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Le interviste con Ratzinger - Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 25/07/2014 15:25
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07/06/2014 17:53
 
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INTERVISTA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI 
IN PREPARAZIONE AL VIAGGIO APOSTOLICO 
A MÜNCHEN, ALTÖTTING E REGENSBURG (9-14 SETTEMBRE 2006)

Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Sabato, 5 agosto 2006

 

 




Le domande sono state poste al Santo Padre da quattro rappresentanti delle testate televisive tedesche Bayerischer Rundfunk (BR, ARD), Zdf, Deutsche Welle (DW) e della Radio Vaticana (RV).

Domanda BR: Santo Padre, a Settembre Lei visiterà la Germania, o più precisamente, naturalmente, la Baviera. "Il Papa ha nostalgia della sua patria", così hanno riferito i suoi collaboratori nel corso della preparazione. Quali temi vorrà in particolare toccare durante la visita, e il concetto di "patria" fa parte dei valori che Lei vuole specialmente proporre?

Papa Benedetto XVI: Certamente. Il motivo della visita era proprio che io volevo vedere ancora una volta i luoghi, le persone presso cui sono cresciuto, che mi hanno segnato e hanno formato la mia vita; volevo ringraziare queste persone. E naturalmente volevo anche esprimere un messaggio che vada aldilà della mia terra, come è coerente con il mio ministero. I temi me li sono lasciati indicare molto semplicemente dalle ricorrenze liturgiche. Il tema fondamentale è che noi dobbiamo riscoprire Dio e non un Dio qualsiasi, ma il Dio con un volto umano, poiché quando vediamo Gesù Cristo vediamo Dio. E a partire da questo dobbiamo trovare le vie per incontrarci a vicenda nella famiglia, fra le generazioni e poi anche fra le culture e i popoli, e le vie per la riconciliazione e la convivenza pacifica in questo mondo. Le vie che conducono verso il futuro non le troviamo se non riceviamo, per così dire, la luce dall'alto. Non ho quindi scelto dei temi molto specifici, ma è la liturgia che mi guida a esprimere il messaggio fondamentale della fede, che naturalmente si inserisce nell'attualità di oggi, in cui vogliamo anzitutto cercare la collaborazione dei popoli, e le vie possibili verso la riconciliazione e la pace.

Domanda ZDF: Come Papa, Lei è responsabile per la Chiesa nel mondo intero. Ma naturalmente la sua visita fa rivolgere l'attenzione anche alla situazione dei cattolici in Germania. Ora, tutti gli osservatori concordano che l'atmosfera è buona, anche grazie alla Sua elezione. Ma naturalmente i problemi antichi sono rimasti, solo per fare alcuni esempi: sempre meno praticanti, sempre meno battesimi, in genere sempre meno influsso sulla vita sociale. Come vede Lei la situazione attuale della Chiesa cattolica in Germania?

Papa Benedetto XVI: Io direi anzitutto che la Germania appartiene all'Occidente, anche se con una sua coloritura caratteristica, e nel mondo occidentale oggi viviamo un'ondata di nuovo drastico illuminismo o laicismo, comunque lo si voglia chiamare. Credere è diventato più difficile, poiché il mondo in cui ci troviamo è fatto completamente da noi stessi e in esso Dio, per così dire, non compare più direttamente. Non si beve alla fonte, ma da ciò che, già imbottigliato, ci viene offerto. Gli uomini si sono ricostruiti il mondo loro stessi, e trovare Lui dietro a questo mondo è diventato difficile. Questo non è specifico della Germania, ma è qualcosa che si verifica in tutto il mondo, in particolare in quello occidentale. D'altra parte l'Occidente oggi viene toccato fortemente da altre culture, in cui l'elemento religioso originario è molto forte, e che sono inorridite per la freddezza che riscontrano in Occidente nei confronti di Dio. E questa presenza del sacro in altre culture, anche se velata in molte maniere, tocca nuovamente il mondo occidentale, tocca noi, che ci troviamo al crocevia di tante culture. E anche dal profondo dell'uomo in Occidente e in Germania sale sempre nuovamente la domanda di qualcosa "di più grande". Lo vediamo nella gioventù, nella quale c'è la ricerca di un "più": in certo modo il fenomeno religione - come si dice - ritorna, anche se si tratta di un movimento di ricerca spesso piuttosto indeterminato. Ma con tutto ciò la Chiesa è di nuovo presente, la fede si offre come risposta. E io penso che proprio questa visita, come già quella a Colonia, sia una opportunità perché si veda che credere è bello, che la gioia di una grande comunità universale significa un sostegno, che dietro di essa c'è qualcosa di importante e che quindi insieme ai nuovi movimenti di ricerca vi sono anche nuovi sbocchi alla fede, che ci conducono gli uni verso gli altri e che sono anche positivi per la società nel suo insieme.

Domanda RV: Santo Padre, proprio un anno fa Lei era a Colonia con i giovani, e credo che Lei abbia anche sperimentato che la gioventù è straordinariamente pronta ad accogliere, e che Lei personalmente è stato accolto molto bene. In questo prossimo viaggio Lei porta forse anche un messaggio speciale per i giovani?

Papa Benedetto XVI: Io direi anzitutto: sono molto felice che vi siano giovani che vogliono stare insieme, che vogliono stare insieme nella fede, e che vogliono fare qualcosa di buono. La disponibilità al bene è molto forte nella gioventù, basti pensare alle molte forme di volontariato. L'impegno per offrire in prima persona un proprio contributo di fronte ai bisogni di questo mondo, è una cosa grande. Un primo impulso può essere quindi di incoraggiare in questo: Andate avanti! Cercate le occasioni per fare il bene! Il mondo ha bisogno di questa volontà, ha bisogno di questo impegno! E poi forse una parola particolare sarebbe questa: il coraggio di decisioni definitive! Nella gioventù c'è molta generosità, ma di fronte al rischio di impegnarsi per una vita intera, sia nel matrimonio, sia nel sacerdozio, si prova paura. Il mondo è in movimento in modo drammatico. Continuamente. Posso già fin d'ora disporre della mia vita intera con tutti i suoi imprevedibili eventi futuri? Con una decisione definitiva non è forse che lego io stesso la mia libertà e che tolgo qualcosa alla mia flessibilità? Risvegliare il coraggio di osare decisioni definitive, che in realtà sono le sole che rendono possibile la crescita, il cammino in avanti e il raggiungimento di qualcosa di grande nella vita, le sole che non distruggono la libertà, ma le offrono la giusta direzione nello spazio; rischiare questo, questo salto - per così dire - nel definitivo, e con ciò accogliere pienamente la vita, questo è qualcosa che sarei lieto di poter comunicare.

Domanda DW: Santo Padre, una domanda sulla situazione della politica estera. La speranza della pace in Medio Oriente, nelle settimane scorse, è di nuovo diminuita notevolmente. Quali possibilità Lei vede per la Santa Sede in rapporto alla situazione attuale? Quale influsso positivo Lei può esercitare sulla situazione, sugli sviluppi nel Medio Oriente?

Papa Benedetto XVI: Naturalmente non abbiamo alcuna possibilità politica, e noi non vogliamo alcun potere politico. Ma noi vogliamo appellarci ai cristiani e a tutti coloro che si sentono in qualche modo uniti alla Santa Sede ed interpellati da essa, affinché vengano mobilitate tutte le forze che riconoscono che la guerra è la peggiore soluzione per tutti. Non porta nulla di buono per nessuno, neppure per gli apparenti vincitori. Noi lo sappiamo molto bene in Europa, in seguito alle due guerre mondiali. Ciò di cui tutti hanno bisogno è la pace. E vi è una forte comunità cristiana nel Libano, vi sono cristiani fra gli arabi, vi sono cristiani in Israele, e cristiani di tutto il mondo si impegnano per questi paesi cari a tutti noi. Vi sono forze morali che sono pronte a far comprendere che l'unica soluzione è l'imparare a vivere insieme. Queste forze noi vogliamo mobilitare. Tocca ai politici di trovare poi le strade affinché questo possa avvenire il più presto possibile e soprattutto in modo durevole.

Domanda BR: Come Vescovo di Roma Lei è successore di San Pietro. Il ministero di Pietro come può mostrarsi in modo appropriato ai tempi d'oggi? E come vede Lei il rapporto di tensione ed equilibrio fra il primato del Papa da una parte e la collegialità dei Vescovi dall'altra?

Papa Benedetto XVI: Un rapporto di tensione ed equilibrio naturalmente c'è, deve anche esserci. Molteplicità e unità devono sempre nuovamente trovare il loro rapporto reciproco e questo rapporto, nelle mutevoli situazioni del mondo, deve essere ristabilito. Oggi abbiamo una nuova polifonia delle culture, in cui l'Europa non è più la sola determinante, ma le comunità cristiane dei diversi continenti stanno acquistando il loro proprio peso, il loro proprio colore. Dobbiamo imparare sempre nuovamente questa sinergia. Per questo abbiamo sviluppato diversi strumenti. Le cosiddette "visite ad limina" dei Vescovi, che ci sono sempre state, vengono ora valorizzate molto di più, per parlare veramente con tutte le istanze della Santa Sede e anche con me. Io parlo personalmente con ogni singolo Vescovo. Ho già potuto parlare con quasi tutti i Vescovi dell'Africa e con molti di quelli dell'Asia. Adesso verranno quelli dell'Europa Centrale, della Germania, della Svizzera e in questi incontri, in cui appunto Centro e Periferia si incontrano in uno scambio franco, cresce il corretto rapporto reciproco in una tensione equilibrata. Abbiamo anche altri strumenti, come il Sinodo, il Concistoro, che io ora terrò regolarmente e che vorrei sviluppare, in cui anche senza un grande ordine del giorno si possono discutere insieme i problemi attuali e cercare delle soluzioni. Sappiamo da una parte che il Papa non è affatto un monarca assoluto, ma che, nell'ascolto collettivo di Cristo, deve - per così dire - personificare la totalità. Ma la consapevolezza che occorre un'istanza unificatrice, che crei anche l'indipendenza dalle forze politiche e garantisca che le cristianità non si identifichino troppo con le nazionalità, questa consapevolezza appunto, che vi è bisogno di una tale istanza superiore e più ampia, che crea unità nella integrazione dinamica del tutto, e d'altra parte accoglie, accetta e promuove la molteplicità, questa consapevolezza è molto forte. Perciò credo che, in questo senso, vi sia veramente un'adesione intima al ministero petrino nella volontà di svilupparlo ulteriormente, in modo che risponda sia alla volontà del Signore, sia ai bisogni dei tempi.

Domanda ZDF: La Germania come terra della Riforma è naturalmente segnata in modo particolare dai rapporti fra le diverse confessioni. I rapporti ecumenici sono una realtà sensibile, che ogni tanto può trovarsi in difficoltà. Quali possibilità vede di migliorare il rapporto con la Chiesa evangelica, o quali difficoltà vede su questa strada?

Papa Benedetto XVI: Forse è importante dire anzitutto che la Chiesa evangelica presenta una notevole varietà. In Germania abbiamo, se non sbaglio, tre comunità maggiori: Luterani, Riformati, Unione Prussiana. Inoltre oggi si formano anche numerose Chiese libere (Freikirchen) e, all'interno delle Chiese classiche, movimenti come la "Chiesa confessante" e così via. Si tratta quindi anche di un insieme a molte voci, con il quale, rispettando la molteplicità delle voci, dobbiamo nella ricerca dell'unità entrare in dialogo e stabilire una collaborazione. La prima cosa da fare è che in questa società ci preoccupiamo tutti insieme di rendere chiari i grandi orientamenti etici, di trovarli noi stessi e tradurli, e così garantire la coesione etica della società, senza la quale essa non può realizzare il fine della politica, che è la giustizia per tutti, una buona convivenza, la pace. In questo senso si realizzano già molte cose: di fronte alle grandi sfide morali già ci troviamo ormai veramente uniti a causa del comune fondamento cristiano. Naturalmente poi si tratta di testimoniare Dio in un mondo che ha difficoltà a trovarLo, come abbiamo già detto: di rendere visibile il Dio col volto umano di Gesù Cristo, offrendo così agli uomini l'accesso a quelle fonti, senza le quali la morale si isterilisce e perde i suoi riferimenti. Si tratta anche di donare la gioia, perché non siamo isolati in questo mondo. Solo così nasce la gioia davanti alla grandezza dell'uomo, che non è un prodotto mal riuscito dell'evoluzione, ma immagine di Dio. Ci dobbiamo muovere su questi due piani - su quello dei grandi riferimenti etici e su quello che mostra - a partire dall'interno di tali riferimenti e orientandosi verso di essi - la presenza di Dio, di un Dio concreto. Se facciamo questo, e se poi soprattutto i singoli raggruppamenti cercano di non vivere la fede in modo particolaristico, ma sempre a partire dai suoi fondamenti più profondi, allora, anche se forse non arriveremo così presto a delle manifestazioni esterne di unità, matureremo però verso un'unità interiore, che se Dio vuole un giorno porterà anche a forme esterne di unità.

Domanda RV: Tema: la famiglia. Circa un mese fa Lei era a Valencia per l'Incontro mondiale delle famiglie. Chi ha ascoltato con attenzione - come abbiamo cercato di fare alla Radio Vaticana - ha notato che Lei non ha mai pronunciato la parola "matrimoni omosessuali", non ha mai parlato di aborto, né di contraccezione. Osservatori attenti si sono detti: interessante! Evidentemente la sua intenzione è di annunciare la fede e non di girare il mondo come "apostolo della morale". Può dirci il Suo commento?

Papa Benedetto XVI: Naturalmente sì. Anzitutto bisogna dire che io avevo in tutto due volte venti minuti di tempo per parlare. E se uno ha così poco tempo non può subito cominciare con il dire "No". Bisogna sapere prima che cosa veramente vogliamo, non è vero? E il cristianesimo, il cattolicesimo, non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva. Ed è molto importante che lo si veda nuovamente, poiché questa consapevolezza oggi è quasi completamente scomparsa. Si è sentito dire tanto su ciò che non è permesso, che ora bisogna dire: Ma noi abbiamo un'idea positiva da proporre: l'uomo e la donna sono fatti l'uno per l'altra, esiste - per così dire - una scala: sessualità, eros, agape, che sono le dimensioni dell'amore, e così si forma dapprima il matrimonio come incontro colmo di felicità di uomo e donna, e poi la famiglia, che garantisce la continuità fra le generazioni, in cui si realizza la riconciliazione delle generazioni e in cui si possono incontrare anche le culture. Anzitutto, dunque, è importante mettere in rilievo ciò che vogliamo. In secondo luogo, si può poi anche vedere, perché certe cose non le vogliamo. E io credo che occorra riconoscere che non è un'invenzione cattolica che l'uomo e la donna siano fatti l'uno per l'altra, affinché l'umanità continui a vivere: lo sanno in fondo tutte le culture. Per quanto riguarda l'aborto, esso non rientra nel sesto, ma nel quinto comandamento: "Non uccidere!". E questo dovremmo presupporlo come ovvio, ribadendo sempre di nuovo: la persona umana inizia nel seno materno e rimane persona umana fino al suo ultimo respiro. Perciò deve sempre essere rispettata come persona umana. Ma ciò diventa più chiaro se prima è stato detto il positivo.

Domanda DW: Santo Padre, la mia domanda si collega in certo modo a quella del Padre von Gemmingen. In tutto il mondo i credenti attendono dalla Chiesa cattolica risposte ai problemi globali più urgenti, come l'AIDS e la sovrappopolazione. Perché la Chiesa cattolica insiste tanto sulla morale anteponendola ai tentativi di soluzione concreta per questi problemi cruciali dell'umanità, ad esempio nel continente africano?

Papa Benedetto XVI: Già, questo è il problema: insistiamo veramente tanto sulla morale? Io direi - me ne sono convinto sempre più anche nel dialogo con i Vescovi africani - che la questione fondamentale, se vogliamo fare dei passi avanti in questo campo, si chiama educazione, formazione. Il progresso può essere progresso vero solo se serve alla persona umana e se la persona umana stessa cresce; se non cresce solo il suo potere tecnico, ma anche la sua capacità morale. E penso che il vero problema della nostra situazione storica sia lo squilibrio fra la crescita incredibilmente rapida del nostro potere tecnico e quella della nostra capacità morale, che non è cresciuta in modo proporzionale. Perciò la formazione della persona umana è le vera ricetta, la chiave di tutto direi, e questa è anche la nostra via. E questa formazione ha - per dirla in breve - due dimensioni. Anzitutto naturalmente dobbiamo imparare: acquisire sapere, capacità, know-how come si suol dire. In questa direzione l'Europa, e l'America negli ultimi decenni, hanno fatto molto, ed è una cosa importante. Ma se si diffonde solo know-how, se si insegna solo come si costruiscono e usano le macchine, e come si impiegano i mezzi di contraccezione, allora non bisogna poi meravigliarsi che alla fine ci si ritrovi con le guerre e con le epidemie di AIDS. Noi abbiamo bisogno di due dimensioni: ci vuole allo stesso tempo la formazione del cuore - se così posso esprimermi - con cui la persona umana acquisisce dei riferimenti e impara così anche ad usare correttamente la tecnica, che pure ci vuole. Ed è questo che cerchiamo di fare. In tutta l'Africa e anche in molti paesi dell'Asia abbiamo una grande rete di scuole di ogni grado, dove anzitutto si può imparare, acquisire vera conoscenza, capacità professionale, e con ciò raggiungere autonomia e libertà. Ma in queste scuole noi cerchiamo appunto non solo di comunicare know-how, ma di formare persone umane, che vogliano riconciliarsi, che sappiano che dobbiamo costruire e non distruggere, e che abbiano i riferimenti necessari per saper convivere. In gran parte dell'Africa le relazioni fra musulmani e cristiani sono esemplari. I Vescovi hanno formato comitati comuni insieme con i musulmani per vedere come creare pace nelle situazioni di conflitto. E questa rete delle scuole, dell'apprendimento e della formazione umana, che è molto importante, viene completata da una rete di ospedali e di centri di assistenza, che raggiunge capillarmente anche i villaggi più remoti. E in molti luoghi, dopo tutte le distruzioni della guerra, la Chiesa è rimasta l'ultimo potere intatto - non potere, ma realtà! Una realtà dove si cura, dove si cura anche l'AIDS, e dove, d'altra parte, si offre un'educazione che aiuta a stabilire i giusti rapporti con gli altri. Perciò credo che dovrebbe venire corretta l'immagine secondo cui seminiamo attorno a noi solo dei rigidi "No". Proprio in Africa si opera molto, perché le diverse dimensioni della formazione si possano integrare e così diventi possibile il superamento della violenza e anche delle epidemie, fra cui bisogna contare anche la malaria e la tubercolosi.

Domanda BR: Santo Padre, il cristianesimo si è diffuso in tutto il mondo a partire dall'Europa. Ora, molti che si occupano dell'argomento dicono che il futuro della Chiesa si trova negli altri continenti. È vero? O in altre parole, che futuro ha il cristianesimo in Europa, dove sembra che esso si stia riducendo a faccenda privata di una minoranza?

Papa Benedetto XVI: Anzitutto io vorrei introdurre qualche sfumatura. In verità, come sappiamo, il cristianesimo è sorto nel Vicino Oriente. E per lungo tempo il suo sviluppo principale è rimasto là e si è diffuso in Asia molto di più di quanto noi oggi pensiamo dopo i cambiamenti portati dall'Islam. D'altra parte, proprio per questo motivo il suo asse si è spostato sensibilmente verso l'Occidente e l'Europa, e l'Europa - ne siamo fieri e ce ne rallegriamo - ha ulteriormente sviluppato il cristianesimo nelle sue grandi dimensioni anche intellettuali e culturali. Ma credo che sia importante ricordarci dei cristiani d'Oriente, poiché al momento vi è il pericolo che essi, che sono stati sempre ancora una minoranza importante, adesso emigrino. E vi è il grande pericolo che proprio questi luoghi d'origine del cristianesimo rimangano privi di cristiani. Penso che dobbiamo aiutare molto perché essi possano restare. Ma ora veniamo alla Sua domanda. L'Europa è diventata certamente il centro del cristianesimo e del suo impegno missionario. Oggi gli altri continenti, le altre culture, entrano con peso uguale nel concerto della storia del mondo. Così cresce il numero delle voci della Chiesa, e questo è bene. È bene che si possano esprimere i diversi temperamenti, i doni propri dell'Africa, dell'Asia e dell'America, in particolare anche dell'America Latina. Tutti naturalmente sono toccati non solo dalla parola del cristianesimo, ma anche dal messaggio secolaristico di questo mondo, che porta anche negli altri continenti la prova dirompente che noi abbiamo subito in noi stessi. Tutti i Vescovi delle altre parti del mondo dicono: noi abbiamo ancora bisogno dell'Europa, anche se l'Europa ora è solo una parte di un tutto più grande. Noi abbiamo tuttora una responsabilità al riguardo. Le nostre esperienze, la scienza teologica che è stata qui sviluppata, tutta la nostra esperienza liturgica, le nostre tradizioni, anche le esperienze ecumeniche che abbiamo accumulato: tutto ciò è molto importante anche per gli altri continenti. Perciò bisogna che noi oggi non capitoliamo dicendo: "Ecco, siamo solo una minoranza, cerchiamo almeno di conservare il nostro piccolo numero!". Dobbiamo invece conservare vivo il nostro dinamismo, aprire rapporti di scambio, cosicché di là vengano anche forze nuove per noi. Oggi vi sono sacerdoti indiani ed africani in Europa, anche in Canada, dove molti sacerdoti africani lavorano; è interessante. Vi è questo dare e ricevere vicendevole. Ma anche se in futuro dovremo essere piuttosto coloro che ricevono, dovremmo tuttavia rimanere sempre capaci di dare e sviluppare in tal senso il necessario coraggio e dinamismo.

Domanda ZDF: È un argomento che è stato già in parte toccato, Santo Padre. Le società moderne nelle decisioni importanti riguardo alla politica e alla scienza non si orientano secondo i valori cristiani e la Chiesa - lo sappiamo dalle inchieste - viene considerata perlopiù solo come una voce ammonitrice o addirittura frenante. La Chiesa non dovrebbe uscire da questa posizione difensiva e assumere un atteggiamento più positivo riguardo al futuro e alla sua costruzione?

Papa Benedetto XVI: Direi che in ogni caso abbiamo il nostro compito di mettere meglio in rilievo ciò che noi vogliamo di positivo. E questo dobbiamo anzitutto farlo nel dialogo con le culture e con le religioni, poiché il continente africano, l'anima africana e anche l'anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità. È importante dimostrare che da noi non c'è solo questo. E reciprocamente è importante che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte "l'organo religioso" e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente, ma occorre una razionalità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche un mezzo per far confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un'unità comprensiva anche dell'agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di mostrare cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene - per così dire - ai ciarpami della storia, ma è necessaria proprio oggi.

Domanda RV: Santo Padre, parliamo dei suoi viaggi. Lei è in Vaticano, forse Le costa essere un po' lontano dalla gente e separato dal mondo, anche qui nel bellissimo ambiente di Castel Gandolfo. Ma Lei fra poco avrà 80 anni. Lei pensa, con l'aiuto di Dio, di poter fare ancora molti viaggi? Ha un'idea di quali vorrebbe fare? In Terra Santa, in Brasile? Lo sa già?

Papa Benedetto XVI: A dire il vero non sono così solo. Naturalmente ci sono - per così dire - le mura che rendono difficile l'accesso, ma c'è una "famiglia pontificia", ogni giorno molte visite, in particolare quando sono a Roma. Vengono i Vescovi, altre persone, ci sono visite di Stato, di personalità che però vogliono parlare con me anche personalmente e non solo di questioni politiche. In questo senso c'è una molteplicità di incontri che grazie a Dio mi vengono donati continuamente. Ed è anche importante che la sede del Successore di Pietro sia un luogo di incontro - non è vero? Dal tempo di Giovanni XXIII, poi, il pendolo si è spostato anche nell'altra direzione: sono i Papi che hanno cominciato a fare visite. Devo dire che io non mi sento molto forte tanto da mettere in agenda ancora molti grandi viaggi, ma dove questi permettono di rivolgere un messaggio, dove rispondono a un vero desiderio, lì vorrei andare, con il "dosaggio" che mi è possibile. Qualcosa è già previsto: il prossimo anno in Brasile c'è l'incontro del CELAM, il Consiglio Episcopale Latino Americano, e penso che lì la mia presenza sia un passo importante, considerate, da una parte, la vicenda drammatica che l'America del Sud sta vivendo e, dall'altra parte, tutta la forza di speranza che allo stesso tempo è operante in quella regione. Poi vorrei andare nella Terra Santa, e spero di poterla visitare in tempo di pace, e per il resto vedremo che cosa mi riserva la Provvidenza.

Domanda RV: Mi permetta di insistere. Gli austriaci parlano anche loro tedesco e La aspettano a Mariazell.

Papa Benedetto XVI: Sì, è stato concordato. Io l'ho promesso semplicemente, in modo un po' imprudente. È un posto che mi è piaciuto tanto che ho detto: Sì, tornerò dalla Magna Mater Austriae. Naturalmente questa è diventata subito una promessa, che io manterrò, e la manterrò volentieri.

Domanda RV: Insisto ancora. Io La ammiro ogni mercoledì, quando tiene l'udienza generale. Vengono 50.000 persone. Deve essere stancante, molto stancante. Lei riesce a resistere?

Papa Benedetto XVI: Sì, il Buon Dio mi darà la forza necessaria. E quando si vede l'accoglienza cordiale, naturalmente si rimane incoraggiati.

Domanda DW: Santo Padre, Lei ha appena detto di aver fatto una promessa un po' imprudente. Vuol dire che nonostante il Suo ministero, nonostante i molti vincoli protocollari, Lei non si lascia portar via la sua spontaneità?

Papa Benedetto XVI: In ogni caso, io ci provo. Poiché, per quanto le cose siano fissate, io vorrei cercare di conservare e di realizzare anche qualcosa di propriamente personale.

Domanda BR: Santo Padre, le donne sono molto attive in diverse funzioni nella Chiesa cattolica. Il loro contributo non dovrebbe diventare più chiaramente visibile, anche in posti di più alta responsabilità nella Chiesa?

Papa Benedetto XVI: Su questo argomento naturalmente si riflette molto. Come Lei sa, noi riteniamo che la nostra fede, la costituzione del Collegio degli Apostoli ci impegnino e non ci permettano di conferire l'ordinazione sacerdotale alle donne. Ma non bisogna neppure pensare che nella Chiesa l'unica possibilità di avere un qualche ruolo di rilievo sia di essere sacerdote. Nella storia della Chiesa vi sono moltissimi compiti e funzioni. A cominciare dalle sorelle dei Padri della Chiesa, per giungere al medioevo, quando grandi donne hanno svolto un ruolo molto determinante, e fino all'epoca moderna. Pensiamo a Ildegarda di Bingen, che protestava con forza nei confronti di Vescovi e del Papa; a Caterina da Siena e a Brigida di Svezia. Così anche nel tempo moderno le donne devono - e noi con loro - cercare sempre di nuovo il loro giusto posto. Oggi, esse sono ben presenti nei Dicasteri della Santa Sede. Ma c'è un problema giuridico: quello della giurisdizione, cioè il fatto che secondo il Diritto Canonico il potere di prendere decisioni giuridicamente vincolanti è legato all'Ordine sacro. Da questo punto di vista vi sono quindi dei limiti. Ma io credo che le stesse donne, con il loro slancio e la loro forza, con la loro - per così dire - preponderanza, con la loro "potenza spirituale", sapranno farsi il loro spazio. E noi dovremmo cercare di metterci in ascolto di Dio, per non essere noi ad opporci a Lui, ma anzi ci rallegriamo che l'elemento femminile ottenga nella Chiesa il posto operativo che gli conviene, a cominciare dalla Madre di Dio e da Maria Maddalena.

Domanda: Santo Padre, nei tempi più recenti si parla di un nuovo fascino del cattolicesimo. Quale è dunque la vitalità e la capacità di futuro di questa istituzione d'altra parte antichissima?

Papa Benedetto XVI: Direi che già l'intero Pontificato di Giovanni Paolo II ha attirato l'attenzione degli uomini e li ha riuniti. Ciò che è accaduto in occasione della sua morte rimane qualcosa di storicamente del tutto speciale: come centinaia di migliaia di persone accorrevano disciplinatamente verso Piazza San Pietro, stavano in piedi per ore, e mentre avrebbero dovuto crollare, invece resistevano mosse da una spinta interiore. E poi lo abbiamo rivissuto in occasione della inaugurazione del mio pontificato e poi a Colonia. È molto bello che l'esperienza della comunità diventi allo stesso tempo un'esperienza di fede; che si sperimenti la comunione non solamente in un luogo qualunque, ma che essa diventi più viva proprio là dove sono i luoghi della fede, facendo risplendere nella sua forza luminosa anche la cattolicità. Ovviamente ciò deve perdurare anche nella vita quotidiana. Le due cose devono andare insieme. Da una parte i grandi momenti, in cui si sperimenta che è bello partecipare, che il Signore è presente e che noi formiamo una grande comunità riconciliata aldilà di tutti i confini. Ma poi, naturalmente, bisogna attingere da questo lo slancio per resistere durante i faticosi pellegrinaggi attraverso il quotidiano, affrontandoli a partire da questi punti luminosi ed invitando così anche altri a inserirsi nella comunità in cammino. Ma vorrei cogliere questa occasione per dire: io mi sento arrossire per tutto ciò che viene fatto in preparazione della mia visita, per tutto quello che la gente sta facendo. La mia casa è stata dipinta a nuovo, una scuola professionale ne ha rifatto il recinto. Il professore di religione evangelico ha collaborato per il mio recinto. E questi sono solo piccoli particolari, ma sono il segno del moltissimo che viene fatto. Io trovo tutto ciò straordinario, e non lo riferisco a me stesso, ma lo considero come segno di una volontà di appartenere a questa comunità di fede e di servirsi tutti l'un l'altro. Dimostrare questa solidarietà e lasciarci ispirare in questo dal Signore: è qualcosa che mi tocca e per questo vorrei anche ringraziare di tutto cuore.

Domanda: Santo Padre, Lei ha parlato dell'esperienza della comunità. Lei verrà ora in Germania già per la seconda volta dopo la Sua elezione. Con la Giornata Mondiale della Gioventù, e forse anche per altro verso con i campionati mondiali di calcio, l'atmosfera è in certo senso cambiata. Si ha l'impressione che i tedeschi siano diventati più aperti al mondo, più tolleranti, più gioiosi. Che cosa si augura Lei ancora da noi tedeschi?

Papa Benedetto XVI: Direi che naturalmente già con la fine della Seconda Guerra Mondiale è cominciata una trasformazione interiore della società tedesca, anche della mentalità tedesca, che tale trasformazione è stata ancora rafforzata dalla riunificazione. Noi ci siamo inseriti molto più profondamente nella società mondiale e ovviamente stiamo in certa misura sotto l'influsso della sua mentalità. E così appaiono anche aspetti del carattere tedesco che prima non ci si aspettava. E forse siamo stati dipinti un po' troppo come sempre tutti disciplinati e riservati, cosa che ha anche un certo fondamento. Ma sono contento se ora emerge di più e si rende visibile a tutti che i tedeschi non sono solo riservati, puntuali e disciplinati, ma sono anche spontanei, allegri, ospitali. Questo è molto bello. Ed allora il mio augurio che queste virtù si sviluppino ulteriormente, ricevendo ancora slancio e durevolezza dalla fede cristiana.

Domanda RV: Santo Padre, il Suo Predecessore ha dichiarato beati e santi un grandissimo numero di cristiani. Alcuni pensano, perfino un po' troppi. Qui la mia domanda: le beatificazioni e le canonizzazioni sono di vantaggio per la Chiesa solo se queste persone possono essere considerate come veri modelli. La Germania produce relativamente pochi santi e beati in confronto ad altri paesi. Si può fare qualcosa perché questa dimensione pastorale si sviluppi, e perché il bisogno di beatificazioni e canonizzazioni dia un vero frutto pastorale?

Papa Benedetto XVI: All'inizio avevo anch'io un poco l'idea che la grande quantità delle beatificazioni quasi ci schiacciasse e che forse bisognava scegliere di più: delle figure che entrassero più chiaramente nella nostra coscienza. Nel frattempo ho decentralizzato le beatificazioni, per rendere ogni volta più visibili queste figure nei luoghi specifici a cui esse appartengono. Forse un santo del Guatemala interessa meno noi in Germania e viceversa uno di Altötting forse non trova tanto interesse a Los Angeles e così via. In questo senso credo che questa decentralizzazione, che corrisponde anche alla collegialità dell'episcopato, alle sue strutture collegiali, sia una cosa opportuna proprio in questo punto. I diversi Paesi hanno le loro proprie figure che lì possono svolgere la loro efficacia. Ho anche osservato che queste beatificazioni nei diversi luoghi toccano innumerevoli persone e che la gente dice: "Finalmente, questo è uno di noi!" e va a lui e ne viene ispirata. Il beato appartiene a loro, e noi siamo contenti che lì ce ne siano molti. E se gradualmente, con lo sviluppo della società mondiale, anche noi li conosceremo meglio, sarà bello. Ma anzitutto è importante che anche in questo campo vi sia la molteplicità. E in questo senso è importante che anche noi in Germania impariamo a conoscere le nostre proprie figure e a rallegrarci di esse. Parallelamente ci sono poi le canonizzazioni delle figure più grandi, che sono di rilievo per la Chiesa intera. Io direi che le singole Conferenze Episcopali dovrebbero scegliere, dovrebbero vedere chi è adatto per noi, chi ci dice veramente qualcosa, e poi dovrebbero rendere visibili queste figure più significative, imprimendole nella coscienza mediante la catechesi, la predicazione; forse si potrebbero anche presentare con un film. Potrei immaginarmi dei film molto belli. Io naturalmente conosco bene solo i Padri della Chiesa: fare un film su Agostino, anche uno su Gregorio di Nazianzo e la sua figura molto particolare (il suo fuggire ripetutamente perché ne aveva abbastanza, e così via) e dimostrare che non ci sono sempre solo le brutte situazioni attorno a cui girano tanti nostri film, ma ci sono figure meravigliose della storia, che non sono affatto noiose, ma sono molto attuali. Insomma bisogna cercare di non caricare eccessivamente la gente, ma di rendere visibili per molti le figure che sono attuali e che ci ispirano.

Domanda DW: Storie in cui ci sia anche humour? Nel 1989 a Monaco Le è stata data l'onorificenza del Karl Valentin Orden. Quale ruolo hanno nella vita di un Papa lo humour e la leggerezza dell'essere?

Papa Benedetto XVI: (ride) Io non sono un uomo a cui vengano in mente continuamente delle barzellette. Ma saper vedere anche l'aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa e non prendere tutto così tragicamente, questo lo considero molto importante, e direi che è anche necessario per il mio ministero. Un qualche scrittore aveva detto che gli angeli possono volare, perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo anche volare un po' di più, se non ci dessimo così tanta importanza.

Domanda: Quando si svolge un compito importante come il Suo, Santo Padre, si viene naturalmente anche molto osservati. Gli altri parlano di Lei. E leggendo sono rimasto colpito da ciò che dicono molti osservatori, che Papa Benedetto è una personalità diversa dal Cardinal Ratzinger. Come Lei vede se stesso, se posso permettermi questa domanda?

Papa Benedetto XVI: Io sono stato già sezionato diverse volte: il professore del primo periodo e quello del periodo intermedio, il primo Cardinale e quello successivo. Adesso si aggiunge un altro sezionamento. Naturalmente le circostanze e la situazione e anche gli uomini influiscono, perché si rivestono responsabilità diverse. Ma - diciamo così - la mia personalità fondamentale e anche la mia visione fondamentale sono cresciute, ma in tutto ciò che è essenziale sono rimaste identiche. Sono contento se ora vengono percepiti anche aspetti che prima non venivano così notati.

Domanda: Si può dire che il suo compito le piace, che non è un peso per Lei?

Papa Benedetto XVI: Questo sarebbe un po' troppo, perché in realtà è faticoso, ma in ogni caso cerco di trovare anche in questo la gioia.

Conclusione (Bellut - ZDF): Anche a nome dei miei colleghi La ringrazio molto sinceramente per questo colloquio, per questa "prima mondiale". Noi siamo lieti per la sua prossima visita in Germania, in Baviera. Arrivederci.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Intervista al cardinal Ratzinger, Vittorio Possenti, 2002





Card. Ratzinger: La libertà non può essere arbitrarietà, ma ha bisogno dell'ordinamento delle libertà e dell'osservanza delle sue regole.

Uscita nel volume AA. VV., Il monoteismo. Annuario di filosofia 2002, Mondadori, Milano 2002.


1) Quali mutamenti è possibile diagnosticare nel passaggio d'epoca, di cui è segno il nuovo millennio, nell'ambito delle religioni mondiali e in particolare nel cristianesimo?

Oggi tutte le grandi religioni mondiali stanno vivendo un processo di profonde fusioni, trasformazioni e crisi. Nel XIX secolo si era giunti per la prima volta a un intenso contatto fra il cristianesimo e le religioni dell'India. Esso ha portato al fenomeno sfaccettato del neoinduismo, a una nuova interpretazione dell'eredità spirituale indiana, che accoglie sollecitazioni del cristianesimo, ma che proprio così facendo vuole conservare la sua identità e consolidarla di fronte alla religione cristiana.
Il fenomeno più saliente a cui si assiste è l'assunzione dell'universalismo cristiano, e dunque della spinta missionaria, da parte dell'induismo; universalismo che fino a ora era del tutto estraneo alla religione induista.
In questa prospettiva la propria particolare religione viene vissuta come se fosse universale: la radice mistica della religione indiana sarebbe ciò che veramente accomuna e abbraccia tutto, ciò in cui tutte le singole espressioni religiose troverebbero la loro dimora. La consapevolezza che dietro a tutte le forme di religiosità si nasconda l'Uno ineffabile, in cui noi tutti siamo identici a Dio, si congiunge oggi con il relativismo occidentale ed esercita, a partire da qui, una particolare forza d'attrazione. Qualcosa di simile si potrebbe dire circa gli sviluppi del buddhismo, il cui concetto di compassione viene avvicinato a quello dell'amore cristiano, intendendo così di nuovo evidenziare l'identità ultima delle religioni. Tuttavia alle tendenze universalistiche si contrappongono anche reazioni particolaristiche, che vogliono consapevolmente racchiudere entro ben definiti confini ciò che è estraneo, che intendono affermare la propria identità e che rifiutano il cristianesimo in quanto estraneo e l'attività missionaria in quanto imperialismo religioso.
Inoltre è presente in tutto il mondo una tendenza alla politicizzazione della religione: la sua universalità consisterebbe, in definitiva, nel suo utilizzo a fini politici per difendere la giustizia, la pace e per preservare la creazione. Ben vengano questi obiettivi! Ma là dove la religione viene misurata secondo i suoi scopi e secondo la sua utilità nella politica mondiale, la si distrugge dall'interno. A ciò è collegata la tendenza all'universalizzazione della teologia della liberazione. Al buddhismo, in primo luogo, nulla è così estraneo quanto l'idea di cambiare il mondo e di dare un nuovo assetto alle istituzioni mondane. Ma sulla via che conduce a una diversa interpretazione dell'idea di compassione K.N. Jayatilleke, per esempio, è potuto giungere fino al punto di spiegare la democratizzazione della società come una esigenza insita nel buddhismo.
Non stupisce allora che nella situazione in cui si trovava il Medio Oriente potessero nascere teologie della liberazione di impronta islamica. Si tratta di un fenomeno marginale nel processo della rinascita dell'islam. Anche questo processo è molto stratificato e non sarebbe concepibile senza il contatto con il cristianesimo. Esso trae vantaggio soprattutto dalla povertà della fede dei cristiani, dal predominio di filosofie radicalmente secolariste nel mondo occidentale, da cui il sentimento religioso dei popoli islamici prende le distanze: il cristianesimo sembra aver perso la sua forza vitale, e ciò fa sì che si faccia sentire ancora di più la forza religiosa dell'islam. In questi processi la componente politica è rilevante, tanto più che per l'islam l'elemento politico non è comunque scindibile da quello religioso.
Tuttavia bisognerebbe guardarsi dall'interpretare tutto questo solo in chiave politica misconoscendone la forza religiosa, tutt'altro che assente. Il disgregamento del cristianesimo a opera del pensiero secolarista ha portato in Occidente a nuove forme di religiosità, che si celano dietro la cangiante etichetta di "New Age". Non si cerca la fede ma l'esperienza religiosa, si va alla ricerca dei sentieri che conducono all'unione "mistica", e in tal modo si giunge anche a una riscoperta delle religioni precristiane, si assiste a un ritorno di dèi e riti precristiani. La madre terra e il padre sole, se considerati insieme, corrispondono alle idee egualitaristiche dell'epoca più che la fede nel Dio unico; le immagini mitiche sono in auge e i rituali semimagici appaiono più promettenti della sobria ebbrezza della liturgia cristiana, per non parlare delle sue atrofizzazioni razionalistiche dei tempi recenti.


Siamo così giunti al cristianesimo. Si possono subito riconoscere due tendenze fondamentali che si contrappongono reciprocamente: da un lato i tentativi di un proseguimento sul cammino della razionalizzazione e di un adeguamento, il più completo possibile, ai moderni standard di vita.
Questi conformismi non conducono però per loro natura a un rafforzamento del vincolo religioso, ma alla sua progressiva dissoluzione.
Un cristianesimo che va d'accordo con tutto e che è compatibile con tutto è superfluo. Del resto nei razionalismi estremi è sempre incombente il rovesciamento nel mito, che non ha bisogno di una giustificazione razionale, bensì rappresenta un irrazionale programma aggiunto per la realizzazione della concezione secolarista del mondo.

Dall'altro lato si hanno risvegli della fede di rinnovata intensità, che all'interno della Chiesa si manifestano nei movimenti religiosi, mentre al di fuori di essa assumono forme ecclesiali autonome. Ciò che più salta agli occhi è la rapida crescita delle Chiese pentecostali, che mostrano fervore religioso, fede salda e nel contempo un interesse relativamente scarno per le questioni di carattere istituzionale; quello che contraddistingue i pentecostali è il forte risalto dato all'esperienza religiosa. Grande successo hanno le cosiddette comunità fondamentaliste, che sono caratterizzate da una chiara professione di fede e da nette delimitazioni di confini nei confronti del mondo secolare. Chi crede vuole sapere in che cosa crede e perché crede; cerca fermezza, decisione e un percorso chiaro. Tutti questi fenomeni, naturalmente, si possono osservare anche nella Chiesa cattolica.
Diventa sempre più evidente come l'adeguamento progressivo, il continuo confondersi dei tratti essenziali della fede, non apra alcuna via verso il futuro.
Per la Chiesa cattolica è importante possedere una chiara consapevolezza della sua universalità, sia nella prospettiva sincronica sia in quella diacronica: essa unisce uomini e culture di tutti i luoghi e di tutti i tempi. La Chiesa cattolica è una forza che unisce in un mondo minacciato dai particolarismi. Questo nel contempo sta a significare il suo carattere metapolitico: in se stessa la Chiesa non è uno strumento politico, la fede ha il suo ambito proprio, che costituisce un correttivo di tutto ciò che è politico e contemporaneamente è forza morale per la sua giusta configurazione. In definitiva, la fede dà all'essere umano i contenuti essenziali sul suo "da dove" e sul suo "verso dove": una certezza che ci accomuna e ci sostiene durante la vita e al momento della morte. Tale fede da un lato è aperta alla ragione; l'apertura nei confronti della ragione e la responsabilità verso di essa è essenziale per la fede. Ma la fede conferisce alla ragione anche un'ampiezza di orizzonti e una certezza che la ragione, proprio nelle domande essenziali dell'esser-uomo, da sé sola non può avere e che ci conduce oltre la sola ratio, verso la profondità dell'intellectus (per riprendere una distinzione dei Padri e del Medioevo), dischiudendo anche la dimensione della mistica, del contatto dell'anima da parte del Dio vivente.


2) Dopo il declino della critica, lungamente sollevata, secondo cui la religione varrebbe come oppio dei popoli, quali interrogativi e problemi verosimilmente interpellano con maggior vigore la coscienza umana e religiosa del XXI secolo?

È difficile fare previsioni, perché potrebbero sempre entrare in scena improvvisi cambiamenti della coscienza storica. All'inizio del XX secolo chi avrebbe potuto prevedere che negli anni Venti il liberalismo sarebbe stato improvvisamente considerato una ideologia borghese ormai superata, al cui posto erano subentrati l'esistenzialismo, la filosofia dei valori e nuovi abbozzi della metafisica? All'inizio degli anni Sessanta chi avrebbe potuto prevedere che nel 1968 sarebbe sopraggiunta una svolta che a sua volta rigettava l'esistenzialismo come filosofia borghese e invece implicava di rivolgersi con passione al marxismo? Allo stesso modo anche noi oggi non possiamo prevedere i possibili cambiamenti della coscienza collettiva.
Come appare dalla situazione attuale, ci saranno da un lato una riabilitazione del mito e delle forme di religiosità di impronta mitica, in cui l'essere umano cerca l'esperienza della comunità, dell'unità di anima e corpo, dell'unitotalità e la fuoriuscita dai vincoli del mondo della tecnica come momenti di libertà, di oblio, in sintesi di felicità. A tale riguardo potrebbe ulteriormente aumentare la frattura fra il mondo del razionale e i mondi dell'esperienza irrazionale. Ciò significherebbe poi in ambito filosofico un ulteriore allontanamento dalla metafisica e un consolidamento del dominio del positivismo come unica forma della razionalità, per cui la capacità di comprendere che cosa sia la ragione e che cosa sia razionale si riduce sempre più.
Ma vedo anche possibili nuovi risvegli della fede cristiana, di una cattolicità viva, e da ciò giungeranno anche nuovi impulsi per la filosofia. Come negli anni Venti del secolo scorso la fenomenologia husserliana all'improvviso aveva aperto le porte per un rinnovamento della metafisica e il personalismo aveva mutato il quadro della filosofia, così una fede rinnovata aprirà di nuovo alla filosofia le porte delle domande primigenie dell'essere umano - domande fondamentali e mai risolte - sulla sua origine e il suo futuro, sulla vita e la morte, su Dio e l'eternità.


3) Il liberalismo filosofico, di cui è nota la considerevole diffusione ai vari livelli della cultura occidentale, continua a sostenere che il primo e fondamentale "bisogno umano" debba ravvisarsi nella libertà. Considerando questo assunto, si fa strada la riflessione se non siano presenti nell'uomo bisogni, domande, esigenze almeno (e forse più) fondamentali di quello vertente sulla libertà, la quale dal liberalismo filosofico è intesa solo come libertà di scelta. Non sembra questa una seria restrizione del problema?

In effetti ci troviamo di fronte a una pericolosa unilateralizzazione delle domande fondamentali sull'esistenza umana. Il concetto stesso di libertà viene ridotto indebitamente. In generale il concetto di libertà non solo è ridotto a quello di libertà di scelta, ma è anche concepito da un punto di vista esclusivamente individualistico; per fare un esempio, nel senso in cui una volta era stato formulato dal giovane Marx: La libertà consiste "nel fare oggi questo, domani quello... proprio a seconda di come ne ho voglia".
Ma in tal modo si dimentica che l'umanità ci è data solo nel nostro essere l'uno con l'altro e che la mia libertà può funzionare solo in unione con la libertà degli altri. Siamo collegati l'un l'altro in un sistema di prestazioni reciproche: solo così nutrimento, salute, lavoro e tempo libero possono essere assicurati. La mia libertà è sempre una libertà dipendente, una libertà con gli altri e attraverso gli altri. Senza la sinergia con le altre libertà, la mia libertà annienta se stessa.


Dunque, la libertà in primo luogo deve tener conto del reciproco essere l'uno con l'altro. Non può essere arbitrarietà, ma ha bisogno dell'ordinamento delle libertà e dell'osservanza delle sue regole. Se così è, segue subito la duplice domanda: chi stabilisce queste regole? E qual è il criterio secondo cui vengono istituite? Alla prima domanda oggi rispondiamo rinviando alla democrazia come forma regolatrice delle libertà, e ciò è giusto. Tuttavia rimane la seconda domanda, perché devono pur esserci dei criteri per il giusto ordinamento delle libertà.
Ora, noi diciamo: è la maggioranza che decide. Ma ci possono anche essere maggioranze malate, e il secolo scorso lo ha dimostrato.
Ci può essere una maggioranza che decide che una parte della popolazione deve essere sterminata perché ostacola il godimento della propria libertà. Oppure che un popolo confinante deve essere combattuto perché restringe il proprio spazio vitale. Ci sono norme che nessuna maggioranza può abrogare. Così è davvero necessario porre la domanda: quali sono i beni che nessuno può distruggere senza distruggere l'essere umano e in tal modo anche la libertà? La domanda sull'incondizionatamente buono e sull'incondizionatamente malvagio non può essere elusa, se ci deve essere un ordinamento della libertà che sia degno dell'uomo. La libertà è un bene, ma è tale solo in una rete di rapporti con altri beni, dai quali solo risulta chiaro che cosa sia libertà effettiva e che cosa libertà illusoria.


4) Nonostante la fine catastrofica dell'"ateismo scientifico-dialettico" di origine marxista, permane nella cultura occidentale postmoderna una forte obiezione nei confronti del cristianesimo, che si esprime come agnosticismo e ateismo aggressivi di origine empiristica, scientistica, scettica. Stanno vincendo Hume e Bentham? Come valutare l'atteggiamento che intende prescindere sistematicamente da Dio nel campo civile, procedendo etsi Deus non daretur? Sarebbe questo il canone centrale di ogni autentica morale laicista?

In effetti sembra che attualmente il pensiero continui a svilipparsi in questa direzione. Dopo che il marxismo, di fronte alla svolta del 1989, continua ancora oggi a trovarsi in una pausa di riflessione, le filosofie simili a quella del razionalismo critico di Popper corrispondono maggiormente al senso contemporaneo di ciò che si può considerare razionale. La verità in quanto tale - così si pensa - non può essere conosciuta, ma si può avanzare a poco a poco solo con i piccoli passi della verificazione e della falsificazione. Si rafforza la tendenza a sostituire il concetto di verità con quello di consenso. Ma ciò significa che l'uomo si separa dalla verità e così anche dalla distinzione tra il bene e il male, sottomettendosi completamente al principio della maggioranza. Ho già cercato poc'anzi di indicare dove ciò possa condurre e quale tirannia della falsità possa essere istituita nel dominio esclusivo del principio del consenso.
Il cammino in questa direzione comincia già, naturalmente, nell'idealismo tedesco, quando si parte dal presupposto che l'uomo possa conoscere non la realtà in quanto tale ma solo la struttura della sua coscienza. Nel frattempo filosofie come quelle di Singer, Rorty, Sloterdijk indicano ulteriori radicalizzazioni nella stessa direzione: l'uomo progetta e "monta" il mondo senza criteri prestabiliti e così supera necessariamente anche il concetto di dignità umana, sicché anche i diritti umani diventano problematici. In una siffatta concezione della ragione e della razionalità non rimane spazio alcuno per il concetto di Dio.
E tuttavia la dignità umana alla lunga non può essere difesa senza il concetto di Dio creatore. Essa perde così la sua logica. Naturalmente noi non possiamo e non ci è consentito di costringere alcuno a credere in Dio. Tanto più urgente è allora il compito di far di nuovo valere il concetto di Dio creatore nella sua razionalità e di tenerlo presente nel conflitto della ragione. Riguardo a ciò i pensatori cristiani hanno una grande missione davanti a sé.


5) Osservatori di varia estrazione sostengono che è in atto un abbandono interno alla Chiesa delle "prove" della verità del cristianesimo, della sua pretesa alla verità. Si adduce a conferma che gli esponenti cristiani amino dialogare solo con quei settori della cultura che accolgono solo la funzione sociale della religione, la sua utilità civile, i suoi simboli, mentre si mostrerebbero indifferenti alla verità degli asserti di fede. A suo parere, si può assegnare validità a tale diagnosi, secondo la quale la prassi attuale del cattolicesimo riterrebbe secondaria la verità dei propri contenuti?

Probabilmente è vero che importanti settori del cattolicesimo attualmente nel dialogo con i non credenti accantonino la domanda sulla verità considerandola priva di prospettive e quindi sterile e vogliano focalizzare il dibattito sull'utilità sociale della fede. Per specifiche fasi della discussione questo può essere ammesso oppure può costituire l'unica via percorribile.

Ma se complessivamente si volesse lasciar cadere la pretesa alla verità e in tal modo si intendesse declassare il cristianesimo da "verità" a (utile) abitudine ("tradizione"), questo significherebbe la rinuncia del cristianesimo a se stesso. Il cristianesimo sarebbe certo perfettamente inglobato nel sistema del mondo moderno, però avrebbe perso la sua anima. Dunque Cristo non potrebbe più dire: "Io sono la verità", ma sarebbe retrocesso all'ordine di grandezza di un uomo con una significativa esperienza religiosa oppure a quello di un riformatore della società che purtroppo ha fallito.
Del resto la Chiesa proprio grazie all'altezza della sua pretesa rende un servizio alla società; essa non permette di rimanere ancorati alle filosofie del consenso o alle tecniche sociali; la Chiesa ci esorta sempre di nuovo a porci la domanda sulla verità, solo così la statura dell'uomo può essere preservata.


A partire da ciò mi spiego una buona parte dello scandalo ma anche l'intrinseca necessità della dichiarazione "Dominus Iesus", che appunto non permette di acquietarsi nella compresenza di differenti "tradizioni religiose", ma pensa più in grande dell'uomo: egli è chiamato alla verità, ed è costituito in modo tale che non ci sono solo differenti forme di esperienza religiosa, ma c'è anche l'uomo che è Dio. Questa pretesa non può essere taciuta oppure sminuita per comodità.


6) Dal lato del cristianesimo e del suo rapporto con le altre religioni si presenta la questione della sua verità (parziale? storica? universale?). Quale posizione assumere fra chi sostiene che il cristianesimo è funzionalmente idoneo a soddisfare i bisogni religiosi, in linea di principio storicamente variabili e situati secondo le culture, del solo uomo europeo e chi difende la portata universale del cristianesimo? Come mantenere la pretesa cristiana alla verità, se si assume che l'idea stessa di verità non sia applicabile alla religione, la quale verterebbe solo sulla pietà e i costumi ed escluderebbe la conoscenza?

In parte ho già risposto alla domanda con quanto ho appena detto. Ho fatto poc'anzi allusione a una bella frase di Tertulliano: "Cristo non ha detto di essere l'abitudine, bensì la verità" (Virg. 1,1). Se Cristo non è la verità, allora non c'è più alcun fondamento per la pretesa cristiana all'universalità e per la missione.
Se la fede cristiana è solo una tradizione religiosa, anche se certamente una tradizione significativa, non è più comprensibile il motivo per cui dovrebbe essere impartita agli altri. Al contrario, la verità è per tutti una sola, e se Cristo è la verità, allora riguarda tutti; allora è una colpa occultarla agli altri. Se si definisce il cristianesimo una religione europea si dimentica che non è nato in Europa e che nei primi secoli si è diffuso in modo uniforme sia in Europa sia in Asia; la missione nestoriana aveva raggiunto l'India e la Cina; l'Armenia e la Georgia sono antiche terre cristiane. Anche nella penisola arabica c'era una rilevante presenza di cristiani; presenza che fu notevolmente indebolita dal successo dell'islam, ma che ciò nonostante non si riuscì a far scomparire. Queste comunità cristiane orientali, per le quali già Antiochia e a maggior ragione Costantinopoli e Roma erano considerate "occidente", non hanno mai smesso di esistere.


Oggi l'opposizione più forte al cristianesimo proviene dall'Europa e dalla sua filosofia postcristiana, mentre nei paesi extraeuropei la fede trova un sostegno sempre più forte. A questo si obietta che il cristianesimo, nella manifestazione concreta che ha assunto, ha ricevuto la sua impronta soprattutto dalla filosofia greca e dai suoi sviluppi nel pensiero medievale nonché dal pensiero europeo moderno, per far derivare da ciò il diffuso postulato della deellenizzazione e del puro ritorno alla Bibbia.

In questa prospettiva si dimentica però in primo luogo che la filosofia greca nell'incontro con il messaggio cristiano ha subito un profondo processo di ri-fusione. In opposizione a ciò ci fu una reazione in campo filosofico che si contrappose a questa trasformazione cristiana e alla nuova sintesi delle culture, con l'intento di preservare l'elemento autenticamente greco. Ma qui si dimentica anche che già nell'Antico Testamento ha avuto luogo un incontro tra il pensiero greco e l'antica tradizione biblica: il processo dell'incontro fra le culture è quindi già avviato nella Bibbia stessa. Inoltre si dimentica che, viceversa, la filosofia greca, in particolare con Platone, ha ricevuto forti influssi dalle tradizioni orientali, e dunque essa stessa presuppone una fusione di culture; con Plotino il pensiero greco si rivolge di nuovo alle tradizioni dell'Asia ed entra in contatto con alcuni orientamenti dello spirito indiano. Ma soprattutto si dimentica il senso autentico e profondo dell'incontro della fede biblica con la filosofia greca: si tratta di impedire un autoisolamento e una riduzione della fede biblica in una tradizione religiosa particolare, di esporsi alla pretesa della ragione che accomuna tutti gli uomini e di tener ancorato il cristianesimo alla domanda sulla verità come unica chiave della sua universalità e come obbligazione che gli viene conferita dalla figura di Cristo. Chi voglia liquidare questo confronto con la ragione e con la domanda sulla verità considerandolo una "ellenizzazione" particolarizza il cristianesimo e lo riduce a espressione di una forma particolare e giammai universale di esperienza religiosa. Il Papa nell'enciclica Fides et ratio ha inserito queste connessioni nel dibattito filosofico e teologico contemporaneo: si tratta di superare l'"abitudine" e di rimanere sulla via della verità. È un appello che riguarda tutti.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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25/07/2014 15:25
 
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Intervista di Antonio Socci al cardinale Ratzinger nella trasmissione Excalibur (20 novembre 2003!)


 


IL VIDEO DELL'INTERVISTA AL CARDINALE RATZINGER

LE INTERVISTE AL CARDINALE JOSEPH RATZINGER

Ecco la trascrizione dell'intera intervista:

Oggi è l'Occidente a opporsi al cristianesimo

Antonio Socci

In tempi di islamismo e "scontro di civiltà" le religioni giocano un ruolo cruciale. Dunque l'autorevole voce del cardinale Joseph Ratzinger, da decenni custode dell'ortodossia nella Chiesa per volontà del Papa, è preziosa: non solo per un miliardo e mezzo di cattolici, ma per tutti. Nel bellissimo libro, appena uscito da Cantagalli, Fede, Verità, tolleranza, ha affrontato - con la sua abituale profondità - tutti i temi che oggi infiammano il mondo. Grazie a Davide Cantagalli, l'editore che ha propiziato l'incontro, abbiamo avuto la possibilità di parlarne con lo stesso prelato. Excalibur giovedì ha mandato in onda alcuni flash dell'intervista.
Considerata la sua importanza, qui la riportiamo per intero.

Domanda - Eminenza c'è un'idea che si è affermata nella cultura alta e nel pensiero comune secondo cui le religioni sono tutte vie che portano verso lo stesso Dio, quindi l'una vale l'altra. Cosa ne pensa, dal punto di vista teologico? 

Cardinale Ratzinger - Direi che anche sul piano empirico, storico, non è vera questa concezione molto comoda per il pensiero di oggi. È un riflesso del relativismo diffuso, ma la realtà non è questa perché le religioni non stanno in un modo statico una
accanto all'altra, ma si trovano in un dinamismo storico nel quale diventano anche sfide l'una per l'altra. Alla fine la Verità è una, Dio è uno, perciò tutte queste espressioni, così diverse, nate in vari momenti storici, non sono equivalenti, ma sono un cammino nel quale si pone la domanda: dove andare?
 Non si può dire che sono vie equivalenti perché sono in un dialogo interiore e naturalmente mi sembra evidente che non possono essere mezzi della salvezza cose contraddittorie: la verità e la menzogna non possono essere allo stesso modo vie della salvezza. Perciò questa idea semplicemente non risponde alla realtà delle religioni e non risponde alla necessità dell'uomo di trovare una risposta coerente alle sue grandi domande.


In diverse religioni si riconosce la straordinarietà della figura di Gesù. Sembra non sia necessario essere cristiani per venerarlo. Dunque non c'è bisogno della Chiesa?

Già nel Vangelo troviamo due posizioni possibili in riferimento a Cristo. Il Signore stesso distingue: che cosa dice la gente e che cosa dite voi. Chiede cosa dicono quelli che Lo conoscono di seconda mano, o in modo storico, letterario, e poi cosa dicono quelli che Lo conoscono da vicino e sono entrati realmente in un incontro vero, hanno esperienza della Sua vera identità. Questa distinzione rimane presente in tutta la storia: c'è una impressione da fuori che ha elementi di verità. Nel Vangelo si vede che alcuni dicono: "è un profeta". Così come oggi si dice che Gesù è una grossa personalità religiosa o che va annoverato fra gli avataras (le molteplici manifestazioni del divino). Ma quelli che sono entrati in comunione con Gesù riconoscono che è un'altra realtà, è Dio presente in un uomo.

Non è confrontabile con le altre grandi personalità delle religioni? 

Sono molto diverse l'una dall'altra. Buddha in sostanza dice: "dimenticatemi, andate solo sulla strada che ho mostrato". Maometto afferma: "Il signore Dio mi ha dato queste parole che verbalmente vi trasmetto nel Corano". E così via. Ma Gesù non rientra in questa categoria di personalità già visibilmente e storicamente diverse. Ancora meno è uno degli avataras, nel senso dei miti della religione induista. 

Perché? 

È una realtà del tutto diversa. Appartiene ad una storia, che comincia da Abramo, nella quale Dio mostra il suo volto, Dio si rivela come una persona che sa parlare e rispondere, entra nella storia. E questo volto di Dio, di un Dio che è persona e agisce nella storia, trova il suo compimento in quell'istante nel quale Dio stesso, facendosi uomo Lui stesso, entra nel tempo. Quindi, anche storicamente, non si può assimilare Gesù Cristo alle varie personalità religiose o alle visioni mitologiche orientali.

Per la mentalità comune questa "pretesa" della Chiesa - che proclama "Cristo, unica salvezza" - è arroganza dottrinale. 

Posso capire i motivi di questa moderna visione la quale si oppone all'unicità di Cristo e comprendo anche una certa modestia di alcuni cattolici per i quali "noi non possiamo dire che abbiamo una cosa migliore che gli altri". Inoltre c'è anche la ferita del colonialismo, periodo durante il quale alcuni poteri europei hanno strumentalizzato il cristianesimo in funzione del loro potere mondiale. Queste ferite sono rimaste nella coscienza cristiana, ma non devono impedirci di vedere l'essenziale.
Perché l'abuso del passato non deve impedire la comprensione retta. Il colonialismo - e il cristianesimo come strumento del potere - è un abuso. Ma il fatto che se ne sia abusato non deve rendere i nostri occhi chiusi di fronte alla realtà dell'unicità di Cristo. Soprattutto dobbiamo riconoscere che il Cristianesimo non è un'invenzione nostra europea, non è un prodotto nostro. E' sempre una sfida che viene da fuori dell'Europa: all'origine venne dall'Asia, come sappiamo bene. E si trovò subito in contrasto con la sensibilità dominante. Anche se poi l'Europa è stata cristianizzata è rimasta sempre questa lotta tra le proprie pretese particolari, fra le tendenze europee, e la novità sempre nuova della Parola di Dio che si oppone a questi esclusivismi e apre alla vera universalità. In questo senso, mi sembra dobbiamo riscoprire che il cristianesimo non è una proprietà europea.

Il cristianesimo contrasta anche oggi la tendenza alla chiusura che c'è in Europa? 

Il cristianesimo è sempre qualcosa che viene realmente da fuori, da un avvenimento divino che ci trasforma e contesta anche le nostre pretese e i nostri valori. Il Signore cambia sempre le nostre pretese e apre i nostri cuori per la Sua universalità. Mi sembra molto significativo che al momento l'Occidente europeo sia la parte del mondo più opposta al cristianesimo, proprio perché lo spirito europeo si è autonomizzato e non vuole accettare che ci sia una Parola divina che gli mostra una strada che non è sempre comoda.

Riecheggiando Dostoevskij mi chiedo se un uomo moderno può credere, credere veramente che Gesù di Nazaret è Dio fatto uomo. E' percepito come assurdo. 

Certo, per un uomo moderno è una cosa quasi impensabile, un po' assurda e facilmente si attribuisce ad un pensiero mitologico di un tempo passato che non è più accettabile. La distanza storica rende tanto più difficile pensare che un individuo vissuto in un tempo lontano possa essere adesso presente, per me, e sia la risposta alle mie domande.

Mi sembra importante allora osservare che Cristo non è un individuo del passato lontano da me, ma ha creato una strada di luce che pervade la storia cominciando con i primi martiri, con questi testimoni che trasformano il pensiero umano, vedono la dignità umana dello schiavo, si occupano dei poveri, dei sofferenti e portano così una novità nel mondo anche con la propria sofferenza. Con quei grandi dottori che trasformano la saggezza dei greci, dei latini, in una nuova visione del mondo ispirata proprio da Cristo, che trova in Cristo la luce per interpretare il mondo, con figure come San Francesco d'Assisi, che ha creato il nuovo umanesimo. O figure anche del nostro tempo: pensiamo a Madre Teresa, Massimiliano Kolbe.. .

È un'ininterrotta strada di luce che si fa cammino della storia e una ininterrotta presenza di Cristo e mi sembra che questo fatto - che Cristo non è rimasto nel passato ma è stato sempre contemporaneo con tutte le generazioni ed ha creato una nuova storia, una nuova luce nella storia, nella quale è presente e sempre contemporaneo, fa capire che non si tratta di un qualunque grande della storia, ma di una realtà davvero Altra, che porta sempre luce. Così, associandosi a questa storia, uno entra in un
contesto di luce, non si mette in rapporto con una persona lontana, ma con una realtà presente.

Perché, secondo lei, un uomo del 2003 ha bisogno di Cristo? 

E' facile accorgersi che le cose rese disponibili solo da un mondo materiale o anche intellettuale, non rispondono al bisogno più profondo, più radicale che esiste in ogni uomo: perché l'uomo ha il desiderio - come dicono già i Padri - dell'infinito. Mi sembra che proprio il nostro tempo con le sue contraddizioni, le sue disperazioni, il suo massiccio rifugiarsi in scorciatoie come la droga, manifesti visibilmente questa sete dell'infinito e solo un amore infinito che tuttavia entra nella finitudine, e diventa
addirittura un uomo come me, è la risposta.
E' certo un paradosso che Dio, l'immenso, sia entrato nel mondo finito come una persona umana. Ma è proprio la risposta della quale abbiamo bisogno: una risposta infinita che tuttavia si rende accettabile e accessibile, per me, "finendosi" in una persona umana che tuttavia è l'infinito. È la risposta della quale si ha bisogno: si dovrebbe quasi inventare se non esistesse.

C'è una novità nel suo libro a proposito del tema del relativismo. Lei sostiene che nella pratica politica, il relativismo è il benvenuto perché ci vaccina, diciamo, dalla tentazione utopica. E' il giudizio che la Chiesa ha sempre dato sulla politica?

Direi proprio di sì. E' questa una delle novità essenziali del cristianesimo per la storia. Perché fino a Cristo l'identificazione di religione e stato, divinità e stato, era quasi necessaria per dare stabilità allo stato. Poi l'islam ritorna a questa identificazione tra mondo politico e religioso, col pensiero che solo con il potere politico si può anche moralizzare l'umanità.
In realtà, da Cristo stesso troviamo subito la posizione contraria: Dio non è di questo mondo, non ha legioni, così dice Cristo, Stalin dice non ha divisioni. Non ha un potere mondano, attira l'umanità a sé non con un potere esterno, politico, militare ma solo col potere della verità che convince, dell'amore che attrae. Egli dice: "attirerò tutti a me". Ma lo dice proprio dalla croce. E così crea questa distinzione tra imperatore e Dio, tra il mondo dell'imperatore al quale conviene lealtà, ma una lealtà critica, e il mondo di Dio, che è assoluto. Mentre non è assoluto lo stato.

Quindi non c'è potere o politica o ideologia che possa rivendicare per sé l'assoluto, la definitività, la perfezione..

Questo è molto importante. Perciò sono stato contrario alla teologia della liberazione, che di nuovo ha trasformato il Vangelo in ricetta politica con l'assolutizzazione di una posizione, per cui solo questa sarebbe la ricetta per liberare e dare progresso.In realtà, il mondo politico è il mondo della nostra ragione pratica dove, con i mezzi della nostra ragione, dobbiamo trovare le strade. Bisogna lasciare proprio alla ragione umana di trovare i mezzi più adatti e non assolutizzare lo stato. I padri hanno pregato per lo stato riconoscendone la necessità, il suo valore, ma non hanno adorato lo stato: mi sembra proprio questa la distinzione decisiva.

Ma questo è uno straordinario punto d'incontro tra pensiero cristiano e cultura liberal-democratica. 

Io penso che la visione liberal-democratica non potesse nascere senza questo avvenimento cristiano che ha diviso i due mondi, così creando pure una nuova libertà. Lo stato è importante, si deve ubbidire alle leggi, ma non è l'ultimo potere. La distinzione tra lo stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui una persona può anche opporsi allo stato. I martiri sono una testimonianza per questa limitazione del potere assoluto dello stato. Così è nata una storia di libertà. Anche se poi il pensiero liberal democratico ha preso le sue strade, l'origine è proprio questa.

I sistemi comunisti europei sono crollati. Ma lei, nel suo libro, non esclude che il pensiero marxista possa comunque ripresentarsi in altre forme nei prossimi tempi. 

E' una mia ipotesi, ma mi sembra cominci già a verificarsi perché il puro relativismo che non conosce valori etici fondanti e quindi non conosce realmente neanche un perché della vita umana, anche della vita politica, non è sufficiente. Perciò per un non credente che non riconosce la trascendenza, resta questo grande desiderio di trovare qualcosa di assoluto ed un senso morale del suo agire. 

I sommovimenti noglobal di questi anni sono di nuovo una trasposizione della sete d'assoluto in un obiettivo politico ? 

Direi di sì. È sempre questa sete, perché l'uomo ha bisogno dell'assoluto e se non lo trova in Dio lo crea nella storia.

Sempre a proposito del tema del relativismo. Tutti gli usi e i costumi e le civiltà debbono comunque essere sempre rispettate a priori oppure c'è un canone minimo di diritti e doveri che deve valere per tutti. 

Ecco, questo è l' altro aspetto della medaglia. Prima abbiamo constatato che la politica è il mondo dell'opinabile, del perfettibile, dove si devono cercare con le forze della ragione le strade migliori, senza assolutizzare un partito o una ricetta. Tuttavia è anche un campo etico, la politica, perciò non può alla fine comportare un relativismo totale dove, per esempio, uccidere e creare pace hanno la stessa legittimità. Abbiamo in diversi documenti della nostra Congregazione sottolineato questo fatto, pur riconoscendo totalmente l'autonomia politica.

Dunque non tutto è permesso. 

Abbiamo sempre detto che neanche la maggioranza è l'ultima istanza, la legittimazione assoluta di tutto, in quanto la dittatura della maggioranza sarebbe ugualmente pericolosa come le altre dittature. Perché potrebbe un giorno decidere, per esempio, che vi sia una "razza" da escludere per il progresso della storia, aberrazione purtroppo già vista. Quindi, ci sono limiti anche al relativismo politico. Il limite è delineato da alcuni valori etici fondamentali che sono proprio la condizione di questo pluralismo. E sono quindi obbligatori anche per le maggioranze.

Qualche esempio ? 

Sostanzialmente il Decalogo offre in sintesi queste grandi costanti.

Torno a un altro aspetto del "relativismo culturale". Anche fra i cattolici c'è chi considera la missione quasi una violenza psicologica nei confronti di popoli che hanno un'altra civiltà. 

Se uno pensa che il cristianesimo sia solo il suo proprio mondo tradizionale evidentemente sente così la missione. Ma si vede che non ha capito la grandezza di questa perla, come dice il Signore, che gli si dona nella fede. Naturalmente, se fossero solo tradizioni nostre, non si potrebbero portare ad altri. Se invece abbiamo scoperto, come dice San Giovanni, l'Amore, se abbiamo scoperto il volto di Dio, abbiamo il dovere di raccontare agli altri. Non posso mantenere solo per me una cosa grande, un amore grande, devo comunicare la Verità. Naturalmente nel pieno rispetto della loro libertà, perché la verità non s'impone con altri mezzi che con la propria evidenza e solo offrendo questa scoperta agli altri - mostrando cosa abbiamo trovato, che dono abbiamo in mano, che è destinato a tutti - possiamo annunciare bene il cristianesimo, sapendo che suppone l'altissimo rispetto della libertà dell'altro, perché una conversione che non fosse basata sulla convinzione interiore - "ho trovato quanto desideravo"- non sarebbe una vera conversione.

Di recente è venuto alla luce sulla stampa un fenomeno doloroso: la conversione di tanti immigrati che provengono dall'islam, e che - oltre a trovarsi in pericolo - si ritrovano soli, non accompagnati dalla comunità cristiana. 

Sì, ho letto e mi addolora molto. E' sempre lo stesso sintomo, il dramma della nostra coscienza cristiana che è ferita, che è insicura di sè. Naturalmente dobbiamo rispettare gli stati islamici, la loro religione, ma tuttavia anche chiedere la libertà di coscienza di quanti vogliono farsi cristiani e con coraggio dobbiamo anche assistere queste persone, proprio se siamo convinti che hanno trovato qualcosa che è la risposta vera. Non dobbiamo lasciarli soli. Si deve fare tutto il possibile perché
possano in libertà e con pace vivere quanto hanno trovato nella religione cristiana.

 Il Giornale, 26 novembre 2003




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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