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CLERICALI FALSI E ANTICLERICALI VERI

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2014 08:55
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14/04/2014 20:56
 
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Riportiamo alcuni brani liberamente tratti da un libro del quale consigliamo la lettura integrale (1)

 

Cos’è dunque questo clericalismo che affligge la Chiesa? In tanti si sono cimentati a trovare il significato più profondo di questa parola. Facciamo nostra la definizione di Paolo Gulisano (da “Tempi”, n. 40, 1999):

“Il clericalismo è una sorta di vizio che può prendere i cristiani, sia preti che laici, per cui alla sostanza della fede, cioè l’adesione a Cristo, viene sostituita la forma, e lo stesso  cristianesimo  non  diventa  che  un  mezzo  per  raggiungere  fini  differenti  da  quelli  indicati  dal  Vangelo.  Il clericale  non  si  avvale  dell’autorevolezza  della  Fede,  ma dell’autoritarismo derivante dalla propria posizione e dal proprio  ruolo  nella  società  ecclesiale.  Il  clericale  non  è colui che pensa che l’istituzione è necessaria, ha osservato Giacomo Noventa, ma colui che pensa che è sufficiente. Inoltre il clericalismo avverte come insufficiente il solo cristianesimo per i propri progetti e finisce per coniugarsi  con  le  ideologie  in  auge,  motivando  questa  scelta con una machiavellica giustificazione dei propri fini”. 

 

Intanto, allora, clericalismo non è sinonimo di appartenenza al clero. Ci sono preti non clericali e laici clericalissimi.

“Prete clericale non significa niente” dice don Camillo.

“Significa  qualcosa  invece”  risponde  Peppone.  “Voi per esempio siete un prete, sì, ma non siete un prete clericale”.

Guareschi l’aveva ben capito. Infatti alcuni degli anticlericali  più  accesi  della  storia  erano  sacerdoti,  o  anche vescovi.

Potremmo  definire  ancora  il  clericalismo  quella  tendenza a teorizzare e proiettare sul mondo una realtà fatta a misura di prete. E ancora, è il pensiero che i preti per il solo fatto di essere tali siano già salvi, e possano quindi fare ciò che vogliono. È una tendenza a mettere al centro dell’universo  l’esser  preti,  e  a  far  ruotare  intorno  a  ciò tutto il resto. È un’idolatria della Chiesa-struttura, di cui il prete, in quanto appartenente al clero, è parte adorata.

E tutto questo investe le piccole cose, come tener chiuse le  chiese  quando  le  persone  normali  escono  dal  lavoro, così  come  quelle  grandi,  come  il  voler  imporre  incomprensibili linguaggi clericali al mondo.

 

Con alcuni punti fermi.

 

Punto primo: quando si ha a che fare con dei preti, se sono clericali hanno sempre una concezione della verità  mediata  da  processi  mentali  di  matrice  pontificia  o veterogesuitica:  prima  della  verità  viene  la  prudenza,  la cautela, la circospezione, con la conseguenza che non si sa  mai  quale  sia  la  verità.  Qual  è  la  verità?  Quella  mormorata al buio o quella taciuta alla luce?

Esempio: c’era un sacerdote, rettore di un seminario, che appariva a tutti un esempio di virtù insieme umana e sacerdotale, e che aveva un grande seguito di gente. Un bel giorno si seppe che se n’era andato in Svizzera. Tutti provarono a cercar di capire perché. Passò qualche mese dalla  sua  dipartita,  e  il  sagrestano  del  duomo  mi  disse che era stato mandato via perché aveva fatto grossi debiti.  Passati  altri  mesi,  forse  qualche  anno,  qualcun  altro mi  disse  che  era  stato  mandato  via  perché  aveva  una amante (femmina, quantomeno). Sono passati 16 anni, e io ancora non so quale sia la verità.

 

Punto  secondo:  nei  mari  di  questo  clericalismo  in cui  verità  e  menzogna  si  mischiano,  navigano  sempre storture  di  carattere  sessuale  fatte  nel  buio  e  nella  frustrazione.

Esempio:  in  una  diocesi  tutti  i  preti  sostengono  che un certo prete sia pedofilo, ed anche amante di un altro prete che ora è diventato vescovo. Nessuno di questi preti però lo ha mai denunciato. Lo ha fatto un laico.

Quel prete è stato condannato, ma senza che questa storia sia passata  dai  media.  Il  vescovo  è  ancora  pastore  di  una diocesi.

 

Punto terzo: in questo sordido contesto di incertezza sulla verità, l’attitudine clericale è sempre prevalente. Non importa se si opera contro il buon senso, la giustizia,  o  i  più  elementari  insegnamenti  di  Gesù: l’importante è far rilucere la propria coppa esternamente.  C’è  un  ego  farisaico  profondo,  nel  clericale,  che  fa sempre prevalere l’amor proprio, l’egocentrismo, l’essere al centro di quelle dinamiche in cui qualunque cristiano dovrebbe mettere Dio.

Esempio: in una certa diocesi il direttore del settimanale diocesano è un prete che pensa di essere un grande letterato e un grande giornalista. Tanto che qualche anno  fa  fece  uscire  sul  settimanale  diocesano  una  poesia erotica  scritta  e  firmata  da  lui  stesso.  Per  la  cronaca:  è ancora direttore di quel settimanale diocesano.

 

Punto quarto: le dinamiche clericali, ancor più che dal sesso sono riconducibili a un’altra chiave di lettura: il potere.  Ossia  il  più  facile  idolo  da  adorare  per  ottenere successo in questo mondo.

Esempio: qualche anno fa in una certa diocesi iniziarono a girare lettere anonime contro il vescovo e contro i preti e i laici a lui più vicini. Erano tutti pedofili, criminali  e  ignoranti,  a  leggere  quelle  lettere.  Tutti  indicavano, e tuttora indicano, come autore di tali lettere un prete della città, che si sarebbe inviperito con il vescovo perché non lo aveva aiutato a divenire vescovo a sua volta.

Sono  passati  tanti  anni,  ma  al  di  là  di  voci  mormorate all’ombra  del  campanile,  non  so  quale  sia  la  verità,  se quel prete sia o no colpevole. Ma le voci hanno continuato a girare.

 

Si aggiungano anche due principi: 

 

1)  Quelli  mancati  sono  i  preti  peggiori.  E  sono  i  più clericali.

 

2) Il mondo di riferimento del prete clericale è il suo e nessun altro.

 

Ecco che allora, con tutto questo si ricreano gerarchie di  importanza  completamente  sbagliate,  fondate  sulla centralità  del  prete  come  figura  sociale,  e  non  sul  suo

ministero:  diventa  più  importante  che  un  vescovo  presenzi  a  una  cerimonia  pubblica  piuttosto  che  educhi  il suo  clero,  è  più  importante  che  il  parroco  organizzi  il campo scuola rispetto alla sua presenza nel confessionale.  E  questo  crea  un  vero  e  proprio  sbandamento  di  costumi.

C’è  il  prete  che  ti  confessa  sbuffando,  perché  ha  di meglio da fare, e quello che celebra Messa lanciandosi in improbabili creazioni stilistiche, perché al centro c’è lui e

non  Dio,  quello  semianalfabeta  che  si  atteggia  a  grande letterato  e  quello  che  predicando  la  povertà  si  dedica  a grandi  affari  immobiliari;  c’è  il  prete  che  predicando  la castità va con le donne, perché il suo dovere l’ha fatto, e quello  che  condannando  l’omosessualità  va  con  gli  uomini (o con i ragazzini…), c’è quello che dice che in fondo il cristianesimo e le altre religioni sono la stessa cosa, e quello  che  ti  dice  che  se  vai  a  prendere  un  aperitivo  in spiaggia incontri il diavolo. Tutto va bene, perché alla fine  al  centro  non  c’è  Gesù,  ci  sono  loro,  qualunque  cosa dicano o facciano.

Questo è clericalismo, un “ismo” come tanti altri, che mette al centro i preti.

Ma  i  preti  non  sono  gli  unici  intrappolati  in  questa gabbia ideologica. Ci sono anche i laici. Quelli che, prima di fare qualunque cosa, in coscienza si chiedono non cosa farebbe Gesù al loro posto, ma cosa farebbe un prete.

 

Questa  logica  porta  alla  formazione  di  esseri  umani  disinnescati, di umanità incompiute, di persone la cui vita parla sottovoce. Come ha scritto un valente giornalista di “Avvenire”, Roberto Beretta: “Forse è venuto il momento di  considerare  il  clericalismo  come  un  ambiente  psichicamente malato, che non solo nuoce alla Chiesa ma condiziona intimamente un’esistenza buona e serena di migliaia  di  persone”.

Ma  chi  ha  detto  che  per  relazionarsi  con quell’universo meraviglioso che si è aperto con la venuta in terra del Figlio di Dio si debba per forza passare dagli alambicchi clericali, fatti di improbabili serate in parrocchia,  lettere  pastorali  banali  e  distaccate  dalla  realtà, omelie  insulse  e  altre  amenità  dall’ammuffito  sapore pontificio? Il tutto poi con una implicita rinuncia sostanziale a tutto ciò che di buono la contemporaneità offre?

 

La risposta ce la dà Joseph Ratzinger, proprio lui, in un discorso pronunciato al meeting di Rimini nel 1990:

“Diffusa oggi qua e là, anche in ambienti ecclesiastici elevati,  l’idea  che  una  persona  sia  tanto  più  cristiana quanto più è impegnata in attività ecclesiali. Si spinge ad una  specie  di  terapia  ecclesiastica  dell’attività,  del  darsi da fare; a ciascuno si cerca di assegnare un comitato o, in ogni  caso,  almeno  un  qualche  impegno  all’interno  della Chiesa.

In un qualche modo, così si pensa, ci deve sempre  essere  un’attività  ecclesiale,  si  deve  parlare  della Chiesa o si deve fare qualcosa per essa o in essa. Ma uno specchio  che  riflette  solamente  se  stesso  non  è  più  uno specchio;  una  finestra  che  invece  di  consentire  uno sguardo  libero  verso  il  lontano  orizzonte,  si  frappone come uno schermo fra l’osservatore ed il mondo, ha perso il suo senso. Può capitare che qualcuno eserciti ininterrottamente  attività  associazionistiche  ecclesiali  e  tuttavia non sia affatto un cristiano.

Può capitare invece che qualcun altro viva solo semplicemente della Parola e del Sacramento  e  pratichi  l’amore  che  proviene  dalla  fede, senza essere mai comparso in comitati ecclesiastici, senza essersi mai occupato delle novità di politica ecclesiastica, senza aver fatto parte di sinodi e senza aver votato in essi, e tuttavia egli è un vero cristiano”.

 

Nella storia della Chiesa, il messaggio cristiano è sopravvissuto  ai  secoli  grazie  ad  un  principio  molto  semplice:  l’inculturazione.  L’idea  cioè  che  bisogna  portare Cristo nel presente e in tutte le latitudini secondo i modi e la lingua del tempo e del luogo... (...) un buon modo per arrangiarsi è acquisire consapevolezza  della  bontà  della  tensione  anticlericale che  vive  fra  le  mura  cattoliche.  Per  poter  vivere  da  cristiani, e da cattolici, senza adeguarsi al clericalismo.

 

Bisogna  insomma  essere  anticlericali. 

Secondo  una  antica tradizione che andiamo ora a scoprire insieme.

 

Clericalismo/anticlericalismo:  un  binomio  con  una lunga storia

Chiariamo  però  una  cosa.  All’interno  della  Chiesa  ci sono  quelli  che  la  criticano  perché  la  odiano.  E  ci  sono quelli che la criticano perché la amano.

I primi, rimanendo nella Chiesa, aderiscono a ideologie anticristiane e muovono feroci critiche contro il Papa, il Vaticano e contro i vescovi nella misura in cui non aderiscono, ad esempio, a una visione del mondo marxista, liberale o secolarizzata.

I secondi invece, gli anticlericali per amore, criticano i vescovi  e  le  strutture  ecclesiastiche  nella  misura  in  cui rispondono alle logiche del mondo a discapito delle logiche di Dio.

 

Sono quelli che amano la Chiesa follemente e soffrono a vedere come la struttura ecclesiastica bronto-saurica  proietti  nel  mondo  un’immagine  del  cattolicesimo  sbagliata,  anacronistica  e  clericale.  E  questi  sono  i cattolici anticlericali che ci interessano.

Due tensioni opposte che si sono confrontate e si sono scontrate in una dialettica non

sempre  facile.  Una  dialettica  che  nasce  col  finire  delle persecuzioni e col sorgere del rapporto fra Chiesa e potere. Cioè, molto presto. E che ha due poli opposti.

Da un lato una naturale e umanissima tendenza della Chiesa a inserirsi nelle logiche del mondo con la costruzione di strutture e sovrastrutture volte ad acquisire potere, danaro e influenza. Tendenza che presto ha portato al  nascere  di  una  vera  e  propria  casta  chiusa,  che  ha creato, elaborato e proiettato poi sul mondo sistemi linguistici e organizzativi.

 

Questo  è  appunto  il  clericalismo,  l’autoreferenzialità interna  dei  membri  della  Chiesa-organizzazione,  che  ha espresso  nella  tendenza  clericale,  nel  modo  più  pieno, tutta la sua umanità. Le lotte di potere, i diffusi comportamenti  scandalosi  e  moralmente  inaccettabili.

Tutti elementi riconducibili a questa tendenza clericale (..).

E  qui  si  collocano  tanti  grandi  Papi,  santi,  Padri  e Dottori  della  Chiesa  che  hanno  fortemente  criticato  il declinarsi  del  clericalismo  nella  loro  epoca,  spesso  con toni e contenuti decisamente netti. Persone che la Chiesa stessa riconosce e venera all’interno della propria identità e dello svolgimento della propria missione.

Non vogliamo arrivare a definire questi santi in modo diretto “anticlericali”, trasponendo a epoche magari lontane  un  termine  che  nasce  in  tempi  troppo  recenti.  Ma vediamo  nella  loro  azione  un’opera  di  opposizione  alle naturali  e  umane  tendenze  clericali.  In  questo  senso  la loro  azione  rientra  nella  tensione  anticlericale  che  mai ha  abbandonato  la  Chiesa. 

Sulla base di questa dialettica la Chiesa si è conservata sino a oggi nella sua dicotomia che riflette pienamente la  sua  natura:  insieme  divina  e  umana,  clericale  e  anti-clericale.

 

È tutta una questione di linguaggio Quanto  detto  sin  qui  ha  un  risvolto  immediato  nella comunicazione. La lingua è lo strumento tramite cui comunichiamo  agli  altri  il  nostro  mondo  interiore.  E  se  è vero che esiste una dinamica clericalismo-anticlericalismo all’interno della Chiesa, per quel che riguarda il linguaggio, ad aver vinto, almeno in Italia, pare sia proprio il clericalismo.

 

Chi di noi ha ricordo di una presa di posizione netta e chiara, in quest’era dei media, da parte di uno dei nostri vescovi? Chi ha impresso nella mente un forte messaggio lanciato da una qualche assemblea dei vescovi riuniti in conferenza episcopale? O chi ricorda, escludendo il Santo  Padre,  delle  dichiarazioni  di  vera  condanna  di  quei preti pedofili che così tanto male hanno fatto alla Chiesa, e soprattutto alla sua immagine? Ci troviamo sempre di fronte a dichiarazioni criptiche, ovattate, completamente inadatte  al  linguaggio  di  questi  tempi.  Pare  quasi  ci  sia sempre, sottesa all’apparente prudenza, la paura di scomodare  qualcuno,  il  timore  di  rimettere  in  discussione equilibri e rapporti. 

 

Che  ne  è  di  ciò  che  disse  Gesù:  “Sia  invece  il  vostro parlare  sì,  sì;  no,  no;  il  di  più  viene  dal  maligno”  (Mt 5,37)? E perché tutta questa paura nei nostri pastori, se leggiamo nel Vangelo: “Io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere”  (Lc  21,15)?  L’apostolo  ci  aveva  avvertiti:  “Così anche  voi,  se  non  pronunziate  parole  chiare  con  la  lingua, come si potrà comprendere ciò che andate dicendo? Parlerete al vento!” (1Cor 14,9).

 

Guardando la scena degli ascoltatori di certe omelie o di certe prolusioni prelatizie, mai profezia fu più azzeccata. Ecco perché riteniamo davvero utile mostrare come la

Chiesa, nella sua bimillenaria storia, abbia mostrato anche  nel  linguaggio  un  volto  diverso  da  quello  a  cui  oggi siamo abituati..

(..) il  beato  Antonio  Rosmini, per esempio,   il  quale,  nell’illustrare  la  genesi  di  una  di quelle  che  lui  chiama  “piaghe”  della  Chiesa  si  spinge  a un’analisi storica impietosa, dolce nel modo ma sferzante  nella  sostanza. 

Ecco    un’analisi  clericalmente anticlericale dei secoli successivi alla caduta dell’Impero Romano:

“Allora  il  clero,  senza  saper  come,  si  vide  alla  testa delle nazioni; e mentre si era piegato all’invito irresistibile  della  carità  che  lo  pressava  ed  urgeva  perché  soccorresse  la  società  distrutta,  si  ritrovò  in  un  baleno  padre delle città orfane e reggitore degli affari pubblici. Fu allora che la Chiesa si trovò all’improvviso abbondantemente piena degli onori e delle ricchezze del secolo, le quali si riversarono in essa e per il loro peso la sdrucirono come le acque del mare che entrano in una nuova ansa apertasi laddove il continente si è ritirato. Questa nuova occupazione, che cominciò per il clero del VI secolo, era infinitamente gravosa e molesta a quei santi prelati, che da una parte vedevano la Chiesa gravata dal fardello dei beni terreni, perdendo essa quella povertà preziosa che gli antichi  Padri  avevano  tanto  raccomandata;  e  dall’altra vedevano il clero oppresso dalla mole delle cure secolari,

che allontanavano i loro animi dalla contemplazione delle cose divine e rubavano il loro tempo prezioso e le loro forze  dal  dispensare  la  parola  di  Cristo  ai  fedeli, nell’educazione del clero, e nell’assiduità alle pubbliche e private preghiere”.

 

Ed  ecco  dunque  giungere  le  conseguenze  di  questa scelta:

“Il  clero,  che  aveva  cominciato  con  dolore  e  con  lacrime  a  lasciarsi  coinvolgere  negli  affari  temporali,  e  a vedersi  attorniato  delle  spoglie  del  secolo  che  veniva meno;  cominciò  ben  presto,  come  è  la  condizione  della natura umana, ad affezionarsi ad esse e preoccupandosi,nelle  occupazioni  sopraggiunte  alle  quali  era  nuovo  e non ancora scaltrito, a sapersi guardare dai pericoli che portavano con sé, e dimenticò poco a poco le mansuete e spirituali  consuetudini  proprie  del  governo  pastorale;  e imparò, ahi troppo bene! la ferocia e la materialità degli affari  mondani.  Si  compiacque  di  legarsi  con  i  nobili,  e ne  prese  ed  emulò  i  modi:  e  da  quell’ora  gli  fu  sgradito l’accompagnarsi con il piccolo e povero gregge di Cristo; da quell’ora ebbe come occupazioni più care quelle politiche ed economiche, ed essendo a lui più care, non penò a persuadersi, cogli argomenti sofistici che non mancano mai  alle  passioni,  che  quelle  erano  anche  le  più  importanti  per  la  Chiesa.  Allora  i  vescovi  scaricarono  sopra  il clero inferiore l’istruzione del popolo e le cure pastorali..."

 

Per  seguire  questo  discorso  torna  utile  immergerci nel  ’700  e  ricorrere  a  sant’Alfonso  Maria  de’  Liguori (Marianella,  27  settembre  1696  –  Nocera  de’  Pagani,  1 agosto  1787),  un  vescovo  cattolico  proclamato  santo  da papa Gregorio XVI nel 1839 e Dottore della Chiesa (Doctor Zelantissimus) nel 1871 da papa Pio IX.

Non  si  può  certo  identificare  la  sua  figura  e  la  sua opera  come  anticlericale.  Eppure,  anche  in  un  contesto clericale  settecentesco,  rinchiuso  e  assediato  dal  nuovo che  avanza,  c’è  posto  per  sommesse  esposizioni  anticlericali. In un’operetta intitolata  Considerazioni per coloro  che son chiamati allo stato religioso, alla Considerazione VII intitolata “Il danno che apporta a’ religiosi la tepidezza”, scrive:

“Considerate  la  miseria  di  quel  religioso,  che  dopo aver abbandonata la patria, i parenti e ’l mondo con tutti i suoi piaceri, e dopo essersi donato a Gesù Cristo, consecrandogli la sua volontà, la sua libertà, e tutto se stesso, si espone poi al pericolo di dannarsi, con restarsene caduto in una vita tepida e trascurata.

No, che non è lontano dal perdersi un religioso tepido, ch’è stato chiamato da Dio alla sua casa per farsi santo. Dio minaccia a questi tali di vomitarli e abbandonarli, se non si emendano […]. 

Misero  quel  religioso  che  chiamato  alla  perfezione, fa pace coi difetti! Fintanto che alcuno detesta le sue imperfezioni vi è speranza di farsi santo; ma quando commette  i  difetti  e  li  disprezza,  allora  san  Bernardo  dice ch’è perduta per esso la speranza di farsi santo”.

 

Niente  a  che  fare  con  i  tuoni  che  abbiamo  sentito rimbombare nei secoli passati.

Leggermente più esplicito è in  Stimoli a’ religiosi per  avanzarsi  nella  perfezione  del  loro  stato,  dove  scrive:

“Oimè, piange la chiesa, perché vede ne’ religiosi un comune rilassamento di spirito, unito ad una gran freddezza  nel  divino  servizio!  Non  si  nega,  che  vi  sono  i  buoni fra tanti i quali vivono da veri religiosi, separati dagli at-tacchi mondani, e che attendono a farsi santi ed a portare anime a Dio.

Vi sono questi, ch’io chiamo giudici, che un giorno serviranno per giudicare i loro compagni nella valle di Giosafat; ma questi buoni religiosi, questi giudici, quanti sono? Oh Dio! son troppo pochi, come si vede; e  perciò  piange  la  Chiesa  con  tutti  coloro  che  amano  la gloria divina […].

Dov’è oggidì (comunemente parlando) nei religiosi lo spirito di ubbidienza, lo spirito di povertà, di mortificazione, di annegazione interna? Dov’è l’amore alla  solitudine,  alla  vita  nascosta,  il  desiderio  di  essere disprezzato, come han desiderato i santi? Queste sorte di virtù son divenute cose strane e pare che se ne sia perduto anche il nome”.

 

E conclude con una proposta fra il mistico e il clericale: “Ma che rimedio vi sarebbe a questo male così grande e così universale? Che voglio dire? Il rimedio ha da venire dal  cielo;  e  perciò  dobbiamo  noi  pregare  il  Signore, ch’egli rimedii colla sua potenza e pietà; giacché, siccome il buono spirito de’ religiosi si comunica ancora ai secolari, così all’incontro del loro rilassamento anche gli altri ne partecipano”.

 

“Detesto  il  clericalismo  e  comprendo  che,  accanto  a un  anticlericalismo  inaccettabile,  ci  sia  anche  un  sano anticlericalismo”. Ed eccolo qua: preti chiamati “demoni incarnati”,  “animali  bruti”,  “divoratori  delle  anime”, “templi  del  diavolo”,  “sterco”,  “animali  feroci”,  “bestie”, “sventurati”.

Un pensiero: “Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”. “È infatti  tenebroso  di  vizi,  sporco  di  lussuria,  corrotto  dai vermi della cupidigia, instabile per la superbia, labile per la vanità delle cose mondane”. “È venuto dunque il diavolo;  questo  è  l’inimico  che  ha  fatto  tante  malignità  nel tempio di Dio, ha usati per i suoi strumenti i cattivi prelati,  i  quali  colle  prave  opere  e  col  cattivo  esempio l’hanno distrutto”. Tanto che “i prelati del nostro tempo non sono discepoli di Cristo ma dell’anticristo”, “non benedicono  la  loro  madre,  la  chiesa,  anzi  distruggono  la sua fede, che invece dovrebbero predicare con la parola e con l’esempio”, “a nient’altro sono buoni, se non ad essere gettati nel letamaio dell’inferno”.

“Ecco quali membra si trovano nel corpo di Cristo, che è la Chiesa: gli avari e i lussuriosi, i quali non sono certo la Chiesa di Cristo, bensì  la  sinagoga  di  satana”. 

 

“Quanta  sporcizia  c’è  nella Chiesa  e  proprio  anche  tra  coloro  che,  nel  sacerdozio, dovrebbero  appartenere  completamente  a  lui!  Quanta superbia, quanta autosufficienza!”: “sono divenuti sfrontati  come  una  prostituta:  non  sono  più  capaci  di  vergogna”.

 

Ma non finisce qui: “La sozzura sodomitica si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico”. “Se quelli che permettono agli altri di commettere questi peccati meritano la morte, quale supplizio si potrebbe escogitare degno di quelli che compiono con i loro figli spirituali queste  nefandezze,  punibili  con  la  dannazione  eterna?”.

 “I prelati corrotti, partoriscono carni morte, cioè i figli carnali, che sono di colore bianco, come i sepolcri imbiancati,  pieni  di  putridume”:  “avete  corrotto  li  uomini  nella libidine, le donne alla disonestà, li fanciulli avete condotto alle soddomie e alle spurcizie e fattoli diventare come meretrici”.  “I  sorveglianti  della  chiesa  sono  tutti  ciechi, privi  della  luce  della  vita  e  della  scienza;  cani  muti,  che hanno  in  bocca  il  «rospo»  del  diavolo”.  “Dormono  nei peccati, amano i sogni, cioè le cose temporali che poi deludono amaramente coloro che le amano. Sono cani avidissimi,  sfrontati  come  una  prostituta,  e  non  vogliono arrossire”....

 

Tutte queste sono citazioni testuali. Che non provengono  dalle  labbra  rabbiose  di  un  qualche  massone  garibaldino, ma da quelle di Papi, Servi di Dio, Beati, Santi, Dottori della Chiesa. Che se la sono presa, ciascuno per un  motivo  diverso,  con  preti,  frati,  vescovi  e  cardinali, usando un linguaggio chiaro come un cielo limpido e diretto come una freccia scoccata che sembra oggi così lontano  dai  toni  prudenziali  del  clero  e  di  certa  gerarchia...

 

Curioso è che un frate minacci l’inferno ai vescovi del suo tempo: “Vescovi  mitrati,  che  hanno  sulla  testa  due  corna  (la mitria)  come  i  tori;  tutti  costoro,  se  non  avranno  fatto una  vera  penitenza  dei  loro  peccati,  «cadranno  giù  insieme con i potenti», cioè con i prìncipi e le autorità; cadranno  nell’inferno,  che  è  la  terra  dei  morenti,  la  quale «sarà come ubriacata dal loro sangue e dal loro grasso», cioè  dalla  loro  malizia  e  superbia”  (Sant'Antonio da Padova Sermone Domenica I di Avvento, IV 18).

Nel pensiero di sant’Antonio questa propensione clericale verso tutto ciò che è terreno non solo condanna loro personalmente, ma manda del tutto all’aria i frutti del

loro ministero...

 

In  un  articolo  del  21  maggio  2006,  intitolato:  “Il  ciclone  sulla  Chiesa  si  chiama  Josef  Ratzinger”,  Antonio Socci scrive: “Quello veramente scomodo e imbarazzante, per il mondo clericale, è un altro. Si chiama Joseph Ratzinger e infatti le sue parole esplosive sono silenziosamente censurate. Quelle sì fanno tremare i palazzi del potere curiale”.(2)

Dal libro dedicato a santa Ildegarda (3) riportiamo, a chiusura, il suo monito al Pontefice del suo tempo:

«O uomo accecato dalla tua stessa scienza, ti sei stancato di por freno alla iattanza dell’orgoglio degli uomini affidati alla tue cure, perché non vieni tu in soccorso ai naufraghi che non possono cavarsela senza il tuo aiuto? Perché non svelli alla radice il male che soffoca le piante buone?... Tu trascuri la giustizia, questa figlia del Re celeste che a te era stata affidata. Tu permetti che venga gettata a terra e calpestata… Il mondo è caduto nella mollezza, prestò sarà nella tristezza, poi nel terrore… O uomo, poiché, come sembra, sei stato costituito pastore, alzati e corri più in fretta verso la giustizia, per non essere accusato dal Medico supremo di non aver purificato il tuo ovile dalla sua sporcizia!... Uomo, mantieniti sulla retta via e sarai salvo. Che Dio ti riconduca sul sentiero della benedizione riservata ai suoi eletti, perché tu viva in eterno!» (Lettera a Papa Anastasio IV)

Sono  lontane  le  voci  dei  grandi  santi  che  tuonavano contro la corruzione nel clero e che non temevano di rimproverare Vescovi e Papi. Quella spinta pare oramai essersi diretta fuori  dalle  mura  della  Chiesa divenendo persino, e in modo negativo, appannaggio mediatico e corruttivo.  Sopravvivendo in una forma quasi intimidita,  forse,  sottovoce perchè perseguitata.

 

Sia lodato Gesù Cristo +

Sempre sia lodato.

 

Note

1) Paolo Gambi - Quello che i preti  non dicono (più) - Duemila anni di linguaggio anticlericale  nelle parole dei santi -  da Fede & Cultura

2) sintesi dei due interventi forti dell'allora cardinale Ratzinger, cliccare qui

3) Ildegarda di Bingen, nel XII secolo, vide la sporcizia della Chiesa del XXI secolo

 








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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