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Dossier sul "gigante buono ma pessimo medico" il cardinale Martini

Ultimo Aggiornamento: 03/04/2014 23:41
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03/04/2014 19:57
 
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  Il Gigante Egoista. Peccati in pensieri, parole, opere e omissioni del cardinal Martini (parte1)

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Gloria del mondo

 

IL GIGANTE EGOISTA

1

Peccati in pensieri, parole, opere e omissioni

del cardinale Carlo Maria

Martini.

E dei “martinitt”: i suoi orfanelli sbandati

 

 

 

 

 

E’ diventata una costante fare dell’uomo che muore – e che ha un certo seguito – un “santo subito”, senza spesso conoscere davvero gli elementi necessari per una canonizzazione. Lo dico senza acredine, credendo anzi che il cardinale Martini sia stato accolto, in qualche modo, nella beatitudine eterna: dopotutto c’è di peggio, e il martinismo supera in peggio di gran lunga lo stesso Martini. Di lui si scrive da giorni: se ne è andato con l’applauso del mondo. Per un cattolico pure alto prelato, non è proprio l’ideale: considerato che Cristo morì in Croce, senza dubbio circondato da una grande folla, ma non certo composta da suoi fan.

 

di Tea Lancellotti dal sito papalepapale.com

(*foto, didascalie e diversi contributi al testo, sono del Mastino)

 

Siamo all’ennesimo articolo sul cardinale più famoso del nostro tempo? No, per la verità ho ricevuto un incarico dal Mastino, un incarico fatto con parole così invitanti e convincenti alle quali non potevo dire di no: “per punizione le ho assegnato la summa teologica sul pensiero di Martini come compito da fare a casa e consegnare per il mesiversario”…

Poiché con gli amici si condividono gioie e dolori, sarò lieta allora di affrontare con voi questo argomento sperando di cogliere elementi non dico inediti, ma almeno interessanti sia alla lettura quanto alla riflessione che vogliamo fare.

QUEL GESUITA TOSTO E GENTILE. MA TREMENDO NELL’IMPORRE IL SUO “INDISCUTIBILE” PUNTO DI VISTA

Chi era Carlo Maria Martini, dunque? Un gesuita tosto, una persona che incuteva rispetto quando gli stavi davanti – non solo per la statura fisica, ma soprattutto per quella intellettuale e di “buon pastore” – diciamo anche un gentiluomo d’altri tempi, educato, capace ascoltatore, ma tremendo quando, nelle risposte, voleva imporre il suo pensiero che allora diventava, in quel momento, “indiscutibile, infallibile”. Non ci soffermiamo, però, su questi aspetti perché chi lo ha conosciuto da vicino può giustamente aver ricevuto impressioni diverse e discordi sarebbero le testimonianze: ci inoltreremmo in uno spazio troppo privato e noi non vogliamo questo. Non vogliamo relativizzare uno dei prelati più “grandi” del nostro tempo (così almeno lo vede il gotha intellettuale).

Del resto è assai più facile scrivere di una persona che non può più risponderti, ma a dire il vero, Martini non era il tipo da rispondere ai quesiti più semplici, non rispondeva mai alle critiche salvo trincerarsi in un qualche “hanno compreso male”… ma davvero erano i cattolici “semplici” a capire male?

“Grande”: perché e quando si usa questo termine che giunge a noi nella tradizione latina col suo corrispettivo “Magno”, usato esclusivamente per due papi e un vescovo? Infatti abbiamo san Gregorio Magno e san Leone Magno, papi, e sant’Alberto Magno, vescovo domenicano, contemporaneo di Tommaso d’Aquino.

Per ottenere tale titolo occorre avere avuto un impatto, appunto, “magno” nella storia del proprio tempo, un grande impatto sia nella Chiesa sia anche nel corso della storia. Giusto per fare un esempio: san Leone Magno seppe reggere e guidare con una capacità d’equilibrio, saggezza ed intelligenza, davvero oltre le sue forze di comune mortale, lo squassamento generato dalle forze avverse sia della politica del suo tempo sia dal fiume in piena di eresie che caratterizzavano l’andamento della Chiesa. Leone fu come un vero leone nella savana: seppe dominare i “mostri”, far fronte alle varie crisi in modo intemerato e fu un punto di riferimento solido, dottrinalmente credibile e convincente per tanti allo sbando. Non creò – egli stesso – confusione e conseguenti sbandate.

DAVVERO UN “GRANDE”? BISOGNA VEDERE IN COSA…

A pensione. Diresti “finalmente”. Non fosse che col maggiore tempo libero è riuscito a dare il peggio di sè.

Non vogliamo fare paragoni con nessuno, ma è fondamentale che si cominci a pesare le parole e fare attenzione al loro reale significato etimologico, all’uso che facciamo di certi termini. Martini non fu dunque un “grande”?

In questo senso, no! Senza dubbio fu un grande della discussione e del dialogo del nostro tempo, un grande ospite mediatico e dei salotti intellettuali, un grande riguardo all’amicizia con i non cattolici. Peccato però che non abbia saputo o potuto mantenere un certo equilibrio all’interno della Chiesa nella quale, invece, ha portato divisioni, ha generato rotture e diversità di credo, aggiungendo dosi quasi letali al già potente veleno del nostro tempo: quello del “contestare” con leggerezza e secondo una prospettiva mondana il magistero pontificio, in ossequio al mondo, più che alla verità, persino scritturale. In questo, Martini è stato un grande pur mantenendo egli stesso un certo rigorismo, almeno teorico, di obbedienza ai pontefici; ma senza vietarsi per alcuna ragione di dire la sua, il suo “secondo me”, anche quando questo andava contro quel magistero infallibile, contro quelle le stesse scritture dove è stato creduto – almeno per una certa vulgata – a torto o ragione, un luminare.

 NON HA CREATO NUOVE DOTTRINE. SPERAVA SOLO DI “CONVINCERE” IL PAPA A CAMBIARE QUELLA CHE C’ERA

Immagino che i lettori si staranno chiedendo se per noi Martini fosse un eretico. Francamente non spetta a noi dirlo, non in questi termini. Non possiamo ignorare, però, che laddove ha avanzato posizioni che sono prossime all’eresia, molto saggiamente non le ha sposate come nuove dottrine, né ha mai creato gruppi o chiese o dottrine o comunità che portassero avanti le sue opinioni religiose. Semplicemente: attendeva sempre di poter convincere il Papa ad innovare la dottrina, cambiarla. Era un “possibilista” e questo non gli risparmia la nostra critica di eresia nelle sue idee e insegnamenti, poiché non poche persone, qualificatesi come “discepoli”, si rifanno alle sue opinioni e teorie; e con queste, superando persino il maestro, avanzano insegnando falsità e cercando di estorceRE alla Chiesa modifiche sulla disciplina in ordine ai sacramenti: per esempio la comunione ai divorziati risposati, l’annientamento del celibato sacerdotale, l’anarchia genetica, lo svuotamento della morale, ecc… Inoltre, non risulta nelle cronache mondane dei salotti intellettuali frequentati che qualche sua amicizia “dialogante” con i non cattolici, abbia prodotto conversioni: solo amicizie. Gesù, però, non venne per dialogare e per farsi degli “amici”. Senza dubbio Egli fu amico dell’uomo, amico degli smarriti, amico dei poveri, amico persino dei disperati, amico di coloro che lo ascoltavano e ne diventavano discepoli, ma i “suoi amici” erano coloro che si convertivano a Lui dopo averlo ascoltato. L’amicizia di Gesù era finalizzata alla conversione dell’amico, trasformava il nemico in amico, ma questo comportava appunto una conversione a Lui. Gesù fu amico di Giuda fino alla fine, gli era amico come lo era di Pietro: lui lo rinnegò e “pianse amaramente” convertendosi, Giuda lo tradì e s’impiccò perché non si convertì.

Non ci interessa pertanto giudicare Martini quale persona santa o eretica, ma riguardo alle sue idee, alle sue opinioni, ai suoi insegnamenti sbagliati sì, abbiamo il dovere di fare sano discernimento e riconoscere gli errori per poter trattenere quanto ci fosse di buono. Eresia non è una parolaccia, significa proprio: scelta, scegliere, prendere. L’eresia è appunto la scelta di una “dottrina contraria al dogma e alla fede ortodossa preponderante…”: senza dubbio, Martini non fu mai contrario ai dogmi in quanto tali, ma quanto alla dottrina preponderante della Chiesa, ebbene, non fu certo lineare, né un “buon maestro”.

CAMBIANDO L’ORDINE DEGLI ADDENDI… IL RISULTATO E’ UNA CATASTROFE

Il sociologo Massimo Introvigne

Massimo Introvigne, in una nota diffusa su un social network, ha commentato la figura di Martini. Condivido totalmente un passo della nota e vorrei diventasse una specie di bussola per il nostro articolo. Leggiamo:

“Martini non era un progressista nel senso in cui lo era, per esempio, il cardinale Michele Pellegrino (1903-1986) di Torino. Da Pellegrino, e da tanti come lui, Martini era diviso da un sentimento di fondo.

Il cardinale gesuita non pensava affatto, come i veri progressisti, che la transizione dai valori della società tradizionale a quelli della società postmoderna, imperniata su un individualismo assoluto e sul rifiuto di ogni nozione di un’etica naturale, particolarmente in tema di sessualità, fosse uno sviluppo gioioso, trionfale e soltanto positivo. Mi sentirei di dire che aveva perfino una certa nostalgia della società tradizionale e dei suoi valori. Pensava però che quella società fosse morta per sempre, che quei valori se ne fossero andati senza nessuna possibilità di tornare, e che l’unica possibilità di sopravvivenza per la Chiesa fosse prenderne atto. O la Chiesa incontra il postmoderno e si adatta, pensava, o il postmoderno distruggerà la Chiesa, riducendola a un piccolo e irrilevante residuo.

Qualcuno potrebbe dire che, con queste idee, Martini sbagliava teologia, dando troppo poco spazio alla speranza soprannaturale che anche corsi della storia che sembrano umanamente ineluttabili abbiano invece un esito diverso. Io penso piuttosto che sbagliasse sociologia”.

Per quanto in lungo e in largo si possa scrivere di Martini, io credo e sono convinta che, con queste poche righe, Introvigne abbia davvero fatto centro: da queste riflessioni si può partire in ogni direzione.

Credo che il cardinale Martini resterà per sempre una figura contraddittoria, controversa, non certo ciò che si dice un “dottore” della Chiesa. Ciò che avremmo da temere saranno i suoi “discepoli” per come porteranno avanti le sue opinioni contro il magistero perenne della Chiesa: non sono pochi infatti coloro che ritengono che il Concilio abbia dato vita ad una “nuova Chiesa”, che il passato sia morto per sempre seppellendo anche il Deposito della fede e che sia necessario oggi adattarsi al mondo, creare una nuova tradizione moderna per andare incontro all’uomo non tanto per convertirlo quanto per sostenerlo, e quindi abbracciare le sue idee cattolicizzandole, andare incontro al “postmoderno” e farlo proprio, farlo diventare cattolico. Dicono… Ci crederemmo quasi, non sapessimo – come la storia e l’esperienza incontrovertibilmente c’insegnano – che non talvolta, ma tutte le volte si verifica esattamente il contrario di questo schema: vanno per “cattolicizzare” e ne ritornano essi stessi non solo de-cattolicizzati del loro pur residuale cattolicesimo, ma persino anti-cattolici, marxisti se va bene, radicali se va male. In una parola si è realizzata la profezia di san Pio X sulla piaga del modernismo nella Chiesa. Modernismo, badate bene, che non è solo una corrente di pensiero o un gusto estetico: no no, è proprio una eresia, al pari, che so?, del pelagianesimo.

Martini forse pensava alla regola matematica per la quale cambiando anche invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia: secondo le sue convinzioni, si poteva scendere a patti col mondo perché il Vangelo e la stessa missione della Chiesa sarebbero rimasti inalterati. Non funziona così. La Chiesa non vive di regole matematiche ma di proprie “regole” che non sono quelle “del mondo”. Modificando certe regole non solo il risultato è cambiato, ma è stato devastante e ha prodotto parte di quella scristianizzazione che, per frenarla ed invertirne la rotta, occorrerà ritornare necessariamente alle regole della Chiesa, sulle quali, di fatto, oggi insiste Benedetto XVI.

SANTO SUBITO? SE PER L’ANTE-PAPA (PAROLE SUE) L’APPLAUSO DEL MONDO SOSTITUISCE IL GIUDIZIO DI DIO

Gloria del mondo

E’ diventata una costante fare dell’uomo che muore – e che ha un certo seguito – un “santo subito”, senza spesso conoscere davvero gli elementi necessari per una canonizzazione. Lo dico senza acredine, credendo anzi che il cardinale Martini sia stato accolto, in qualche modo, nella beatitudine eterna: dopotutto c’è di peggio, e il martinismo supera in peggio di gran lunga lo stesso Martini.

Di lui si scrive da giorni: se ne è andato con l’applauso del mondo. Per un cattolico pure alto prelato, non è proprio l’ideale: considerato che Cristo morì in Croce, senza dubbio circondato da una grande folla, ma non certo composta da suoi fan.

Mi piace condividere una riflessione di Claudia Cirami, caporedattrice di questo sito, che ha giustamente osservato: “E’ anche vero che il mondo, spesso, non attende altro che prendere l’uomo di Chiesa che gli sembra più vicino ed elevarlo ad icona anti-Magistero. Quanto però questa vicinanza sia reale è altra storia…”. C’è dunque anche questa lettura nella canonizzazione a buon mercato che molti invocano per il card. Martini. Tuttavia, è giusto anche ricordare che aveva deciso lui stesso, con parole sue, di definirsi un “ante-papa“, mostrando che probabilmente quella vicinanza al mondo era, nel suo caso, abbastanza forte. Ovviamente, ha trovato molti discepoli perché, diciamolo francamente, se un uomo del suo spessore si fa “ante-papa” chi ci impedisce di fare ognuno lo stesso passo? È questo l’esempio che deve dare un prelato?

Spieghiamo bene il significato di “ante-papa”, come si definisce nelle sue famose Conversazioni notturne a Gerusalemme. Attenzione: non è lo stesso significato di “antipapa”. Come spiegava lo stesso cardinale in una intervista,ante-papa significa: “un precursore e preparatore per il Santo Padre”. Una specie di san Giovanni Battista? No, piuttosto uno che non vuole fare il Papa o sostituirsi a lui, ma che aiuta il Papa, suggerisce e detta la linea al Papa, che gli dice come e in che modo muoversi e agire: siamo alle solite, come direbbe Fellini in Roma, c’è in giro della gente che oggigiorno vuole insegnare al papa come si fa il papa. Non saremo troppo blasfemi se pensassimo che Martini si sentiva una specie di assistente dello Spirito Santo per aiutarLo ad istruire il proprio Vicario in terra. Mica cotiche! Il punto è che difficilmente, lo stesso, avrebbe accettato qualcuno, un ante-cardinale, che gli insegnasse come si fa il pastore di Milano: manco un papa, se è vero come è vero che aveva pure difficoltà a ubbidire alla stessa dottrina (infallibile), per tacer della disciplina.

RATZINGER PAPA “GRAZIE A MARTINI”… MA DA QUANDO LO SPIRITO SANTO HA BISOGNO DI ASSISTENTI?

Col neo-eletto papa, nel 2005

Fermiamoci brevemente per tranciare la sviolinata mediatica secondo la quale “grazie a Martini”, Ratzinger divenne Papa, perché il cardinale avrebbe fatto ricadere sul Prefetto dell’Ortodossia i voti destinati altrimenti a se medesimo. Non è così. Intanto perché noi, pur credendo negli accordi presi fra i cardinali, crediamo ancora più fortemente nell’opera “elettorale” dello Spirito Santo, il quale scrive dritto entro righe storte tracciate da altri. In secondo luogo, esistono solo due foto che vedono Ratzinger e Martini insieme ed è stato solo un gioco mediatico quello di far passare i due per “grandi amici”. Senza dubbio Ratzinger ha sempre dimostrato amicizia e rispetto verso il confratello (così come verso chiunque), ma non si può dire lo stesso per Martini che, strumentalizzando certe aperture di Ratzinger riguardo al dialogo fra le diverse religioni, di fatto lo osteggiava quando si esprimeva come Prefetto del Sant’Uffizio. Accadde sia quando intervenne in occasione dell’uscita dellaDominus Jesus o quando il Prefetto scrisse la Communionis Notio: Martini è stato sempre in prima fila ad esprimere il suo dissenso, naturalmente dopo aver chiamato a raccolta tutti i microfoni più laicisti della repubblica. Se c’è invece un fatto incontestabile, è che Ratzinger non ha mai strumentalizzato i testi dei confratelli.

Non fu Martini, dunque, a dirigere i giochi dell’ultimo conclave. Egli non poteva diventare papa, perché era già malato di parkinson (e un papa di parkinson era appena morto) e poi a lui piaceva quella libertà (che, sino all’ultimo, degenerò spesso in libertinaggio intellettuale) che la stessa veste cardinalizia gli dava, o che almeno dà da qualche anno a ‘sta parte: andare dove voleva, presentarsi ai media quando lo chiamavano, chiamarli esso stesso, frequentare salotti intellettualistici e quasi sempre radical-chic, arrivare a Gerusalemme – che effettivamente amava – per i suoi studi biblici. Martini non mirava a fare il papa: forse era troppo per lui quella parola di Gesù: “e quando sarai vecchio un altro ti cingerà i fianchi e ti condurrà dove tu non vuoi…” (Gv.21,18), Martini era il conduttore, o così credeva, così si vedeva. “Conduttore” verso cosa poi?

IL LIBRO DEL PAPA? BELLO, MA SI VEDE CHE NON HA STUDIATO. PAROLA DI ESEGETA

Un capolavoro si sublime sintesi. Che dovrebbero studiare nei seminari… al posto di porcherie rahneriane

Appena esce il primo volume sul Gesù di Nazareth di Benedetto XVI, il cardinale commenta con superbia: “Un bel libro, sebbene si veda chiaramente che il suo autore non ha studiato direttamente i testi critici del Nuovo Testamento“. Ovviamente, sappiamo che ce ne vuole di coraggio e presunzione per dire che Ratzinger “non ha studiato sui testi critici dopo aver occupato per 25 anni il Sant’Uffizio e dopo aver scritto un Documento per la Pontificia Commissione Biblica nel quale dice: ” Ma resta altresì vero che, per quanto concerne l’interpretazione della Scrittura, la fede ha da dire una sua parola e che quindi anche i pastori sono chiamati a correggere quando si perde di vista la particolare natura di questo Libro e una oggettività, che è pura solo in apparenza, fa sparire quel che la Sacra Scrittura ha di suo proprio e di specifico. È stata dunque indispensabile una faticosa ricerca, perché la Bibbia avesse la sua giusta ermeneutica e l’esegesi storico-critica il suo giusto posto (…) Siamo profondamente grati per le aperture che, come frutto di una lunga fatica di ricerca, ci ha donato il Concilio Vaticano II. Ma non condanniamo neanche con leggerezza il passato, bensì lo vediamo come parte necessaria di un processo di conoscenza che, considerata la grandezza della Parola rivelata e i limiti delle nostre capacità, ci porrà sempre davanti a nuove sfide. Ma proprio in questo sta il bello della autentica ricerca…“.

Nella Prefazione a questo testo, per i Cento anni della CTB così esordisce Ratzinger nel 2002: “Il rapporto fra Magistero della Chiesa ed esegesi:

Non ho scelto il tema della mia relazione solo perché fa parte delle questioni che di diritto appartengono a una retrospettiva sui 100 anni della Pontificia Commissione Biblica, ma perché rientra, per così dire, anche nei problemi della mia biografia: da più di mezzo secolo il mio percorso teologico personale si muove entro l’ambito determinato da questo tema…”

A quanto pare lo stesso Ratzinger smentisce la critica di Martini.

Eppure, sempre Martini, conclude la sua critica dalla Francia con queste parole: “Un libro molto bello. Io stesso pensavo di scriverlo, come conclusione al mio lavoro sul manoscritto 1209, ma sono contento che l’abbia fatto Ratzinger perché corrisponde alle mie attese”. Da profana e ignorante qual sono mi pongo solo una domanda: come fa il libro ad aver corrisposto alle sue attese se l’autore che l’ha scritto non ha studiato e dunque non ha tenuto conto dei testi critici?

IL CRISTO DEI VANGELI NON AVREBBE SCRITTO L’HUMANAE VITAE”. MA SE È DOCUMENTO PAPALE “INFALLIBILE” È COME L’AVESSE FIRMATA DIO

Sempre a guardare i papi dall’alto in basso…

Come se non bastasse, sostiene pure che “il Gesù dei Vangeli non avrebbe mai scritto l’Humanae vitae”. Martini non si risparmia, e accusa Paolo VI di aver arrecato “grave danno” con questa Enciclica: “Molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa dalle persone”, come se fosse una soluzione a tutti i guai della Chiesa accogliere ciò che è male in seno commutandolo artificiosamente in un “bene” ufficiale: per cosa, poi? Per avere qualche banco pieno di gente che abortisce, usa contraccezione, oltraggia la vita in tutti i modi e non solo si sente la coscienza a posto ma vuole pure la benedizione della Chiesa ai suoi peccati (che tali non li considera, essendo, a sentire loro, “diritti”) trasformati persino in progressiste virtù mondane. Al solito Martini, come tutti gli ideologi, ai quali interessa lo schema e non i dati di fatto, trascura che laddove la sua ricetta (specie nelle chiese riformate) è stata applicata seppure ufficiosamente, teoreticamente… essendo impossibile la legale approvazione canonica, quei banchi lì si sono svuotati ugualmente, e peggio, se ne sono andati anche gli altri, quelli che attualmente, ubbidienti, nei banchi ci son sempre rimasti. Le chiese hanno chiuso, sono diventate cinema o supermercati. Ma a Martini questo non interessa: la sua idea è buona a prescindere, anche se smentita dalla realtà.

Il cardinale Martini sottolinea il fallimento dell’Humanae vitae e dice che sarebbe stato meglio affrontare la sessualità diversamente, e proseguiva nell’intervista diventata un libro nel 2008: “Dopo l’enciclica Humanae Vitae i vescovi austriaci e tedeschi, e molti altri vescovi, seguirono, con le loro dichiarazioni di preoccupazione, un orientamento che oggi potremmo portare avanti. Un orientamento che esprime una nuova cultura della tenerezza e un approccio alla sessualità più libero da pregiudizi”. Insomma, siamo sempre lì: la Chiesa è piena di pregiudizi, le dottrine sono fatte sui pregiudizi, perciò vanno cambiate… non è più l’uomo che deve convertirsi, ma la Chiesa deve convertirsi alla mentalità del mondo. Ossia alla moda dominante del momento. E pazienza se, osservando la storia, ci si rende conto che se la Chiesa avesse dovuto “convertirsi” volta per volta a tutti gli spiriti e i pensieri dominanti nel mondo, sempre spacciati per infallibili e “finali”, definitivi, non plus ultra di civiltà e di magnifiche sorti e… progressiste, quella stessa Chiesa prima di diventare licenziosa sulla sessualità come piacerebbe al Martini e al suo mentore-intervistare politico, il deputato radicale del PD Ignazio Marino, sarebbe diventata volta per volta comunista, nazista, razzista, antisemita, borghese e massonica, rivoluzionaria, napoleonica, illuminista… e oggi abortista, omosessualista, animalista dove animale equivale a uomo, magari new age e, perché no, anche un po’ musulmana. Così come avviene ed è sempre avvenuto con le chiese di stato riformate, le quali a piè pari non ebbero remore a diventare (prendi il caso della Germania dell’Est), prima imperialiste, poi naziste, poi comuniste e filosovietiche, oggi radicali, come è politicamente corretto essere, perché così ha stabilito la classe dirigente al potere e il conseguente gotha intellettuale dominante, che sommate fanno la moda… quello “spirito del mondo” che, stando a Gomez Davila, è Lucifero. Ma che come questo, apparentemente trionfatore, lo sono solo “a termine”, dopodiché saranno condannate a essere distrutte e a passare. Di queste costanti storiche, fattuali, provvidenziali, di tutto questo Martini e il suo suggeritore Marino, non tengono conto.

CRITICARE L’INFALLIBILITÀ PAPALE MA PRETENDERE L’INFALLIBILITÀ DELLE PROPRIE OPINIONI BANDENDO LE CRITICHE

Martini spera dapprima che con Giovanni Paolo II, aperto e dinamico, il quale lo ha portato sulla cattedra di sant’Ambrogio, le sue idee possano trovare luogo, ma poi deve ricredersi e si lamenta dicendo: “Giovanni Paolo IIseguì la via di una rigorosa applicazione” dei divieti dell’enciclica, e “non voleva che su questo punto sorgessero dubbiPare che avesse perfino pensato a una dichiarazione che godesse il privilegio dell’infallibilità papale“… E qui ci fanno trasalire certi grossolani vuoti di memoria del Martini: a parte il fatto che una enciclica in fatto di morale gode già il privilegio dell’infallibilità cosa che il gesuita sembra sorvolaredetto questo pensiamo di quanta infallibilità godono due sullo stesso tema: infatti quando il Papa polacco scrisse la Evangelium vitae ripercorse fedelmente le vie della Humanae Vitae di Paolo VI. Ma è incredibile come queste persone, così sapienti e davvero intellettualmente dotate, possano perdersi poi nel piccolo: l’obbedienza, l’umiltà, la prudenza prima di parlare, criticare al Papa l’uso del privilegio dell’infallibilità (che in dichiarazioni ufficiali sulla morale, è, potremmo dire, automatica) salvo poi usarla, con protervia non di rado, per le proprie opinioni e per i propri insegnamenti; che specie per i loro discepoli diventano paradossalmente atti infallibili e indiscutibile, sui quali impalare tutto il resto, papi ed encicliche comprese.

IL GESUITA CHIEDE IL RITIRO DI UN’ENCICLICA: PER “GUADAGNARE CREDIBILITÀ”. AGLI OCCHI DI CHI OLTRE CHE DI SCALFARI?

Col profeta e il patriarca dei tromboni: Eugenio Scalfari. Notorio anticlericale e antireligioso giacobino.

Arriva Benedetto XVI e Martini è sempre lì, a sperare che un Papa lo ascolti e faccia quello che dice lui e afferma: “Probabilmente il papa non ritirerà l’enciclica, ma può scriverne una nuova che ne sia la continuazione. Sono fermamente convinto che la direzione della Chiesa possa mostrare una via migliore di quanto non sia riuscito allaHumanae Vitae. Saper ammettere i propri errori e la limitatezza delle proprie vedute di ieri è segno di grandezza d’animo e di sicurezza. La Chiesa riacquisterà credibilità e competenza”…

Abbiamo letto bene? Martini voleva che il Benedetto XVI ritirasse l’Humanae Vitaericonoscendola come un errore, questa marcia indietro sarebbe stata un segno di grandezza della “nuova” Chiesa nata dal Concilio, stando al vecchio gesuita. Bella pretesa! Da questo punto di vista, sarà proprio Benedetto XVI a mettere a tacere le convinzioni di Martini con un discorso dedicato proprio allaHumanae Vitae il 10 maggio del 2008. Quando, illustrandone i contenuti, ha affermato che: “a quarant’anni dalla sua pubblicazione quell’insegnamento non solo manifesta immutata la sua verità, ma rivela anche la lungimiranza con la quale il problema venne affrontato”. Punto!












  continia...........


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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