale Gerhard Müller smentisce alla Nuova BQ le interpretazioni apparse in questi giorni che gli attribuiscono un'apertura sull'accesso all'Eucarestia dei "divorziati risposati". E sdogana i Dubia: "Legittimi e autorevoli"

Il cardinale Müller

«No, nessun cambiamento e nessuna demolizione dei Dubia. Lo scopo del mio intervento è solo affermare che l’unico modo di interpretare Amoris Laetitia è in continuità con il Verbo di Dio nella Bibbia, il Magistero precedente, con la Tradizione dei grandi Concili di Firenze, Trento e Vaticano II». Al telefono il cardinale Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, prende subito le distanze dalle interpretazioni parziali di alcune testate che gli attribuiscono un’apertura sull’accesso all’Eucarestia dei “divorziati risposati”.

La vicenda nasce dal breve saggio con cui il cardinale Müller introduce il libro scritto da Rocco Buttiglione “Risposte amichevoli ai critici di Amoris Laetitia” (editrice Ares, in uscita oggi, 10 novembre) che, secondo le anticipazioni di Vatican Insider, sosterrebbe l’apertura della via ai sacramenti per i “divorziati risposati”, ma si dovrebbe dire – precisa il cardinale Müller –  «battezzati in un matrimonio legittimo sacramentale che vivono more uxorio con un partner che non è il proprio legittimo sposo o sposa».

Sempre secondo queste interpretazioni, il testo del cardinale Müller smentirebbe perciò la posizione dei cardinali dei Dubia. «Niente affatto – replica l’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede -. I Dubia sono autorevoli, chiaramente legittimi, io ho dato una risposta che non è contro nessuna persona. Il mio testo è chiaro su questo. Una interpretazione corretta dice che Amoris Laetitia si può e si deve interpretare ortodossamente nell’unità della tradizione cattolica. Purtroppo alcuni hanno sempre una visione “partitica”, pro o contro il Papa come se la Chiesa fosse un partito politico. Il senso del mio intervento non è di continuare con le polemiche ma di superarle e di parlare teologicamente su questi temi. Non si tratta di avere ragione a ogni costo ma di rendere onore alla Verità rivelata. Vorrei che le mie riflessioni facessero uscire da questa visione riduttiva: il tema è la Verità, ciò che ha detto Gesù Cristo, non il Papa o i cardinali. E quanto al Papa bisogna ben distinguere ciò che è scritto in documenti magisteriali, in cui è maestro di fede, da quelle che possono essere opinioni, commenti e perfino intenzioni, che essendo argomentazioni private, non hanno alcuna rilevanza per la fede divina e cattolica. In ogni caso, l’unico criterio di giudizio è ciò che ha detto Gesù Cristo. Non parliamo dei divorziati risposati, ma del matrimonio legittimo sacramentale davanti a Dio oppure non valido. E in questo caso, come aiutare queste coppie che vivono more uxorio senza essere sposate validamente davanti a Dio?».

Tocchiamo quindi la questione dell’indissolubilità del matrimonio. In questi giorni le viene attribuita la convinzione che ci possano essere alcune eccezioni.
Nessuna eccezione, questo è un concetto falso. Io ho dato una spiegazione teologica chiara, senza nessuna possibilità di malintesi. Vorrei pacificare la situazione e non alimentare polemiche tra gruppi contrapposti.
Allora deve essere chiaro che quando si tratta di un legittimo matrimonio sacramentale non ci possono essere eccezioni. I sacramenti sono efficaci ex opere operato. Cosi non ci sono eccezioni nella validità del battesimo o della transustanziazione del pane nel Corpo di Cristo.

Però nel saggio di Buttiglione si fa riferimento ad alcune situazioni molto particolari in cui ci sarebbe una colpa veniale, per cui dovrebbe essere possibile essere assolti e ricevere i sacramenti seppur mantenendo lo stato della seconda unione.
Nella mia introduzione è scritto molto chiaramente che è necessaria la riconciliazione, e questa è possibile soltanto se prima c’è contrizione e proposito di non commettere più il peccato. Certe persone che affrontano questi argomenti non capiscono che accostarsi al sacramento della Riconciliazione non significa automaticamente assoluzione. Ci sono elementi essenziali senza cui non si realizza la riconciliazione. Se non c’è contrizione non ci può essere assoluzione e se non c’è assoluzione, se uno rimane in stato di peccato mortale, non può ricevere la comunione.
Quanto a Buttiglione, egli fa anche riferimento a situazioni in cui è un problema la conoscenza della fede cattolica. Sono casi di cristiani non coscienti, battezzati ma non credenti, che magari sono andati a sposarsi in chiesa per far contenta la nonna, ma senza una reale coscienza. Qui diventa un problema quando dopo tanti anni si riaccostano alla fede e allora rimettono in discussione quel matrimonio. Ci sono molti casi del genere, anche Benedetto XVI si era posto il problema. Quindi, cosa fare? In questo senso si può dire con il Papa che c’è bisogno di discernimento, ma questo non significa che si possa ammettere ai sacramenti senza le condizioni di cui sopra. Il tema qui non riguarda la indissolubilità del matrimonio sacramentale, ma la validità di tanti matrimoni, che non sono realmente validi.

Anche lei però, nel suo testo, fa riferimento a casi di persone che si convertono o tornano alla fede dopo che già si è realizzata una seconda unione, e quanto ai sacramenti parla di decisione in foro interno. Cosa vuol dire?
Mentre da noi in Europa le cose sono abbastanza chiare perlomeno teoricamente, in molti paesi ci sono tante situazioni difficili da giudicare. In America Latina, ad esempio, ci sono tanti matrimoni che non sono celebrati in forma canonica, ci sono coppie che vivono insieme ma non si sa neanche se c’è un effettivo consenso al matrimonio. Sono stato recentemente ad Haiti e lì la situazione è disastrosa, tutti si chiamano sposi, vivono insieme, ma non sono formalmente sposati né in chiesa né civilmente. Quando alcuni maturano, cominciano ad andare in chiesa, a quel punto si deve stabilire chi sia il vero sposo o sposa. E qui è importante che la persona sia onesta e dica con sincerità con chi ha espresso il vero consenso, perché è il consenso che fa il matrimonio, non solo la forma canonica. In ogni caso, per l’ammissione ai sacramenti, è il parroco o il vescovo che deve chiarire la situazione in cooperazione con la libertà dei fedeli. Ma ci sono anche situazioni rovesciate.

Cioè?
Ci sono particolari circostanze, ad esempio in regimi che perseguitano la Chiesa, dove non è possibile sposarsi canonicamente. Facciamo l’esempio della Corea del Nord: i pochi cattolici presenti hanno comunque il diritto di sposarsi, e qui il matrimonio è possibile solo con il consenso. Ma se nel tempo accade qualcosa e i due si separano, e si vogliono risposare, allora tutto dipende dal foro interno, dalla loro onestà nel riconoscere se un consenso c’è stato oppure no, e lo devono esprimere al prete oppure al nuovo sposo o sposa.

È qui che entra in gioco la coscienza.
Sì, ma la coscienza va intesa correttamente, non come la spiegano certi giornalisti che annacquano la verità. Parliamo di una coscienza retta, che non può dire “io non devo rispettare la legge di Dio”. La coscienza non libera dalla legge di Dio ma ci dà l'orientamento per compierla.

Lei comunque, nella sua introduzione a Buttiglione, rifugge dalla casuistica, mi sembra sia preoccupato soprattutto di offrire alcuni criteri chiari per la comprensione di Amoris Laetitia per evitare quelle che lei definisce esplicitamente “interpretazioni eretiche”.
Esatto. Ci sono purtroppo singoli vescovi e intere conferenze episcopali che propongono interpretazioni che contraddicono il Magistero precedente, ammettendo ai sacramenti persone che si ostinano in situazioni oggettive di peccato grave. Ma non è questo il criterio con cui applicare Amoris Laetitia. Lo stesso papa Francesco ha parlato di una esortazione apostolica tomista. Allora è giusto che vada letta alla luce di san Tommaso, e sull’ammissione all’Eucarestia san Tommaso è chiaro dogmaticamente e anche con una sensibilità pastorale per le singole persone.




- ECCO COSA HA SCRITTO MÜLLER



Pubblichiamo alcuni passaggi rilevanti del testo con cui il cardinale Gerhard Müller introduce il libro di Rocco Buttiglione, "Risposte amichevoli ai critici di Amoris Laetitia" (Ares), che meglio possono far comprendere il pensiero dell'ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il titolo dell'introduzione è già significativo e offre la giusta chiave di lettura: «Perché Amoris Laetitia può e deve essere intesa in senso ortodosso».

 

La questione se i «divorziati risposati civilmente» ‒ una connotazione problematica dal punto di vista dogmatico e canonico – possano avere accesso alla Comunione benché permanga in essere un matrimonio sacramentale valido, in alcuni casi particolarmente connotati o anche in generale, è stata falsamente elevata al rango di questione decisiva del cattolicesimo e a pietra di paragone ideologica per decidere se uno sia conservatore o liberale, favorevole o avverso al Papa. (pp. 7-8)

Invece di definire la propria fede cattolica attraverso l’appartenenza a un campo ideologico, in realtà il problema è solo quello della fedeltà alla Parola rivelata di Dio che viene tramandata nella confessione della Chiesa. (p. 8)

La vera riforma rende la Chiesa nella vita dei suoi membri più simile a Cristo e non più conforme allo spirito del tempo. (p. 9)

Ciò di cui c’è bisogno in questo momento della vita della Chiesa, però, non è lo sforzo di differenziarsi a ogni costo, ma piuttosto la volontà di discutere serenamente gli uni gli argomenti degli altri invece di rivolgere attacchi personali gli uni contro gli altri. Certo, i criteri devono essere le regole della teologia cattolica e non quelle di una posizione ideologica che utilizza e strumentalizza le dottrine della fede della Chiesa solo come materiali per la costruzione di un’«altra Chiesa». (p. 9)

1) Le dottrine dogmatiche e le esortazioni pastorali del capitolo 8 di Amoris Laetitia possono e devono essere intese in senso ortodosso.
2) Amoris Laetitia non implica nessuna svolta magisteriale verso un’etica della situazione e quindi nessuna contraddizione con l’enciclica Veritatis Splendor di san Giovanni Paolo II.  (p. 11)

Rimane valida la dottrina di Veritatis Splendor (art. 56; 79) anche rispetto ad Amoris Laetitia (art. 303) per la quale esistono norme morali assolute alle quali non si dà alcuna eccezione (cfr il dubium n. 3, 5 dei cardinali). (p. 12)

Il motivo per cui si è potuti arrivare a queste interpretazioni contraddittorie di Amoris Laetitia è un’incomprensione del ruolo del Magistero del Papa e dei vescovi e del modo in cui esso funziona. Davanti all’opposizione di principio protestante contro l’esistenza e la natura del Magistero ecclesiastico, che può proporre a credere a ogni cattolico le verità dell’autocomunicazione escatologica-definitiva di Dio come verità e vita in modo ultimamente vincolante, si è insinuato qua e là, a partire dal secolo XVII, una specie di positivismo magisteriale cattolico che per la fede cattolica non è meno pericoloso della semplice negazione del Magistero stesso. Nella sua forma estrema esso dice: «Una proposizione è vera perché il Papa la propone da credere»; e non «il Papa la può e la deve insegnare in modo vincolante perché essa è vera e contenuta nella rivelazione (nella sua oggettivazione della Sacra Scrittura e nella tradizione Apostolica)».
Il Papa non è, in realtà, una fonte della fede. La rivelazione non è data al Magistero vivente della Chiesa in proprietà, ma gli è affidata solo per essere spiegata in modo vincolante.
Il Papa gode solo di un’assistentia Spiritus Sancti e non di un’illuminazione o ispirazione da parte della verità divina. Il cattolico crede infatti a Dio che si rivela e non al Papa, anche se è dal Papa che la confessione di fede della Chiesa, testimoniata dagli apostoli e dai loro legittimi successori, viene proposta da credere in modo ultimamente vincolante. (p. 12-13)

Per questo non ci possono essere interpretazioni di Amoris Laetitia sull’accesso ai sacramenti per i cattolici in situazioni irregolari, simili al matrimonio, che siano puramente autoreferenziali e solo immanenti al testo e che mettano alla gogna il problema della concordanza delle indicazioni pastorali con la Sacra Scrittura, la tradizione Apostolica e le definizioni dogmatiche del Magistero precedente come se ciò costituisse un’illecita opposizione contro il Papa regnante. Amoris Laetitia è un documento papale che sta in continuità con l’insieme della tradizione del Magistero e quindi evidentemente la sua interpretazione viene regolata dalla lettura della Sacra Scrittura e della tradizione Apostolica come anche da quella delle precedenti decisioni dogmatiche dei Papi e dei concili ecumenici. (p. 13)

Come ci può essere un modo di leggere Amoris Laetitia che eviti polemiche e polarizzazioni, pretese di dar ragione alla propria linea di partito e scontri teatrali a beneficio dei mass media e a danno della credibilità della Chiesa, senza reciproche offese e anche senza rifiuti di dialogo e misure disciplinari autoritarie contro presunti critici del Papa, e anche lontano da una politica del personale che invece di richiedere competenze spirituali e culturali domanda solo una ricezione acritica dell’art. 305 e della nota 351 di Amoris Laetitia? (p. 15)

Chi si impegna per la chiarezza e verità della dottrina della fede, specialmente in una epoca di relativismo e agnosticismo, non merita di venire apostrofato come rigorista, fariseo, legalista e pelagiano (p. 16)

...Questo però non significa che adesso Amoris Laetitia, art. 302, sostenga, in contrasto con Veritatis Splendor, 81, che, a causa di circostanze attenuanti, un atto oggettivamente cattivo possa diventare soggettivamente buono (è il dubium n. 4 dei cardinali). L’azione in se stessa cattiva (il rapporto sessuale con un partner che non è il legittimo sposo) non diventa soggettivamente buona a causa delle circostanze. Nella valutazione della colpa, però, possono esservi delle attenuanti e le circostanze e gli elementi accessori di una convivenza irregolare simile al matrimonio possono essere presentati anche davanti a Dio nel loro valore etico nella valutazione complessiva del giudizio (per esempio la cura per i figli avuti in comune che è un dovere che deriva dal diritto naturale). (p. 18)

La contraddizione con il bene non può mai diventare una sua parte oppure l’inizio di un cammino verso il compimento della santa e santificante volontà di Dio. Non si dice da nessuna parte che un battezzato in condizione di peccato mortale possa avere il permesso di ricevere la santa Comunione e riceva cosi di fatto il suo effetto di comunione di vita spirituale con Cristo. Il peccatore, infatti, oppone consapevolmente e volontariamente all’amore verso Dio il catenaccio (obex) del peccato grave. (p. 19)

Anche quando si dice «che nessuno può essere condannato per sempre», questo va compreso dal punto di vista della cura che mai non si arrende per la salvezza eterna del peccatore piuttosto che come negazione categorica della possibilità di una condanna eterna che però presuppone l’ostinazione volontaria nel peccato. (p. 19)

Certo, le categorie del matrimonio come «ideale» in opposizione alla «realtà», ideale a cui l’uomo in linea di principio non può mai corrispondere interamente, sono forse appropriate per la teologia morale e la vita spirituale, ma non per la teologia sacramentale. Il matrimonio non è affatto «una analogia imperfetta» (AL, 73) della relazione di Cristo con la sua Chiesa, la cui realtà esso rappresenta in modo sacramentale e a cui partecipa in modo essenziale. L’incompiutezza non sta nella fondazione del vincolo matrimoniale da parte di Dio (a causa dell’efficacia del sacramento ex opere operato), ma unicamente negli atti umani (il libero consenso, la volontà del matrimonio sacramentale con i beni che gli appartengono ecc.) attraverso i quali Dio realizza la grazia santificante del sacramento del matrimonio nella concretezza visibile della vita matrimoniale cristiana. (pp. 19-20)

Ciò che Papa Francesco ricerca in Amoris Laetitia con una sintesi di funzione magisteriale e di cura pastorale, di verità e di bontà, non è la quadratura del cerchio, ma un necessario equilibrio fra la fedeltà alla fede rivelata e il superamento delle difficoltà e dei possibili fallimenti del cristiano nella sequela di Cristo perché questo percorso a causa della debolezza dell’uomo non esclude deviazioni e ricadute. (p. 21)

Il singolo cristiano può ritrovarsi senza sua colpa nella dura crisi dell’essere abbandonato e del non riuscire a trovare nessun’altra via d’uscita che l’affidarsi a una persona di buon cuore e il risultato sono delle relazioni simil/matrimoniali.
C’è bisogno di una particolare capacità di discernimento spirituale nel foro interno da parte del confessore per trovare un percorso di conversione e di riorientamento verso Cristo che sia giusto per la persona, andando al di là di un facile adattamento allo spirito relativistico del tempo o di una fredda applicazione dei precetti dogmatici e delle disposizioni canoniche, alla luce della verità del Vangelo e con l’aiuto della grazia antecedente. (p. 22)

Per la dottrina della fede un matrimonio validamente contratto da cristiani, che a causa del carattere battesimale è sempre un sacramento, rimane indissolubile. I coniugi non possono dichiararlo nullo e invalido di loro iniziativa e nemmeno lo può sciogliere dall’esterno l’autorità ecclesiastica, fosse pure quella del Papa. (pp. 22-23)

Nel caso di una conversione in età matura (di un cattolico che è tale solo sul certificato di battesimo) si può dare il caso che un cristiano sia convinto in coscienza che il suo primo legame, anche se ha avuto luogo nella forma di un matrimonio in Chiesa, non fosse valido come sacramento e che il suo attuale legame simil/matrimoniale, allietato da figli e con una convivenza maturata nel tempo con il suo partner attuale sia un autentico matrimonio davanti a Dio. Forse questo non può essere provato canonicamente a causa del contesto materiale o per la cultura propria della mentalità dominante. È possibile che la tensione che qui si verifica fra lo status pubblico/oggettivo del «secondo» matrimonio e la colpa soggettiva possa aprire, nelle condizioni descritte, la via al sacramento della penitenza e alla santa Comunione, passando attraverso un discernimento pastorale in foro interno. (pp. 23-24)

La lettera di risposta di Papa Francesco al documento dei vescovi argentini del 2016 porta la stessa data del documento stesso, cioè il 5 settembre. Si tratta di un messaggio che conferma la ricezione del documento con amichevoli parole di consenso. L’affermazione che «non c’è nessun’altra interpretazione» non può tuttavia essere intesa in senso letterale davanti al dato di fatto dell’esistenza di interpretazioni contraddittorie.
Fra di esse ve ne sono alcune che si richiamano sì ad Amoris Laetitia ma stanno direttamente in contraddizione con la dottrina definita dogmaticamente della fede della Chiesa.
Non è sufficiente affermare l’ortodossia dei discussi passaggi sull’ammissione all’Eucaristia attraverso il sacramento della penitenza di persone in condizioni di convivenza irregolare e la loro piena integrazione nella vita della Chiesa. (pp. 24-25)

Ciò che è in questione è una situazione oggettiva di peccato che, a causa di circostanze attenuanti, soggettivamente non viene imputata. Questo suona in modo simile al principio protestante del simul justus et peccator ma certamente non è inteso in quel senso. Se il secondo legame fosse valido davanti a Dio, i rapporti matrimoniali dei due partner non costituirebbero nessun peccato grave ma piuttosto una trasgressione contro l’ordine pubblico ecclesiastico per avere violato in modo irresponsabile le regole canoniche e quindi un peccato lieve. Questo non oscura la verità che i rapporti more uxorio con una persona dell’altro sesso, che non è il legittimo coniuge davanti a Dio, costituisce una grave colpa contro la castità e contro la giustizia dovuta al proprio coniuge. (pp. 25-26)

Il cristiano che si trova in stato di peccato mortale ‒ qui si tratta direttamente del rapporto con Dio non delle circostanze attenuanti o aggravanti di un peccato ‒ e quindi persevera in una contraddizione consapevolmente voluta contro Dio, è chiamato al pentimento e alla conversione. Solo il perdono della colpa che, in colui che viene giustificato, non solo copre ma completamente cancella il peccato mortale, permette la comunione spirituale e sacramentale con Cristo nella carità.
Da ciò non si può separare il proposito di non peccare più, di confessare i propri peccati gravi (quelli dei quali si è consapevoli), di offrire una riparazione per i danni che si sono apportati al prossimo e al corpo mistico di Cristo, per poter ottenere in tal modo, attraverso l’assoluzione, la cancellazione del proprio peccato davanti a Dio e anche la riconciliazione con la Chiesa.
La nota 351 non contiene nulla che contraddica tutto questo. (p. 26)

I sacramenti sono stati stabiliti per noi, perché noi siamo esseri corporei e sociali, e non perché Dio ne abbia bisogno per comunicare la grazia. Proprio per questo è possibile che qualcuno riceva la giustificazione e la misericordia di Dio, il perdono dei peccati e la vita nuova nella fede e nella carità anche se per delle ragioni esterne non può ricevere i sacramenti oppure anche ha una obbligazione morale di non riceverli pubblicamente per evitare uno scandalo. (p. 27)

L’affermazione però che l’Eucaristia non è un «premio per i perfetti» ma «un generoso rimedio e un alimento per i deboli» non rende le cose più chiare. Essa non apre affatto, per coloro che si trovino in una condizione di peccato grave e si ostinino a rimanervi, la via della Comunione sacramentale che conduce alla comunione spirituale con Cristo nella carità soprannaturale infusa. (p. 27)

È chiaro che i sacramenti non sono un premio per la perfezione morale. Li può ricevere in modo efficace però solo chi non si chiude alla grazia attraverso il peccato. Si può commettere un peccato perché si cede alla debolezza della carne o perché ci si oppone a Dio sfidandolo. La debolezza però in se stessa non è un peccato. Il peccato, poi, non è una debolezza. Il peccato infatti è un’azione cosciente e libera contro la santa volontà di Dio nei suoi comandamenti e nei suoi segni sacramentali di salvezza. Esso però deriva dalla debolezza del cristiano battezzato e giustificato in cui la tendenza al peccato ancora permane e ci può tentare al peccato, ma in se stessa non è peccato. In questo senso i sacramenti sono anche una medicina contro la concupiscenza (remedia concupiscentiae). Questo è riaffermato dal Concilio di Trento nel decreto sul peccato mortale (Dh, 1515) contro la dottrina della giustificazione dei riformatori. Il perdono dei peccati veri e propri è però riservato al battesimo e al sacramento della penitenza. (pp. 27-28)

San Tommaso, che in quanto Doctor communis viene citato cosi spesso e con serena naturalezza in Amoris Laetitia come testimone della fede cattolica, dice in un’importante «questione sull’uso dei sacramenti» che «nessuno in stato di peccato mortale si può unire con Cristo ed essere integrato nel suo corpo perché non possiede la fede formata dalla carità. Chi riceva questo sacramento in stato di peccato mortale commette un peccato mortale» (S.th., III, q. 80) (p. 28)

Una medicina che risana un malato può far male a uno che invece è sano. Nel battesimo e nella penitenza ci è offerta una medicina che purifica (medicina purgativa) che ci libera «dalla febbre del peccato». Il sacramento dell’Eucaristia è una medicina che rafforza (medicina confortativa) che può essere data solo a quelli che sono liberi dal peccato (S.th., III, q. 80, a. 4 ad 2). (p. 28)

Un punto importante di Amoris Laetitia, che spesso non viene capito giustamente in tutto il suo significato pastorale, e che non è facile da applicare nella prassi con tatto e discrezione, è la legge della gradualità. Non si tratta di una gradualità della legge, ma della sua applicazione progressiva a una concreta persona nelle sue condizioni esistenziali concrete. Questo avviene dinamicamente in un processo di chiarificazione, discernimento e maturazione sulla base del riconoscimento della propria personale e irripetibile relazione con Dio attraverso il percorso della propria vita (cfr AL, 300) (pp. 29-30)

Secondo le spiegazioni di San Tommaso d’Aquino che abbiamo riportato, la Santa Comunione può essere ricevuta efficacemente solo da coloro che si sono pentiti dei loro peccati e si accostano alla mensa del Signore con il proposito di non più commetterne. (p. 30)

Dio è particolarmente vicino all’uomo che si mette sul cammino della conversione, che, per esempio, si assume la responsabilità per i figli di una donna che non è la sua legittima sposa e non trascura nemmeno il dovere di avere cura di lei.
Questo vale anche nel caso in cui egli, per la sua debolezza umana e non per la volontà di opporsi alla grazia, che aiuta a osservare i comandamenti, non sia ancora in grado di soddisfare a tutte le esigenze della legge morale. Un’azione in sé peccaminosa non diventa per questo legittima e nemmeno gradita a Dio. La sua imputabilità come colpa può, però, essere diminuita quando il peccatore si rivolge alla misericordia di Dio con cuore umile e prega: «Signore, abbi pietà di me peccatore». Qui l’accompagnamento pastorale e la pratica della virtù della penitenza come introduzione al sacramento della penitenza ha un’importanza particolare. Essa è, come dice Papa Francesco, «una via dell’amore» (AL, 306). (p. 30)




 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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