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Ultimo Aggiornamento: 29/09/2016 18:26
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Sesso: Femminile
21/03/2016 17:45
 
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 le storie vere che non ti racconteranno MAI.....

«DIRE LA VERITÀ, CON AMORE. SE LA GENTE SE NE VA, COSÌ SIA.
QUANDO LE LORO VITE SI ROMPERANNO, TORNERANNO»

«Dire la verità, con amore. Se la gente se ne va, così sia. Quando le loro vite si romperanno, torneranno»

da UCCR

«Non credo proprio che Dio odi i gay. Penso invece che ami le persone che vengono coinvolte in questo peccato, perché sa di avere qualcosa di molto meglio per loro». Queste le parole che abbiamo scelto per iniziare a parlare di Robin Teresa Beck, 59 anni di cui 35 trascorsi come omosessuale e con 12 relazioni alle spalle.

La donna ha raccontato la sua drammatica storia nel libro I just came for Ashes (Dunphy Press 2012): nata da genitori alcolizzati, suo padre abusava di sua madre e lei ha vissuto l’infanzia nel terrore di subire le stesse cose. L’unico ricordo positivo che ha di sua madre è quando un giorno, improvvisamente, la coccolò tra le braccia: fu l’unica volta in cui si sentì «sicura e felice».

La religione divenne una via di fuga, cominciò a frequentare la Chiesa protestante assieme alla sorella desiderando che Dio la salvasse dalla quotidiana violenza verbale, emotiva e fisica vissuta a casa. Il padre se ne andò di casa, la madre si ammalò di una malattia debilitante: guardando indietro, oggi si rende conto di quanto aveva un disperato bisogno qualcuno – chiunque – disposto ad amarla. Cominciò a frequentare il suo insegnante di musica, trascorrendo finalmente un periodo di felicità e di amore. Ma, dopo il diploma, il rapporto sbiadì e Robin si sentì tradita da lui, promettendosi di non dare più fiducia ad un altro uomo.

Durante gli anni del college un’amicizia intima con una donna si trasformò in una relazione sessuale, durò sette mesi. Lo stesso accadde con un’insegnante di religione (di sesso femminile), vissero assieme per alcuni anni ed entrarono in una associazione di cristiani gay. Trovò diverse partner all’interno di questo club, «quando iniziava una storia ero sempre sicura che finalmente avevo trovato la donna giusta. Ma in meno di un anno mi ritrovavo nuovamente infelice», racconta. Rimbalzando da una all’altra «speravo di trovare una donna stabile, amorevole, in altre parole, stavo cercando la mamma che non ho mai avuto». Continuò così per anni.

In un’intervista recente ha spiegato: «La maggior parte delle donne lesbiche hanno un deficit nel loro rapporto con la madre. So che è vero per me. Non ho avuto il nutrimento di cui avevo bisogno da mia mamma, questo mi ha procurato delle ferite che ho cercato di guarire chiedendo ad altre donne di darmi quello che mia madre non è stata in grado darmi». All’età di 46 anni, disperata per l’ennesima relazione terminata come un fuoco di paglia, «mi sono buttata sul pavimento urlando: “Oh, Dio, ti prego, dimmi che non è la mia vita!”». Guardando a quel periodo, oggi racconta: «penso che la maggior parte delle persone che vivono uno stile di vita gay sono persone ferite. Molte persone, tra cui buoni cristiani, contestano questa mia posizione. Ma io devo ancora incontrare una persona attiva in questo stile di vita che non covi qualche dolore, qualche rifiuto, qualche mancanza, in genere fin dall’infanzia. Dalla mia esperienza, è impossibile avere una relazione gay sana perché va contro il modo in cui Dio ci ha fatto».

Fu poco prima dei cinquant’anni che entrò in una Chiesa cattolica il mercoledì delle Ceneri e si recò all’altare per ricevere le ceneri benedette: «Convertitevi e credete nel Vangelo», disse il sacerdote tracciandole la croce sulla fronte. Accadde inspiegabilmente qualcosa tanto che continuò a frequentare la messa domenicale. Si convinse che il problema era che semplicemente non riusciva a creare una «sana relazione gay», l’ennesima storia con una donna «finì in rovina quando iniziammo ad attraversare la linea e andare dove invece Dio aveva detto: “Non sconfinare!”». Quella fu l’ultima sua relazione omosessuale e continuando a frequentare i sacramenti cattolici ha trovato la forza di rinunciare alla sessualità, promettendo a Dio una fiducia totale in Lui. Questo accadde sei anni fa.

Da allora «ho camminato lontano dalla vita gay e nemmeno per un attimo ho pensato di tornare indietro», ha scritto nel suo libro. Robin ha chiesto di entrare nella Chiesa, ha seguito il percorso di catechesi ed è stata accolta ufficialmente durante la Pasqua del 2010. Oggi vive un’esistenza finalmente felice. «Alcune persone», ha spiegato, «riescono a far funzionare un rapporto omosessuale, c’è chi effettivamente resta assieme ad un altro anche per 40 anni e possono anche sentirsi felici, magari. Ma credo comunque che finiscono sempre per deviare dal progetto creato per loro da Dio per essere felici. Alla fine, prima o poi, la realtà si impone sempre».

Colpisce molto quando Robin racconta i suoi tentativi di piegare il cristianesimo per giustificare i suoi comportamenti omosessuali: «ho ​​sempre avuto una forte coscienza di Dio, ma sapevo anche di aver bisogno dell’amore, e la mia unica opzione allora era l’amore di un’altra donna. Ho quindi dovuto torcere le Scritture. Mi dicevo: “Certamente Dio è d’accordo con le mie scelte, l’importante è l’amore“. In realtà volevo solamente che Dio guardasse favorevolmente sulla mia vita immorale. Quello era il mio modo di pensare perché ero così disperatamente in ricerca di amore, tanta paura di essere sola».

Parlando del Sinodo sulla Famiglia e rivolgendosi a quei pastori ormai piegati alla morale del mondo, la donna ha ricordato loro: «Io credo che ciò che la Chiesa ha bisogno di fare è di essere amorevole e sincera. Se ci limitiamo a dare la verità senza amore è come un intervento chirurgico senza anestesia. C’è bisogno di compassione. La Chiesa ha bisogno di essere un ospedale da campo. Ma la gente non può iniziare a ricevere il bene fino a quando non c’è pentimento. E nessuno si pentirà a meno che non sentirà la verità. La verità è che Dio ci ha creati maschi e femmine, l’uno il compagno dell’altra. Andare contro questo progetto distrugge l’anima. Non ci sono compromessi su questa verità. Mi fa molta paura che i miei amici omosessuali possano sentirsi dire da un pastore cattolico: “Ok, va bene così!”».

«La Chiesa ha bisogno di dire questo con amore alle persone omosessuali: “Non è quello che sei, sei su un percorso distruttivo per te. La buona notizia è che siamo con te, anche se cadrai mille volte noi ci saremo ancora. I sacerdoti devono dire la verità con amore. Se la gente si arrabbia e se ne va, bene, così sia. Quando le loro vite si romperanno allora torneranno. E torneranno in un posto che è veramente un ospedale da campo, dove le persone possono trovare il vero conforto e la liberazione».

 





 
Omosessualita, si puo cambiare
 

Lisa Diamond, membro dell'American Psychological Association e lesbica, sfata il mito del "nati così" per le persone con tendenza omosessuale. Come altre femministe sostiene la fluidità del genere, ovvero la possibilità di cambiare il proprio orientamento sessuale quando si vuole. Ma proprio per questo risulta ancora più inaccettabile il divieto di terapie riparative imposto dalla comunità Lgbt. Anche in Italia, come dimostra il caso Luca Di Tolve.

Non è vero, «omosessuali non si nasce». Dunque non lo si è. E se non lo si è, risulta ingiusto definire una persona sulla base di un'inclinazione non innata. A confermarlo, pur eliminando i fattori esterni che possono causare le pulsioni verso persone dello stesso sesso (perciò negando che sia una malattia, comunque sempre assecondata dalla volontà), è stata persino l'attivista sedicente lesbica, membro dell'American Psychological Association (Apa), Lisa Diamond, nei capitoli che ha curato per il Manuale dell'APA su sessualità e psicologia. Anche lei, come le femministe più all'avanguardia, discepole della professoressa dell'Università californiana di Berkeley Judith Butler, è passata oltre l'omosessualità come dato genetico. E ha sposato il modello del "gender fluid", secondo cui la persona può mutare il proprio orientamento continuamente e a seconda di come si sente.

Se il tentativo è evidentemente quello di convincere la società della bontà della libertà senza vincoli, Laura A. Haynes, psicologa clinica, ha sintetizzato l'ultimo contributo della Diamond, contenuto nel volume intitolato “Sexuality and Psychology”, così: «La battaglia contro “il si nasce così e non si può cambiare” è finita e lei sta dicendo agli attivisti Lgbt di smettere di promuovere questo mito». Già nel 2009, infatti, la psicologa pubblicò un volume intitolato “Sexual Fluidity” che veniva presentato così dall'Harvard University Press: «Questa prospettiva si scontra con la visione tradizionale per cui l'orientamento sessuale è un tratto stabile e fisso». Quella di Diamond sarebbe poi «la prima ricerca fatta nel tempo su un ampio numero di donne. Ha analizzato oltre cento donne in dieci anni, dall'adolescenza all'età adulta (…). “Sexual Fluidity” offre l'esperienza di cambiamento in prima persona di donne che si innamorano e disinnamorano di uomini o donne in diversi periodi della loro vita». 

Perciò, seppur realmente fedele al femminismo, per cui la donna deve poter scegliere di fare tutto ciò che vuole con il proprio corpo, le argomentazioni della psicologa creano dei seri problemi all'attivismo Lgbt che vuole vietare per legge le terapie di conversione e riparative, come già accaduto in Vermont, California, New Jersey, Ilinois, Oregon o Distretto di Columbia. Tutti Stati le cui norme sono state approvate sulla base del fatto che l'orientamento sessuale sarebbe immutabile. 

Ma se non è così, appunto, e se l'orientamento fosse davvero frutto di una decisione, la libertà di scelta estrema predicata dalle femministe per essere coerente con se stessa dovrebbe accettare anche quella di chi vuole provare attrazioni congruenti al proprio sesso. Magari pensando che ci sono ragioni legate alla psiche che possono condizionare la libertà e che creano disagi alla persona.

Esattamente come ha spiegato Padre Johannes Jacobse (di vedute opposte alla Diamond), fondatore dellaAmerican Ortodox Institute, «se una persona sente un desiderio omosessuale non significa che sia stata creata omosessuale» e se «decide di adottare un comportamento omosessuale, è una libera scelta, anche se il desiderio non lo è».

Nella stessa direzione vanno anche altri due ricercatori, Lawrence Mayer and Paul McHugh, che lo scorso mese pubblicavano “Sessualità e Gender: risultati dalla scienza biologica, psicologica e sociale”, spiegando che le argomentazioni a favore della “born that way therapy” non sono scientificamente sostenibili. Non c'è alcuna evidenza che alcuno «sia nato così, se questo significa che l'orientamento sessuale è geneticamente determinato. Ma ci sono evidenze nello studio sui gemelli che certe caratteristiche genetiche possono accrescere l'attitudine di una persona ad identificarsi come gay o ad adottare un comportamento omosessuale». Sempre guardando ai gemelli, però, si comprende che nemmeno la predisposizione basta a spiegare i casi in cui uno dei due prova pulsioni omosessuali mentre l'altro no, bisogna quindi tener conto dell'ambiente che influenza la persona oltre che della sensibilità diversa dei due. Per tanto, a differenza dei teorici del “gender fluid”, secondo i due studiosi la libertà esiste ma in certi casi può essere condizionata: «Sì, la genetica (nel senso dei certe caratteristiche fisco psicologiche, ndr) gioca un ruolo nello sviluppo dell'orientamento sessuale, ma l'ambiente gioca un ruolo maggiore».

Mayer e McHugh, rispettivamente ricercatore e professore di psichiatria presso la Johns Hopkins University (dove negli anni Sessanta sorse la prima clinica per il cambiamento di sesso, poi chiusa anche per volontà dei pionieri del campo che ammisero il loro fallimento) hanno spiegato che «solo una minoranza di bambini che esprimono un pensiero o un comportamento sessuale atipico continueranno così nell'adolescenza o nell'età adulta», tanto meno «tutti questi bambini dovrebbero essere incoraggiati a diventare transessuali e ancor meno a sottoporsi alle terapie ormonali o all'operazione chirurgica».

Ricordando che secondo il “National Transgender Discrimination Survey” il 41 per cento delle persone transessuali ha tentato il suicidio contro il 4,6 della popolazione americana, Mayer ha introdotto la ricerca spiegando che «ho dedicato il mio lavoro, innanzitutto alla comunità Lgbt, che raggiunge un livello di problemi mentali sproporzionato a quelli della popolazione generale», concludendo che occorre «trovare un modo di alleviare queste sofferenze» che non è il cambiamento di sesso verso cui «siamo scettici». Ma nemmeno l'accettazione sociale, perché «mentre lavoriamo per fermare i maltrattamenti e i malintesi, dovremmo anche lavorare per studiare e capire quali fattori possono contribuire all'alto tasso di suicidi o di altri disordini psicologici e comportamentali fra la popolazione transessuale e pensare meglio ai trattamenti clinici a disposizione». Dunque, a seguire il ragionamento, anche quelli legati alle terapie riparative o di fede che, come testimoniato da diverse persone, possono curare le ferite o i condizionamenti che assecondano le pulsioni discordanti.

Anche in Italia c'è una sorta di caccia alle streghe contro coloro che desiderano praticare le terapie riparative. Lo dimostra il caso di Luca di Tolve, di cui abbiamo già parlato sulla NBQ e che qui vi riproponiamo. Luca Di Tolve farà la sua testimonianza Domenica 9 ottobre alla Giornata della Bussola a Monza, alle ore 15 (clicca qui per il programma).


- TERAPIE RIPARATIVE, LA LIBERTA' NEGATA,  di Luca Di Tolve

di Benedetta Frigerio


[Modificato da Caterina63 29/09/2016 18:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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