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Ultimo Aggiornamento: 14/10/2017 16:18
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14/10/2017 16:17
 
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Lettera


Notre charge apostolique


La concezione secolarizzata della democrazia
Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi

[1] La nostra carica apostolica ci rende doveroso vigilare sulla purezza della fede e sull'integrità della disciplina cattolica, preservare i fedeli dai pericoli dell'errore e del male, soprattutto quando l'errore e il male sono loro presentati con un linguaggio trascinante, che velando l'incertezza delle idee e l'equivocità dell'espressione con l'ardore del sentimento e con l'altisonanza delle parole, può infiammare i cuori per cause seducenti, ma funeste. Tali sono state un tempo le dottrine dei sedicenti filosofi del secolo diciottesimo, quelle della Rivoluzione e del liberalismo, tante volte condannate; tali sono, ancor oggi, le teorie del Sillon, che, sotto le loro apparenze brillanti e generose, mancano troppo spesso di chiarezza, di logica e di verità, e, da questo punto di vista, non derivano dal genio cattolico e francese.

[2] Abbiamo lungamente esitato, Venerabili Fratelli, a dire pubblicamente e in forma solenne il nostro pensiero sul Sillon. Per deciderci a farlo è stato necessario che le vostre preoccupazioni venissero ad aggiungersi alle nostre. Infatti amiamo la valorosa gioventù schierata sotto la bandiera del Sillon, e la riteniamo degna di elogio e di ammirazione sotto molti aspetti. Amiamo i suoi capi, nei quali abbiamo il piacere di riconoscere anime elevate, superiori alle passioni volgari e animate del più nobile entusiasmo per il bene. Li avete visti, Venerabili Fratelli, pervasi da un sentimento vivissimo di umana fraternità, presentarsi davanti a quanti lavorano e soffrono per sollevarli, sostenuti nella loro dedizione dall'amore per Gesù Cristo e dalla pratica esemplare della religione.

[3] Era l'indomani della memorabile Enciclica del nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, sulla condizione degli operai. La Chiesa, per bocca del suo capo supremo, aveva riservato sugli umili e sui piccoli tutte le tenerezze del suo cuore materno, e sembrava invocare paladini sempre più numerosi della restaurazione dell'ordine e della giustizia nella nostra turbata società. I fondatori del Sillon non venivano, al momento opportuno, a mettere al suo servizio truppe giovani e credenti, per la realizzazione dei suoi desideri e delle sue speranze? E, di fatto, il Sillon innalzò in mezzo alle classi operaie lo stendardo di Gesù Cristo, il segno della salvezza per gli individui e per le nazioni, alimentando la sua attività sociale alle sorgenti della grazia, imponendo il rispetto della religione agli ambienti meno favorevoli, abituando gli ignoranti e gli empi a sentir parlare di Dio, e spesso sorgendo, nel corso di pubblici contraddittori, di fronte a un pubblico ostile, sollecitato da una domanda o da una espressione sarcastica, per gridare ad alta voce e con fierezza la propria fede. Erano i tempi belli del Sillon; è il suo lato bello, che spiega gli incoraggiamenti e le approvazioni che non hanno risparmiato a esso l'episcopato e la Santa Sede, fino a quando questo fervore religioso ha potuto velare il vero carattere del movimento del Sillon.

[4] Perché, bisogna dirlo, Venerabili Fratelli, le nostre speranze sono state, in gran parte, ingannate. Venne il giorno in cui il Sillon mise in evidenza, per occhi chiaroveggenti, tendenze inquietanti. Il Sillon usciva di strada. Sarebbe potuto capitare diversamente? I suoi fondatori, giovani, entusiasti e pieni di fiducia in sé stessi, non erano sufficientemente dotati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali verso i quali erano attirati dalla loro attività e dal loro cuore, e per mettersi in guardia, sul terreno della dottrina e dell'ubbidienza, contro le infiltrazioni liberali e protestanti.

[5] I consigli non sono loro mancati; dopo i consigli sono venuti gli ammonimenti; ma abbiamo avuto il dolore di vedere sia gli avvertimenti che i rimproveri scivolare sulle loro anime sfuggenti e restare senza esito. Le cose sono giunte a un punto tale, che tradiremmo il nostro dovere, se mantenessimo più a lungo il silenzio. Dobbiamo la verità ai nostri cari figli del Sillon, che un ardore generoso ha condotto su una via tanto falsa quanto pericolosa. La dobbiamo a un gran numero di seminaristi e di sacerdoti, che il Sillon ha sottratto, se non all'autorità, almeno alla direzione e all'influenza dei loro vescovi; la dobbiamo infine alla Chiesa, dove il Sillon semina la divisione e di cui compromette gli interessi.

[I. Presa di posizione sulla dottrina del movimento del Sillon]

[ Impossibilità di un'azione sociale senza dottrina, quindi necessità della subordinazione all'insegnamento della Chiesa ]

[6] In primo luogo, conviene rilevare con rigore la pretesa del Sillon di sfuggire alla direzione dell'autorità ecclesiastica. Infatti, i capi del Sillon sostengono di muoversi su un terreno, che non è quello della Chiesa; di occuparsi soltanto degli interessi dell'ordine temporale e non di quelli dell'ordine spirituale; che il collaboratore del Sillon è solo e semplicemente un cattolico votato alla causa delle classi lavoratrici, alle opere democratiche, e che attinge, nelle pratiche della fede, l'energia della sua dedizione; che, né più né meno degli artigiani, dei contadini, degli economisti e dei politici cattolici, si trova sottoposto alle regole della morale comuni a tutti, senza dipendere in un modo speciale, né più né meno di loro, dall'autorità ecclesiastica.

[7] La risposta a questi sotterfugi è fin troppo facile. Infatti, a chi si farà credere che i membri cattolici del Sillon, che i sacerdoti e i seminaristi arruolati nei loro ranghi, mirino, nella loro attività sociale, solo agli interessi temporali delle classi operaie? Pensiamo che il sostenerlo sarebbe far loro un torto. In verità, i capi del Sillon si proclamano idealisti irriducibili, pretendono di sollevare le classi lavoratrici, sollevando in primo luogo l'umana coscienza, di avere una dottrina sociale e princìpi filosofici e religiosi per ricostruire la società su un piano nuovo, di avere una speciale concezione della dignità umana, della libertà, della giustizia e della fraternità, e, per giustificare i loro sogni sociali, si richiamano al Vangelo interpretato a modo loro, e, fatto ancor più grave, a un Cristo sfigurato e sminuito. Inoltre insegnano queste idee nei loro circoli di studio, le inculcano ai loro compagni; le mettono in pratica nelle loro opere. Sono dunque veramente professori di morale sociale, civica e religiosa; e, qualsiasi modifica possano introdurre nell'organizzazione del loro movimento, abbiamo il diritto di dire che il fine del Sillon, il suo carattere, la sua azione, sfociano nel campo morale, che è il campo proprio della Chiesa, e che, di conseguenza, i membri del Sillon si illudono quando credono di muoversi su di un terreno, ai confini del quale cessano i diritti del potere dottrinale e direttivo dell'autorità ecclesiastica.

[8] Se le loro dottrine fossero esenti da errore, sarebbe già stata una mancanza gravissima alla disciplina cattolica il sottrarsi ostinatamente alla direzione di quanti hanno ricevuto dal Cielo la missione di guidare gli individui e le società sulla retta via della verità e del bene. Ma il male è più profondo, lo abbiamo già detto: il Sillon, travolto da un malinteso amore dei deboli, è scivolato nell'errore.

[9] Effettivamente il Sillon si propone di risollevare e di rigenerare le classi operaie. Orbene, in questa materia, i princìpi della dottrina cattolica sono fissati, e la storia della civiltà cristiana sta ad attestarne la benefica fecondità. Il nostro predecessore, di felice memoria, li ha richiamati in pagine magistrali, che i cattolici che si occupano di problemi sociali devono studiare e aver sempre presenti. Egli ha insegnato, in modo particolare, che la democrazia cristiana deve "mantenere la diversità delle classi, che è certamente la condizione propria della città bene ordinata, e volere per la società umana la forma e il carattere che Dio, suo autore, ha impresso in essa(1). Egli ha condannato "una certa democrazia che giunge fino a un tal grado di perversità da attribuire al popolo la sovranità nella società e da perseguire la soppressione e il livellamento delle classi(2). Nello stesso tempo, Leone XIII imponeva ai cattolici un programma di azione, il solo capace di ricondurre e di mantenere la società sulle sue secolari basi cristiane. Ora, che cos'hanno fatto i capi del Sillon? Non hanno soltanto adottato un programma e un insegnamento diversi da quelli di Leone XIII (il che sarebbe già di per sé singolarmente temerario da parte di laici, che così si pongono come direttori dell'attività sociale della Chiesa, in concorrenza con il Sommo Pontefice); ma hanno apertamente rigettato il programma tracciato da Leone XIII e ne hanno adottato uno diametralmente opposto; inoltre, respingono la dottrina sui princìpi essenziali della società, richiamata da Leone XIII, situano l'autorità nel popolo oppure quasi la sopprimono e assumono come ideale da realizzare il livellamento delle classi. Vanno dunque in senso contrario rispetto alla dottrina cattolica, nella direzione di un ideale condannato.

[10] Sappiamo bene che si vantano di rialzare la dignità umana e la condizione troppo disprezzata delle classi lavoratrici, di rendere giuste e perfette le leggi sul lavoro e le relazioni fra il capitale e i salariati, insomma di far regnare sulla terra una migliore giustizia e una maggiore carità e, per mezzo di movimenti sociali profondi e fecondi, di promuovere nell'umanità un progresso inatteso. Da parte nostra non biasimiamo certamente questi sforzi, che sarebbero eccellenti da ogni punto di vista, se i membri del Sillon non dimenticassero che il progresso di un essere consiste nel rafforzare le proprie facoltà naturali con nuove energie e nel facilitare il gioco della loro attività nel quadro e conformemente alle leggi della sua costituzione, e che, per contro, ferendo i suoi organi essenziali, spezzando il quadro della loro attività, non si spinge l'essere verso il progresso, ma verso la morte. Tuttavia è proprio questo che vogliono fare della società umana; il loro sogno consiste nel cambiare le sue basi naturali e tradizionali, e nel promettere una città futura edificata su altri princìpi, che osano dichiarare più fecondi, più benefici dei princìpi sui quali si basa la città cristiana attuale.

[11] No, Venerabili Fratelli - bisogna ricordarlo energicamente in questi tempi di anarchia sociale e intellettuale, in cui ciascuno si atteggia a dottore e legislatore -, non si costruirà la città diversamente da come Dio l'ha costruita; non si edificherà la società, se la Chiesa non ne getta le basi e non ne dirige i lavori; no, la civiltà non è più da inventare, né la città nuova da costruire sulle nuvole. Essa è esistita, essa esiste; è la civiltà cristiana, è la civiltà cattolica. Si tratta unicamente d'instaurarla e di restaurarla senza sosta sui suoi fondamenti naturali e divini contro gli attacchi sempre rinascenti della malsana utopia, della rivolta e dell'empietà: "omnia instaurare in Christo(3).

[12] E perché non ci si accusi di giudicare troppo sommariamente e con un rigore non giustificato le teorie sociali del Sillon, vogliamo richiamarne i punti essenziali.

[La rappresentazione utopistica della democratizzazione dell'ordine politico, economico e morale]

[13] Il Sillon ha la nobile preoccupazione per la dignità umana. Tuttavia questa dignità l'intende come certi filosofi di cui la Chiesa è ben lungi dal doversi vantare. Il primo elemento di questa dignità è la libertà, intesa nel senso che, salvo in materia di religione, ogni uomo è autonomo. Da questo principio fondamentale trae le seguenti conclusioni: Oggi il popolo è sotto la tutela di un'autorità da esso distinta; deve liberarsene: emancipazione politica. E' sotto la dipendenza di padroni, che, possedendo i suoi strumenti di lavoro, lo sfruttano, lo opprimono, e lo abbassano; deve scuotere il loro giogo: emancipazione economica. Infine, è dominato da una casta detta dirigente, alla quale il suo sviluppo intellettuale assicura una preponderanza indebita nella direzione degli affari; deve sottrarsi al suo dominio: emancipazione intellettuale. Il livellamento delle condizioni da questo triplice punto di vista stabilirà fra gli uomini l'uguaglianza, e questa uguaglianza è la vera giustizia umana. Un'organizzazione politica e sociale fondata su questa duplice base, la libertà e l'uguaglianza (alle quali presto verrà ad aggiungersi la fraternità) è quanto chiamano Democrazia.

[14] Tuttavia, la libertà e l'uguaglianza ne costituiscono solo il lato, per così dire, negativo. Quanto fa propriamente e positivamente la Democrazia è la maggiore partecipazione possibile di ciascuno al governo della cosa pubblica. E questo comprende un triplice elemento, politico, economico e morale.

[15] In primo luogo, in politica, il Sillon non abolisce l'autorità; al contrario, la giudica necessaria; ma vuole suddividerla, o, per meglio dire, moltiplicarla in modo tale che ogni cittadino divenga una specie di re. E' vero che l'autorità deriva da Dio, ma risiede primariamente nel popolo e ne emana attraverso l'elezione o, meglio ancora, la selezione, senza per questo lasciare il popolo e diventare indipendente da esso; sarà esteriore, ma soltanto in apparenza; in realtà sarà interiore, perché si tratterà di un'autorità consentita.

[16] Conservate le proporzioni, sarà lo stesso nell'ordine economico. Sottratto a una classe particolare, il padronato sarà tanto ben moltiplicato, che ogni operaio diventerà una specie di padrone. La forma chiamata a realizzare questo ideale economico non è, si afferma, quella del socialismo; si tratta di un sistema di cooperative sufficientemente moltiplicate da provocare una concorrenza feconda e da salvaguardare l'indipendenza degli operai, che non saranno incatenati a nessuna di esse.

[17] vediamo adesso l'elemento capitale, l'elemento morale. Dal momento che, come si è visto, l'autorità è ridottissima, occorre un'altra forza per supplirla e per opporre una reazione duratura all'egoismo individuale. Questo nuovo principio, questa forza, è l'amore dell'interesse professionale e dell'interesse pubblico, cioè del fine stesso della professione e della società. Immaginate una società in cui, nell'anima di ciascuno, insieme all'amore innato del bene individuale e di quello familiare, regnasse l'amore del bene professionale e del bene pubblico; dove, nella coscienza di ciascuno, questi amori si subordinassero in modo tale che il bene superiore primeggiasse sempre sul bene inferiore; una tale società non potrebbe quasi fare a meno dell'autorità, e non offrirebbe l'ideale della dignità umana, avendo ogni cittadino un'anima da re, e ogni operaio un'anima da padrone? Il cuore umano, sottratto alla stretta dei suoi interessi privati ed elevato fino agli interessi della sua professione e, più in alto, fino a quelli dell'intera nazione, e, più in alto ancora, fino a quelli dell'umanità (infatti l'orizzonte del Sillon non si ferma alle frontiere della patria, si estende a tutti gli uomini fino ai confini del mondo), allargato dall'amore per il bene comune, abbraccerebbe tutti i compagni della stessa professione, tutti i compatrioti, tutti gli uomini. Ecco quindi la grandezza e l'ideale nobiltà umana realizzate dalla celebre trilogia: Libertà, Uguaglianza, Fraternità.

[18] Orbene, questi tre elementi, politico, economico e morale, sono l'uno subordinato all'altro, e il principale, l'abbiamo detto, è l'elemento morale. Infatti, nessuna democrazia politica è realizzabile se non ha punti d'attacco profondi nella democrazia economica. A loro volta, né l'una né l'altra sono possibili se non si radicano in uno stato d'animo in cui la coscienza si trova investita di responsabilità e di energie morali proporzionate. Ma, supposto che questo stato d'animo sia costituito di responsabilità cosciente e di forze morali , la democrazia economica ne deriverà naturalmente con la traduzione in atti di questa coscienza e di queste energie; ugualmente, e con lo stesso sistema, dal regime corporativo uscirà la democrazia politica; e la democrazia politica ed economica, questa sostenendo l'altra, si troveranno fissate nella coscienza stessa del popolo su posizioni inattaccabili.

[19] Questa è, in sintesi, la teoria, si potrebbe dire il sogno, del Sillon, e a questo tende il suo insegnamento e quanto esso chiama l'educazione democratica del popolo, cioè il portare al grado massimo la coscienza e la responsabilità civica di ciascuno, da cui deriverà la democrazia economica e politica, e il regno della giustizia, della libertà, dell'uguaglianza e della fraternità.

[20] Questa rapida esposizione, Venerabili Fratelli, vi mostra già con chiarezza quanto avessimo ragione dicendo che il Sillon oppone dottrina a dottrina, edifica la sua città su una teoria contraria alla verità cattolica e falsifica le nozioni essenziali e fondamentali che regolino i rapporti sociali in ogni società umana. Questa opposizione diventerà ancora più evidente sulla base delle considerazioni seguenti.


[L'autorità politica non è delegata dal popolo]

[21] Il Sillon situa in primo luogo la pubblica autorità nel popolo, da cui passa poi ai governanti, ma in modo tale che continua a risiedere in esso. Orbene, Leone XIII ha formalmente condannato questa dottrina nella sua Enciclica Diuturnum illud sul Principato politico, in cui dice "Un gran numero di moderni, seguendo le orme di quanti, nel secolo scorso, si diedero il nome di filosofi, dichiarano che ogni potere deriva dal popolo; di conseguenza, quanti esercitano il potere nella società, non lo esercitano come di loro propria autorità, ma come un'autorità a essi delegata dal popolo e a condizione di poter essere revocata dalla volontà del popolo, da cui l'hanno. Del tutto opposta è la convinzione dei cattolici, che fanno derivare da Dio, come dal suo principio naturale e necessario, il diritto di comandare(4). Indubbiamente il Sillon fa discendere da Dio questa autorità che situa anzitutto nel popolo, ma in modo tale che "essa risale dal basso per andare in alto, mentre, nell'organizzazione della Chiesa, il potere discende dall'alto per diffondersi in basso(5). Tuttavia, oltre il fatto che è cosa anormale che il mandato salga, perché è per sua natura discendente, Leone XIII ha confutato previamente questo tentativo di conciliare la dottrina cattolica con l'errore del filosofismo. Infatti, prosegue: "È importante sottolinearlo qui; quanti presiedono al governo della cosa pubblica possono certamente, in determinati casi, essere eletti dalla volontà e dal giudizio della moltitudine , senza che ciò ripugni o si opponga alla dottrina cattolica. Tuttavia, se questa scelta designa il governante, non gli conferisce l'autorità di governare; non delega il potere, ma designa la persona che ne sarà investita(6).

[22] D'altronde, se il popolo resta detentore del potere, che cosa diventa l'autorità? Un'ombra, un mito; non vi è più legge propriamente detta e non vi è più ubbidienza. Il Sillon lo ha riconosciuto; infatti, poiché pretende, in nome della dignità umana, la triplice emancipazione politica, economica e intellettuale, la città futura per cui esso lavora non avrà più né padroni né servitori; i suoi cittadini saranno tutti liberi, tutti compagni, tutti re. Un ordine, un precetto, sarebbe un attentato alla libertà; la subordinazione a una qualsiasi superiorità sarebbe una diminuzione dell'uomo, l'ubbidienza uno svilimento. La dottrina tradizionale della Chiesa, Venerabili Fratelli, ci presenta così le relazioni sociali nella città, anche la più perfetta possibile? Ogni società di creature indipendenti e disuguali per natura non ha forse bisogno di un'autorità che diriga la loro attività verso il bene comune e che imponga la sua legge? E, se nella società si trovano esseri perversi (e ve ne saranno sempre), l'autorità non dovrà essere tanto più forte quanto più minaccioso sarà l'egoismo dei cattivi? Inoltre, si può dire che un'ombra di ragione che vi è incompatibilità fra l'autorità e la libertà, a meno d'ingannarsi pesantemente sul concetto di libertà? Si può insegnare che l'ubbidienza è contraria alla dignità umana e che l'ideale consisterebbe nel sostituirla con "l'autorità consentita"? Forse l'apostolo San Paolo non aveva presente la società umana in tutte le sue possibili tappe, quando prescriveva ai fedeli di essere sottomessi ad ogni autorità? Forse l'ubbidienza agli uomini in quanto legittimi rappresentanti di Dio, cioè, in fin dei conti, l'ubbidienza a Dio abbassa l'uomo, e lo degrada al di sotto di sé stesso? Forse lo stato religioso fondato sull'ubbidienza sarebbe contrario all'ideale della natura umana? Forse i Santi, che sono stati gli uomini più ubbidienti, erano schiavi e degenerati? Infine, forse si può immaginare uno stato sociale in cui Gesù Cristo, tornato sulla terra, non darebbe più l'esempio dell'ubbidienza e non direbbe più: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio"? (7).



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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