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Dossier sul "gigante buono ma pessimo medico" il cardinale Martini

Ultimo Aggiornamento: 03/04/2014 23:41
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03/04/2014 20:03
 
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  LA “MORALE LAICA” È UN EQUIVOCO E NON ESISTE. ESISTE UNA MORALE: QUELLA NATURALE. CHE È ANCHE QUELLA CATTOLICA



La verità è che non esiste una morale “cattolica ed una laica”, come ha spiegato più volte magistralmente Ratzinger. Credere il contrario è uno dei più grandi errori del nostro tempo.


A causa di questo modo errato di pensare si è creata oggi una doppia coscienza: una coscienza cristiana ed una coscienza laicista.


Ma la coscienza laicista non esiste: è il prodotto della separazione fra morale cattolica e laica ed è il frutto della scristianizzazione. A ragione diceva sant’Agostino che il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa nel Signore.


L’umiltà, il riconoscimento dei propri limiti, l’abbandono all’esigenza di un Amore Misericordioso, la stessa ricerca e fiducia nel perdono – insegna Benedetto XVI – stemperano il dramma di certe scelte morali o, quando le interpretazioni si fanno conflittuali, il cattolico sa quanto sia saggio fare ricorso alla coscienza e al dovere di seguirla nonostante questo, anche attraverso scelte che vanno contro la mentalità del mondo e che potranno costargli l’amicizia di qualcuno, l’affetto dei propri cari, o l’impopolarità, fino anche a subire dure persecuzioni!


Al contrario, la coscienza del laicista, vive paradossalmente una libertà illusoria giacché la sua scelta elimina dalla coscienza ogni riferimento all’etica ed alla morale, di fatto questa scelta è più sbrigativa. Indubbiamente all’inizio più facile e più comoda come scelta e tuttavia devastante nel tempo per se stesso e per gli altri quando appunto inizieranno a maturare i suoi frutti. Esso infatti non vive alcun dramma nelle sue scelte e non ha così la necessità di confrontarsi con gli altri, soprattutto se questi “altri” pongono Dio al centro di ogni confronto e non l’uomo (o una idea di vita) quale “sostituto” di Dio.


La libertà dell’Uomo e la Speranza, verso la quale «per propria natura tende», ci insegna il Papa nella “Spe Salvi” [4], è il nucleo centrale per cui l’uomo vive… sia esso credente quanto non credente.


Un uomo senza Speranza è una Persona che non vive, e la speranza è quella realtà che rende l’Uomo davvero libero in ogni ricerca. Ricerca interiore ed esteriore per dare risposte alle domande che lo animano.


Diventa dunque deleterio imporre una carità privata del suo fondamento che è Cristo, diventa pietismo, diventa moralismo, diventa egoismo.


A ragione scrive così Benedetto XVI nella sua enciclica “Deus Caritas est” [5]: «La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito. (…) È a partire da questo principio che devono essere comprese anche le grandi parabole di Gesù».


No, Martini non ignorava che su questi temi tanto discussi i Pontefici hanno parlato e sono inamovibili, il fatto è che egli sentiva più forte ascoltare chi non crede a questi valori e, in nome del dialogo con credenti o non, cercare un dibattito sempre aperto non per convertire all’insegnamento della Chiesa attenzione, ma per far sfogare la gente che rifiuta soprattutto di credere, farla parlare, parlare, parlare, esternare, senza mai condurla per mano verso norme inviolabili, non come obbligo antipatico, ma norme fondamentali per la sua stessa stabilità e serenità.



MARTINI “APRIVA” A TUTTO, CONDOM COMPRESI. UN VESCOVO HA ANCHE IL DOVERE DI “CHIUDERE”




Dal Vangelo secondo… Lui.



Il discorso sarebbe lungo per poter chiarire come i media abbiano attribuito a Benedetto XVI pensieri favorevoli alla contraccezione… ma poiché la Santa Sede ha spiegato più volte l’equivoco, andremo diritti al pensiero di Martini.


Effettivamente il pensiero del cardinale qui è molto equilibrato e prudente, dice: «Ma la questione è piuttosto se convenga che siano le autorità religiose a propagandare un tale mezzo di difesa, quasi ritenendo che gli altri mezzi moralmente sostenibili, compresa l’astinenza, vengano messi in secondo piano, mentre si rischia di promuovere un atteggiamento irresponsabile. Altro è dunque il principio del male minore, applicabile in tutti i casi previsti dalla dottrina etica, altro è il soggetto cui tocca esprimere tali cose pubblicamente. Credo che la prudenza e la considerazione delle diverse situazioni locali permetterà a ciascuno di contribuire efficacemente alla lotta contro l’Aids senza con questo favorire i comportamenti non responsabili».


Il problema è che un discorso del genere posso accettarlo da un laico, da un politico, da un moralista, ma non da un prete, un cardinale, il quale dovrebbe diventare, per la mia coscienza, come “luce ai miei passi”, parola comprensibile, un aiuto a prendere una decisione che possa introdurmi nell’autentica morale.


Discorsi di questo spessore invece finiscono sempre per generare l’incomprensione, l’equivoco poiché il concetto del “male minore” non è assolutamente praticabile per un vero cattolico e può essere predicato ai non cattolici ma per condurli a comprendere che il “male minore” non risolve il problema e che per giungere ad un traguardo occorre perseguire solo ciò che è bene, imparando a dire che anche il “male minore” è sempre un male. Non è che il male smette di esserlo perché in certe situazioni lo si definisce “minore”, è sempre un male che non può che produrre altro male. Questo deve dire un prete per aiutare l’uomo a prendere poi la sua decisione, liberamente.


Come affrontare allora l’argomento? Il problema non deve concentrarsi sul contraccettivo come soluzione, ma andare all’origine del problema giacché il profilattico è solo una conseguenza del problema non affrontato, o abbandonato, alla radice del suo sorgere… Circa dunque la prevenzione dal contagio dell’Aids, leggiamo dal discorso rivolto da Benedetto XVI a un gruppo di vescovi africani in visita “ad limina”, il 10 giugno 2005, le parole adatte [6]:«L’insegnamento tradizionale della Chiesa ha dimostrato di essere l’unico modo intrinsecamente sicuro per prevenire la diffusione dell’Hiv/Aids. Per questo motivo l’affetto, la gioia, la felicità e la pace procurati dal matrimonio cristiano e dalla fedeltà, così come la sicurezza della castità, devono essere continuamente presentati ai fedeli, soprattutto ai giovani».



A MARTINI NON IMPORTA LA DOTTRINA: IMPORTA DISCUTERNE ALL’INFINITO. IN NOME DEL “DIALOGO” FINE A SE STESSO




Martini e… Cinzano.  Appena arrivato a Milano. Già monta il palcoscenico. Faccia a faccia con le insegne pubblicitarie: sarà un segno!



Tutto il resto, son chiacchiere, questo è il cuore del problema; se lo si rifiuta è naturale che il contraccettivo diventi il capro espiatorio, diventi il pro o il contro, diventi il falso problema sul quale si spenderanno fiumi di parole senza raggiungere il vero obbiettivo, finendo invece per dipingere la Chiesa come una matrigna spietata e prevenuta!


Insomma a Martini la regola che “lo dice la dottrina” non piaceva affatto. Ma al tempo stesso, preferendo soluzioni umane e concilianti su temi “non negoziabili”, fa intendere che per lui la fede non basta, l’obbedienza ai Comandamenti non basta, in casi incomprensibili o difficili, basta perseguire il “male minore”, retorica che può andare bene per un non cattolico, ma assolutamente veleno per un cattolico.


Per Martini il problema non si risolve, ma lo si discute all’infinito, lo si dialoga, non trova vie d’uscita, l’importante non è salvare quella vita umana che tanto prima o poi dovrà morire, ma il dialogo attraverso il quale tu puoi costruire la socializzazione fine a sé stessa, importante per costruire ponti, insomma sembra davvero l’applicazione alla lettera della famosa canzone di Mina: “parole, parole, parole…. parole, soltanto parole, parole tra noi”.



IL CRISTIANO DEV’ESSERE IL “SALE DELLA TERRA”, NON LO ZUCCHERO




Una curiosa vignetta comparsa alla morte di Martini



Un parlare d’amore che non solo ci sta facendo diventare tutti diabetici, ma che sta svuotando l’amore stesso del suo principio vitale: donarsi, donare la propria vita perché l’altro viva e giunga alla vera vita eterna. Certo che il dialogo è importante, ma non è lo scopo delle relazioni umane, piuttosto è uno strumento per giungere alla conversione a Cristo, alla conoscenza del vero Dio. Se al dialogo non segue la conversione, sopraggiunge la frustrazione; senza la soluzione di una vera conversione il mistero cristiano resta un paradosso irrisolvibile, una verità che la sola ragione, il dialogo, non può afferrare, per questo è necessaria la fede la quale accetta il mistero (sia sull’uomo sia nei Sacramenti) non lo crea. La fede ti fa entrare in quelle responsabilità che da soli, senza la fede stessa, senza uno scopo, non riusciremmo mai ad assumerci. Per fare un figlio bisogna assumersi delle responsabilità, bisogna credere in questo ruolo di genitori, così per avere dei rapporti sessuali non si può cedere semplicemente all’istinto, non siamo animali (per quanto anche loro si accoppino in determinati periodi per raggiungere lo scopo della procreazione), la fede invece è proprio un atto che porta alla ragione, a ragionare e non semplicemente a dialogare…


Ci si strugge anno dopo anno sprecando parole, assordandoci con il tam-tam del dialogo senza giungere a nessuna conclusione, senza trovare quel Dio che si sta cercando e che abbiamo davanti a noi perché si rifiuta la fede della Chiesa in nome della propria, in nome del dialogo. E intanto le anime si dannano! Un cardinale di cotanto spessore avrebbe dovuto saperlo, celebrando la Messa, che quel Dio era lì a portata di mano, a portata di cuore e che forse proprio questa ossessione del dialogare e del parlare non ha fatto altro che allontanare.


Dice infatti Introvigne nel suo articolo: «Nel caso del cardinale Martini, non tanto progressismo ideologico o cattiva teologia, ma cattiva sociologia. (…) A patto di non seguire le cure che proponeva per la Chiesa, perché erano basate su una diagnosi sbagliata».


Più facile a dirsi che a farsi! Quando l’errore è seminato troverà sempre discepoli pronti a raccoglierne il succo, e ben sappiamo che l’unico antidoto sarebbe la condanna della Chiesa di questi errori, ma non lo farà perché oggi il dialogo con il suo linguaggio “conciliare” consente di convivere con l’errore. Sta a noi, al vero cattolico fare sano discernimento e rifugiarsi nella sicura dottrina dei Pontefici e della Tradizione della Chiesa, usando il dialogo per questo, non per allontanarsene.


Per Martini infatti la vera sfida del nostro tempo non è la conversione a Cristo, ma costruire ponti e dialogare, cercare all’infinito, l’importante è cercare.



IL TEOLOGO HA LA MISSIONE DI RICAPITOLARE IL “DEPOSITUM FIDEI”, NON DI RIFORMULARLO



Nel 2005 dopo l’elezione di Benedetto XVI, in un’intervista Martini si chiedeva: «Qual è il confine fra le esigenze della custodia del “depositum” e quelle dell’incoraggiamento e della promozione, finalizzata a rendere l’annuncio percepibile nei diversi orizzonti ermeneutici? Come aiutare i teologi senza dar loro l’impressione di sentirsi sotto tutela o censura?».


Così gli risponde Benedetto XVI nell’aprile 2009 [7] quando parla alla Pontificia Commissione Biblica:


«(…) occorre leggere la Scrittura nel contesto della tradizione vivente di tutta la Chiesa. Secondo un detto di Origene, “Sacra Scriptura principalius est in corde Ecclesiae quam in materialibus instrumentis scripta” ossia “la Sacra Scrittura è scritta nel cuore della Chiesa prima che su strumenti materiali”. Infatti la Chiesa porta nella sua Tradizione la memoria viva della Parola di Dio ed è lo Spirito Santo che le dona l’interpretazione di essa secondo il senso spirituale» E prosegue: «Essere fedeli alla Chiesa significa, infatti, collocarsi nella corrente della grande Tradizione sotto la guida del Magistero (…)». E conclude: «(…) tutto quello che concerne il modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la Parola di Dio».


E come risponde Benedetto XVI alla domanda di Martini su questo vittimismo dei poveri teologi censurati dalla matrigna Chiesa?


Risponde chiaramente nel dicembre del 2009 con queste chiare parole [8]: «Il vero teologo è colui che non cede alla tentazione di misurare con la propria intelligenza il mistero di Dio, spesso svuotando di senso la figura di Cristo, ma è colui che è cosciente della propria limitatezza, come lo furono molti grandi Santi riconosciuti anche come grandi maestri.. (…) E c’è l’altro modo di usare la ragione, di essere sapienti, quello dell’uomo che riconosce chi è; riconosce la propria misura e la grandezza di Dio, aprendosi nell’umiltà alla novità dell’agire di Dio. Così, proprio accettando la propria piccolezza, facendosi piccolo come realmente è, arriva alla verità». E come esempi cita diversi santi come la semplicità intellettuale di Santa Teresina del Bambin Gesù.


Ma Benedetto XVI affonderà ancora di più quel sale nell’insipida sapienza del mondo e dei sapienti, dei teologi e dei maestri superbi, facendo bruciare questa piaga infetta, dicendo loro nell’aprile 2010 [2]: «Il tempo moderno ha parlato della liberazione dell’uomo, della sua piena autonomia, quindi anche della liberazione dall’obbedienza a Dio. L’obbedienza non dovrebbe più esserci, l’uomo è libero, è autonomo: nient’altro. Ma questa autonomia è una menzogna: è una menzogna ontologica, perché l’uomo non esiste da se stesso e per se stesso, ed è anche una menzogna politica e pratica, perché la collaborazione, la condivisione della libertà è necessaria (…) se Dio non è un’istanza accessibile all’uomo, rimane come suprema istanza solo il consenso della maggioranza. Di conseguenza, il consenso della maggioranza diventa l’ultima parola alla quale dobbiamo obbedire. E questo consenso — lo sappiamo dalla storia del secolo scorso — può essere anche un “consenso nel male”».


Se si leggesse attentamente il Magistero di Benedetto XVI, non quello dei titoloni dei giornali e non solo quello del mercoledì o dell’Angelus, si scoprirebbe che questo davvero Magno Pontefice risponde ad ogni domanda di Martini.







   continua............
 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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