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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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IO CREDO IN DIO.... bellissima catechesi sul Credo

Ultimo Aggiornamento: 21/11/2014 14:28
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03/07/2014 09:13
 
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  “…di tutte le cose visibili e invisibili…”

 

Abbiamo osservato che ogni articolo del Credo affonda le radici nella Sacra Scrittura. In questo caso la radice biblica è, molto probabilmente, un passaggio della lettera di Paolo ai Colossesi: “…per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili...” (Col 1,16). Sappiamo bene quali sono le realtà visibili, ma cosa intende la Bibbia per quelle invisibili? Non intende solo tutte le realtà fisiche non percepibili alla vista, ma anche tutte le realtà spirituali. Con questa professione di fede si accetta e si crede l’esistenza dell’anima, sulla quale si fonda tutta la speranza cristiana; ma si accettano e si credono anche tutti gli esseri spirituali ed incorporei, come gli angeli. Il Concilio Lateranense IV afferma che Dio “fin dal principio del tempo, creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature, quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo terrestre; e poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo” (Denz.-Schönm, 800).

Purtroppo oggi molta teologia modernista, nella foga di razionalizzare tutta la rivelazione, tende a negare o eludere l’esistenza degli angeli. Tuttavia nella Scrittura si legge spesso che gli angeli guidano il popolo di Dio, annunziano nascite e vocazioni, assistono i profeti, e sono presenti in tutti i momenti chiave della storia della salvezza. Anche la vita di Gesù è frequentemente assistita dalla presenza degli angeli, come nell’Annunciazione e nel Natale, nel deserto e nel Getsemani, presso il sepolcro vuoto o sul monte dell’Ascensione. Ecco perché il Catechismo della Chiesa Cattolica stronca decisamente ogni tentativo di esclusione degli angeli dalla nostra fede: “L’esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede. La testimonianza della Scrittura è tanto chiara quanto l’unanimità della Tradizione” (CCC 328).

“Angelo” significa “inviato”, “messaggero”; sant’Agostino amava spiegare che “la parola angelo designa l’incarico, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo” (Interpretazione dei Salmi, 103,1,15).

Spesso siamo soggetti alla tentazione di considerare astratte tutte le realtà non visibili, mentre queste sono in realtà più concrete di quelle fisiche, soggette a mutazioni e decadimento. Le “cose invisibili” formano anzi la matrice di quelle visibili, prendendo parte sia alla loro creazione sia alla loro sussistenza, tanto che San Paolo ebbe a scrivere: “Per fede sappiamo che i mondi furono formati dalla Parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine ciò che si vede” (Eb 11,3). In particolare gli angeli possiedono un grado di perfezione notevole, sono immortali, ed hanno il dono di vedere Dio faccia a faccia per tutta la loro esistenza. Pur agendo sempre in linea con i disegni del Signore, sono muniti di volontà, libertà e personalità (cfr CCC 330). La loro intelligenza è una mirabile sintesi di luce e di amore, di iniziativa ed obbedienza, di conoscenza celeste ed umile servizio. Essi si prendono cura degli uomini, delle comunità cristiane, delle nazioni. “Dall’infanzia fino all’ora della morte la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione” (CCC 336). San Basilio di Cesarea scriveva che “ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita” (Adversus Eunomium 3,1).

La Bibbia riconosce inoltre diversi ordini di spiriti celesti, tra cui gli Angeli, gli Arcangeli, i Principati, le Potestà, le Virtù, le Dominazioni, i Troni, i Cherubini, ed i Serafini.

Paolo, Dionigi, Ambrogio e perfino Dante, tentarono una catalogazione degli angeli, ma la loro realtà rimane misteriosa alla nostra conoscenza. Sappiamo però che queste presenze invisibili partecipano alla storia della salvezza sia personale sia collettiva, tanto che la Chiesa, nella sua Liturgia, si unisce sempre agli angeli ed alla loro preghiera, invocandone con fiducia l’assistenza.

 

 

“…Credo in un solo Signore, Gesù Cristo…”

 

Finalmente una buona notizia: Dio, quel Dio che tutte le religioni cercano, che da sempre la filosofia insegue, che il cuore invano rincorre senza afferrare, si è fatto uomo!

Dio, quello stesso Dio che ha fatto l’Universo, quello a cui la mente umana anela senza interruzione, colui che solo può porre fine alla nostra ricerca, ci è venuto a trovare!

Quel Dio che conosce le nostre aridità e le disseta, conosce le nostre lacrime e le asciuga, conosce il nostro bisogno d’amore e lo colma, è finalmente venuto fra noi!

Dio! Non una creatura, non un ideale, non un sogno, ma Dio in persona!

Se la nostra mente non dormisse, appiattita dalle categorie del mondo, assonnata dalle consuetudini, balzeremmo di colpo in piedi solo all’udire questa notizia che il Credo ci annuncia.

Balzerebbe anzi in piedi tutta quanta la vita, lasceremmo cadere dalle mani tutti i nostri beni, correremmo per le strade sconvolti dalla gioia. Dio è venuto! Dio è qui! Dio è con noi! E’ davvero qua, visibile agli occhi, in carne ed ossa, si è perfino reso comprensibile ai nostri sensi, ha un volto come il nostro, ci parla e riusciamo a comprenderlo. Nell’udirlo avvertiamo immediatamente che è Verità, nell’avvicinarlo scopriamo all’istante che è amore. Ci fa ardere il cuore nel petto (e sappiamo quanto ci sia duro farlo ardere, noi che intimamente abbiamo sempre temuto che si raggelasse). Ci accende di luce la mente (e sappiamo quante tenebre la circondavano, quanta buia solitudine avvinghiava i pensieri).

Come potremmo dire stavolta che ci sbagliamo? Abbiamo dubitato delle scritture e dei profeti, abbiamo trovato mille scuse per scansare la coscienza, ma come dubitare di Lui mentre ci trapassa con uno sguardo infilzando l’anima e il cuore? Passato, presente e futuro della mia vita si riducono ad un puntino dinanzi a questi occhi. Casa, lavoro, distrazioni, si riducono ad un nulla dinanzi a questa statura.

Diciamo la verità: da sempre abbiamo scrutato nell’altro che ci passava accanto, da sempre abbiamo gettato uno sguardo nel cuore del prossimo per vedere se aveva quelle cose che ci nutrivano.

Anche quando non lo davamo a vedere, da sempre abbiamo atteso un incontro che fosse l’Incontro. Qualcosa che desse senso alla nostra vita e la riempisse.

Abbiamo sempre avuto bisogno e lo abbiamo nascosto. Ci siamo infinite volte illusi, e poi duramente risvegliati. Quindi non è facile ingannarci, non è facile che un altro uomo si ponga per noi come senso totale della nostra esistenza.

Se Costui riesce a porsi in quel modo, qualcosa c’è. Se Costui tocca tutte le corde del nostro cuore, anche quelle più intime del nostro intimo, un mistero c’è.

Sappiamo bene che per vizio di natura preferiremmo un oblio senza responsabilità, che desidereremmo una vita quieta piuttosto che essere sentinelle del mondo sotto i dardi di tutti.

Se Qualcuno riesce a coinvolgerci così, ad esporci così, è perché qualcosa veramente avvertiamo, qualcosa che percepiamo come tutto, qualcosa che dà significato all’intera esistenza.

Del resto c’è una prova indiscutibile: allontanarsene è morire. La più grande prova di Dio è l’esperienza del non-Dio, è l’esperienza del tradimento. Diciamo, ancora, la verità: mille volte ci siamo allontanati, mille volte abbiamo tradito per inezie grandi come lenticchie, preferendo il gelo del cuore e dei pensieri, la tenaglia delle seduzioni che ci disumanizzava fino all’estremo non senso. Vi è una sola alternativa a tutto questo male di vivere, e per tutto il mondo non ve ne sono altre, perché già le abbiamo cercate e lo sappiamo. Vi è una sola scelta possibile: dire “Credo in un solo Signore, Gesù Cristo”.

 

“…Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli…”

 

Dio è amore. Ma l’amore richiede un “tu” a cui donarsi, perché l’amore è relazione con un “tu”.

Allora Dio, Dio Padre, genera un “tu”, e questo “tu” è il Figlio. Ma non lo genera nel tempo, perché Dio è al di fuori del tempo. Non vi è un “periodo” nel quale Dio Padre era senza il Figlio. Il Padre genera il Figlio nell’eternità. Da sempre il Figlio è generato dal Padre. E il Padre lo ama. Padre perché questo “tu” lo ha generato lui. Amandolo gli dona se stesso. In che misura si dona al Figlio? In misura totale, perché Dio è amore perfetto, e dunque si dona totalmente al Figlio. Gli dona tutto il suo essere. Per cui “il Figlio è tutto ciò che è il Padre” (cfr CCC 253). Ma se il Figlio è tutto ciò che è il Padre, anch’egli ama come il Padre, ed ama il Padre, suo “tu”, in modo totale. Quindi anch’egli dona tutto se stesso al Padre. Il Figlio è l’Unigenito del Padre, ha in comune col Padre l’Essere, ma non la Persona, l’io divino. Ha in comune col Padre tutto il contenuto di quest’io, cioè l’essere, perché se lo sono reciprocamente donato, e quindi Lui ed il Padre sono “una cosa sola” (Gv 10,30), ma è persona divina distinta dal Padre, il Figlio non è il Padre, ed il Padre non è il Figlio (cfr CCC 254). Sono distinti tra loro per le loro relazioni d’origine: “E’ il Padre che genera, il Figlio che è generato” (Conc. Lat. IV, Denz 804).

Come l’umanità è venuta a conoscere questo mistero? Tramite la Rivelazione. E’ Dio che l’ha rivelato. Il Vangelo è il deposito di questa rivelazione. La prima volta che nel Vangelo Gesù è annunciato come Figlio di Dio è ancor prima del suo concepimento: è durante l’Annunciazione; è l’arcangelo Gabriele che annunzia la lieta notizia che Gesù sarà “chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35).

In occasione del battesimo di Gesù, il Padre confermerà pubblicamente a tutti quanto annunciato nel segreto del cuore di Maria: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Lc 3,22). E questa verità, già anticamente ispirata ad Isaia (Is 42,1ss) la rivelerà in modo particolare a Pietro, sospingendolo a dire: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Quello stesso Pietro che sul monte Tabor fu folgorato dalla trasfigurazione del Cristo, ed avvolto dalla nuvola di luce sentì ancora dal Padre quello che aveva professato, e che già al Giordano era stato udito: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (Mt 17,5).

Gesù nei suoi insegnamenti aveva spesso accennato alla sua particolare filiazione divina (Mt 11,27; 21,37, …), ma è all’inizio della passione che affronta direttamente, una volta per tutte, la questione: “Tu dunque sei il Figlio di Dio? Ed egli rispose loro: lo dite voi stessi, io lo sono” (Lc 22,70). E’ un’affermazione inequivocabile, che chiude definitivamente la bocca a tutti quanti ritengono che Gesù non sia o non possa essere chiamato Figlio di Dio. Se gli anziani d’Israele, ben esperti nella legge, avessero inteso l’espressione “figlio di Dio” con la comune figliolanza di cui tutte le creature godono nei riguardi del loro Creatore, non avrebbero nemmeno posto quella domanda. E’ evidente che in essa s’intende IL Figlio, l’Unigenito che nel rivolgersi al Padre non ha mai usato l’espressione “padre nostro”, pur avendola insegnata; bensì “padre mio”, e questa distinzione l’ha sottolineata anche da risorto: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro” (Gv 20,17). Il Simbolo del Credo non poteva che ereditare queste verità, perché, come dice Giovanni, occorre credere “nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio” per salvarsi (Gv 3,18). Dio ci voleva salvi: “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito” (Gv 3,16). E grazie al nostro antico Credo possiamo come gli apostoli proclamare: “Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).

 

“…Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero…”

 

Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero: davanti a questo articolo di fede il Simbolo del nostro antico Credo improvvisamente s’impenna come dinanzi ai vertici di un Mistero. Come è possibile che Dio generi Dio? E come è possibile, all’interno di questo, parlare ancora di un solo Dio? Abbiamo qui la conferma di trovarci dinanzi alla pura Rivelazione, perché la nostra mente umana non solo non è in grado d’intendere questa verità, ma nemmeno di formularla in un credo se questa non fosse stata rivelata. Molti teologi hanno provato ad affacciarsi a questo mistero, per provare a renderlo almeno un po’ più comprensibile alle nostre capacità, ma il limitato segmento del nostro pensiero, quando giunge a queste parole del Simbolo, si trova dinanzi a un’iperbole tendente all’infinito che ci chiede di abbandonare tutte le nostre stampelle, tutti i nostri normali parametri conoscitivi, tutte le nostre certezze naturali.

E i 318 antichi Padri del Concilio di Nicea sono davvero impietosi davanti alle nostre obiezioni: non smussano, non ridimensionano, non attutiscono. Anzi, lo sottolineano tante volte quante le Persone della Trinità: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. Eppure parlavano, da un lato, ai discendenti degli ebrei, rigidamente monoteisti, dall’altro ai discendenti dei greci, rigorosamente logici. Nicea, situata in Bitinia (attuale Turchia), era collocata esattamente a metà fra queste due diverse culture, ed il grande Concilio, facendo da ponte fra i due continenti, sfidò la filosofia dei Greci a confrontarsi col monoteismo ebraico attraverso il mistero di Cristo. Il documento che venne stilato nel 325, e che assemblò le precedenti formulazioni in un’unica matrice destinata a divenire il basamento imperituro della fede cattolica, non esitò a propugnare con ben 7 articoli la verità della generazione divina del Cristo; ed il successivo Concilio di Costantinopoli (anno 381) li riprese nelle ben note espressioni che ormai conosciamo:

1) Unigenito Figlio di Dio;

2) Nato dal Padre prima di tutti i secoli;

3) Dio da Dio;

4) Luce da Luce;

5) Dio vero da Dio vero;

6) Generato, non creato;

7) Della stessa sostanza del Padre.

Sette proposizioni per dire la stessa cosa, quasi a voler fugare ogni dubbio, ogni timore di aver capito male, quasi a voler imprimere nella ragione il più grande mistero rivelato: Gesù Cristo è il Figlio di Dio, è anch’Egli Dio, e nonostante ciò vi è un solo Dio. Non importa che non possiamo capirlo: così ci è stato rivelato.

Gli ariani provarono in qualche modo a rendere più ragionevole il mistero, a “umanizzare” maggiormente il Cristo, ed è grazie al loro errore che i Padri della Chiesa ci lasciarono delle definizioni così inequivocabili.

Anche noi oggi, figli dell’illuminismo e del razionalismo, ci sottraiamo spesso al mistero della divinità di Cristo, preferendo talvolta adorare ancora la dea ragione. E’ però un errore ritenere che la ragione umana possa essere comprensiva di tutta la realtà. Ciò non accade nemmeno per certe verità scientifiche. La fisica quantistica, per esempio, c’insegna che una particella di luce può essere al tempo stesso in due posti diversi, pur restando una sola particella, come dimostrato dal famoso esperimento delle due fenditure attraversate contemporaneamente da un solo fotone. Il mondo della materia, specchio del suo Creatore, sembra racchiudere anch’esso l’assioma “luce da luce”, quasi come un segno di cose più alte, un invito a ricordare che la nostra mente è poco più che una vertigine. Ma chi si sente amato dal Mistero, non lo teme.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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