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DILECTI AMICI Lettera del Papa ai Giovani 31.3.1985

Ultimo Aggiornamento: 31/03/2014 09:39
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31/03/2014 09:36
 
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   La domanda sulla vita eterna…


5. Che cosa devo fare perché la mia vita abbia valore, abbia senso? Questo interrogativo appassionante nella bocca del giovane del Vangelo suona così: «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Un uomo, che ponga la domanda in questa forma, parla in un linguaggio ancora comprensibile agli uomini d’oggi? Non siamo noi la generazione, alla quale il mondo e il progresso temporale riempiono completamente l’orizzonte dell’esistenza? Noi pensiamo prima di tutto in categorie terrene. Se oltrepassiamo i confini del nostro pianeta, ciò facciamo allo scopo di inaugurare i voli interplanetari, per trasmettere segnali agli altri pianeti ed inviare le sonde cosmiche nella loro direzione.


Tutto questo è diventato il contenuto della nostra civiltà moderna. La scienza insieme alla tecnica ha scoperto in modo impareggiabile le possibilità dell’uomo nei riguardi della materia, ed è riuscita, altresì, a dominare il mondo interiore del suo pensiero, delle sue capacità, delle sue tendenze, delle sue passioni.


 Allo stesso tempo, però, è chiaro che, quando ci poniamo di fronte a Cristo, quando egli diventa il confidente degli interrogativi della nostra giovinezza, non possiamo porre la domanda diversamente da quel giovane del Vangelo: «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Ogni altra domanda sul senso e sul valore della nostra vita sarebbe, di fronte a Cristo, insufficiente e non essenziale.


Cristo, infatti, non solo è il «maestro buono», che indica le vie della vita sulla terra. Egli è il testimone di quei definitivi destini che l’uomo ha in Dio stesso. Egli è il testimone dell’immortalità dell’uomo. Il Vangelo, che egli annunciava con la sua voce, viene definitivamente sigillato con la Croce e con la Risurrezione nel mistero pasquale. «Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui» [20]. Nella sua risurrezione Cristo è divenuto anche il permanente «segno di contraddizione» [21] di fronte a tutti i programmi incapaci di condurre l’uomo oltre la frontiera della morte. Anzi essi con questo confine chiudono ogni interrogativo dell’uomo sul valore e sul senso della vita. Di fronte a tutti questi programmi, ai modi di vedere il mondo e alle ideologie Cristo ripete costantemente: «Io sono la risurrezione e la vita» [22].


Se tu dunque, caro fratello e cara sorella, desideri parlare con Cristo aderendo a tutta la verità della sua testimonianza, devi da un lato «amare il mondo» – poiché «Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito» [23] – e, nello stesso tempo, devi acquistare il distacco interiore nei riguardi di tutta questa ricca e appassionante realtà, qual è «il mondo». Devi deciderti a fare la domanda sulla vita eterna. Infatti, «passa la scena di questo mondo» [24], e ciascuno di noi è soggetto a tale passaggio. L’uomo nasce con la prospettiva del giorno della sua morte, nella dimensione del mondo visibile; al tempo stesso, l’uomo, per cui l’interiore ragion d’essere è di superare se stesso, porta in sé anche tutto ciò con cui supera il mondo.


Tutto quello con cui l’uomo supera in se stesso il mondo – pur essendo in esso radicato – si spiega con l’immagine e la somiglianza di Dio, che è inscritta nell’essere umano sin dall’inizio. E tutto ciò con cui l’uomo supera il mondo non solo giustifica l’interrogativo sulla vita eterna, ma lo rende addirittura indispensabile. Questa è la domanda che gli uomini si pongono da tempo non solo nell’ambito del cristianesimo, ma anche al di fuori di esso. Voi dovete trovare il coraggio anche di porla come il giovane del Vangelo. Il cristianesimo ci insegna a comprendere la temporalità dalla prospettiva del Regno di Dio, dalla prospettiva della vita eterna. Senza di essa la temporalità, anche la più ricca, anche la più formata in tutti gli aspetti, alla fine non porta all’uomo null’altro che l’ineluttabile necessità della morte.


Ora, esiste un’antinomia tra la giovinezza e la morte. La morte sembra essere lontana dalla giovinezza. È così. Poiché, tuttavia, la giovinezza significa il progetto di tutta la vita, progetto costruito secondo il criterio del senso e del valore, anche durante la giovinezza è indispensabile la domanda sulla fine. L’esperienza umana, lasciata a se stessa, dice la stessa cosa della Sacra Scrittura: « È stabilito che gli uomini muoiano una sola volta» [25]. Lo scrittore ispirato aggiunge: «Dopo di che viene il giudizio»[26]. E Cristo dice: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» [27]. Domandate dunque a Cristo, come il giovane del Vangelo: «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?».


... sulla morale e sulla coscienza


6. A questo interrogativo Gesù risponde: «Tu conosci i comandamenti», e subito elenca questi comandamenti, che fan parte del Decalogo. Li ricevette un giorno Mosè sul monte Sinai, al momento dell’Alleanza di Dio con Israele. Essi furono scritti su tavole di pietra [28] e costituivano per ogni israelita l’indicazione quotidiana della strada [29]Il giovane che parla con Cristo conosce naturalmente a memoria i comandamenti del Decalogo; può, anzi, dichiarare con gioia: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza» [30].


Dobbiamo presupporre che in quel dialogo che Cristo sviluppa con ciascuno di voi, o giovani, si ripeta la stessa domanda: «Conosci i comandamenti»? Essa si ripeterà infallibilmente, perché i comandamenti fanno parte dell’Alleanza tra Dio e l’umanità. I comandamenti determinano le basi essenziali del comportamento, decidono del valore morale degli atti umani, rimangono in rapporto organico con la vocazione dell’uomo alla vita eterna, con l’instaurazione del Regno di Dio negli uomini e tra gli uomini. Nella parola della Rivelazione divina è inscritto il chiaro codice della moralità, di cui rimangono punto-chiave le tavole del Decalogo del monte Sinai, ed il cui apice si trova nel Vangelo: nel Discorso della montagna [31] e nel comandamento dell’amore [32].


Questo codice della moralità trova, al tempo stesso, un’altra redazione. Esso è inscritto nella coscienza morale dell’umanità sicché coloro che non conoscono i comandamenti, cioè la legge rivelata da Dio, «sono legge a se stessi» [33]. Così scrive san Paolo nella Lettera ai Romani, e subito aggiunge: «Essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza» [34].


Tocchiamo qui problemi di somma importanza per la vostra giovinezza e per quel progetto di vita, che da essa emerge.


Questo progetto aderisce alla prospettiva della vita eterna prima di tutto attraverso la verità delle opere, sulle quali verrà costruito. La verità delle opere ha il suo fondamento in quella duplice redazione della legge morale: quella che si trova scritta nelle tavole del Decalogo di Mosè e nel Vangelo, e quella che si trova scolpita nella coscienza morale dell’uomo. E la coscienza «si presenta come testimone» di quella legge, come scrive san Paolo. Questa coscienza – secondo le parole della Lettera ai Romani – sono «i ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono» [35]Ognuno sa quanto queste parole corrispondano alla nostra realtà interiore: ciascuno di noi sin dalla giovinezza sperimenta la voce della coscienza.


Quando dunque Gesù, nel colloquio col giovane, elenca i comandamenti: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre» [36], la retta coscienza risponde con una reazione interiore alle rispettive opere dell’uomo: essa accusa o difende. Bisogna, però, che la coscienza non sia deviata; bisogna che la fondamentale formulazione dei principi della morale non ceda alla deformazione ad opera di un qualsiasi relativismo o utilitarismo.


Cari giovani amici! La risposta, che Gesù dà al suo interlocutore del Vangelo, è rivolta a ciascuno e a ciascuna di voi. Cristo vi interroga circa lo stato della vostra consapevolezza morale, e vi interroga, al tempo stesso, circa lo stato delle vostre coscienze. Questa è una domanda-chiave per l’uomo: è l’interrogativo fondamentale della vostra giovinezza, valevole per tutto il progetto di vita, che appunto deve formarsi nella giovinezza. Il suo valore è quello più strettamente unito al rapporto che ognuno di voi ha nei confronti del bene e del male morale. Il valore di questo progetto dipende in modo essenziale dall’autenticità e dalla rettitudine della vostra coscienza. Dipende anche dalla sua sensibilità.


In tal modo ci troviamo qui in un momento cruciale, in cui ad ogni passo temporalità ed eternità si incontrano ad un livello che è proprio dell’uomo. È il livello della coscienza, il livello dei valori morali: questa è la più importante dimensione della temporalità e della storia. La storia, infatti, viene scritta non solo dagli avvenimenti, che si svolgono in un certo qual senso «dall’esterno», ma è scritta prima di tutto «dal di dentro»: è la storia delle coscienze umane, delle vittorie o delle sconfitte morali. Qui trova anche il suo fondamento l’essenziale grandezza dell’uomo: la sua dignità autenticamente umana. Questo è quel tesoro interiore, per il quale l’uomo supera di continuo se stesso nella direzione dell’eternità. Se è vero che «è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta», è anche vero che il tesoro della coscienza, il deposito del bene e del male, l’uomo lo porta attraverso la frontiera della morte, affinché, al cospetto di colui che è la santità stessa, trovi l’ultima e definitiva verità su tutta la sua vita: «Dopo di che viene il giudizio» [37].


Così appunto avviene nella coscienza: nella verità interiore dei nostri atti, in un certo senso, è costantemente presente la dimensione della vita eterna. E contemporaneamente la stessa coscienza, mediante i valori morali, imprime il più espressivo sigillo nella vita delle generazioni, nella storia e nella cultura degli ambienti umani, delle società, delle nazioni e dell’intera umanità.


Quanto in questo campo dipende da ciascuna e da ciascuno di voi!


«Gesù, fissatolo, lo amò»


7. Continuando nell’esame del colloquio di Cristo col giovane, entriamo ora in un’altra fase. Essa è nuova e decisiva. Il giovane ha ricevuto la risposta essenziale e fondamentale alla domanda: «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?», e questa risposta coincide con tutta la strada della sua vita, finora percorsa: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Quanto ardentemente auguro a ciascuno di voi che la strada della vostra vita, finora percorsa, coincida similmente con la risposta di Cristo! Auguro, anzi, che la giovinezza vi fornisca una robusta base di sani principi, che la vostra coscienza raggiunga già in questi anni della giovinezza quella trasparenza matura che nella vita permetterà a ciascuno di voi di rimanere sempre «persona di coscienza», «persona di principi», «persona che ispira fiducia», cioè che è credibile. La personalità morale, così formata, costituisce insieme il più importante contributo che voi potete portare nella vita comunitaria, nella famiglia, nella società, nell’attività professionale e anche nell’attività culturale o politica e, finalmente, nella comunità stessa della Chiesa, con la quale già siete o sarete un giorno legati.


Si tratta qui insieme di una piena e profonda autenticità dell’umanità e di un’eguale autenticità dello sviluppo della personalità umana, femminile o maschile, con tutte le caratteristiche che costituiscono il tratto irripetibile di questa personalità e, al tempo stesso, provocano una molteplice risonanza nella vita della comunità e degli ambienti, iniziando già dalla famiglia. Ognuno di voi deve in qualche modo contribuire alla ricchezza di queste comunità prima di tutto, per mezzo di ciò che è. Non si schiude in questa direzione quella giovinezza, che è la ricchezza «personale» di ciascuno di voi? L’uomo legge se stesso, la propria umanità sia come il proprio mondo interiore, sia come il terreno specifico dell’essere «con gli altri», «per gli altri».


Proprio qui assumono un significato decisivo i comandamenti del Decalogo e del Vangelo, specialmente il comandamento della carità, che apre l’uomo verso Dio e verso il prossimo. La carità, infatti, è «il vincolo della perfezione» [38]. Per mezzo di essa maturano più pienamente l’uomo e la fratellanza interumana.


Perciò, la carità è più grande [39], è il primo tra tutti i comandamenti, come insegna il Cristo [40]; in esso anche tutti gli altri si racchiudono e si unificano.


Vi auguro, dunque, che le strade della vostra giovinezza si incontrino col Cristo, affinché possiate confermare davanti a lui, con la testimonianza della coscienza, questo codice evangelico della morale, ai cui valori, nel corso delle generazioni, si sono avvicinati in qualche modo tanti uomini grandi di spirito.


Non è qui il luogo di citare le conferme che percorrono l’intera storia dell’umanità. Certo è che fin dai tempi più antichi il dettame della coscienza indirizza ogni soggetto umano verso una norma morale oggettiva, che trova espressione concreta nel rispetto della persona dell’altro e nel principio di non fare a lui quello che non si vuole sia fatto a sé [41].


In questo vediamo già emergere chiaramente quella morale oggettiva, della quale san Paolo afferma che è «scritta nei cuori» e riceve la «testimonianza della coscienza» [42]. Il cristiano vi scorge facilmente un raggio del Verbo creatore che illumina ogni uomo [43], e proprio perché di questo Verbo, fatto carne, è seguace, si eleva alla legge superiore del Vangelo che positivamente gli impone – col comandamento della carità – di fare al prossimo tutto quel bene che vuole sia fatto a sé. Egli sigilla così l’intima voce della sua coscienza con l’adesione assoluta a Cristo ed alla sua parola.


Vi auguro anche di sperimentare, dopo il discernimento dei problemi essenziali ed importanti per la vostra giovinezza, per il progetto di tutta la vita che è davanti a voi, ciò di cui parla il Vangelo: «Gesù, fissatolo, lo amò». Vi auguro di sperimentare uno sguardo così! Vi auguro di sperimentare la verità che egli, il Cristo, vi guarda con amore!


Egli guarda con amore ogni uomo. Il Vangelo lo conferma ad ogni passo. Si può anche dire che in questo «sguardo amorevole» di Cristo sia contenuto quasi il riassunto e la sintesi di tutta la Buona Novella. Se cerchiamo l’inizio di questo sguardo, occorre che torniamo indietro al Libro della Genesi, a quell’istante in cui, dopo la creazione dell’uomo «maschio e femmina», Dio vide che «era cosa molto buona» [44]. Questo primissimo sguardo del Creatore si rispecchia nello sguardo di Cristo, che accompagna la conversazione col giovane del Vangelo.


Sappiamo che Cristo confermerà e sigillerà questo sguardo col sacrificio redentivo della Croce, poiché proprio per mezzo di questo sacrificio quello «sguardo» raggiunse una particolare profondità di amore. In esso è contenuta una tale affermazione dell’uomo e dell’umanità, della quale solo egli è capace, solo Cristo Redentore e Sposo. Egli solo «sa quello che c’è in ogni uomo» [45]: conosce la sua debolezza, ma conosce anche e soprattutto la sua dignità.


Auguro a ciascuno e a ciascuna di voi di scoprire questo sguardo di Cristo e di sperimentarlo fino in fondo. Non so in quale momento della vita. Penso che ciò avverrà quando ce ne sarà più bisogno: forse nella sofferenza, forse insieme con la testimonianza di una coscienza pura, come nel caso di quel giovane del Vangelo, o forse proprio in una situazione opposta: insieme col senso di colpa, col rimorso di coscienza. Cristo, infatti, guardò anche Pietro nell’ora della sua caduta, quando egli ebbe rinnegato tre volte il suo Maestro [46].


È necessario all’uomo questo sguardo amorevole: è a lui necessaria la consapevolezza di essere amato, di essere amato eternamente e scelto dall’eternità [47]. Al tempo stesso, questo eterno amore di elezione divina accompagna l’uomo durante la vita come lo sguardo d’amore di Cristo. E forse massimamente nel momento della prova, dell’umiliazione, della persecuzione, della sconfitta, allorché la nostra umanità viene quasi cancellata agli occhi degli uomini, oltraggiata e calpestata: allora la consapevolezza che il Padre ci ha da sempre amati nel suo Figlio, che il Cristo ama ognuno e sempre, diventa un fermo punto di sostegno per tutta la nostra esistenza umana. Quando tutto si pronuncia in favore del dubbio su se stessi e sul senso della propria vita, allora questo sguardo di Cristo, cioè la consapevolezza dell’amore che in lui si è dimostrato più potente di ogni male e di ogni distruzione, questa consapevolezza ci permette di sopravvivere.


Vi auguro, dunque, di sperimentare ciò che sperimentò il giovane del Vangelo: «Gesù, fissatolo, lo amò».


«Seguimi»



8. Dall’esame del testo evangelico risulta che questo sguardo fu, per così dire, la risposta di Cristo alla testimonianza che il giovane aveva dato della sua vita fino a quel momento, ossia di aver agito secondo i comandamenti di Dio: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza».


Al tempo stesso, questo «sguardo d’amore» fu l’introduzione alla fase conclusiva della conversazione. Volendo seguire la redazione di Matteo, fu quel giovane stesso ad aprire questa fase, dato che non solo affermò la propria fedeltà nei confronti dei comandamenti del Decalogo, che caratterizzava tutta la sua precedente condotta, ma contemporaneamente pose una nuova domanda. Difatti chiese: «Che cosa mi manca ancora?» [48].


Questa domanda è molto importante. Indica che nella coscienza morale dell’uomo, e proprio dell’uomo giovane, che forma il progetto di tutta la sua vita, è nascosta l’aspirazione a un «qualcosa di più». Questa aspirazione si fa sentire in diversi modi, e noi possiamo notarla anche tra gli uomini che sembrano esser lontani dalla nostra religione.


Tra i seguaci delle religioni non cristiane, soprattutto del Buddhismo, dell’Induismo e dell’Islamismo, troviamo già da millenni schiere di uomini «spirituali», i quali spesso fin dalla giovinezza lasciano tutto per mettersi in stato di povertà e di purezza alla ricerca dell’Assoluto che sta oltre l’apparenza delle cose sensibili, si sforzano di acquistare lo stato di liberazione perfetta, si rifugiano in Dio con amore e confidenza, cercano di sottomettersi con tutta l’anima ai decreti nascosti di lui. Essi sono come spinti da una misteriosa voce interiore che risuona nel loro spirito, quasi echeggiando la parola di san Paolo: «Passa la scena di questo mondo» [49], e li guida alla ricerca di cose più grandi e durature: «Cercate le cose di lassù» [50]. Essi tendono con tutte le forze verso la meta lavorando con serio tirocinio alla purificazione del loro spirito, giungendo talvolta a fare della propria vita una donazione d’amore alla divinità. Così facendo, si levano come un esempio vivente per i loro contemporanei, ai quali additano con la loro stessa condotta il primato dei valori eterni su quelli fuggevoli e talora ambigui offerti dalla società, in cui vivono.


Ma è nel Vangelo che l’aspirazione alla perfezione, a un «qualcosa di più» trova il suo esplicito punto di riferimento. Cristo nel Discorso della montagna conferma tutta la legge morale, al cui centro si trovano le tavole mosaiche dei dieci comandamenti; nello stesso tempo, però, egli conferisce a questi comandamenti un significato nuovo, evangelico. E tutto viene concentrato – come è già stato detto – intorno alla carità non solo come comandamento, ma anche come dono: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato» [51].


In questo nuovo contesto diventa anche comprensibile il programma delle otto Beatitudini con cui si apre il Discorso della montagna nel Vangelo secondo Matteo [52].


In questo stesso contesto l’insieme dei comandamenti, che costituiscono il codice fondamentale della morale cristiana, viene completato dall’insieme dei consigli evangelici, nei quali in modo speciale si esprime e si concretizza la chiamata di Cristo alla perfezione, che è chiamata alla santità.


Quando il giovane chiede intorno al «di più»: «Che cosa mi manca ancora?», Gesù lo fissa con amore, e questo amore trova qui un nuovo significato. L’uomo viene portato interiormente, per mano dello Spirito Santo, da una vita secondo i comandamenti ad una vita nella consapevolezza del dono, e lo sguardo pieno di amore di Cristo esprime questo «passaggio» interiore. E Gesù dice: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» [53].


Sì, miei amati giovani amici! L’uomo, il cristiano è capace di vivere nella dimensione del dono. Anzi, questa dimensione non solo è «superiore» alla dimensione dei soli obblighi morali noti dai comandamenti, ma è anche «più profonda» di essa e più fondamentale. Essa testimonia una più piena espressione di quel progetto di vita, che costruiamo già nella giovinezza. La dimensione del dono crea anche il profilo maturo di ogni vocazione umana e cristiana, come verrà detto in seguito.


In questo momento desidero, tuttavia, parlarvi del particolare significato delle parole, che Cristo disse a quel giovane. E ciò faccio nella convinzione che Cristo le rivolga nella Chiesa ad alcuni suoi giovani interlocutori di ogni generazione. Anche della nostra. Quelle sue parole significano allora una particolare vocazione nella comunità del Popolo di Dio. La Chiesa trova il «seguimi» di Cristo [54] all’inizio di ogni chiamata al servizio nel sacerdozio ministeriale, il che simultaneamente nella Chiesa cattolica latina è unito alla consapevole e libera scelta del celibato. La Chiesa trova lo stesso «seguimi» di Cristo all’inizio della vocazione religiosa, nella quale mediante la professione dei consigli evangelici (castità, povertà e obbedienza) un uomo o una donna riconoscono come proprio il programma di vita che Cristo stesso realizzò sulla terra, per il Regno di Dio [55]. Emettendo i voti religiosi, tali persone si impegnano a dare una particolare testimonianza dell’amore di Dio sopra ogni cosa ed insieme di quella chiamata all’unione con Dio nell’eternità, che è rivolta a tutti. C’è, tuttavia, bisogno che alcuni ne diano una testimonianza eccezionale davanti agli altri.


Mi limito solo a menzionare questi argomenti nella presente Lettera, perché essi sono stati già presentati ampiamente altrove ed anche più volte [56]. Io li ricordo, perché nel contesto del colloquio di Cristo col giovane essi acquistano una particolare chiarezza, specialmente l’argomento della povertà evangelica. Li ricordo anche perché la chiamata «seguimi» di Cristo, proprio in questo senso eccezionale e carismatico, si fa sentire il più delle volte già nel periodo della giovinezza; a volte si avverte addirittura nel periodo dell’infanzia.


È per questo che desidero dire a tutti voi, giovani, in questa importante fase dello sviluppo della vostra personalità femminile o maschile: se una tale chiamata giunge al tuo cuore, non farla tacere! Lascia che si sviluppi fino alla maturità di una vocazione! Collabora con essa mediante la preghiera e la fedeltà ai comandamenti! «La messe, infatti, è molta» [57]. C’è un enorme bisogno di molti che siano raggiunti dalla chiamata di Cristo: «Seguimi». C’è un enorme bisogno di sacerdoti secondo il cuore di Dio – e la Chiesa e il mondo d’oggi hanno un enorme bisogno di una testimonianza di vita donata senza riserva a Dio: della testimonianza di un tale amore sponsale di Cristo stesso, che in modo particolare renda presente tra gli uomini il Regno di Dio e lo avvicini al mondo.


Permettetemi, dunque, di completare ancora le parole di Cristo Signore sulla messe che è molta. Sì, è molta questa messe del Vangelo, questa messe della salvezza!... «Ma gli operai sono pochi!». Forse oggi ciò si risente più che in passato, specialmente in alcuni Paesi, come anche in alcuni Istituti di vita consacrata e simili.


«Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe» [58], continua Cristo. E queste parole, specialmente ai nostri tempi, diventano un programma di preghiera e di azione in favore delle vocazioni sacerdotali e religiose. Con questo programma la Chiesa si rivolge a voi, ai giovani. Anche voi: chiedete! E se il frutto di questa preghiera della Chiesa nascerà nel profondo del vostro cuore, ascoltate il Maestro che dice: «Seguimi».


Il progetto di vita e la vocazione cristiana


9. Queste parole nel Vangelo certamente riguardano la vocazione sacerdotale o religiosa; al tempo stesso, però, esse ci permettono di comprendere più profondamente la questione della vocazione in un senso ancor più ampio e fondamentale.


Si potrebbe parlare qui della vocazione «di vita», la quale in qualche modo si identifica con quel progetto di vita, che ognuno di voi elabora nel periodo della sua giovinezza. Tuttavia, «la vocazione» dice ancora qualcosa di più del «progetto». In questo secondo caso sono io stesso il soggetto che elabora, e ciò corrisponde meglio alla realtà della persona, qual è ognuna e ognuno di voi. Questo «progetto» è la «vocazione», in quanto in essa si fanno sentire i vari fattori che chiamano. Questi fattori compongono di solito un determinato ordine di valori (detto anche «gerarchia di valori»), dai quali emerge un ideale da realizzare, che è attraente per un cuore giovane. In questo processo la «vocazione» diventa «progetto», e il progetto comincia a essere anche vocazione.


Dato però che ci troviamo davanti a Cristo e basiamo le nostre riflessioni intorno alla giovinezza sul suo colloquio col giovane, occorre precisare ancor meglio quel rapporto del «progetto di vita» nei riguardi della «vocazione di vita». L’uomo è una creatura ed è insieme un figlio adottivo di Dio in Cristo: è figlio di Dio. Allora l’interrogativo: «Che cosa devo fare?» l’uomo lo pone durante la sua giovinezza non solo a sé e agli altri uomini, dai quali può attendere una risposta, specialmente ai genitori e agli educatori, ma lo pone anche a Dio, come suo creatore e padre. Egli lo pone nell’ambito di quel particolare spazio interiore, nel quale ha imparato ad essere in stretta relazione con Dio, prima di tutto nella preghiera. Egli chiede dunque a Dio: «Che cosa devo fare?», qual è il tuo piano riguardo alla mia vita? Il tuo piano creativo e paterno? Qual è la tua volontà? Io desidero compierla.


In un tale contesto il «progetto» acquista il significato di «vocazione di vita», come qualcosa che viene all’uomo affidato da Dio come compito. Una persona giovane, rientrando dentro di sé ed insieme intraprendendo il colloquio con Cristo nella preghiera, desidera quasi leggere quel pensiero eterno, che Dio, creatore e padre, ha nei suoi riguardi. Si convince allora che il compito, a lei assegnato da Dio, è lasciato completamente alla sua libertà e, al tempo stesso, è determinato da diverse circostanze di natura interna ed esterna. Esaminandole la persona giovane, ragazzo o ragazza, costruisce il suo progetto di vita ed insieme riconosce questo progetto come la vocazione, alla quale Dio la chiama.


Desidero, dunque, affidare a voi tutti, giovani destinatari della presente Lettera, questo lavoro meraviglioso, che si collega alla scoperta, davanti a Dio, della rispettiva vocazione di vita. È questo un lavoro appassionante. È un affascinante impegno interiore. In questo impegno si sviluppa e cresce la vostra umanità, mentre la vostra giovane personalità va acquistando la maturità interiore. Vi radicate in ciò che ognuno e ognuna di voi è, per diventare ciò che deve diventare: per sé – per gli uomini – per Dio.


Di pari passo col processo di scoprire la propria «vocazione di vita» dovrebbe svilupparsi il rendersi conto in qual modo questa vocazione di vita sia, al tempo stesso, una «vocazione cristiana».


Occorre qui osservare che, nel periodo anteriore al Concilio Vaticano II, il concetto di «vocazione» veniva applicato prima di tutto in relazione al sacerdozio e alla vita religiosa, come se Cristo avesse rivolto al giovane il suo «seguimi» evangelico solo per questi casi. Il Concilio ha allargato questa visuale. La vocazione sacerdotale e religiosa ha conservato il suo carattere particolare e la sua sacramentale e carismatica importanza nella vita del Popolo di Dio. Al tempo stesso, però, la consapevolezza, rinnovata dal Vaticano II, dell’universale partecipazione di tutti i battezzati alla triplice missione di Cristo (tria munera) profetica, sacerdotale e regale, come anche la consapevolezza dell’universale vocazione alla santità [59], fanno sì che ogni vocazione di vita dell’uomo come la vocazione cristiana corrisponda alla chiamata evangelica. Il «seguimi» di Cristo si fa sentire su diverse strade, lungo le quali camminano i discepoli ed i confessori del divino Redentore. In diversi modi si può diventare imitatori di Cristo, cioè non solamente dando una testimonianza del Regno escatologico di verità e di amore, ma anche adoperandosi per la trasformazione secondo lo spirito del Vangelo di tutta la realtà temporale [60]. È a questo punto che prende anche inizio l’apostolato dei laici, che è inseparabile dall’essenza stessa della vocazione cristiana.


Sono queste le premesse estremamente importanti per il progetto di vita, che corrisponde all’essenziale dinamismo della vostra giovinezza. Bisogna che voi esaminiate questo progetto – indipendentemente dal concreto contenuto «di vita», di cui esso si riempirà – alla luce delle parole rivolte da Cristo a quel giovane.


Bisogna anche che ripensiate – e molto profondamente – al significato del battesimo e della cresima. In questi due sacramenti, infatti, è contenuto il deposito fondamentale della vita e della vocazione cristiana. Da essi parte la strada verso l’Eucaristia, che contiene la pienezza della sacramentale elargizione concessa al cristiano: tutta la ricchezza della Chiesa si concentra in questo sacramento di amore. A sua volta – e sempre in rapporto all’Eucaristia – bisogna riflettere sull’argomento del sacramento della penitenza, il quale ha un’importanza insostituibile per la formazione della personalità cristiana, specialmente se ad esso viene unita la direzione spirituale, cioè una scuola sistematica di vita interiore.


Su tutto questo mi pronuncio brevemente, anche se ciascuno dei sacramenti della Chiesa ha il suo definito e specifico riferimento alla giovinezza ed ai giovani. Confido che questo tema venga trattato in maniera particolareggiata da altri, specialmente dagli operatori pastorali appositamente inviati a collaborare con la gioventù.


La Chiesa stessa – come insegna il Concilio Vaticano II – è «come un sacramento, o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» [61]. Ogni vocazione di vita, come vocazione «cristiana», è radicata nella sacramentalità della Chiesa: essa si forma, dunque, mediante i sacramenti della nostra fede. Sono essi a permetterci sin dalla giovinezza di aprire il nostro «io» umano all’azione salvifica di Dio, cioè della santissima Trinità. Essi ci permettono di partecipare alla vita di Dio, vivendo al massimo un’autentica vita umana. In tal modo questa vita umana acquista una nuova dimensione ed insieme la sua originalità cristiana: la consapevolezza delle esigenze poste all’uomo dal Vangelo viene completata dalla consapevolezza del dono, che supera ogni cosa. «Se tu conoscessi il dono di Dio» [62], disse Cristo parlando con la Samaritana.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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