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Ultimo Aggiornamento: 14/10/2017 16:18
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san Pio X
Editae saepe Dei

Lettera Enciclica

Celebra la memoria e l'opera apostolica e dottrinale di San Carlo Borromeo.

 

Ciò che la parola divina ricorda più volte nelle Sacre Scritture, come il giusto vivrà in memoria eterna di lodi e che egli parla anche defunto (Psal. CXI, 7;Prov. X, 7; Hebr. XI, 4), si avvera sopra tutto per la voce e l'opera continua della Chiesa. Questa, infatti, quale madre e altrice di santità, ringiovanita sempre più feconda dal soffio "dello Spirito Santo, che inabita in noi" (Rom. VIII, 11), come è sola a generare, nutrire ed allevare nel suo seno la nobilissima figliolanza dei giusti, così è la più sollecita, quasi per istinto di amore materno, a conservarne la memoria e a ravvivarne l'amore. Da tale ricordanza ella riceve quasi un divino conforto, e ritrae lo sguardo dalle miserie di questo pellegrinaggio mortale, mentre già vede nei santi "la sua gioia e la sua corona", riconosce in essi la immagine sublime del suo Sposo Celeste, e inculca ai suoi figli con nuova testimonianza il detto antico: "Per quanti amano Dio, per quelli che secondo il proposito divino sono stati chiamati santi, le cose tutte si rivolgono in bene" (Rom. VIII, 28). Né le loro opere gloriose riescono solo di conforto alla memoria, ma di luce all'imitazione e di forte incitamento alla virtù per quella eco unanime dei santi che risponde alla voce di Paolo: "Siate miei imitatori, come io sono di Cristo" (I Cor. IV, 16).

Per queste ragioni, Venerabili Fratelli, mentre Noi, appena assunto il Sommo Pontificato, significavamo il proposito di adoperarCi costantemente perché "le cose tutte fossero restaurate in Cristo", con la prima Nostra Lettera Enciclica (Lett. Enc. "E supremi", del 4 ottobre 1903), Ci studiammo vivamente di fare che tutti rivolgessero con Noi i loro sguardi a Gesù, "apostolo e pontefice della nostra confessione, autore e consumatore della fede" (Hebr. III, 1; XII, 2-3). Ma poiché la Nostra debolezza è tanta e facilmente restiamo sbigottiti dalla grandezza di tanto esemplare, per benefizio della Provvidenza divina un altro modello Noi avemmo da proporre, che pur essendo prossimo a Cristo, quanto a natura umana è possibile, è meglio confacevole alla debolezza Nostra, cioè la Beatissima Vergine, Augusta Madre di Dio (Lett. Enc. "Ad diem illum", del 21 febbraio 1904). Infine, cogliendo varie occasioni di ravvivare la memoria dei santi, proponemmo alla comune ammirazione questi servi e dispensatori fedeli nella casa di Dio, e secondo il grado proprio di ciascuno, amici e domestici di Lui, come quelli che "per la fede vinsero i regni) operarono la giustizia, ottennero le promesse" (Hebr. XI, 13), affinché dai loro esempi spronati "non siamo più bambini vacillanti e trasportati da ogni vento dì dottrina per raggiri degli uomini, per astuzia usata a circonvenire nell'errore; ma seguitando la verità nella carità, andiamo crescendo per ogni parte in Lui, che è il capo, Cristo" (Eph. IV, 11 segg.).

Questo consiglio altissimo della Provvidenza divina mostrammo attuato in tre personaggi massimamente che quali grandi pastori e dottori fiorirono in età ben diverse ma quasi del pari calamitose per la Chiesa: Gregorio Magno, Giovanni Grisostomo e Anselmo di Aosta, dei quali occorsero in questi ultimi anni solenni feste centenarie. Così più specialmente nelle due Lettere Encicliche date il 12 marzo 1904 e il 21 aprile del 1909, spiegammo quei punti di dottrina e precetti di vita cristiana, quali ci parvero opportuni ai nostri giorni, che si raccolgono dagli esempi e dagli

insegnamenti dei santi.

E poiché Noi siamo persuasi che gli esempi illustri dei soldati di Cristo valgono assai meglio a scuotere gli animi e a trascinarli che non le parole o le altre trattazioni (Encicl. "E Supremi"), profittiamo ora volentieri di un'altra felice opportunità che Ci si porge, per commendare gli altissimi documenti di un altro santo Pastore, suscitato da Dio in tempi più vicini quasi in mezzo alle medesime tempeste, Cardinale della Santa Romana Chiesa e Arcivescovo di Milano, da Paolo V di santa memoria ascritto nel novero dei santi, Carlo Borromeo. E non meno a proposito; poiché - per usare le parole dello stesso Nostro Antecessore - "Il Signore che fa meraviglie grandi Egli solo, ha operato con noi cose magnifiche in questi ultimi tempi, e con opera mirabile della sua dispensazione ha eretto sopra la rocca dell'Apostolica pietra un grande luminare, eleggendo dal seno della sacrosanta Romana Chiesa, Carlo sacerdote fedele, servo buono, modello del gregge e modello dei pastori. Egli infatti, con molteplice fulgore di opere sante illustrando la Chiesa tutta, brilla innanzi ai sacerdoti ed al popolo, quale un Abele per l'innocenza, un Enoch per la purezza, un Giacobbe per la sofferenza delle fatiche, un Mosè per la mansuetudine, un Elia per lo zelo ardente. Egli in sé mostra da imitare, fra l'abbondanza delle delizie, l'austerità di Girolamo, nei gradi più alti l'umiltà di Martino, la sollecitudine pastorale di Gregorio, la libertà di Ambrogio, la carità di Paolino, e finalmente ci dà a vedere con gli occhi nostri, a toccare con le nostre mani, un uomo che, mentre il mondo gli sorride con le maggiori blandizie, vive crocifisso al mondo, vive nello spirito calpestando le cose terrene, cercando continuamente le Celesti, né solo per officio sostituito in luogo di Angelo, ma emulo in terra nei pensieri e nelle opere della vita degli Angeli" (Bolla "Unigenitus", novembre del 1610).

Così il Nostro Antecessore, trascorsi i cinque lustri dalla morte di Carlo. E ora, trascorsi tre secoli dalla glorificazione a lui decretata "meritamente é pieno il Nostro labbro di gaudio e la Nostra lingua di esultanza nell'insigne giorno della Nostra solennità, quando col decretare i sacri onori a Carlo prete Cardinale della Santa Romana Chiesa, alla quale Noi per disposizione del Signore presiediamo, fu aggiunta una corona ricca di ogni pietra preziosa all'unica Sua sposa". Così Noi abbiamo comune col Nostro Antecessore la confidenza, che dalla contemplazione della gloria, ma più ancora dagli insegnamenti e dagli esempi del Santo, si possa veder umiliata la protervia degli empi e confusi tutti quelli che "si gloriano dei simulacri degli errori"(dalla Bolla "Unigenitus"). Quindi la rinnovata glorificazione di Carlo modello del gregge e dei pastori nei tempi moderni, propugnatore e consigliere indefesso della verace riforma cattolica contro quei novatori recenti, il cui intento non era la reintegrazione, ma piuttosto la deformazione e distruzione della fede e dei costumi, riuscirà dopo tre secoli per tutti i cattolici di singolare conforto ed istruzione, come di nobile incitamento a tutti per cooperare strenuamente all'opera che tanto Ci sta a cuore della restaurazione di tutte le cose in Cristo.

Certamente è a voi ben noto, Venerabili Fratelli, come la Chiesa, quantunque tribolata continuamente, non è mai lasciata da Dio priva di ogni consolazione. Poiché Cristo "l'amò e dette se stesso per lei, alfine di santificarla e farsela comparire innanzi gloriosa, senza macchia, né ruga, né altra cosa tale, ma perché sia santa e immacolata" (Eph. V, 25 e segg.). Anzi, quando più sbrigliata la licenza dei costumi, più feroce l'impeto della persecuzione, più astute le insidie dell'errore sembrano minacciare a lei rovina estrema, fino a strapparle dal seno non pochi dei suoi figliuoli, per travolgerli nel vortice dell'empietà e dei vizi, allora la Chiesa sperimenta più efficace la protezione divina. Perocché Iddio fa che l'errore stesso, vogliano o no i malvagi, serva al trionfo della verità, di cui la Chiesa è vigile custode; la corruzione serva all'incremento della santità, di cui essa è attrice e maestra; la persecuzione ad una più mirabile "liberazione dai nostri nemici". Così avviene che quando la Chiesa appare agli occhi profani sbattuta da più fiera tempesta e quasi sommersa, allora n'esca più bella, più vigorosa, più pura, rifulgendo nello splendore delle maggiori virtù.

In questo modo la somma benignità di Dio viene confermando con nuovi argomenti, che la Chiesa è opera divina; sia perché nella prova più dolorosa, quella degli errori e delle colpe che s'infiltrano nelle stesse sue membra, le fa superare il cimento; sia perché le mostra attuato il detto di Cristo: "Le porte dell'inferno non prevarranno contro di lei" (Matth. XVI, 18); sia perché comprova di fatto la promessa: "Ecco io sarò con voi tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli" (Matth. XXVIII, 20); sia infine perché testimonia di quella misteriosa virtù per cui un altro Paraclito, promessole da Cristo nel suo sollecito ritorno al Cielo, continuamente in lei effonde i suoi doni e la difende e la consola in ogni tribolazione: "spirito che rimane con lei in eterno; spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede, né lo conosce, perché egli dimorerà fra voi e sarà con voi" (Ioan. XIV, 16 e segg., 29, 59; XVI, 7 e segg.). Da questa fonte sgorga la vita e il nerbo della vita; e da questa pure il distinguersi da ogni altra società, come insegna il Concilio Ecumenico Vaticano, per le note manifeste, ond'è segnalata e costituita "quasi un vessillo sollevato fra le nazioni" (Sess. III, Const. Dei Filius, cap. 3).

E infatti, solo per un miracolo della potenza divina può succedere che tra l'inondare della corruzione e la frequente deficenza delle membra la Chiesa, in quanto è il Corpo mistico di Cristo, si mantenga indefettibile nella santità della dottrina, delle leggi, del suo fine; dalle cause stesse tragga del pari fruttuosi effetti; dalla fede e dalla giustizia di molti suoi figliuoli raccolga frutti copiosissimi di salute. Né meno chiaro apparisce il sigillo della sua vita divina in ciò che fra tanta e cosi turpe colluvie di perverse opinioni, fra cosi grande numero di ribelli, fra il tanto multiforme variare degli errori, essa persevera immutabile e costante, quale colonna e sostegno della verità, nella professione di una stessa dottrina, nella comunione degli stessi Sacramenti, nella sua divina costituzione, nel governo, nella morale. E ciò tanto più è mirabile, perché ella non solamente resiste al male, ma vince il male col bene, e mai resta dal benedire e agli amici e ai nemici, mentre tutta si affatica ed anela a operare la rinnovazione cristiana della società non meno che dei singoli individui. Poiché questa è la sua missione propria nel mondo, e di questa gli stessi suoi nemici sentono i benefizi.

Un tale mirabile influsso della Provvidenza divina nell'opera ristauratrice promossa dalla Chiesa appare splendidamente in quel secolo che vide sorgere a conforto dei buoni San Carlo Borromeo. Allora, spadroneggiando le passioni, travisata quasi del tutto e oscurata la cognizione della verità, eravi lotta continua con gli errori, e l'umana società, precipitando al peggio, sembrava correre all'abisso. Fra questi mali insorgevano uomini orgogliosi e ribelli, "nemici della Croce di Cristo...", uomini di "sentimenti terreni, il Dio dei quali é il ventre " (Phil. III, 18, 19). Costoro, applicandosi non a correggere i costumi, ma a negare i dogmi, moltiplicavano i disordini, allargavano a sé ed agli altri il freno della licenza, o certo sprezzando la guida autorevole della Chiesa, a seconda delle passioni dei prìncipi o dei popoli più corrotti, con una quasi tirannide ne rovesciavano la dottrina, la costituzione, la disciplina. Indi, imitando quegli iniqui, a cui è rivolta la minaccia: "Guai a voi che chiamate male il bene e bene il male!" (Is. V, 20), quel tumulto di ribellione, quella perversione di fede e di costumi chiamarono riforma e se stessi riformatori. Ma, in verità, essi furono corrompitori, sicché, snervando con dissensioni e guerre le forze dell'Europa, prepararono le ribellioni e l'apostasia dei tempi moderni, nei quali si rinnovarono insieme in un impeto solo quei tre generi di lotta, prima disgiunti, da cui la Chiesa era sempre uscita vincitrice: le lotte cruente della prima età, indi la peste domestica delle eresie; infine sotto il nome di libertà evangelica, quella corruzione di vizi e perversione della disciplina, a cui forse non era giunta l'età medioevale.

A questa turba di seduttori Iddio oppose veraci riformatori e uomini santi, sia per arrestare quella corrente impetuosa ed estinguere quel bollore, sia per riparare ai danni già recati. Quindi l'opera loro assidua e molteplice nella riforma della disciplina fu di tanto maggiore conforto alla Chiesa quanto più grave era la tribolazione che l'angustiava e comprovò il detto: "Fedele è Iddio, che... darà con la tentazione il vantaggio" (I Cor. X, 13). In si fatte circostanze veniva ad accrescere consolazione alla Chiesa, per disposizione provvidenziale, l'operosità e la santità singolare di Carlo Borromeo.

Senonché il ministero di lui, cosi disponendo Iddio, ebbe una forza ed efficacia tutta propria, né solo per fiaccare l'audacia dei faziosi, ma per ammaestrare ed infervorare i figliuoli della Chiesa. Di quelli, infatti, egli reprimeva i folli ardimenti e confutava le futili accuse, con l'eloquenza più potente, con l'esempio della sua vita e della sua operosità; di questi rialzava le speranze e ravvivava l'ardore. E fu certo cosa mirabile come egli accolse in sé riunite fino dalla sua giovinezza tutte quelle doti di un verace riformatore, che in altri vediamo disperse e distinte: virtù, senno, dottrina, autorità, potenza, alacrità; e tutte le fece servire unitamente alla difesa commessagli della verità cattolica contro le invadenti eresie, com'era pur la missione propria della Chiesa, risvegliando la fede sopita in molti e quasi estinta, corroborandola con provvide leggi ed istituzioni, rialzando la caduta disciplina e riconducendo strenuamente i costumi del clero e del popolo ad un tenore di vita cristiana. Così mentre adempie le parti tutte del riformatore, non meno adempie per tempo a tutti gli uffici del "servo buono e fedele", e più tardi quelle del sacerdote grande, che "piacque a Dio nei giorni suoi e fu trovato giusto"degno perciò di prendersi ad esempio da tutte le classi di persone, sia del clero o dei laici, siano ricchi o poveri; come quegli la cui eccellenza va compendiata in quella lode propria del Vescovo e del prelato, per la quale ubbidendo ai detti dell'Apostolo Pietro, egli si era "fatto di cuore modello del gregge" (I Petr. V,3). Né di minore ammirazione è il fatto che Carlo, non ancora compiuti i suoi 23 anni di età 1, benché sollevato a sommi onori, e messo a parte di negozi grandi e difficilissimi della Chiesa, veniva ogni di meglio avanzandosi nell'esercizio più perfetto della virtù, mediante quella contemplazione delle cose divine, che nel sacro ritiro già l'aveva rinnovato, e risplendeva "spettacolo al mondo, agli angeli ed agli uomini".

Allora veramente, per usare le parole del già ricordato Nostro Antecessore Paolo V, cominciò il Signore a mostrare in Carlo le "sue meraviglie"sapienza, giustizia, zelo ardentissimo in promuovere la gloria di Dio e del nome cattolico, e cura sopra tutto per quella opera di ristaurazione della fede e della Chiesa universale che si agitava nell'augusto Consesso Tridentino. Della celebrazione di questo Concilio gli dà merito lo stesso Pontefice e la posterità tutta, in quanto egli, prima di esserne l'esecutore più fedele, ne fu il più efficace sostenitore. Né certo, senza molte sue veglie, stenti e fatiche, ebbe quell'opera il suo ultimo compimento.

Eppure queste cose tutte non erano altro che una preparazione e un tirocinio di vita, nel quale educavasi il cuore con la pietà, la mente collo studio, il corpo colla fatica, serbandosi quel modesto e umile giovane quale argilla nelle mani di Dio e del suo Vicario in terra. E una tale vita di preparazione appunto era quella che disprezzavano allora i fautori di novità, per la stoltezza medesima onde la disprezzano i moderni, non avvertendo che le opere meravigliose di Dio si maturano nell'ombra e nel silenzio dell'anima dedita all'ubbidienza ed alla preghiera, e che in questa preparazione sta come il germe del futuro progresso, come nella seminagione la speranza della raccolta.

La santità, nondimeno, e l'operosità di Carlo, che si preparava allora con si splendidi auspici, si svolse poi e diede frutti prodigiosi, come accennammo sopra, quando egli "da buon operaio, lasciata la splendidezza e la maestà di Roma, si ritirò nel campo che aveva preso a coltivare (Milano), e adempiendovi ogni giorno meglio le sue parti, ricondusse quel campo, per la tristizia dei tempi già bruttamente guasto da sterpi e inselvatichito, a tale splendore che fece della Chiesa di Milano un chiarissimo esemplare di ecclesiastica disciplina" (Bolla "Unigenitus").

Tanti e così preclari effetti egli ottenne conformando la sua opera di riforma alle norme proposte poco avanti dal Concilio Tridentino.

   continua.....




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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