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"Francesco! Và e ripara la mia Chiesa" Le croci di un Papa (2)

Ultimo Aggiornamento: 10/09/2015 21:24
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  un saggio  gustoso 

05 settembre 2015

Preti sposati, cornuti e mazziati
 

di Francesco Filipazzi

"Bergoglio si china alla volontà dei tradizionalisti e affossa il Concilio Vaticano II. Ancora chiusure e immobilismo dai pronunciamenti papali sui preti sposati e sul rinnovamento della Chiesa e della teologia in chiave biblica". Non è una barzelletta, ma una dichiarazione vera, rilasciata da un'associazione fondata nel 2003. L'associazione dei preti sposati. 
 
 
Dunque veniamo a sapere che, fra le tante micro associazioni che rivendicano cambiamenti fra i più disparati nel cattolicesimo, c'è un'associazione che rivendica il matrimonio per i preti della Chiesa di Roma. "Sembra talco ma non è", direbbe Pollon. In realtà sapevamo già che esisteva, ma basta una ricerca su internet con le giuste parole chiave per trovare anche rivendicazioni dalle "mogli e amanti dei preti sposati", le quali narrano in maniera lacrimosa le loro difficoltà nell'essere le donne dei preti.

Chiedono al Papa di sciogliere i loro uomini dal vincolo del celibato. "Come in quelle favole in cui alla fine arriva una fata buona a sciogliere l'incantesimo che impedisce al principe di amare e essere amato", spiega la giornalista, forse prendendole un po' in giro, forse no. Il Papa dunque diventa la fata turchina, porta le monetine in cambio di dentini, manda via il Bau Bau dall'armadio, risveglia la ragazza punta dall'arcolaio.  

Ma non è finita. "La cosa peggiore quando stai con un prete-racconta - è che pensi di commettere un peccato", dice una di loro. Ma va?  

Insomma, una baracconata così non si vedeva da un pezzo, dai tempi di Milingo, ma si sa, l'era dei diritti inventati avanza e quindi anche noi vegani che mangiamo la carne abbiamo diritto di cittadinanza

Ciò che merita una risata a parte è però il riferimento al Vaticano II, il concilio di serie B (zona retrocessione che non ha proclamato neanche mezzo dogma), di cui abbiamo parlato recentemente, che a quanto pare "Bergoglio" (non Papa Francesco, usano il cognome) starebbe disattendendo. 

Peccato che il Vaticano II dei preti sposati se ne sia fregato altamente e anzi, nel 1967, dunque dopo il Concilio, Papa Paolo VI abbia scritto un'enciclica molto bella dal titolo "Sacerdotalis Caelibatus" (link), nella quale dice appunto che i preti di Santa Romana Chiesa non si devono sposare. Non citiamo San Paolo, quello della Bibbia, perché avendo scritto prima del Vaticano II è derubricato a gioppino del paese, fatto sta che anche un Papa post conciliare dice le stesse cose.
 
 
"Ma cosa mi dici mai?", direbbe Topo Gigio. Dunque uno che si fa sette anni di seminario e non ha capito che il prete non si sposa, non ha capito un tubo? Uno che vive in Italia e non ha capito che un prete non si sposa deve informarsi meglio? 

Ebbene sì, cari preti sposati, è ora di piantarla di inventarsi rivendicazioni inutili e velleitarie e illogiche. Se volete fare i preti sposati, a quanto pare, quella è la porta. Andate a fare gli anglicani, gli ortodossi, trasferitevi in una chiesa orientale. 

Per pietà, fateci il piacere di non prendervela con la San Pio X almeno, che a quanto pare ha il grave peccato di essere "tradizionalista" e quindi i preti cosiddetti lefebvriani sarebbero peggio dei preti sposati.
Evidentemente nella scala di valori in cui l'immondizia rappresenta il valore più alto, essere preti ligi al proprio dovere, pur non avendo una visione pastorale assimilabile a quella della massa, è molto peggio del voler distruggere la Chiesa con dottrine ridicole. 

Nel mondo alla rovescia certe cose succedono. Fatto sta che dalla San Pio X ci si può confessare con la benedizione papale, con i preti sposati invece, neanche un caffè.  





Torniamo alle cose serie:


              

La crisi della chiesa italiana? "Ragiona secondo il mondo". Parla monsignor Negri

di Matteo Matzuzzi | 10 Settembre 2015 ore

Roma. “Mi rendo conto che quello che sto per dire non è in linea con l’ottimismo imperante, ma la società italiana è contraria alla chiesa”. Mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, è preoccupato. Guarda fuori l’arcivescovado, riflette e “senza scadere nei purtroppo consueti toni da bar”, fa la diagnosi dello stato di salute della chiesa nella nostra società.

“Noto una certa coesione, dentro il mondo ecclesiastico e dei movimenti, sul fatto che non bisogna mettere in crisi l’unità della società. Ma questi non comprendono che l’unità di questa società è l’unità contro la chiesa, e non mettersi contro un’unità che è contro la chiesa, vuol dire di fatto favorire l’attacco alla chiesa”.
E questa, dice “è la prima esperienza intellettuale e morale che si prova quando si accosta il variegato mondo della cristianità italiana”. La situazione, spiega, “è paradossale”: “L’attacco è frontale, e investe le radici stesse non tanto – o soltanto – della fede, ma della società”. Gli esempi sono quelli di cui tanto si discute: “Penso alla questione del gender, della sacralità della vita. Di fronte a questi attacchi è come se il mondo cattolico non dico che guardi da un’altra parte ma peggio: rischia di non accorgersi affatto della pervasività di questo attacco, non vedendo cose che normalmente si vedono a occhio nudo”. C’è anche la responsabilità della chiesa o, almeno, di qualche suo settore, facciamo notare.


“Certo, il fatto che molta chiesa italiana sul gender non abbia detto niente, o quasi, costituisce uno scandalo per i credenti”. Il Papa, però, le parole sul gender le ha dette. Ci sono intere catechesi del mercoledì sul tema. “Mi domando se la cosiddetta teoria del gender non sia espressione di una frustrazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”, diceva lo scorso aprile, ad esempio.

“E’ vero”, dice l’arcivescovo di Ferrara: “Il Santo Padre è ripetutamente intervenuto sulla questione del gender, ed è stato non soltanto inequivocabile ma ha spinto a una azione sociale. Ora – dice Negri – dobbiamo riconoscere che gli inviti del Santo Padre non dico che siano stati disattesi ma certamente non sono stati un punto di promozione, tranne che per un gruppo di ecclesiastici italiani che parlando alle loro diocesi, e io mi metto fra questi, hanno reso possibile la partecipazione di tanto mondo cattolico a una manifestazione (il 20 giugno) che, anche dal punto di vista sociale, ha avuto il rilievo che conosciamo. Si tratta di chiarire dunque dove sta la ragione di questa grande debolezza”.

Domanda che si è posto anche il cardinale Rylko, a giudizio del quale “la manifestazione di Roma non è stata una manifestazione contro qualcuno, ma ha voluto essere un umile servizio alla grande causa dell’uomo, oggi minacciata da più parti”.
Dove stia, la ragione della debolezza, Negri lo dice subito dopo: “Come dice san Giacomo, la religione pura consiste nel soccorrere i bisognosi ma soprattutto nel non uniformarsi alla mentalità di questo mondo”. Il problema è che “oggi ci troviamo di fronte una cristianità che ragiona secondo il mondo e che non ha la forza di opporre al mondo un’alternativa sul piano della verità della vita. In tal senso ci troviamo di fronte a una crisi culturale della cristianità italiana”.


Il problema è che ormai “i criteri fondamentali di giudizio della realtà sono presi dalla mentalità mondana e ci si rassegna a occupare solo gli spazi che questa società consente, ovvero spazi di spiritualità individuale e di iniziative caritative depotenziate, come ci ricorda Benedetto XVI all’inizio della Caritas in Veritate, quando scrive che “senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo”.

Un quadro allarmante, una diagnosi che necessiterebbe di una terapia forte: “Credo davvero che occorra, a tutti i livelli e ciascuno nel suo campo, riproporre il cristianesimo nella sua oggettiva radicalità, per renderlo attuale ovvero un’esperienza pienamente corrispondente alle esigenze dell’uomo d’oggi”.

Si potrebbe obiettare a mons. Negri che – considerato il livello di secolarizzazione che ormai ha permeato anche la società italiana – la terapia delineata appare di non così facile applicazione. Soprattutto, non si vede chi potrebbe metterla in pratica: “Devo dire che a questo livello la delusione più cocente – non solo mia ma di molti ecclesiastici veramente preoccupati per la presenza significativa del cristianesimo nella nostra società – è la sostanziale vanificazione del mondo associativo e laicale: è come se non ci fossero più i movimenti e le associazioni a sostenere il necessario e continuo confronto col mondo. La speciosa giustificazione è che non è più il tempo delle proposte forti che, quando ci sono, vengono additate come crociate. Senza considerare poi il fatto che un minimo di sensibilità storica dovrebbe far vergognare del modo con cui tanto mondo cattolico parla di crociate, fenomeno che non si conosce assolutamente e che viene criminalizzato sulla base di un laicismo insopportabile”.


A ogni modo, dal torpore qualcuno s’è svegliato, andando oltre il caos calmo in cui versa la disorientata Cei di questo ultimo biennio: “Penso in particolare a quando alcuni vescovi hanno parlato con chiarezza, ad esempio nel caso della manifestazione del 20 giugno scorso, e la maggior parte del popolo cattolico ha risposto, totalmente incurante dei dissidi interni alla Conferenza episcopale italiana. Questo ci dice che forse l’aspetto determinante, e l’ho anche scritto più volte, è che l’episcopato di base ha ripreso la sua funzione di guida”.
Sull’associazionismo, l’arcivescovo di Ferrara è drastico: “La sua crisi è gravissima, e per questo la possibilità d’incidenza della chiesa in Italia è compromessa da una sostanziale inerzia di tante realtà cattoliche che fino ad ora erano risultate decisive”.


La conversazione si sposta poi sul dramma dei cristiani perseguitati in vicino e medio oriente. “La terribile esperienza di violenze rende chiaro che l’Isis ha dichiarato esplicitamente guerra al mondo e non conosce regole, quelle regole che sono nate dalla grande civiltà del diritto, soprattutto occidentale. Lì, infatti, si ammazzano donne, bambini, anziani, si stupra, si violenta, si distruggono i grandi monumenti della cultura e dell’arte mondiale”.

E per fermare lo sterminio, bisogna agire. Non ha dubbi, mons. Negri: “La nostra cristianità, a certi livelli di responsabilità culturale e istituzionale, non si è ancora resa conto che forse è il momento di riprendere, con gli opportuni aggiornamenti e con le necessarie articolazioni, quell’idea fondamentale di san Tommaso d’Aquino – fatta propria dalla tradizione della dottrina sociale della chiesa – per cui è tollerabile che esista una forte azione di legittima difesa e di protezione, anche armata se necessario”.

Agire così, però, presuppone una profonda riflessione, “perché per ipotizzare l’idea di una esperienza come questa, comunque eccezionale, bisognerebbe avere dei valori per cui si vive, per cui si lotta e per cui si è disposti a morire. Questo occidente ha tali valori?”, si domanda il presule, prima di toccare la questione che più d’ogni altra sta coinvolgendo l’Europa, con le migliaia di profughi che bussano alle porte dell’Unione:
“E’ un fenomeno di migrazione epocale, certamente già accaduto ma in modo meno marcato in altri momenti della storia dell’occidente, che non si può affrontare senza una cultura adeguata. Non si può ridurre il problema a un banale ‘tutti dentro o tutti fuori’, insopportabile semplificazione di un razzismo incondivisibile, ma neanche a un buonismo che, alla lunga, non è certamente una soluzione. Occorre che l’occidente si renda conto di quello che è in gioco in tutti i suoi aspetti fino alle possibili conseguenze”.


Ma la cultura che domina oggi l’occidente, qual è? “E’ ciò che rimane dell’orrenda crisi delle ideologie moderne contemporanee con la loro presunzione ateistica? E’ una cultura di tipo individualistico, consumistico, che vede la tecnoscienza come la soluzione di tutti i problemi? Questa – dice Negri – non è affatto cultura. E non si può stare di fronte a una massiccia migrazione, come quella che sta avvenendo, se non si hanno ragioni adeguate per vivere e per affrontare correttamente la realtà”.

Questo occidente, invece, “è disposto a vendere tutto, anima compresa; anche perché nella maggior parte dei casi l’occidente non sa neanche più di avere un’anima. Il che significa, a mio parere di pastore, che oggi la grande responsabilità ecclesiale è quella di una nuova radicale evangelizzazione, ovvero di un cammino educativo che riformi il popolo cristiano e che lo metta in grado di assumersi tutte le conseguenti responsabilità culturali, sociali, politiche e caritative”.

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[Modificato da Caterina63 10/09/2015 21:24]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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