A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

IO CREDO IN DIO.... bellissima catechesi sul Credo

Ultimo Aggiornamento: 21/11/2014 14:28
Autore
Stampa | Notifica email    
ONLINE
Post: 39.989
Sesso: Femminile
03/07/2014 09:31
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

“Credo nello Spirito Santo”


 


A farci conoscere e a donarci lo Spirito Santo è Gesù. Egli lo chiama Paraclito (Gv 14,16.26; 15,26; 16,7), che letteralmente vorrebbe dire “Colui che è chiamato vicino”, e che spesso traduciamo con Consolatore. Nell’annunciarne la sua venuta lo chiama anche Spirito di verità. Il termine “Spirito” è la traduzione dell’ebraico “Ruah”, che significa soffio, aria, vento; e Gesù utilizza proprio l’immagine sensibile del vento per spiegarci, durante il suo dialogo con Nicodemo, la natura misteriosa e trascendente dello Spirito di Dio, di cui nessuno può sapere “da dove viene e dove va” (Gv 3,5-8). In questa dimensione misteriosa entrano anche, dice Gesù, “i nati dallo Spirito”.

L’ingresso in questa vita nuova e soprannaturale avviene col sacramento del Battesimo. Scrive Sant’Ireneo di Lione (II sec.): “Il Battesimo ci accorda la grazia della nuova nascita in Dio Padre, per mezzo del Figlio suo nello Spirito Santo. Infatti coloro che hanno lo Spirito di Dio sono condotti al Verbo, ossia al Figlio; ma il Figlio li presenta al Padre, e il Padre procura loro l’incorruttibilità. Dunque, senza lo Spirito, non è possibile vedere il Figlio di Dio, e, senza il Figlio, nessuno può avvicinarsi al Padre, perché la conoscenza del Padre è il Figlio, e la conoscenza del Figlio di Dio avviene per mezzo dello Spirito Santo” (Demonstratio Apostolica, 7). Senza il Battesimo nello Spirito non vi è dunque vita cristiana. Come dice San Paolo, “Nessuno può dire “Gesù è il Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3). San Paolo chiama il divino Paraclito anche Spirito della promessa (Gal 3,14; Ef 1,13), Spirito di adozione (Rm 8,15; Gal 4,6), Spirito di Cristo (Rm 8,9), Spirito del Signore (2Cor 3,17), Spirito di Dio (Rm 8,9.14; 15,19; 1Cor 6,11; 7,40), mentre a chiamarlo Spirito della gloria è San Pietro (1Pt 4,14).

Lo Spirito Santo è all’opera con il Padre ed il Figlio dall’inizio dei tempi fino al compimento della storia della salvezza. Lo Spirito è luce che ci rivela le verità di Dio, ma proprio perché illumina le cose, si nasconde. Si adombra per fare luce sul Padre e sul Figlio. Non dice se stesso, è la Persona divina di cui sappiamo meno sebbene ogni nostra conoscenza spirituale venga da Lui. “Non lo conosciamo che nel movimento in cui ci rivela il Verbo e ci dispone ad accoglierlo nella fede” (CCC 687). Gesù ci spiega che pur guidandoci verso “la verità tutta intera”, lo Spirito Santo “non parlerà da sé, ma quanto sentirà dirà” (Gv 16,13). E’ l’annientamento tipico degli umili. Anche l’umiltà è, infatti, virtù divina; ben visibile attraverso la trasparenza di Maria, la colma di grazia che si adombra per mettere in luce il Figlio.

Diversi sono i simboli attraverso cui si esprime lo Spirito Santo:

1) L’acqua: segno di purificazione e di rinascita, che nel battezzato zampilla per la Vita eterna;

2) L’olio: compare nelle unzioni di re e profeti, fino alla venuta di Cristo, l’Unto di Dio, che pone, tramite lo Spirito, il sigillo del sacro crisma sulla fronte di ogni cristiano;

3) Il fuoco: simboleggia l’azione trasformante dello Spirito Santo, che consuma il male e rende ardenti nel bene: questa presenza di Dio in noi si realizza con le “lingue di fuoco” della Pentecoste (At 2,3);

4) La nube luminosa: dal Sinai alla Trasfigurazione di Gesù ed alla sua Ascensione, accompagna le principali rivelazioni di Dio (Es 24,15-18; 33,9-10; 40,36-38; 1Re 8,10-12; Lc 9,34; At 1,9), così come accompagna le principali teofanie di Maria nella storia umana, fino al ritorno definitivo di Gesù nella nube (Lc 21,27);

5) La colomba: apparve alla fine del diluvio come segno di un’alleanza che ricomincia, e pure quando Cristo risalì dall’acqua durante il Battesimo nel Giordano, all’inizio della sua missione di salvezza (Mt 3,16); anche la colomba ricompare in molte teofanie mariane, perché Maria è columbarium, tabernacolo di Cristo.

Dove possiamo incontrare oggi lo Spirito Santo? In moltissimi ambiti della vita di fede come singoli cristiani o come chiesa: nelle Scritture, che Egli ha ispirato; nella Tradizione che ci giunge attraverso i Padri da Lui illuminati; nel Magistero della chiesa che Egli assiste; nella Liturgia, in particolare quella della Santa Messa, che lo Spirito vivifica con la sua azione invisibile e nella quale realizza la miracolosa transustanziazione del pane e del vino; nei Sacramenti, ove opera con la sua grazia trasformante; nella preghiera, possibile solo perché mossa da Lui; nei sacramentali, come le benedizioni o gli esorcismi; nei diversi ministeri che edificano la Chiesa; nei carismi, che sono un suo dono; nello stato di grazia, a cui ogni cristiano è chiamato, ed a cui anche il peccatore può tornare tramite il sacramento della Riconciliazione; nella carità, perché essa è pura emanazione dello Spirito Santo che è amore; nell’evangelizzazione, perché Egli è anche Spirito di Verità; nella testimonianza di vita con cui si prolunga la salvezza, perché lo Spirito è spirito di santità.

 

 

“...E’ Signore e dà la vita...”

 

Cosa s’intende quando professiamo che “lo Spirito Santo è Signore e dà la vita?”. Quale vita ci viene donata dallo Spirito Santo? Lo Spirito di Dio ci fa dono sia della vita fisica sia della vita spirituale. Ci fa dono della vita fisica perché la creazione è mossa da Lui: Egli la disegna, la permea, e la sostiene; ne rende fecondo il grembo e la vivifica. Come dice la liturgia bizantina “Egli ha potere sulla vita, perché essendo Dio, custodisce la creazione nel Padre per mezzo del Figlio”. Fin da quando “lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gn 1,2), Egli non ha mai cessato di dispensare la vita alle diverse creature, agli esseri umani: “Mandi il tuo Spirito ed essi sono creati” (104,30). Per questo il nostro Catechismo può, a giusto titolo, proclamare: “La Parola di Dio ed il suo Soffio sono all’origine dell’essere e della vita di ogni creatura” (CCC 703).

Ma così come agisce dentro l’atto del creare, lo Spirito Santo, dopo l’ingresso nel mondo del peccato, agisce anche nel ricreare. Ispirando divinamente i santi patriarchi ed i profeti, Egli non ha non ha mai smesso di parlarci ed illuminarci: nelle Teofanie e nella Legge, nel Regno d’Israele e nell’esilio, nella lunga attesa messianica, fino a quando matura la pienezza del tempo, ed allora lo Spirito del Signore prepara la “piena di Grazia”, ed in lei realizza il disegno misericordioso del Padre. Come annunciato dall’angelo (“Lo Spirito Santo scenderà sopra di te”), Egli la copre con la sua ombra e la Vergine concepisce “per opera dello Spirito Santo” (Lc 1,35). Nel disegno di salvezza, Maria diventa dunque il roveto ardente della Teofania definitiva (CCC 724), ed attraverso di Lei lo Spirito manifesta al mondo il Figlio di Dio. In Maria Egli inizia a mettere in comunione gli uomini con Cristo. Infine, tramite Gesù, Egli scende sui battezzati, santifica attraverso le sue parole, istituisce attraverso l’imposizione delle mani, e cancella i peccati degli uomini. “Tutto il secondo articolo del Simbolo della fede deve essere letto in questa luce: l’intera opera di Cristo è missione congiunta del Figlio e dello Spirito Santo” (CCC 727). Questi dà vita alla Chiesa, ed ancora oggi la vivifica perché continuamente ci viene fatto dono “dello Spirito Santo che era stato promesso... in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato” (Ef 1,13-14). Lo Spirito di Dio ci conferisce, quindi, anche la vita spirituale.

Gesù è la vite e noi ne siamo i tralci: questo significa che siamo vivificati dalla stessa linfa vitale della vite, e questa vita che scorre in essa ed anche in noi è lo Spirito Santo. Egli ci vivifica, perfezionando la nostra natura, liberandola dal male e purificandola; ci arricchisce con le virtù teologali e cardinali, ci conferisce doni e carismi particolari, ci abilita alla dimensione soprannaturale dell’esistenza umana. Nella Bibbia, dal roveto ardente alla Pentecoste, lo Spirito di Dio sembra amare l’immagine del fuoco. Perché il fuoco? Perché brucia, trasforma, consuma. Ma soprattutto perché il fuoco è da sempre sinonimo di due cose: la luce ed il calore. L’azione dello Spirito, infatti, investe sempre entrambe le realtà dell’uomo: la mente ed il cuore.

La luce è sinonimo di verità (luce della mente): la verità che Dio ci comunica. Ma non si tratta mai di una verità fredda, puramente conoscitiva, ma di una verità che passa attraverso il cuore, che scalda, che s’identifica con l’Amore. “Dio è Amore”, scrive S. Giovanni (1Gv 4,8.16), e l’Amore è il primo dono, quello che contiene tutti gli altri. Quest’amore, Dio “l’ha riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato” (Rm 5,5). Lo Spirito Santo, che fa il suo ingresso definitivo nella storia della Chiesa con la Pentecoste, e nella nostra storia personale col Sacramento della Confermazione, è “primizia” della nostra eredità celeste. “Dio stesso ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, e ci ha dato il sigillo e la caparra dello Spirito Santo nei nostri cuori” (2Cor 1,21-22). Questo Spirito, che soccorre la nostra debolezza e prega attraverso di noi con “gemiti inesprimibili” (Rm 8,26), ci rende a nostra volta strumento di salvezza delle anime, continuando ancora oggi la sua missione nel mondo attraverso di noi, affinché i tralci staccati che toccano il nostro tralcio diventino anch’essi vite e si salvino.

 

 

“...Procede dal Padre e dal Figlio...”

 

Lo Spirito Santo è Dio. Questa Terza Persona della Santissima Trinità non ha, dunque, come del resto anche il Figlio, un inizio nel tempo; ma è da sempre. Dal Padre procede l’amore verso il Figlio, e dal Figlio procede l’amore verso il Padre: è l’amore che unisce le Divine Persone del Padre e del Figlio. Poiché Dio ama in modo perfetto, questo Amore è perfetto. Ma cosa vi è di perfetto se non Dio? Dunque questo Amore è Dio, quello che noi chiamiamo Spirito Santo, Terza Persona della Trinità che è un solo Dio. Questa eccelsa verità che i Padri ci tramandano, emerge direttamente dalla Sacra Scrittura, e sostanzia il secondo articolo del nostro antico Credo. L’unico elemento che non ritroviamo nel testo originario del Simbolo, è il cosiddetto “filioque” (“e dal Figlio”).

Leggiamo infatti così: “ex patre [filioque] procedentem”. Tale aggiunta, che Roma ammise nella versione liturgica latina nel 1014, fu in particolare contestata dalla Chiesa Ortodossa, anche se essa non fu certo l’unica causa del Grande Scisma d’Oriente avvenuto nel 1054. Ma come avvenne esattamente la storia di questo inserimento? La sequenza è questa: l’antichissimo Simbolo degli Apostoli riportava solo l’espressione “Credo nello Spirito Santo”.

Nel 325 il Simbolo di Nicea proclamava pertanto: “Crediamo nello Spirito Santo”. Successivamente, il primo Concilio di Costantinopoli, nel 381, aggiunse “ex Patre procedentem”: un’aggiunta più che lecita perché desunta direttamente dal Vangelo (Gv 15,26). Nel quinto secolo già circolavano, però, professioni di fede che definivano lo Spirito Santo “procedente dal Padre e dal Figlio”, come l’autorevole Simbolo Atanasiano, chiamato così perché attribuito a Sant’Atanasio (295-373), arcivescovo d’Alessandria d’Egitto. Anche antichi Padri quali San Basilio vescovo e dottore della Chiesa (330-379), o San Gregorio Nazianzeno vescovo di Costantinopoli (329-390) si erano aperti alla teologia del filioque. Infine, nel 447, papa San Leone I, sulla base di queste antiche tradizioni, non solo latine ma anche alessandrine, affermò dogmaticamente il filioque (cfr CCC 247).

Ed anche i successivi concili (Toledo nel 589; Aquileia nel 796; Aquisgrana nell’809) confessarono la teologia del filioque. E’ pertanto comprensibile il perché Roma abbia finito per accoglierlo nella liturgia latina nel 1014. Da allora, esso si diffuse in tutto l’Occidente, e fu accettato sia dai Latini sia dai Greci nei concili ecumenici di Lione (1274) e di Firenze (1439).

Tuttavia, nel corso dei secoli furono innumerevoli le dispute su questo argomento, specie tra teologi cattolici ed ortodossi. Perché? Quale concezione dello Spirito Santo vi è dietro il filioque?

La risposta la leggiamo negli atti del Concilio di Firenze del 1439: “Lo Spirito Santo ha la sua essenza e il suo essere sussistente ad un tempo dal Padre e dal Figlio e [...] procede eternamente dall'uno e dall'altro come da un solo principio e per una sola spirazione [...]. E poiché tutto quello che è del Padre, lo stesso Padre lo ha donato al suo unico Figlio generandolo, ad eccezione del suo essere Padre, anche questo procedere dello Spirito Santo a partire dal Figlio, lo riceve dall'eternità dal suo Padre che ha generato il Figlio stesso” (Denz.-Schönm., 1300-1301).

Gli ortodossi usano il termine greco ekporeuomenon, che noi traduciamo con procedentem: il primo significa che lo Spirito Santo “trae la sua origine” dal Padre, il secondo è invece un termine più comune che non vuole significare altro che la comunicazione della divinità consostanziale del Padre sia allo Spirito Santo sia al Figlio (o, come dicono gli stessi ortodossi, “allo Spirito Santo attraverso il Figlio”). Ecco perché in latino è possibile estendere il procedentem anche al Figlio. Si tratta allora solo di una questione linguistica? Di fatto, quando la chiesa cattolica celebra il rito latino nella lingua greca, l’espressione “e dal figlio” non compare. “Dai tempi del Concilio Vaticano II si svolge un proficuo dialogo ecumenico, che sembra aver portato alla conclusione che la formula “Filioque” non costituisce un ostacolo essenziale al dialogo stesso e ai suoi sviluppi” (Giovanni Paolo II, Udienza Generale del 7 novembre 1990).

Ai fini di operare la riunificazione completa coi fratelli di rito bizantino, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, a poche settimane di distanza dal celebre incontro di Giovanni Paolo II col Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, avvenuto il 29 giugno 1995, ha presentato sull’Osservatore Romano del 13 settembre 1995 una lunga trattazione sulla questione, ove compare una nota molto forte: “La chiesa cattolica riconosce il valore conciliare ed ecumenico, normativo e irrevocabile, quale espressione dell'unica fede comune della chiesa e di tutti i cristiani, del simbolo professato in greco dal II concilio ecumenico a Costantinopoli nel 381.” In pratica viene ricostruita l’unità dei cristiani attorno al Simbolo niceno-costantinopolitano. Questo naturalmente non ha impedito al “filioque” di abitare ancora nella liturgia (per lo meno di rito romano e di rito ambrosiano), così come abitano le tante altre formule più o meno antiche delle professioni di fede (CCC 192). Molto serenamente, il Catechismo della Chiesa Cattolica, è giunto infatti a dichiarare una compatibilità fra le due formule: “Questa legittima complementarità, se non viene inasprita, non scalfisce l'identità della fede nella realtà del medesimo mistero confessato” (CCC 248).

 

 

Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato

 

Le tre Persone divine vivono nella gloria. Non solo la gloria che scaturisce dalla natura trinitaria, ma anche quella riflessa dalle creature. Scrive l’apostolo Giovanni nell’Apocalisse: “Ogni volta che quei viventi rendono gloria, onore e ringraziamento a Colui che siede sul trono, e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro vegliardi si prostrano dinanzi a Colui che siede sul trono per adorare Colui che vive nei secoli dei secoli; lanciano le loro corone dinanzi al trono dicendo: «Tu sei degno, Signore nostro e nostro Dio, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza, perché sei tu che hai creato l’universo, ed è per tuo volere che l’universo, che non esisteva, fu creato»” (Ap 4,9-11).

A noi umani non è facile comprendere correttamente il termine “gloria”, perché sulla Terra questa parola s’intreccia con la superbia, con la brama di potere, con la stessa “vanagloria”. La gloria terrena è qualcosa di vuoto, un’illusione; di essa l’antico Qoelet direbbe: “Tutto è vanità” (Qo 1,2). Ma in Cielo questa logica è completamente capovolta dall’ineffabile amore di Dio che pervade tutto ed irradia ogni creatura. Dio è certamente il Kyrios, il Signore assoluto di tutto, ma la sua signoria è una signoria d’amore: Egli regna amando, ed il suo regno è l’amore stesso in cui sono immersi i viventi, la sua luce di grazia che penetra sottilmente ogni essere conferendogli la somiglianza celeste, quella trasparenza e limpidezza che orienta ogni moto dello spirito unicamente al bene ed al puro servizio. E’ sì una sottomissione, ma una sottomissione angelica, in cui il riconoscimento di Dio come l’unico Signore è gioia piena, intima comprensione del senso di tutto alla luce della giustizia divina, che è pienamente compartecipata, consostanziale al proprio sentire. La gloria di Dio è per noi paradiso. Se la s’intuisse un solo istante, milioni di comportamenti abituali sarebbero stravolti; l’intera vita sbalzerebbe verso l’alto, e la nostra esistenza terrena verrebbe vissuta in modo totalmente diverso, perché diverrebbe irresistibile il desiderio di assomigliare a tutto questo, di attuare già quaggiù, nella misura del possibile, questa signoria celeste, che i vangeli ci hanno annunciato come in mezzo a noi, col nome di “Regno di Dio” (Lc 17,21).

Cosa intende dunque il Simbolo del Credo con glorificare? Che significa rendere gloria? Se Dio è già nella gloria, come possono le creature, nella loro povertà, dare gloria a Dio? Significa rendere a Dio ciò che è di Dio, restituirgli quella somiglianza che ci ha donato. E c’è un solo modo per restituirla: viverla. Il mondo rende continuamente gloria ai suoi idoli, rende gloria al suo Cesare che impera ancora oggi. Ma Gesù, col noto esempio della moneta, ci indica che, pur rispettando i compiti che il mondo ci assegna, dobbiamo nella nostra vita voltarci verso Dio e rendere gloria solo a lui (Mt 22,21); perché noi assomigliamo a ciò verso cui rivolgiamo la gloria. Ecco perché ci è assai conveniente rendere gloria a Dio. Quella domanda che Gesù rivolge al popolo, “Di chi è questa immagine?”, non viene fatta, in realtà, indicando la moneta del tributo, ma la nostra anima. E’ puntando il dito alla nostra anima che Gesù ci chiede: “Di chi è questa immagine?”. Di chi portiamo l’impronta? Di chi siamo “immagine e somiglianza” (Gn 1,26)? Dobbiamo quindi restituire a Dio ciò che è di Dio. Tutto nel creato rende gloria a Dio. Anche un fiore che sboccia. Anche una stella che brilla rende gloria a Dio. E l’uomo? Come può rendere gloria a Dio? Cosa ha da dare a Dio se non ciò che da Dio riceve?

L’uomo rende gloria a Dio quando gli restituisce la sua stessa luce. In fondo è come se tutti custodissimo dentro uno specchio. Spesso questo specchio è coperto di polvere, è sporco, non riflette alcuna luce, tanto che a volte non lo vediamo nemmeno. Ma se viene restituito alla sua funzione, se viene lucidato e ripulito, se viene di nuovo “orientato verso il sole”, verso Dio, ecco che anche noi rendiamo gloria a Dio. Restituendogli la sua luce. Diventando altri soli. Diventando anche noi stelle che brillano. E portando così la sua immagine. Rendendo gloria siamo in realtà glorificati noi. Allora la moneta della nostra vita è restituita a lui. Ed anche le nostre corone sono lanciate ai suoi piedi. Perché se è amando che si regna, regnando si dona.

 

“Ha parlato per mezzo dei profeti

 

Il Dio della Bibbia è un Dio che parla. La sua comunicazione, però, non è mai astratta trasmissione di conoscenze o di voleri. Quando Dio rivela, innanzitutto si rivela, cioè comunica se stesso, e nel comunicarsi dona se stesso. Dire che Dio ha parlato per mezzo dei profeti significa dire che Dio ha salvato per mezzo dei profeti. E dentro questo modo di operare, i profeti non sono mai stati trattati come un semplice mezzo. Essi erano amati quanto e più dei destinatari del messaggio che attraverso loro scorreva. Ed anche quando la loro missione li poneva a dura prova, sottomettendo perfino ogni orgoglio, Dio alla fine si chinava su di loro coprendoli col conforto della sua ombra, così come fece amorevolmente ombra a Giona nello sconforto del deserto. E’ poi vero che ai profeti non è dato di sedersi a riposare in quella ombra, ed anche Giona vide seccare la sua pianta di ricino, ma questo proprio perché egli crescesse maggiormente, proprio perché la vita del profeta non è mai un mezzo, ma sempre anch’essa fine (Gio 3-4).
Anzi, la vita dei profeti diventa spesso ai nostri occhi un vero modello, uno stile di vita, un esempio di condotta, o meglio un esempio di come porsi rispetto alle cose, di come metterci all’ascolto, di come entrare a nostra volta nel flusso ininterrotto delle comunicazioni di Dio. Senza i profeti, davvero alle nostre spalle ci sarebbe solo il deserto, il piatto scorrere del tempo privo di un senso. Con gioia leggiamo pertanto, anche a millenni di distanza, Isaia e Geremia, Baruc ed Ezechiele, Daniele ed Osea, Gioele ed Amos, Abdia e Giona, Michea e Naum, Abacuc e Sofonia, Aggeo e Zaccaria, Malachia e tanti altri che pure possiamo chiamare profeti perché hanno vissuto e parlato nel solco della parola di Dio. Profeti che, nella loro libertà, questo solco hanno talvolta lasciato; profeti che hanno corretto profeti, come Natan. Ma tutti protagonisti di un mistero che entra nel tempo e nella storia degli uomini. Un mistero che chiamavano JHWH, Elohim, El, El Shaddai, El Olam, El Haj, El Elion, Kodesh Israel, Elohe Hashamajim, il Signore Sebaoth, l’Unico, dai nomi infiniti.

La brezza leggera, il vento impetuoso. Il fuoco ardente nel roveto. Fino al giorno in cui questo fuoco venne finalmente acceso per non essere più eccezionale teofania, ma permanente quotidianità. “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49). E gli apostoli lo videro questo fuoco. Era un fuoco acceso sulla riva del mare come sempre ne venivano accesi per asciugarsi, per cucinare e nutrirsi. Ma stavolta preparato e acceso da un Risorto (Gv 21). Un fuoco che li scaldava dentro, come sulla strada di Emmaus (Lc 24,32), un fuoco che come “vento gagliardo” aveva fatto irruzione nella loro vita posandosi su di loro (At 2,1-4). Era lo Spirito Santo. Il medesimo Spirito che aveva parlato per mezzo dei profeti. E che ora ardeva non in un roveto, ma nella stessa Parola fatta carne. E di conseguenza ardeva e parlava attraverso coloro che in Lui vivevano e vivono. Da Cristo è disceso un “popolo di profeti”, ed ogni cristiano ha, a suo modo, il dono della profezia, cioè di parlare in suo nome, di essere sale e luce. Certo occorre la “vigilanza del cuore”, occorre “essere sentinelle”, occorre prestare udito al richiamo di Dio ad Ezechiele e farlo nostro: “Figlio dell’uomo, ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia” (Ez 3,16-17). Troppe volte, dinanzi amici, parenti, colleghi di lavoro, il cristiano si rifugia nella finta amarezza del “Tanto non mi ascolterebbero!”. Se non ascoltano non si salvano, viene detto ad Ezechiele, ma se non parli non ti salvi nemmeno tu! (Ez 3,18.20).

Dire “Ha parlato per mezzo dei profeti”, dirlo durante il Credo, cioè pregando, significa dire: riconosco che lo Spirito parla e si esprime per mezzo di me, che dentro questo popolo di profeti, che è la Chiesa, mi viene consegnata una speciale responsabilità: quella innanzitutto di ascoltare, rendendomi idoneo all’ascolto di Dio, e, come immediata conseguenza, quella di annunciare, vigilando sulle ferite dell’altro, accendendo il fuoco che lo scalda, “rimanendo svegli durante la passione”, come una sentinella, come una pianta di ricino che fa la sua ombra.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 16:38. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com