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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Magistero Cattolico in pillole, a piccole dosi ma indispensabile... (4)

Ultimo Aggiornamento: 12/12/2016 18:02
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09/05/2015 15:15
 
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Solennità di Maria Santissima Madre di Dio
«Il Verbo ha assunto da Maria la natura umana»

Dalle «Lettere» di sant'Atanasio, vescovo
(Ad Epitetto 5-9; PG 26, 1058. 1062-1066)

Il Verbo di Dio, come dice l'Apostolo, «della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2, 16. 17) e prendere un corpo simile al nostro.

Gabriele aveva dato l'annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente «colui che nascerà in te», perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma: «da te» (cfr. Lc 1, 35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei.
Il Verbo, assunto in sé ciò che era nostro, lo offrì in sacrificio e lo distrusse con la morte. Poi rivestì noi della sua condizione, secondo quanto dice l'Apostolo: «Bisogna che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità» (cfr. 1 Cor 15, 53).

Tuttavia ciò non è certo un mito, come alcuni vanno dicendo. Lungi da noi un tale pensiero. Il nostro Salvatore fu veramente uomo e da ciò venne la salvezza di tutta l'umanità. In nessuna maniera la nostra salvezza si può dire fittizia. Egli salvò tutto l'uomo, corpo e anima. La salvezza si è realizzata nello stesso Verbo.

Veramente umana era la natura che nacque da Maria, secondo le Scritture, e reale, cioè umano, era il corpo del Signore; vero, perché del tutto identico al nostro; infatti Maria è nostra sorella poiché tutti abbiamo origine in Adamo. […] Sta scritto infatti in Paolo: «Cristo per noi divenne lui stesso maledizione» (cfr. Gal 3, 13). L'uomo in questa intima unione del Verbo ricevette una ricchezza enorme: dalla condizione di mortalità divenne immortale; mentre era legato alla vita fisica, divenne partecipe dello Spirito; anche se fatto di terra, è entrato nel regno del cielo.

Benché il Verbo abbia preso un corpo mortale da Maria, la Trinità è rimasta in se stessa qual era, senza sorta di aggiunte o sottrazioni. E' rimasta assoluta perfezione: Trinità e unica divinità. E così nella Chiesa si proclama un solo Dio nel Padre e nel Verbo.





3 gennaio, memoria del SS. Nome di Gesù

«I due precetti dell'amore»

Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 17,7-9; CCL 36,174-175)

È venuto il Signore, maestro di carità, pieno egli stesso di carità, a ricapitolare la parola sulla terra (cfr. Rm 9, 28), come di lui fu predetto, e ha mostrato che la Legge e i Profeti si fondano sui due precetti dell'amore. Ricordiamo insieme, fratelli, quali sono questi due precetti… Sempre in ogni istante abbiate presente che bisogna amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente; e il prossimo come se stessi (cfr. Mt 22, 37. 39). Questo dovete sempre pensare, meditare e ricordare, praticare e attuare.

L'amore di Dio è il primo come comandamento, ma l'amore del prossimo è primo come attuazione pratica. Colui che ti dà il comando dell'amore in questi due precetti, non ti insegna prima l'amore del prossimo, poi quello di Dio, ma viceversa.
Siccome però Dio tu non lo vedi ancora, amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo; amando il prossimo purifichi l'occhio per poter vedere Dio, come chiaramente afferma Giovanni: «Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi?» (cfr. 1Gv 4,20). Se sentendoti esortare ad amare Dio, tu mi dicessi: «Mostrami colui che devo amare», io non potrei che risponderti con Giovanni: «Nessuno mai vide Dio» (cfr. Gv 1,18). Ma perché tu non ti creda escluso totalmente dalla possibilità di vedere Dio, lo stesso Giovanni dice: «Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio» (1Gv 4,16). Tu dunque ama il prossimo e guardando dentro di te donde nasca quest'amore, vedrai, per quanto ti è possibile, Dio.

Comincia quindi ad amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame, introduci in casa i miseri senza tetto, vesti chi vedi ignudo, e non disprezzare quelli della tua stirpe (cfr. Is 58,7). Facendo questo che cosa otterrai? «Allora la tua luce sorgerà come l'aurora» (Is 58,8). […] Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini.

E dove ti conduce il cammino se non al Signore, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo l'abbiamo sempre con noi. Aiuta, dunque il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a colui con il quale desideri rimanere.





EPIFANIA DEL SIGNORE

Benedetto XVI, Omelia, 6 gennaio 2011

Nella solennità dell’Epifania la Chiesa continua a contemplare e a celebrare il mistero della nascita di Gesù salvatore […]. Facendosi uomo nel grembo di Maria, il Figlio di Dio è venuto non solo per il popolo d’Israele, rappresentato dai pastori di Betlemme, ma anche per l’intera umanità, rappresentata dai Magi. Ed è proprio sui Magi e sul loro cammino alla ricerca del Messia (cfr Mt 2,1-12) che la Chiesa ci invita oggi a meditare e a pregare. […]

Per quegli uomini era logico cercare il nuovo re nel palazzo reale, dove si trovavano i saggi consiglieri di corte. Ma, probabilmente con loro stupore, dovettero costatare che quel neonato non si trovava nei luoghi del potere e della cultura, anche se in quei luoghi venivano offerte loro preziose informazioni su di lui. Si resero conto, invece, che, a volte, il potere, anche quello della conoscenza, sbarra la strada all’incontro con quel Bambino. La stella li guidò allora a Betlemme, una piccola città; li guidò tra i poveri, tra gli umili, per trovare il Re del mondo.

I criteri di Dio sono differenti da quelli degli uomini; Dio non si manifesta nella potenza di questo mondo, ma nell’umiltà del suo amore, quell’amore che chiede alla nostra libertà di essere accolto... Se ci venisse chiesto il nostro parere su come Dio avrebbe dovuto salvare il mondo, forse risponderemmo che avrebbe dovuto manifestare tutto il suo potere per dare al mondo un sistema economico più giusto, in cui ognuno potesse avere tutto ciò che vuole. In realtà, questo sarebbe una sorta di violenza sull’uomo, perché lo priverebbe di elementi fondamentali che lo caratterizzano. Infatti, non sarebbero chiamati in causa né la nostra libertà, né il nostro amore. La potenza di Dio si manifesta in modo del tutto differente: a Betlemme, dove incontriamo l’apparente impotenza del suo amore. Ed è là che noi dobbiamo andare, ed è là che ritroviamo la stella di Dio.

Così ci appare ben chiaro anche un ultimo elemento importante della vicenda dei Magi: il linguaggio del creato ci permette di percorrere un buon tratto di strada verso Dio, ma non ci dona la luce definitiva. Alla fine, per i Magi è stato indispensabile ascoltare la voce delle Sacre Scritture: solo esse potevano indicare loro la via. E’ la Parola di Dio la vera stella, che, nell’incertezza dei discorsi umani, ci offre l’immenso splendore della verità divina. Cari fratelli e sorelle, lasciamoci guidare dalla stella, che è la Parola di Dio… La nostra strada sarà sempre illuminata da una luce che nessun altro segno può darci. E potremo anche noi diventare stelle per gli altri, riflesso di quella luce che Cristo ha fatto risplendere su di noi.





Dai «Discorsi» di san Pietro Crisòlogo, vescovo
(Disc. 160; Pl 52, 620-622)

Benché nel mistero stesso dell'Incarnazione del Signore i segni della sua divinità siano stati sempre chiari, tuttavia la solennità…[dell’Epifania del Signore] ci manifesta e ci svela in molte maniere che Dio è apparso in corpo umano, perché la nostra natura mortale, sempre avvolta nell'oscurità, non perdesse, per ignoranza, ciò che ha meritato di ricevere e possedere per grazia.…

I magi, che lo ricercavano splendente fra le stelle, lo trovano che vagisce nella culla… i magi vedono chiaramente, avvolto in panni, colui che tanto lungamente si accontentarono di contemplare in modo oscuro negli astri… I magi considerano con grande stupore ciò che vedono nel presepio: il cielo calato sulla terra, la terra elevata fino al cielo, l'uomo in Dio, Dio nell'uomo, e colui che il mondo intero non può contenere, racchiuso in un minuscolo corpo.

Vedendo, credono e non discutono e lo proclamano per quello che è con i loro doni simbolici. Con l'incenso lo riconoscono Dio, con l'oro lo accettano quale re, con la mirra esprimono la fede in colui che sarebbe dovuto morire. 
Da questo il pagano, che era ultimo, è diventato primo, perché allora la fede dei gentili fu come inaugurata da quella dei magi.





Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 39 per il Battesimo del Signore, 14-16. 20; PG 36, 350-351. 354. 358-359)

Il battesimo di Gesù

Cristo nel Battesimo si fa luce, entriamo anche noi nel suo splendore; Cristo riceve il battesimo, inabissiamoci con lui per poter con lui salire alla gloria. Giovanni dà il battesimo, Gesù si accosta a lui, forse per santificare colui dal quale viene battezzato nell'acqua, ma anche di certo per seppellire totalmente nelle acque il vecchio uomo. Santifica il Giordano prima di santificare noi e lo santifica per noi… Il Battista non accetta la richiesta, ma Gesù insiste. «Sono io che devo ricevere da te il battesimo» (Mt 3, 14), così dice la lucerna al sole… e, aggiungi pure, «in nome tuo». Sapeva infatti che avrebbe ricevuto il battesimo del martirio o che, come Pietro, sarebbe stato lavato non solo ai piedi.

Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto intero il cosmo. Vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati come il paradiso lo era per la spada fiammeggiante.
E lo Spirito testimonia la divinità del Cristo: si presenta simbolicamente sopra Colui che gli è del tutto uguale. Una voce proviene dalle profondità dei cieli, da quelle stesse profondità dalle quali proveniva Chi in quel momento riceveva la testimonianza.

Lo Spirito appare visibilmente come colomba e, in questo modo, onora anche il corpo divinizzato e quindi Dio. Non va dimenticato che molto tempo prima era stata pure una colomba quella che aveva annunziato la fine del diluvio.

Onoriamo dunque in questo giorno il battesimo di Cristo, e celebriamo come è giusto questa festa. […] Tutto è stato fatto perché voi diveniate come altrettanti soli cioè forza vitale per gli altri uomini… Giungerà a voi, limpidissima e diretta, la luce della Trinità, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio, proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore, al quale vadano gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.





«La forza di amare è in noi stessi»

Dalle «Regole più ampie» di san Basilio il Grande, vescovo
(Risp. 2, 1; PG 31, 908-910)

L'amore di Dio non è un atto imposto all'uomo dall'esterno, ma sorge spontaneo dal cuore come altri beni rispondenti alla nostra natura. Noi non abbiamo imparato da altri né a godere la luce, né a desiderare la vita, né tanto meno ad amare i nostri genitori o i nostri educatori. Così dunque, anzi molto di più, l'amore di Dio non deriva da una disciplina esterna, ma si trova nella stessa costituzione naturale dell'uomo, come un germe e una forza della natura stessa. Lo spirito dell'uomo ha in sé la capacità ed anche il bisogno di amare. […]

Nella stessa nostra costituzione naturale possediamo tale forza di amare anche se non possiamo dimostrarla con argomenti esterni, ma ciascuno di noi può sperimentarla da se stesso e in se stesso. Noi, per istinto naturale, desideriamo tutto ciò che è buono e bello, benché non a tutti sembrino buone e belle le stesse cose. Parimenti sentiamo in noi, anche se in forme inconscie, una speciale disponibilità verso quanti ci sono vicini o per parentela o per convivenza, e spontaneamente abbracciamo con sincero affetto quelli che ci fanno del bene.

Ora che cosa c'è di più ammirabile della divina bellezza? Quale pensiero è più gradito e più soave della magnificenza di Dio? Quale desiderio dell'animo è tanto veemente e forte quanto quello infuso da Dio in un'anima purificata da ogni peccato e che dice con sincero affetto: Io sono ferita dall'amore? (cfr. Ct 2, 5). Ineffabili e inenarrabili sono dunque gli splendori della divina bellezza.





«Tutte le cose per mezzo del Verbo formano un'armonia divina»

Dal «Discorso contro i vescovo pagani» di sant'Atanasio,
(Nn. 42-43; PG 25, 83-87)

Non esiste alcuna creatura, e nulla accade che non sia stato fatto e che non abbia consistenza nel Verbo e per mezzo del Verbo, come insegna san Giovanni: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e nulla è stato fatto senza di lui (cfr. Gv 1, 1).

Come infatti il musicista, con la cetra bene intonata, per mezzo di suoni gravi e acuti, abilmente combinati, crea un'armonia, così la Sapienza di Dio, tenendo nelle sue mani il mondo intero come una cetra, unì le cose dell'etere con quelle della terra e le cose celesti con quelle dell'etere, armonizzò le singole parti con il tutto, e creò con un cenno della sua volontà un solo mondo e un solo ordine del mondo, una vera meraviglia di bellezza. Lo stesso Verbo di Dio, che rimane immobile presso il Padre, muove tutte le cose rispettando la loro propria natura, e il beneplacito del Padre.

Ogni realtà, secondo la propria essenza, ha vita e consistenza in lui, e tutte le cose per mezzo del Verbo costituiscono una divina armonia. Perché poi una cosa tanto sublime possa essere in qualche modo capita, prendiamo l'immagine di un immenso coro. In un coro composto di molti uomini, bambini, donne, vecchi e adolescenti, sotto la direzione di un solo maestro, ciascuno canta secondo la propria costituzione e capacità, l'uomo come uomo, il bambino come bambino, il vecchio come vecchio, l'adolescente come adolescente, tuttavia costituiscono insieme una sola armonia. Altro esempio. La nostra anima muove nello stesso tempo i sensi secondo le peculiarità di ciascuno di essi, così che, alla presenza di qualche cosa, sono mossi tutti simultaneamente, per cui l'occhio vede, l'orecchio ascolta, la mano tocca, il naso odora, la lingua gusta e spesso anche le altre membra del corpo operano, per esempio i piedi camminano. Se consideriamo il mondo in modo intelligente constateremo che nel mondo avviene la stessa cosa.

A un solo cenno della volontà del Verbo di Dio, tutte le cose furono così bene organizzate, che ciascuna opera ciò che le è proprio per natura e tutte insieme si muovono in un ordine perfetto.





Dalle «Conferenze» di san Tommaso d'Aquino
(Conf. 6 sopra il «Credo in Deum»)

Nessun esempio di virtù è assente dalla croce

Fu necessario che il Figlio di Dio soffrisse per noi? Molto, e possiamo parlare di una duplice necessità: come rimedio contro il peccato e come esempio nell'agire.
Fu anzitutto un rimedio, perché è nella passione di Cristo che troviamo rimedio contro tutti i mali in cui possiamo incorrere per i nostri peccati. Ma non minore è l'utilità che ci viene dal suo esempio. La passione di Cristo infatti è sufficiente per orientare tutta la nostra vita. [...]

Se cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Questo ha fatto Cristo sulla croce. E quindi, se egli ha dato la sua vita per noi, non ci deve essere pesante sostenere qualsiasi male per lui.

Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano. Ora Cristo ci ha dato sulla croce l'esempio dell'una e dell'altra cosa. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1 Pt 2, 23) e come un agnello fu condotto alla morte e non apri la sua bocca (cfr. At 8, 32). Grande è dunque la pazienza di Cristo sulla croce: «Corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia» (Eb 12, 2).

Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire.





Dalle «Lettere» di san Giovanni Bosco
"Vergogniamoci di cio' che possa avere in noi l'aria di dominatori"

(Epistolario, Torino, 1959, 4, 202. 294-205. 209)

Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne ad ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l`aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da lui ad essere mansueti ed umili di cuore (Mt 11, 29).

Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in maniera che sembri soffocata del tutto. Non agitazione dell'animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l'avvenire, ed allora voi sarete i veri padri e farete una vera correzione.

In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall'altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita.

Ricordatevi che l'educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l'arte, e non ce ne mette in mano le chiavi.

Studiamoci di farci amare, di insinuare il sentimento del dovere del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori.






Dalla «Lettera ai cristiani di Smirne» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire (Intr.; Capp. 1, 1 -4, 1 Funk 1, 235-237)

Ignazio, detto anche Teoforo, si rivolge alla chiesa di Dio e del diletto Figlio suo Gesù Cristo. [...] Ringrazio Gesù Cristo Dio che vi ha resi così saggi. Ho visto infatti che siete fondati su una fede incrollabile, come se foste inchiodati, carne e spirito, alla croce del Signore Gesù Cristo, e che siete pieni di carità nel sangue di Cristo.

Voi credete fermamente nel Signore nostro Gesù, credete che egli discende veramente «dalla stirpe» di Davide secondo la carne» (Rm 1, 3) ed è figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio; che nacque veramente da una vergine; che fu battezzato da Giovanni per adempiere ogni giustizia (cfr. Mt 3, 15); che fu veramente inchiodato in croce per noi nella carne sotto Ponzio Pilato e il tetrarca Erode. Noi siamo infatti il frutto della sua croce e della sua beata passione. Avete ferma fede inoltre che con la sua risurrezione ha innalzato nei secoli il suo vessillo per riunire i suoi santi e i suoi fedeli, sia Giudei che Gentili, nell'unico corpo della sua Chiesa. Egli ha sofferto la sua passione per noi, perché fossimo salvi; e ha sofferto realmente, come realmente ha risuscitato se stesso.

Io so e credo fermamente che anche dopo la risurrezione egli è nella sua carne. E quando si mostrò a Pietro e ai suoi compagni, disse loro: Toccatemi, palpatemi e vedete che non sono uno spirito senza corpo (cfr. Lc 24, 39). E subito lo toccarono e credettero alla realtà della sua carne e del suo spirito. Per questo disprezzarono la morte e trionfarono di essa. Dopo la sua risurrezione, poi, Cristo mangiò e bevve con loro proprio come un uomo in carne ed ossa, sebbene spiritualmente fosse unito al Padre.

Vi ricordo queste cose, o carissimi, quantunque sappia bene che voi vi gloriate della stessa fede mia.





Dalla Costituzione «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Nn. 35-36)

L'attività umana, come deriva dall'uomo, così è ordinata all'uomo. L'uomo, infatti, quando lavora, non soltanto modifica le cose e la società, ma anche perfeziona se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, è portato a uscire da sé e a superarsi. […] Parimenti tutto ciò che gli uomini compiono allo scopo di conseguire una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un ordine più umano nei rapporti sociali, ha più valore dei progressi in campo tecnico. […]

Secondo il disegno di Dio e la sua volontà l'attività dell'uomo deve corrispondere al vero bene dell'umanità, e permette agli individui, sia in quanto singoli che quali membri della collettività, di coltivare e di attuare la loro integrale vocazione.

Molti nostri contemporanei, però, sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attività umana e religione, venga impedita l'autonomia degli uomini, delle società, delle scienze. Ora se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore.

Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricavano la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l'uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte. Perciò se la ricerca metodica di ogni disciplina procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. 





Comprendere la grazia di Dio

Dal «Commento alla Lettera ai Galati» di sant'Agostino, vescovo
(Introduzione; PL 35, 2105-2107)

L'Apostolo scrive ai Galati perché capiscano che la grazia li ha sottratti dal dominio della Legge. Quando fu predicato loro il Vangelo, non mancarono alcuni venuti dalla circoncisione i quali, benché cristiani, non capivano ancora il dono del Vangelo, e quindi volevano attenersi alle prescrizioni della Legge […]. Noi sappiamo infatti che solo la grazia della fede, operando attraverso la carità, toglie i peccati. Invece i convertiti dal giudaismo pretendevano di porre sotto il peso della Legge i Galati, che si trovavano già nel regime della grazia, e affermavano che ai Galati il Vangelo non sarebbe valso a nulla se non si facevano circoncidere e non si sottoponevano a tutte le prescrizioni formalistiche del rito giudaico. […]

Anche l'apostolo Pietro aveva ceduto alle pressioni di tali persone ed era stato indotto a comportarsi in maniera da far credere che il vangelo non avrebbe giovato nulla ai pagani se non si fossero sottomessi alle imposizioni della Legge. Ma da questa doppia linea di condotta lo distolse lo stesso apostolo Paolo…: «Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro Vangelo» (Gal 1, 6).

Con questo esordio ha voluto fare un riferimento discreto alla controversia. Così nello stesso saluto, proclamandosi apostolo, «non da parte di uomini, né per mezzo di uomo» (Gal 1, 1), - notare che una tale dichiarazione non si trova in nessun'altra lettera - mostra abbastanza chiaramente che quei banditori di idee false non venivano da Dio ma dagli uomini. Non bisognava trattare lui come inferiore agli altri apostoli per quanto riguardava la testimonianza evangelica. Egli sapeva di essere apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre (cfr. Gal 1, 1).





Dal «Breviloquio» di san Bonaventura, vescovo
(Prolog.; Opera omnia 5, 201-202)

«Dalla conoscenza di Gesù Cristo si ha la comprensione di tutta la Sacra Scrittura»

Dal Padre, per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo, discende in noi lo Spirito Santo. Per mezzo dello Spirito Santo poi, che divide e distribuisce i suoi doni ai singoli secondo il suo beneplacito, ci viene data la fede, e per mezzo della fede Cristo abita nei nostri cuori (cfr. Ef 3, 17).

Questa è la conoscenza di Gesù Cristo, da cui hanno origine, come da una fonte, la sicurezza e l'intelligenza della verità, contenuta in tutta la Sacra Scrittura. Perciò è impossibile che uno possa addentrarvisi e conoscerla, se prima non abbia la fede che è lucerna, porta e fondamento di tutta la Sacra Scrittura. […]

Il frutto della Sacra Scrittura non è uno qualsiasi, ma addirittura la pienezza della felicità eterna. […] Per ottenere tale frutto, per raggiungere questa meta sotto la retta guida della Scrittura, bisogna incominciare dal principio. Ossia accostarsi con fede semplice al Padre della luce e pregare con cuore umile, perché egli, per mezzo del Figlio e nello Spirito Santo, ci conceda la vera conoscenza di Gesù Cristo e, con la conoscenza, anche l'amore. Conoscendolo ed amandolo, e saldamente fondati e radicati nella carità, potremo sperimentare la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità (cfr. Ef 3, 18) della stessa Sacra Scrittura.

Potremo così giungere alla perfetta conoscenza e all'amore smisurato della beatissima Trinità, a cui tendono i desideri dei santi e in cui c'è l'attuazione e il compimento di ogni verità e bontà.





Benedetto XVI, Omelia, Prairie, Lourdes, Domenica, 14 settembre 2008

È significativo che, al momento della prima apparizione a Bernadette, Maria introduca il suo incontro col segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza. […]

Proseguendo nella sua catechesi la “bella Signora” rivela il suo nome a Bernadette: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Maria le rivela così la grazia straordinaria che ha ricevuto da Dio, quella di essere stata concepita senza peccato, perché “ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,48). Maria è questa donna della nostra terra che s’è rimessa interamente a Dio e ha ricevuto da Lui il privilegio di dare la vita umana al suo eterno Figlio. “Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). […]

Questo privilegio riguarda anche noi, perché ci svela la nostra dignità di uomini e di donne, segnati certo dal peccato, ma salvati nella speranza, una speranza che ci consente di affrontare la nostra vita quotidiana. E’ la strada che Maria apre anche all’uomo. Rimettersi completamente a Dio è trovare il cammino della libertà vera. Perché volgendosi a Dio, l’uomo diventa se stesso. Ritrova la sua vocazione originaria di persona creata a sua immagine e somiglianza. 







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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