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IO CREDO IN DIO.... bellissima catechesi sul Credo

Ultimo Aggiornamento: 21/11/2014 14:28
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03/07/2014 09:16
 
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  “…generato, non creato, della stessa sostanza del Padre…”


 


Il primo Concilio di Nicea del 325 conosceva bene quegli errori che gli eretici del tempo avevano messo in circolazione riguardo alla natura di Cristo, e li elencò al termine del Simbolo. Ecco gli errori indicati:


- “Vi fu un tempo in cui Egli non esisteva”


- “Prima che nascesse non era”


- “E’ stato creato dal nulla”


- “Il Figlio di Dio è di un’altra sostanza o di un’altra essenza rispetto al Padre”


- “Il Figlio di Dio è sottomesso al cambiamento o all’alterazione”


Mentre il Credo proclamava in cosa credere, con queste righe finali veniva chiarito in cosa non credere.


La necessità di fare chiarezza veniva dal fatto che in quegli anni l’eresia ariana stava mettendo in dubbio la natura divina del Figlio. E’ un’eresia che nei secoli non si è mai spenta. Anzi, ricorre ancora oggi: basta pensare all’interpretazione di Cristo nell’Islam, ai Testimoni di Geova, ed a tante forme di esoterismo più o meno cristiano che negano appunto la natura divina di Gesù. Cristo viene visto come un santo profeta, magari anche come inviato da Dio, ma non Dio egli stesso.


Come facciamo, oggi, a sapere che la verità indicata dalla Chiesa (e tra l’altro anche dai protestanti) è quella giusta? Perché è quanto risulta dalla Sacra Scrittura. Gesù ha affermato chiaramente, anche dinanzi la replica scandalizzata dei giudei, “prima che Abramo nascesse Io sono” (Gv 8,58) e che quindi “esisteva prima di nascere”. Ha anche detto senza possibilità di malintesi: “Sono di lassù…non sono di questo mondo” (Gv 8,23). Inoltre non ha nascosto la sua origine divina: “Sono uscito da Dio” (Gv 16,27), e quindi noi diciamo “generato dal Padre”. La preghiera di Gesù prima della sua passione non lascia dubbi: “Ed ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Gv 17,5). Davanti a tutte affermazioni, come potevano i padri conciliari accettare la tesi che Gesù fosse solamente uomo?
Ed è anche legittimo chiamarlo “Figlio di Dio”, sebbene la nostra mente tenda a sottrarsi ad una definizione così forte; perché tutto quanto il Vangelo ci spinge verso questa verità: durante l’Annunciazione, le parole dell’angelo chiamano Gesù “figlio dell’Altissimo”, “Figlio di Dio” (Lc 1,32.35); anche le parole di Pietro dichiarano questa rivelazione che fa da base al nostro Credo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Perfino durante il processo di Caifa, quando il termine “Figlio di Dio” costituiva il più pesante capo d’accusa e sarebbe bastato disconoscerlo per salvarsi, Gesù non rinnega la sua figliolanza divina (Mt 26, 62-66). E finanche il centurione romano, nella sua scarsa dimestichezza in questioni religiose, davanti alla croce fece scaturire la sua professione di fede nel “Figlio di Dio” (Mc 15,39).
Gli evangelisti e gli apostoli non temettero di annunziare Gesù come “Figlio di Dio” (Mc 1,1 – At 9,20), anche se ciò era a quel tempo reato passibile di morte. Ma si trattava di una verità che non poteva essere taciuta, così forte che perfino “i morti udranno la voce del Figlio di Dio” (Gv 5,25); e “quelli che l’hanno ascoltata vivranno”. Quando si cerca la verità, l’ultima parola spetta a Cristo, che è Verità. “Ho detto: sono Figlio di Dio” (Gv 10,36). E il nostro Credo non può che fare da specchio alle verità di Cristo. Egli è il Figlio, generato al di fuori del tempo. Eterno e pienamente Dio; come dice Giovanni “il vero Dio” (1Gv 5,20). Della stessa sostanza del Padre. E la sostanza di Dio è l’Amore.

“Chi va oltre e non rimane nella dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi invece rimane nella dottrina, possiede il Padre e il Figlio” (2Giov 9).

 

 

“…per mezzo di Lui tutte le cose sono state create…”

 

Abbiamo osservato che il nostro antico Credo attinge le sue verità dalla Sacra Scrittura. Ora, proprio all’inizio del Vangelo di Giovanni, è affrontato in modo stupendo il mistero del Verbo, e si legge: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto” (Gv 1,3). Anzi, l’apostolo sente la necessità, in questo stesso prologo, di ripetere tale verità una seconda volta: “…e il mondo fu fatto per mezzo di Lui…” (Gv 1,10). Anche San Paolo, nella sua lettera ai Colossesi, la conclama curiosamente due volte: “Per mezzo di Lui sono state create tutte le cose…Tutte le cose sono state create per mezzo di lui” (Col 1,16).
Due volte nello stesso versetto: sembra che emerga in entrambi gli apostoli la necessità di rimarcare vividamente che Cristo non è creatura, che precede tutta quanta la creazione, che possiede natura divina. E’ un punto chiave della professione di Fede, e viene ripetuto due volte come per dire agli ascoltatori: guardate che è così, non mi sono espresso male, è una verità nuova, difficile da comprendere, ma è questo che c’è stato rivelato.
Del resto conosciamo bene le resistenze psicologiche dei giudei ad accettare tale dato, che per la loro cultura meritava la lapidazione (Gv 8,57-59). Ma Paolo, che da Fariseo perseguitava i cristiani proprio su questo argomento, da cristiano convertito non nascondeva la verità sull’età spirituale di Gesù: “Egli è prima di tutte le cose, e tutte sussistono in lui” (Col 1,17). In fondo potremmo considerare questo gruppo di versetti della lettera ai Colossesi (da 1,15 a 1,20) come una sorta di Credo paolino che fa da matrice al Simbolo del Credo di Nicea.

Qui è racchiuso il testo della primitiva professione di fede. Il Catechismo della Chiesa Cattolica può perciò con serenità affermare: “Il Nuovo Testamento rivela che Dio ha creato tutto per mezzo del Verbo eterno, il Figlio suo diletto” (CCC 291). Notare l’aggettivo eterno. Del resto si tratta di una logica conseguenza: se tutto è stato fatto attraverso il Figlio, anche il tempo è stato fatto attraverso di lui. Quindi il Verbo è nell’eternità. Il tempo non è altro che dimensione appartenente alla materia, come del resto confermato dalla fisica moderna: prima della materia il tempo non è! Pertanto se tutta quanta la creazione, incluso il tempo, è stata fatta attraverso il Verbo, questi è eterno. Ed è eterno in quanto Dio. Per diversi decenni il materialismo ha sostituito Dio con la materia, conferendo ad essa caratteristiche divine quali l’eternità. Esso sosteneva, infatti, che la materia esistesse da sempre, che l’universo ci fosse sempre stato. La menzogna però non durò molto perché la scienza scoprì presto la non-eternità della materia, asserendo già nella prima metà del ventesimo secolo che anche l’universo ha avuto un suo preciso inizio nel tempo, e che perfino lo stesso scorrere del tempo ha avuto un principio.

Ma ciò che più c’interessa a livello teologico è la stretta connessione tra l’opera della creazione e quella redenzione, cui quest’articolo del Credo sembra rimandare. Nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica è presentata questa domanda: “Che relazione c’è fra l’opera della creazione e quella della redenzione?”. Ed il Compendio risponde: “L’opera della creazione culmina nell’opera ancora più grande della redenzione. Infatti questa dà inizio alla nuova creazione, nella quale tutto ritroverà il suo pieno senso e il suo compimento” (CCCC 65). I sette giorni della creazione, avvenuta tramite il Figlio, sono da lui completati con l’ottavo giorno della Resurrezione, la domenica del Signore con la quale la Redenzione è pienamente attuata. Gli antichi battisteri ottagonali riprendono proprio questa simbologia: il compimento della creazione avviene col Battesimo. E la veste bianca che il catecumeno indossa prima d’immergersi indica la ricreata vita di grazia, il ritorno allo stato originario, secondo quanto era nel disegno iniziale di Dio, ed ora finalmente realizzato tramite il Figlio. Per mezzo di lui tutto è stato creato, per mezzo di lui tutto è stato salvato.

 

“...Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal Cielo...”

 

Circa 3200 anni fa un ragazzo spaurito lungo i pendii di un monte chiese a suo padre: “Dov’è l’agnello per il sacrificio?” Quel ragazzo, che fu poi legato sopra un altare, su ceppi di legno ormai pronti ad ardere, e che vide con terrore la lama brandita dalla mano paterna alzarsi su di lui, si chiamava Isacco. Milleduecento anni dopo (ma questi sono i tempi di Dio) il Signore risponde alla domanda di Isacco attraverso le labbra di un uomo sulla riva del fiume Giordano: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo”. Questa frase del Battista chiuderà per sempre, ai cercatori di salvezza, la strada del sacrificio pasquale degli agnelli, perchè era venuto un Agnello che era il Figlio di Dio, l’unico in grado di portare su di sé tutti i peccati del mondo. In definitiva aveva avuto ragione Abramo, padre di quel ragazzo, a rispondergli: “Dio provvederà da sé all’agnello per il sacrificio”. Non fu una scusa o una bugia: Dio la trasformò in verità, assumendo su di sé la dolorosissima richiesta fatta ad Abramo. E mandò suo Figlio. Per noi. Per noi uomini. Per la nostra salvezza.

Ecco che qui il Simbolo del nostro Credo punta il dito sul cuore della missione di Gesù, sul vero motivo della sua venuta: la nostra salvezza! Ma cosa vuol dire salvezza? Cosa significa che Cristo è il Salvatore? Oggi moltissimi non lo sanno più; l’uomo moderno spesso ragiona così: sto bene in salute, ho una famiglia, un lavoro, un certo benessere, da che cosa debbo essere salvato?

La parola “salvezza” si è talmente svuotata di significato che quando chiediamo alla gente comune, ma anche ai cattolici, perchè Gesù è venuto, spesso le risposte che raccogliamo sono: “per insegnarci delle cose”, “per portare pace e amore”, e perfino “per fondare la sua religione”. Si sta sempre più perdendo di vista il centro della missione di Gesù, il fatto che Cristo è venuto in primo luogo a salvarci. La parola stessa “Gesù” vuol dire “il Dio che salva”. Da cosa ci salva? ...sentiamo a volte chiedere. In realtà la domanda giusta è: per cosa ci salva? Ci salva per riportarci da dove siamo venuti: nel cuore stesso di Dio. I filosofi continuano a chiedersi da dove veniamo, mentre Cristo a questa nostra origine ci ha già riportato.
E non si tratta solo di scoprire con la mente la nostra provenienza ontologica: si tratta di restituire le nostre esistenze a chi realmente appartengono, si tratta di rimettere i tralci alla vite che li ha generati; si tratta di restituire al proprio mare quei pesci che il peccato ha gettato lontano sulla sabbia o sugli scogli; si tratta di restituire le scintille al fuoco che li ha generati. Prima che si spengano. Ogni mio gesto in direzione contraria mi spegne. Ogni mio passo in altra direzione è la morte. Ecco da cosa sono salvato: da me stesso, dalle mie scelte sbagliate, dal peccato, semplicemente perché peccando muoio, mi spengo, non respiro, secco.
Sono salvato dalla dannazione eterna, ma già a partire da quella dannazione terrena a cui il peccato riduce la mia vita. Sono salvato dalle tenebre, morali e spirituali. Ma soprattutto sono salvato per la vera Vita che in cambio mi viene donata, per la grande gioia che ne ricevo, per quel paradiso di Amore che mi attende senza fine dentro la gloria di Dio, e per tutte quelle anticipazioni regalate quaggiù dai doni dello Spirito. Anche tra le afflizioni.

Un ladro sta morendo sulla croce. Tutto è atrocità, sangue, disperazione; quando un altro uomo in croce come lui lo guarda e gli dice: “Oggi stesso sarai in Paradiso con me”. Ecco: questa è la salvezza. Anche se io sono ancora sulla croce, anche se sto ancora pagando per il mio peccato, anche se non riesco nemmeno a vedere quell’uomo che mi parla perchè i miei occhi sono coperti di sangue, di sudore, di lacrime, io però sono già salvo. Ho ricevuto uno sguardo buono, sono stato considerato (pesato, scrutato, in ogni granello della mia vita), ed ecco che, poiché quello sguardo è lo sguardo di un Dio, e quella considerazione è sostenuta da un Amore infinito, allora sono fatto salvo. L’abisso non mi ha più, sono di Dio, sono finalmente mio.

 

“...E per opera dello Spirito Santo si è incarnato...”  

 

Caro factum est, scrive l’apostolo Giovanni all’inizio del suo vangelo: il Verbo si è fatto carne. Il nostro Credo c’invita qui a ricordare il mistero dell’Incarnazione, un miracolo avvenuto “per opera dello Spirito Santo”. Il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto natura umana è il tratto distintivo della fede cristiana. E questo Giovanni lo sottolinea chiaramente: “Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio” (1Gv 4,2). Le affermazioni del Simbolo del Credo sono quindi criterio di discernimento per riconoscere i cristiani. Abbiamo già avuto occasione di ricordare, che nella lingua greca la parola symbolon indicava quella metà di un oggetto spezzato in due che, ricongiunto all’altra metà, serviva come segno di riconoscimento di una persona. Allo stesso modo il Simbolo del Credo verifica l’identità di un credente. Chi crede che Dio si è fatto uomo in Gesù è cristiano; chi non lo crede non è cristiano. L’Incarnazione, infatti, è, assieme alla Morte e Risurrezione, il centro della fede cristiana, il fondamento di tutto quanto il cristianesimo.

Si tratta, certamente, di un Mistero che sfugge in gran parte alla nostra ragione, ma questo non c’impedisce di indagare, alla luce della Scrittura, sul perchè dell’Incarnazione.

San Paolo, riecheggiando i Salmi, scrive: “Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né olocausti né offerte, un corpo invece mi hai preparato...Allora ho detto: Ecco io vengo... per fare la tua volontà” (Eb 10,5-7); ecco quindi una prima risposta: Cristo s’incarna per fare la volontà del Padre. Luca ci fornisce una seconda risposta: Dio si è incarnato per adempiere le promesse (Lc 1,55), quelle fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Giovanni ci fornisce una terza risposta: il Verbo si è fatto carne per cancellare i nostri peccati (1Gv 3,5); l’apostolo scrive infatti che Dio “ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). Cristo dunque viene per riconciliarci con Dio. Al centro della sua missione vi è la Salvezza: l’Incarnazione è avvenuta per salvarci. “Il Padre ha mandato il suo Figlio come Salvatore del mondo” (1Gv 4,14).

Ma possiamo rispondere anche in altro modo alla nostra domanda: l’Incarnazione è avvenuta perchè Dio ci ama; “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Ed è avvenuta anche perchè noi conoscessimo l’amore di Dio. L’Incarnazione reca con sé numerosi doni, perchè tramite essa riceviamo la vita. “Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perchè noi avessimo la vita per lui” (1Gv 4,9).

Si tratta di una vita nuova quaggiù, ma si tratta anche della vita eterna. Dio ci ha mandato il Figlio “perchè chiunque creda in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Un altro dono (o motivo) racchiuso nell’Incarnazione è l’adozione a figli: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perchè ricevessimo l’adozione a Figli” (Gal 4,4-5): il Figlio di Dio si è fatto uomo affinché l’uomo divenisse figlio. Sant’Ireneo di Lione (II Sec) scrisse: “Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio figlio dell’uomo: perchè l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio” (Adversus Haereses 3,19,1).

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, oltre a ricordare tutte le motivazioni sopra esposte, ci indica un’altra ragione dell’Incarnazione: il Verbo si è fatto carne per fornirci un modello di santità (CCC 459). Si tratta però di un modello che ci assorbe in sé, trasformandoci a sua immagine, facendoci partecipe della sua natura, perché Gesù “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio” (Fil 2,6). Se il Verbo s’incarna, dunque, è anche perchè diventassimo partecipi della natura divina (2Pt 1,4).

San Gregorio di Nissa (IV secolo) testimonia: “La nostra natura, malata, richiedeva di essere guarita; decaduta, d’essere risollevata; morta, di essere risuscitata. Avevamo perduto il possesso del bene; era necessario che ci fosse restituito” (Oratio Catechetica, 15).

 

 

“...nel seno della Vergine Maria...”

 

Il Verbo di Dio, per opera dello Spirito Santo, si è incarnato nel seno della Vergine Maria. Il disegno di salvezza attuato dal Padre nella Nuova Alleanza non vede all’opera solo la persona del Figlio, ma anche quella dello Spirito Santo. La nostra redenzione è realizzata dalla mirabile collaborazione delle tre Persone divine. Lo Spirito Santo è presente in tutti i misteri della vita di Cristo, opera in lui e attraverso di lui in ogni momento della sua missione.

Dopo averla preparata ispirando tutti i profeti fino al Battista, prepara anche l’incarnazione di Gesù, santificando il nido del suo concepimento. Forgia dunque Maria rendendola “tempio dello Spirito Santo”, in vista del fatto che questa fanciulla di Nazaret, per disegno del Padre, sarebbe divenuta tabernacolo del Dio incarnato. E questa preparazione della culla del Verbo è talmente accurata da vedere lo Spirito Santo all’opera già al momento in cui Maria è concepita nel grembo di sua madre. Viene infatti preservata e custodita dalla Grazia fin dall’inizio del suo primo esistere. “La beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale”: è quanto scrive Pio IX nella sua bolla Ineffabilis Deus (DS 2803), con la quale proclama il dogma dell’Immacolata Concezione.

E’ per questo dono particolare dello Spirito che l’arcangelo Gabriele, al momento dell’Annunciazione, saluta Maria come “la piena di Grazia” (Lc 1,28). E il “sì” della Vergine è anch’esso posato sulle sue labbra dal divino Paraclito: frutto di una libertà come mai vi era stata perché già pienamente redenta. Il Signore è con Te perchè ora sia anche in Te. Tu sei la benedetta fra tutte le donne. “Eccomi, io sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Totale fiducia. Totale abbandono. Totale donazione di sé. Annunciazione, incarnazione. E’ benedetto il frutto del seno tuo Gesù. E’ significativo che il Simbolo del nostro Credo, proprio nell’istante in cui affonda nel centro del Mistero, definendo l’Incarnazione, definisca anche Maria.

E questo piccolo credo mariano, scintilla di luce visibile all’interno di un mistero invisibile, è presente sia nel testo antichissimo di Nicea-Costantinopoli (“per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria”), sia in quello ancora più antico degli Apostoli (“il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine”). Il Simbolo, congiungendo Maria alla verità dell’incarnazione, diventa qui fonte della nostra fede mariana. Ci fa capire che l’Eterno Padre, magnifico nella sua Misericordia, donandoci il Figlio ci dona anche la Madre. Maria, la “Tutta Santa” (Panaghia, come dicevano i Padri Orientali). Maria, la Madre di Dio (Theotokos, come dicevano i Padri Greci). Maria, Regina del cielo e della terra (come dice la Chiesa). Maria, mediatrice di tutte le grazie, a tal punto che “qual vuol grazia ed a Te non ricorre, sua disianza vuol volar sanz’ali” (Paradiso di Dante, XXXIII, 14-15).

Possiamo dunque anche noi dire: L’anima tua magnifica il Signore, o Maria, e il nostro spirito esulta in Dio perché ci hai donato il Salvatore. Salve Regina, madre di misericordia, vita, dolcezza, speranza nostra. A te ricorriamo noi, figli del peccato originale. A te sospiriamo in questa vita di lacrime. Rivolgi a noi la misericordia di cui sei stata colmata, regina degli angeli e dei santi. Mostraci nel nostro esilio Gesù, il frutto benedetto dell’amore del Padre. Attraverso il tuo grembo ci è giunta la salvezza. Mettici al mondo come figli di Dio. Crescici nella fede e custodiscici col tuo manto.
Prega per noi peccatori, o dolce Vergine Maria.  

 

 

“...e si è fatto uomo...”

 

Ecco la novità che il cristianesimo annuncia al mondo: Dio si è fatto uomo. Si è fatto carne, si è fatto storia, si è fatto esperienza visibile per noi, tanto che gli apostoli possono dire: “Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato...”. E’ un avvenimento, un incontro. L’umanità passa dal “Dio su noi” al “Dio con noi” (l’Emmanuele). E’ un evento unico e del tutto singolare. E “non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo”, dice il Catechismo, ma che “Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo” (CCC 464). La Chiesa ha sempre difeso strenuamente, nel corso dei secoli, questa verità di fede che emerge dal Vangelo. Il dogma della duplice natura di Cristo è a fondamento della fede cristiana, e non solo cattolica. Cristo possiede sia la natura umana sia la natura divina.

E attenzione: non solo le possedeva, ma le possiede tuttora. E’ anche adesso vero Dio e vero uomo. In una sola Persona. Tutto ciò che la natura umana di Cristo compiva, era compiuto anche dalla natura divina. “Tutto, quindi, nell’umanità di Cristo deve essere attribuito alla persona divina come al suo soggetto proprio” (Concilio di Efeso, DS 255). Non vi è stata unione o confusione di nature, ma le nature, umana e divina, sussistono entrambe in una sola persona. Gli antichi concili sono molto chiari su questo: “Si indica la diversità delle nature, nella quale si è realizzata l’ineffabile unità senza confusioni, senza che il Verbo passasse nella natura della carne, e senza che la carne si trasformasse nella natura del verbo” (II°Concilio di Costantinopoli, c.VII). E aggiunge: “Due sono le nascite del Verbo di Dio, una prima dei secoli dal Padre, fuori dal tempo e incorporale, l’altra in questi nostri ultimi tempi, quando egli è disceso dai cieli, s’è incarnato nella santa e gloriosa madre di Dio e sempre vergine Maria, ed è nato da essa” (ibid, c.II). Due nascite e due nature quindi, ma in una sola Persona, quella del Cristo. E la natura divina di Gesù non impediva alla sua natura umana né di soffrire né di morire. Anzi, pur essendo vero che Dio è sempre nella gloria e quindi nella beatitudine, sia la morte in Croce sia le sofferenze appartengono alla seconda Persona della Trinità che ne rimane pienamente il soggetto (ibid, c.III; CCC 468).

Il Verbo di Dio che opera miracoli è lo stesso Cristo che ha sofferto. Né la natura divina impediva l’esistenza, in Cristo, di un’anima umana. La caratteristica della natura umana è, infatti, quella di possedere sia il corpo sia l’anima; e dunque Gesù, veramente uomo, possedeva un’anima umana, così come possedeva una volontà ed un’intelligenza umana (CCC 470). Il Concilio di Calcedonia (anno 451) afferma: “Seguendo i santi Padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo con anima razionale e corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l’umanità, ‹‹simile in tutto a noi fuorché nel peccato›› (Eb 4,15)” (Concilio di Calcedonia, DS 301). La differenza delle due nature non è per nulla negata dalla loro unione, né avviene alcun mutamento in ciascuna delle due nature: “Rimase quel che era e quel che non era assunse” canta la Liturgia Romana.
Occorre inoltre respingere l’affermazione che Gesù sia “diventato” il Cristo: “Il Figlio Unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine Maria, è ‹‹Cristo››, cioè unto dallo Spirito Santo, sin dall’inizio della sua esistenza umana” (CCC 486); pertanto tutta la vita di Cristo è Rivelazione del Padre, e la sua umanità “appare come ‹‹il sacramento›, cioè il segno e lo strumento della sua divinità” (CCC 515,516). Né sarebbe corretto dire che il Verbo abbia trascorso “un lunghissimo periodo di tempo senza la natura umana”, perché il Verbo è, appunto come dissero i Padri, fuori dal tempo.

Le due nascite sono in qualche modo “contemporanee”, nella stessa misura in cui Dio è “contemporaneo” a tutte le epoche della nostra storia, così come il centro immobile di una ruota è alla stessa distanza da tutti i suoi punti. E’ proprio per questa sua divina partecipazione al mistero del tempo che Cristo è Ricapitolazione di tutte le cose: ha ricapitolato in se stesso tutta la storia umana, ed ha ristabilito l’uomo decaduto; ha vissuto la sua vita non per sé ma per noi. Si è fatto nostro modello, permettendo che tutto ciò che Egli ha vissuto, noi potessimo viverlo in lui. Di più: fa sì che Egli lo viva in noi. In tal modo ci rende compartecipi della sua divina natura: “L’Unigenito Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei” (San Tommaso d’Aquino).




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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