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DILECTI AMICI Lettera del Papa ai Giovani 31.3.1985

Ultimo Aggiornamento: 31/03/2014 09:39
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31 marzo 1985 – 29° anniversario della Lettera Apostolica Dilecti Amici di Papa Giovanni Paolo II


LETTERA APOSTOLICA
DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II

AI GIOVANI E ALLE GIOVANI DEL MONDO
IN OCCASIONE
DELL’ANNO INTERNAZIONALE DELLA GIOVENTÙ

 

Cari Amici!

Auguri per l’anno della gioventù

1. «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi».[1]

È questo l’augurio che rivolgo a voi, giovani, sin dall’inizio dell’anno corrente. Il 1985 è stato proclamato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite l’Anno Internazionale della Gioventù, e ciò riveste un molteplice significato prima di tutto per voi stessi, ed anche per tutte le generazioni, per le singole persone, per le comunità e per l’intera società. Ciò riveste un particolare significato anche per la Chiesa, quale custode di fondamentali verità e valori ed insieme ministra degli eterni destini che l’uomo e la grande famiglia umana hanno in Dio stesso.

Se l’uomo è la fondamentale ed insieme quotidiana via della Chiesa[2], allora si comprende bene perché la Chiesa attribuisca una speciale importanza al periodo della giovinezza come ad una tappa-chiave della vita di ogni uomo. Voi, giovani, incarnate appunto questa giovinezza: voi siete la giovinezza delle nazioni e delle società, la giovinezza di ogni famiglia e dell’intera umanità; voi siete anche la giovinezza della Chiesa. Tutti guardiamo in direzione vostra, poiché noi tutti, grazie a voi, in un certo senso ridiventiamo di continuo giovani. Pertanto, la vostra giovinezza non è solo proprietà vostra, proprietà personale o di una generazione: essa appartiene al complesso di quello spazio, che ogni uomo percorre nell’itinerario della sua vita, ed è al tempo stesso un bene speciale di tutti. È un bene dell’umanità stessa.

In voi c’è la speranza, perché voi appartenete al futuro, come il futuro appartiene a voi. La speranza, infatti, è sempre legata al futuro, è l’attesa dei «beni futuri». Come virtù cristiana, essa è unita all’attesa di quei beni eterni, che Dio ha promesso all’uomo in Gesù Cristo [3]. E contemporaneamente questa speranza, come virtù insieme cristiana e umana, è l’attesa dei beni che l’uomo si costruirà utilizzando i talenti a lui dati dalla Provvidenza.

In questo senso a voi, giovani, appartiene il futuro, così come un tempo esso appartenne alla generazione degli adulti e proprio insieme con essi è divenuto attualità. Di questa attualità, della sua molteplice forma e profilo sono responsabili prima di tutto gli adulti. A voi spetta la responsabilità di ciò che un giorno diventerà attualità insieme con voi, ed ora è ancora futuro.

Quando diciamo che a voi appartiene il futuro, pensiamo in categoria di transitorietà umana, la quale è sempre un passaggio verso il futuro. Quando diciamo che da voi dipende il futuro, pensiamo in categorie etiche, secondo le esigenze della responsabilità morale, che ci ordina di attribuire all’uomo come persona – e alle comunità e società che son composte da persone – il valore fondamentale degli atti, dei propositi, delle iniziative e delle intenzioni umane.

Questa dimensione è anche la dimensione propria della speranza cristiana e umana. E in questa dimensione il primo e principale augurio che la Chiesa fa a voi giovani, per mia bocca, in quest’Anno dedicato alla Gioventù è: siate «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» [4].

Cristo parla con i giovani

2. Queste parole, scritte un tempo dall’apostolo Pietro alla prima generazione cristiana, sono in rapporto con tutto il Vangelo di Gesù Cristo. Avvertiremo questo rapporto in modo forse più distinto, quando mediteremo il colloquio di Cristo col giovane, riferito dagli evangelisti [5]. Tra i molti testi biblici è questo prima di tutto che merita di essere qui ricordato.

Alla domanda: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?», Gesù risponde prima con la domanda: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo». Poi continua dicendo: «Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre» [6]. Con queste parole Gesù ricorda al suo interlocutore alcuni dei comandamenti del Decalogo.

Ma la conversazione non finisce qui. Il giovane, infatti, afferma: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora – scrive l’evangelista – «Gesù, fissatolo, lo amò» e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi» [7].

A questo punto cambia il clima dell’incontro. L’evangelista scrive che il giovane «rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni» [8].

Ci sono ancora altri passi nei Vangeli, in cui Gesù di Nazareth incontra i giovani – particolarmente suggestive sono le due risurrezioni: quella della figlia di Giairo [9]e quella del figlio della vedova di Nain [10] –; tuttavia, possiamo ammettere senz’altro che il colloquio sopra ricordato è l’incontro più completo e più ricco di contenuto. Si può anche dire che esso ha carattere più universale e ultratemporale, e cioè che vale, in un certo senso, costantemente e continuamente, attraverso i secoli e le generazioni. Cristo parla così con un giovane, con un ragazzo o una ragazza: conversa in diversi luoghi della terra, in mezzo alle diverse nazioni, razze e culture. Ognuno di voi in questo colloquio è un suo potenziale interlocutore.

Al tempo stesso, tutti gli elementi della descrizione e tutte le parole, dette in quella conversazione da ambedue le parti, hanno un significato quanto mai essenziale, possiedono un loro peso specifico. Si può dire che queste parole contengano una verità particolarmente profonda sull’uomo in genere e, soprattutto, la verità sulla giovinezza umana. Esse sono davvero importanti per i giovani.

Permettete, perciò, che in linea di massima io colleghi la mia riflessione nella presente Lettera con questo incontro e con questo testo evangelico. Forse in tal modo sarà più facile per voi sviluppare il proprio colloquio con Cristo – un colloquio che è d’importanza fondamentale ed essenziale per un giovane.

La giovinezza è una ricchezza singolare

3. Inizieremo da ciò che si trova alla fine del testo evangelico. Il giovane se ne va rattristato, «perché aveva molti beni».

Senza dubbio questa frase si riferisce ai beni materiali, dei quali quel giovane era proprietario o erede. Forse è questa una situazione propria solo di alcuni, ma non è tipica. E perciò le parole dell’evangelista suggeriscono un’altra impostazione del problema: si tratta del fatto che la giovinezza di per se stessa (indipendentemente da qualsiasi bene materiale) è una singolare ricchezza dell’uomo, di una ragazza o di un ragazzo, e il più delle volte viene vissuta dai giovani come una specifica ricchezza. Il più delle volte, ma non sempre, non di regola, perché non mancano al mondo uomini che per diversi motivi non sperimentano la giovinezza come ricchezza. Occorre parlarne separatamente.

Ci sono tuttavia ragioni – e anche di natura oggettiva – per pensare alla giovinezza come ad una singolare ricchezza, che l’uomo sperimenta proprio in tale periodo della sua vita. Questo si distingue certamente dal periodo dell’infanzia (è appunto l’uscita dagli anni dell’infanzia), come si distingue anche dal periodo della piena maturità. Il periodo della giovinezza, infatti, è il tempo di una scoperta particolarmente intensa dell’«io» umano e delle proprietà e capacità ad esso unite. Davanti alla vista interiore della personalità in sviluppo di un giovane o di una giovane, gradualmente e successivamente si scopre quella specifica e, in un certo senso, unica e irripetibile potenzialità di una concreta umanità, nella quale è come inscritto l’intero progetto della vita futura. La vita si delinea come la realizzazione di quel progetto: come «auto-realizzazione».

La questione merita naturalmente una spiegazione da molti punti di vista; a volerla tuttavia esprimere in breve, si rivela proprio un tale profilo e forma di quella ricchezza che è la giovinezza. È questa la ricchezza di scoprire ed insieme di programmare, di scegliere, di prevedere e di assumere le prime decisioni in proprio, che avranno importanza per il futuro nella dimensione strettamente personale dell’esistenza umana. Nello stesso tempo, tali decisioni hanno non poca importanza sociale. Il giovane del Vangelo si trovava proprio in questa fase esistenziale, come desumiamo dalle domande stesse che egli fa nel colloquio con Gesù. Perciò, anche quelle parole conclusive sui «molti beni», cioè sulla ricchezza, possono essere intese proprio in tale senso: ricchezza che è la giovinezza stessa.

Dobbiamo però chiedere: questa ricchezza, che è la giovinezza, deve forse allontanare l’uomo da Cristo? L’evangelista certamente non dice questo; l’esame del testo permette, piuttosto, di concludere diversamente. Sulla decisione di allontanarsi da Cristo hanno pesato in definitiva solo le ricchezze esteriori, ciò che quel giovane possedeva («i beni»). Non ciò che egli era! Ciò che egli era, proprio in quanto giovane uomo – cioè la ricchezza interiore che si nasconde nella giovinezza umana – l’aveva condotto a Gesù. E gli aveva anche imposto di fare quelle domande, in cui si tratta nella maniera più chiara del progetto di tutta la vita. Che cosa devo fare? «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Che cosa devo fare, affinché la mia vita abbia pieno valore e pieno senso?

La giovinezza di ciascuno di voi, cari amici, è una ricchezza che si manifesta proprio in questi interrogativi. L’uomo se li pone nell’arco di tutta la vita; tuttavia, nella giovinezza essi si impongono in modo particolarmente intenso, addirittura insistente. Ed è bene che sia così. Questi interrogativi provano appunto la dinamica dello sviluppo della personalità umana, che è propria della vostra età. Queste domande ve le ponete a volte in modo impaziente, e contemporaneamente voi stessi capite che la risposta ad esse non può essere frettolosa né superficiale. Essa deve avere un peso specifico e definitivo. Si tratta qui di una risposta che riguarda tutta la vita, che racchiude in sé l’insieme dell’esistenza umana.

In modo particolare queste domande essenziali se le pongono quei vostri coetanei, la cui vita sin dalla giovinezza è gravata dalla sofferenza: da qualche carenza fisica, da qualche deficienza, da qualche handicap o limitazione, dalla difficile situazione familiare o sociale. Se con tutto ciò la loro coscienza si sviluppa normalmente, l’interrogativo sul senso e sul valore della vita diventa per loro tanto più essenziale ed insieme particolarmente drammatico, perché sin dall’inizio è contrassegnato dal dolore dell’esistenza. E quanti di questi giovani si trovano in mezzo alla grande moltitudine dei giovani nel mondo intero! Nelle diverse nazioni e società; nelle singole famiglie! Quanti sin dalla giovinezza sono costretti a vivere in un istituto o in un ospedale, condannati ad una certa passività, che può far nascere in loro il sentimento di essere inutili all’umanità!

Si può dire allora che anche tale loro giovinezza sia una ricchezza interiore? A chi dobbiamo chiedere questo? A chi essi devono porre questo interrogativo essenziale? Sembra che qui sia Cristo l’unico interlocutore competente, quello che nessuno può sostituire pienamente.

Dio è amore

4. Cristo risponde al suo giovane interlocutore nel Vangelo. Egli dice: «Nessuno è buono, se non Dio solo». Abbiamo già sentito che cosa l’altro aveva domandato: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Come agire, affinché la mia vita abbia senso, pieno senso e valore? Noi potremmo tradurre così la sua domanda nel linguaggio della nostra epoca. In questo contesto la risposta di Cristo vuol dire: solo Dio è il fondamento ultimo di tutti i valori; solo lui dà il senso definitivo alla nostra esistenza umana. Solo Dio è buono, il che significa: in lui e solo in lui tutti i valori hanno la loro prima fonte e il loro compimento finale: egli è «l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine»[11].

Solo in lui essi trovano la loro autenticità e la loro conferma definitiva. Senza di lui – senza il riferimento a Dio – l’intero mondo dei valori creati resta come sospeso in un vuoto assoluto. Esso perde anche la sua trasparenza, la sua espressività. Il male si presenta come bene e il bene viene squalificato. Non ci indica questo l’esperienza stessa dei nostri tempi, dovunque Dio sia stato rimosso oltre l’orizzonte delle valutazioni, degli apprezzamenti, degli atti?

Perché solo Dio è buono? Perché egli è amore. Cristo dà questa risposta con le parole del Vangelo e, soprattutto, con la testimonianza della propria vita e morte: «Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» [12]. Dio è buono proprio perché «è amore» [13].

L’interrogativo sul valore, l’interrogativo sul senso della vita – abbiamo detto – fa parte della ricchezza singolare della giovinezza. Esso erompe dal cuore stesso delle ricchezze e delle inquietudini, legate a quel progetto di vita che si deve assumere e realizzare. Ancor più, quando la giovinezza è provata dalla sofferenza personale o è profondamente cosciente della sofferenza altrui; quando sperimenta una forte scossa di fronte al male multiforme, che è nel mondo; infine, quando si pone a faccia a faccia col mistero del peccato, dell’iniquità umana (mysterium iniquitatis[14]. La risposta di Cristo suona così: «Solo Dio è buono»; solo Dio è amore. Questa risposta può sembrare difficile, ma nello stesso tempo essa è ferma ed è vera: essa porta in sé la soluzione definitiva. Quanto prego affinché voi, giovani amici, udiate questa risposta di Cristo in modo veramente personale, affinché troviate la strada interiore per comprenderla, per accettarla e per intraprenderne la realizzazione.

Tale è Cristo nella conversazione col giovane. Tale è nel colloquio con ciascuno e con ciascuna di voi. Quando voi gli dite: «Maestro buono...», egli domanda: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo». E dunque: il fatto che io sono buono dà testimonianza a Dio. «Chi ha visto me, ha visto il Padre» [15] Così dice Cristo, maestro e amico, Cristo crocifisso e risorto: sempre lo stesso ieri, oggi e nei secoli [16].

Tale è il nucleo, il punto essenziale delle risposta a questi interrogativi che voi, giovani, ponete a lui mediante la ricchezza che è in voi, che è radicata nella vostra giovinezza. Questa schiude davanti a voi diverse prospettive, vi offre come compito il progetto di tutta la vita. Di qui l’interrogativo sui valori; di qui la domanda sul senso, sulla verità, sul bene e sul male. Quando Cristo rispondendovi vi comanda di riferire tutto questo a Dio, nello stesso tempo vi indica quale di ciò sia la fonte e il fondamento in voi stessi. Ognuno di voi, infatti, è immagine e somiglianza di Dio per il fatto stesso della creazione [17]. Proprio una tale immagine e somiglianza fa sì che voi poniate quegli interrogativi che dovete porvi. Essi dimostrano fino a che punto l’uomo senza Dio non può comprendere se stesso, e non può neanche realizzarsi senza Dio. Gesù Cristo è venuto nel mondo prima di tutto per rendere ognuno di noi consapevole di questo. Senza di lui questa dimensione fondamentale della verità sull’uomo sprofonderebbe facilmente nel buio. Tuttavia, «la luce è venuta nel mondo» [18],«ma le tenebre non l’hanno accolta» [19].



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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