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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Magistero Cattolico in pillole, a piccole dosi ma indispensabile... (4)

Ultimo Aggiornamento: 12/12/2016 18:02
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Sesso: Femminile
30/01/2015 18:51
 
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30/01/2015 

Dalla questione del gender alle unioni civili, dalla figura del presidente della Repubblica italiana alle lobby in politica: tanti gli argomenti affrontati damons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, in una intervista rilasciata alla Radio Vaticana. Luca Collodi gli ha chiesto innanzitutto se ci sia, a suo avviso, un uso ideologico della politica oggi:

Falsità: fanno passare gender come educazione a tolleranza
R. – E’ sotto gli occhi di tutti che c’è questa strumentalizzazione ideologica di temi che hanno la loro importanza, che hanno bisogno di essere attenzionati. Io mi riferisco ad alcuni diritti individuali - questo è vero – però da qui ad assistere, come stiamo assistendo, ad una sorta di aggressione ideologica, di condizionamento ideologico e quindi di voglia di far prevalere il pensiero unico su alcuni temi specifici, mi sembra che sia sotto gli occhi di tutti. Lei ha citato il tema del gender…La falsità è un’altra: si è cercato di far passare questo discorso del gender come fosse soltanto una educazione alla tolleranza, un’educazione alla convivenza pacifica e quindi l’impegno ad educare ad essere più accoglienti nei confronti di altre realtà. Di fatto è diventato soltanto un grimaldello per portare nella scuola un fatto culturale molto chiaro, che scardina l’antropologia, che scardina la concezione della persona. C’è un equivoco di fondo! Anzitutto io sarei il primo a dire: “Ok, voglio parlare, voglio discutere e voglio capire cosa c’è da fare per evitare l’intolleranza”… Ma quando poi tu vieni e mi presenti una polpetta avvelenata sul piano culturale, allora tu non sei onesto culturalmente!   
















il week-and per noi cattolici NON esiste..... la Domenica nostra Pasqua è il PRIMO GIORNO DELLA SETTIMANA  e non il "fine-settimana"....  



 



"Bisogna stare attenti che la cura della carne non passi i limiti della necessità, e neppure diventi presuntuosa per quel che compie con moderazione (Curandum itaque est  ne aut necessitatis metas cura carnis transeat, aut in eo quod moderate exsequitur, de se praesumat). Spesso poi l'anima si inganna nel ritenere necessario quel che desidera per il suo piacere, così da considerare indispensabile per la vita tutto quel che gli piace. Spesso poi quando ottiene quel che desidera acquista maggior fiducia in se stessa e quando vede che ha quel che manca agli altri si rallegra tacitamente dentro di sé per il grande risultato ottenuto; ma tanto più si allontana dal vero risultato quanto meno si rende conto dell'orgoglio che l'affligge ".
 
Commento morale a Giobbe, II, IX, 106. Città Nuova Edtrice/2, Roma 1994, p. 127




"La forza di un'affermazione vera che non viene proferita sotto il controllo della discrezione, si perde...Il bene non viene ben detto quando non si tiene conto di colui al quale viene detto. Un'affermazione vera contro i cattivi perde il suo valore se attacca la rettitudine dei buoni, e quanto più forte è la freccia che colpisce, tanto più spuntata torna indietro".
 (Virtus verae sententiae perditur, quae sub discretionis custodia non profertur...Bonum bene non dicitur quia non intenditur cui dicatur. Vera quippe contra malos sententia, si bonorum rectitudinem impetit, suam perdit et eo retusa resilit, quo illud est forte quod ferit)".
 
Commento morale a Giobbe, II, X, 2. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, p. 131.
 
"La mitezza temperi lo zelo per gli errori dei sudditi, in modo tale però da non indebolire l'impegno per la giustizia; lo zelo non esiti a punire senza però trascendere, nel fervore, il limite della bontà (sic ad ultionem zelus ferveat ne tamen pietatis limitem fervendo transcendat)... E' bene tacere, quando parlando non si riesce a correggere i mali del prossimo; quando invece si possono correggere parlando, il silenzio potrebbe diventare consenso e omertà; si mostri bontà ai malevoli senza però venir meno alla norma della rettitudine (ne tamen per gratiam a iure rectitudinis excedat)".
 
Commento morale a Giobbe II, X, 8. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, p. 139.



"Si procuri al prossimo tutto il bene possibile, evitando però di vantarsi delle proprie benemerenze; si eviti, nel fare il bene, di precipitare nella vanagloria e insieme si eviti il torpore che distoglie dalla pratica del bene. Si dia quel che si possiede, gurdando solo alla larghezza della ricompensa che se ne riceverà da Dio; e mentre si elargiscono i beni terreni non si pensi troppo alla propria povertà, perché la tristezza non offuschi la luce della gioia che c'è nel donare (ne cum terrena largitur, suam plus quam necesse est inopiam cogitet, et in oblatione muneris hilaritatis lumen tristitia obscuret)...la Legge di Dio è multiforme, perché sebbene la carità sia una e identica, se prende pieno possesso dell'anima la impegna in modi innumerevoli (nimirum cum eademque sit caritas, si mentem plene ceperit, hanc ad innumera opera multiformiter accendit)".
 
Commento morale a Giobbe, II, X, 8. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, p.139.



"Ci sfugge di mano la scure quando il rimprovero diventa aspro più del necessario. E il ferro sfugge dal manico quando la parola volta a a correggere è eccessivamente dura; e colpendo l'amico lo uccide quando l'ingiuria originata dallo spirito d'amore uccide il proprio ascoltatore. Infatti l'animo di chi viene corretto prorompe improvvisamente nell'odio se il rimprovero esagerato lo colpisce oltre misura.
(Securis manu fugit cum sese increpatio plus quam necesse est in asperitate pertrahit. Ferrumque de manubrio prosilit cum de correptione sermo durior excedit; et amicum percutiens occidit quia auditorem suum prolata contumelia a spiritu dilectionis interficit. Correpti namque mens repente ad odium proruit, si hanc immoderata increpatio plus quam debuit addicit)".
 
Commento morale a Giobbe, II, X, 12, Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, pp. 143-145.



"Spesso avviene che la fede sia già vigorosa nell'anima e tuttavia rimanga attaccata, per qualche piccola parte, al dubbio (saepe contingit ut fides in mente iam vigeat, sed tamen ex parte aliquantula in dubietate contabescat)...Spesso si eleva nel desiderio dell'eternità e, agitata da pensieri che la turbano, è in contraddizione con se stessa (Plerunque ad aeterna appetenda se erigit, et subortis cogitationum stimulis  agitata, sibimet ipsa contradicit) ...Colui che, sperando grazie alla fede e fluttuante per l'incredulità diceva: Credo, Signore, aiuta la mia incredulità (Mc 9,23), affermava di credere e chiedeva di essere aiutato nella sua incredulità, perché si rendeva conto che nei suoi pensieri coesistevano terra e mare. Egli aveva cominciato a pregare, reso ormai certo della fede e, ancora incerto per l'incredulità, subiva tuttavia l'onda della mancanza di fede (et exorare certus iam per fidem coeperat, et adhuc incertus undas perfidiae ex incredulitate tolerabat).
 
Commento morale a Giobbe, II, X, 18. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, pp.151-153.


"Ogni iniquità è vanità, ma non ogni vanità è iniquità...Però è facile passare dalla vanità all'iniquità, poiché passando attraverso alcune cose transitorie ne restiamo impigliati con nostro danno; e siccome la mente non si mantiene stabile, sfuggendo a se stessa si abbandona ai vizi.
(Omnis quippe iniquitas vanitas , non tamen omnis vanitas esse iniquitas solet...Apte autem post vanitatem protinus iniquitas subinfertur, quia dum per quaedam transitoria ducimur, in quibusadm noxie ligamur; cumque mens incommutabilitatis statum non tenet, a semetipsa defluens, ad vitia prorumpit)" 
 
Commento morale a Giobbe, II, X, 20.21. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, p.153.




"Finché si vive nella carne mortale, non si può trascurare del tutto la carne, ma bisogna curarla con moderazione perché sia con discrezione a servizio dell'anima.(Neque enim mortali adhuc in carne viventibus funditus cura carnis absciditur, sed ut discrete animo serviat temperatur). Infatti la Verità che ci vieta di affannarci per il domani, non ci proibisce di occuparci del presente, a patto però che la sollecitudine per il presente non si estenda al futuro...Perciò la preoccupazione dev'essere frenata con la discrezione di una grande misura, affinché essa serva e non domini (Discretione ergo magni moderaminis cura frenanda est ut serviat et minime principietur); non vinca l'anima come padrona ma, sottomessa al dominio dell'anima, come serva sia al suo servizio; sia presente quando viene richiesta e ad un cenno del cuore si allontani (ut iussa adsit atque ad nutum cordis repulsa dissiliat); compaia appena alle spalle del pensiero santo e mai si ponga di fronte, come ostacolo, a chi medita cose giuste".
 
Commento morale a Giobbe, II, IX, 106. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, pp. 125-127.



"Lasciami, quindi, sì che possa piangere un poco il mio dolore, prima che me ne vada, senza ritornare, verso la terra tenebrosa e coperta dall'oscurità della morte Gb 10, 21). Il santo a nome suo e a nome del genere umano supplica d'essere lasciato prima di andare; non perché chi piange la colpa dovrà andare nella terra tenebrosa, ma perché certamente ci va chi trascura di piangere.
(Sanctus autem vir, sive sua seu humani generis voce, dimitti se postulat, antequam vadat; non quia ad terram tenebrosam qui culpam deflet iturus est, sed quia ad hanc procul dubio qui plangere neglegit vadit)".
 
Commento morale a Giobbe, II, IX, 95. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, p. 117. 



"Il beato Giobbe, osservando la vita dei santi padri, riconosce che cosa deve particolarmente piangere in sé. Ma alla scuola del suo grande dolore, mentre piange per sé, ci educa al pianto, affinché, osservando le virtù negli altri, più seriamente temiamo per le nostre colpe. 
(Beatus igitur Iob, quia vitam patrum praecedentium conspicit, quid in se gemere debeat subtilius agnoscit. Sed magni doloris magisterio, dum sua plangit, ad lamenta nos instruit, ut quo virtutes in aliis cernimus, eo nostra sollicite delicta timeamus)".
 
Commento morale a Giobbe, II, IX, 90. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, p. 113.



Lasciami, quindi, sì che possa piangere un poco il mio dolore (Gb 10,29). Come un'afflizione moderata si esprime con le lacrime, così un'afflizione eccessiva le prosciuga, perché il lamento stesso si manifesta quasi senza lamento,  (sicut moderata afflictio lacrimas exprimit, ita immoderata subducit quia maeror ipse quasi sine maerore fit), esso che, divorando l'animo dell'afflitto, toglie il sentimento del dolore (qui, afflicti mentem devorans, sensum doloris tollit)".
 
Commento morale a Giobbe, II, IX, 93. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, p. 113.



"Ci sono alcuni che confessano apertamente le proprie colpe ma, confessandole, non sanno gemere e utilizzano con leggerezza parole che dovrebbero essere accompagnate dal pianto (nonnulli qui apertis vocibus culpas fatentur, in confessione tamen gemere nesciunt et lugenda gaudentes dicunt) ...Chi parla delle proprie colpe detestandole, dovrà invece mostrare anche sincero rincrescimento. Infatti è l'amarezza stessa  a punire  la colpa ammessa con la lingua a causa del giudizio della propria coscienza (ipsa amaritudo puniat quicquid lingua per mentis iudicium accusat). Si tenga presente poi che, l'anima ottiene una certa sicurezza grazie alla pena della penitenza che l'affligge (sciendum est quia ex poena paenitentiae, quam sibi mens irrogat aliquatenus securitatem percipit).
 
Commento morale a Giobbe, II, IX, 66.67, Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, pp. 87-89.



"E infatti se temo non posso rispondere (Gb 9,35).  L'uomo deve rispondere a tanti benefici, ma non può rispondere finché ha paura, perché chi ha ancora timore servile nei confronti di Dio, Creatore del genere umano, certamente non lo ama (qui adhuc serviliter formidat, procul dubio non amat). Rendiamo un autentico omaggio a Dio soltanto quando non lo temiamo più, perché abbiamo fiducia in Lui e lo amiamo, quando a compiere il bene ci guida l'affetto e non la paura, quando all'anima non piace più il male anche se fosse lecito. Chi si astiene da un'azione cattiva per timore, compirebbe volentieri il male se fosse lecito...Se temo non posso rispondere, perché non rendiamo a Dio un omaggio autentico se osserviamo i suoi comandamenti per timore anziché per amore (vera obsequia Deo non reddimus si ex timore mandatis illius, et non potius ex amore servimus). Ma quando nella nostra anima si accende la dolcezza del suo amore, ogni desiderio della vita presente si attenua, l'amore si trasforma in tedio e l'anima lo sopporta con tristezza, mentre prima come schiava lo serviva con amore riprovevole".
 
Commento morale a Giobbe, I, IX, 64. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, p.87.



"Parlerò senza  temerlo (Gb 9,35). L'uomo santo, vedendo il Redentore del genere umano presentarsi mite, non gli va incontro con la paura come quando è di fronte ad un padrone, ma gli si rapporta  con quell'affetto che è proprio di chi si rivolge ad un Padre. Depone infatti la paura perché, sentendosi adottato come figlio, si lascia guidare dall'amore (Vir enim sanctus, quia humani genersis Redemptorem venire mitem conspicit, non metum ad dominum sed affectum ad Patrem sumit; et timorem despicit quia per adoptionis gratiam ad amorem surgit)".
 
Commento morale a Giobbe, II, IX, 63. Città Nuova Editrice/2, Roma 1994, p. 85.






[Modificato da Caterina63 16/02/2015 09:11]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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