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Magistero Cattolico in pillole, a piccole dosi ma indispensabile... (4)

Ultimo Aggiornamento: 12/12/2016 18:02
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09/05/2015 15:20
 
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Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. per il Natale del Signore, 7, 2. 6; PL 54, 217-218. 220-221)

Conosci la dignità della tua natura

Nostro Signore Gesù Cristo, nascendo vero uomo, senza cessare mai di essere vero Dio, diede inizio, in se stesso, ad una nuova creazione e, con questa nascita, comunicò al genere umano un principio spirituale. Quale mente potrebbe comprendere questo mistero, o quale lingua potrebbe esprimere questa grazia? L'umanità peccatrice ritrova l'innocenza, l'umanità invecchiata nel male riacquista una nuova vita; gli estranei ricevono l'adozione e degli stranieri entrano in possesso dell'eredità.

Dèstati, o uomo, e riconosci la dignità della tua natura! Ricordati che sei stato creato ad immagine di Dio… Se noi infatti siamo tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in noi, vale molto più quello che ciascun fedele porta nel suo cuore, di quanto può ammirare nel cielo.





Benedetto XVI, Omelia, Mercoledì delle Ceneri, 13 febbraio 2013

Oggi, Mercoledì delle Ceneri, iniziamo un nuovo cammino quaresimale, un cammino che si snoda per quaranta giorni e ci conduce alla gioia della Pasqua del Signore, alla vittoria della Vita sulla morte. [...]

Le Letture che sono state proclamate ci offrono spunti che, con la grazia di Dio, siamo chiamati a far diventare atteggiamenti e comportamenti concreti in questa Quaresima. La Chiesa ci ripropone, anzitutto, il forte richiamo che il profeta Gioele rivolge al popolo di Israele: «Così dice il Signore: ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti» (2,12). Va sottolineata l’espressione «con tutto il cuore», che significa dal centro dei nostri pensieri e sentimenti, dalle radici delle nostre decisioni, scelte e azioni, con un gesto di totale e radicale libertà. Ma è possibile questo ritorno a Dio? Sì, perché c’è una forza che non risiede nel nostro cuore, ma che si sprigiona dal cuore stesso di Dio. E’ la forza della sua misericordia. [...]

Nella pagina del Vangelo di Matteo, che appartiene al cosiddetto Discorso della montagna, Gesù fa riferimento a tre pratiche fondamentali previste dalla Legge mosaica: l’elemosina, la preghiera e il digiuno; sono anche indicazioni tradizionali nel cammino quaresimale per rispondere all’invito di «ritornare a Dio con tutto il cuore». Ma Gesù sottolinea come sia la qualità e la verità del rapporto con Dio ciò che qualifica l’autenticità di ogni gesto religioso. Per questo Egli denuncia l’ipocrisia religiosa, il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione. Il vero discepolo non serve se stesso o il “pubblico”, ma il suo Signore, nella semplicità e nella generosità: «E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,4.6.18). La nostra testimonianza allora sarà sempre più incisiva quanto meno cercheremo la nostra gloria e saremo consapevoli che la ricompensa del giusto è Dio stesso, l’essere uniti a Lui, quaggiù, nel cammino della fede, e, al termine della vita, nella pace e nella luce dell’incontro faccia a faccia con Lui per sempre (cfr 1 Cor 13,12).






«La preghiera deve fiorire continuamente, deve procedere dal cuore»

Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 6 sulla preghiera; PG 64,462-466)

La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È infatti, una comunione intima con Dio. [...] Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.

Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall'amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell'universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.





«Perdonate, perché anche a voi sia perdonato»

Dalla Lettera ai Corinzi di san Clemente I, papa 
(Cap. 7, 4-8, 3; 8, 5-9, 1; 13, 1-4; 19, 2; Funk 1, 71-73. 77-78, 87)

Teniamo fissi gli occhi sul sangue di Cristo, per comprendere quanto sia prezioso davanti a Dio suo Padre: fu versato per la nostra salvezza e portò al mondo intero la grazia della penitenza. […]

Ricordiamo soprattutto le parole del Signore Gesù quando esortava alla mitezza e alla pazienza: Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate, perché anche a voi sia perdonato; come trattate gli altri, così sarete trattati anche voi; donate e sarete ricambiati; non giudicate, e non sarete giudicati; siate benevoli, e sperimenterete la benevolenza; con la medesima misura con cui avrete misurato gli altri, sarete misurati anche voi (cfr. Mt 5, 7; 6, 14; 7, 1. 2. 12 ecc.).

Stiamo saldi in questa linea e aderiamo a questi comandamenti. Camminiamo sempre con tutta umiltà nell'obbedienza alle sante parole. Dice infatti un testo sacro: Su chi si posa il mio sguardo se non su chi è umile e pacifico e teme le mie parole? (cfr. Is 66, 2).
Perciò avendo vissuto grandi e illustri eventi corriamo verso la meta della pace, preparata per noi fin da principio. Fissiamo fermamente lo sguardo sul Padre e Creatore di tutto il mondo, e aspiriamo vivamente ai suoi doni meravigliosi e ai suoi benefici incomparabili.





La sacra purificazione per mezzo del digiuno e della misericordia

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa 
(Disc. 6 sulla Quaresima, 1,2; PL 54,285-287)

Sempre, fratelli carissimi, «della grazia del Signore è piena la terra» (Sal 33, 5).[…] Ma ora ci viene chiesto un completo rinnovamento dello spirito: sono i giorni dei misteri della redenzione umana e che precedono più da vicino le feste pasquali. È caratteristica infatti della festa di Pasqua, che la Chiesa tutta goda e si rallegri per il perdono dei peccati. [...] E poiché nel cammino della perfezione non c'è nessuno che non debba migliorare, dobbiamo tutti, senza eccezione, sforzarci perché nessuno nel giorno della redenzione si trovi ancora invischiato nei vizi dell'uomo vecchio.

Quanto ciascun cristiano è tenuto a fare in ogni tempo, deve ora praticarlo con maggior sollecitudine e devozione, perché si adempia la norma apostolica del digiuno quaresimale consistente nell'astinenza non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati. 
A questi doverosi e santi digiuni, poi, nessuna opera si può associare più utilmente dell'elemosina, la quale sotto il nome unico di «misericordia» abbraccia molte opere buone. In ciò i fedeli possono trovarsi uguali, nonostante le disuguaglianze dei beni. 





«Imitiamo l'esempio del buon Pastore»

Dalle «Omelie» di sant'Astèrio di Amasea, vescovo
(Om. 13: PG 40, 355-358. 362)

Poiché il modello, ad immagine del quale siete tati fatti, è Dio, procurate di imitare il suo esempio. Siete cristiani, e col vostro stesso nome dichiaratela vostra dignità umana, perciò siate imitatori dell'amore di Cristo che si fece uomo.

Considerate le ricchezze della sua bontà. Egli, quando stava per venire tra gli uomini mediante l'incarnazione mandò avanti Giovanni, araldo e maestro di penitenza e, prima di Giovanni, tutti i profeti, perché insegnassero agli uomini a ravvedersi, a ritornare sulla via giusta e a convertirsi a una vita migliore.

Poco dopo, quando venne egli stesso, proclamò di persona e con la propria bocca: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi e io vi ristorerò», (Mt 11, 28). Perciò a coloro che ascoltarono la sua parola, concesse un pronto perdono dei peccati e li liberò da quanto li angustiava. Il Verbo li santificò, lo Spirito li rese saldi l'uomo vecchio venne sepolto nell'acqua, e fu generato l'uomo nuovo, che fiorì nella grazia.

Dopo che cosa seguì? Colui che era stato nemico diventò amico, l'estraneo diventò figlio, l'empio diventò santo e pio. Imitiamo l'esempio che ci ha dato il Signore, il buon Pastore. Contempliamo i Vangeli e, ammirando il modello di premura e di bontà in essi rispecchiato, cerchiamo di assimilarlo bene.





Dal trattato «Sulla fuga dal mondo» di sant'Ambrogio, vescovo
(Cap. 6, 36; 7, 44; 8, 45; 9, 52; CSEL 32, 192. 198-199. 204

Dov'è il cuore dell'uomo ivi è anche il suo tesoro. Infatti il Signore non suole negare il buon dono a quanti lo pregano. Pertanto, poiché il Signore è buono e lo è soprattutto per quelli che lo aspettano pazientemente, aderiamo a lui, stiamo con lui con tutta la nostra anima con tutto il cuore, con tutta la forza, per restare nella sua luce, vedere la sua gloria e godere della grazia della felicità suprema. […]

Fuggiamo di qui. Anche se sei trattenuto dal corpo, puoi fuggire con l'anima, puoi essere qui e rimanere presso il Signore se la tua anima aderisce a lui, se cammini dietro a lui con i tuoi pensieri, se segui le sue vie nella fede, non nella visione, se ti rifugi in lui; perché è rifugio e fortezza colui al quale Davide dice: «In te mi sono rifugiato e non mi sono ingannato» (Sal 76, 3).





«Gesù le diceva questo, perché non dovesse più faticare».

Dai «Trattati su Giovanni» di Sant'Agostino, vescovo
(Trattato 15,10-12.16-17; CCL 36,154-156)

«Venne una donna di Samaria ad attingere acqua». […] «Gesù le disse: Dammi da bere. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la samaritana gli disse: Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana? I giudei infatti non mantengono buone relazioni con i samaritani» (Gv 4,7-9). […] Colui però che domandava da bere aveva sete della fede della samaritana.

«Gesù le rispose: se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice: Dammi da bere, forse tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10). Domanda da bere e promette di dissetare. È bisognoso come uno che aspetta di ricevere, e abbonda come chi è in grado di saziare. «Se conoscessi, dice il dono di Dio». Il dono di Dio è lo Spirito Santo. Ma Gesù parla alla donna in maniera ancora velata, e a poco a poco si apre una via al cuore di lei. […]

La donna gli dice: «Signore dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4,15). Il bisogno la costringeva alla fatica, ma la sua debolezza non vi si adattava volentieri. Oh! se avesse sentito: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò»! (Mt 11,28). Infatti Gesù le diceva questo, perché non dovesse più faticare.





«Dio, il quale per mezzo del Verbo e della sapienza guarisce e dà la vita»

Dal «Libro ad Autolico» di san Teofilo di Antiochia, vescovo
(Lib. I, 2. 7; PG 6, 1026-1027. 1035)

Se dici: Fammi vedere il tuo Dio io ti dirò: Fammi vedere l'uomo che è in te, e io ti mostrerò il mio Dio. Fammi vedere quindi se gli occhi della tua anima vedono e le orecchie del tuo cuore ascoltano. […]

Dio, infatti, viene visto da coloro che lo possono vedere, cioè da quelli che hanno gli occhi. Ma alcuni li hanno annebbiati e non vedono la luce del sole. Tuttavia per il fatto che i ciechi non vedono, non si può concludere che la luce del sole non brilla. Giustamente perciò essi attribuiscono la loro oscurità a se stessi e ai loro occhi.

Tu hai gli occhi della tua anima annebbiati per i tuoi peccati e le tue cattive azioni. […] Queste cose ti ottenebrano, come se le tue pupille avessero un diaframma che impedisse loro di fissarsi sul sole. Ma se vuoi, puoi essere guarito. Affidati al medico ed egli opererà gli occhi della tua anima e del tuo cuore. Chi è questo medico? È Dio, il quale per mezzo del Verbo e della sapienza guarisce e dà la vita. […] Se capisci queste cose, o uomo, e se vivi in purezza, santità e giustizia, puoi vedere Dio. Ma prima di tutto vadano innanzi nel tuo cuore la fede e il timore di Dio e allora comprenderai tutto questo.





«Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno»

Dal «Commento al libro di Giobbe» di san Gregorio Magno, papa
(Lib. 13, 21-23; PL 75, 1028-1029)

Cristo soffrì la passione e sopportò il tormento della croce per la nostra redenzione, sebbene non avesse commesso violenza con le sue mani, né peccato, e neppure vi fosse inganno sulla sua bocca. Egli solo fra tutti levò pura la sua preghiera a Dio, perché anche nello strazio della passione pregò per i persecutori, dicendo: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34).

Che cosa si può dire, che cosa si può immaginare di più puro della propria misericordiosa intercessione in favore di coloro che ci fanno soffrire? Avvenne perciò che il sangue del nostro Redentore, versato con crudeltà dai persecutori, fu poi da loro assunto con fede e il Cristo fu da essi annunziato quale Figlio di Dio. […]

Ora del sangue di Abele è stato detto: «La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo» (Gn 4, 10). Ma il sangue di Gesù è più eloquente di quello di Abele, perché il sangue di Abele domandava la morte del fratricida, mentre il sangue del Signore impetrò la vita ai persecutori.





«Rivestendosi della nostra carne, è diventato la via»

Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 34, 8-9; CCL 36, 315-316)

Godremo della verità, quando la vedremo faccia a faccia, perché anche questo ci viene promesso… l'apostolo Giovanni nella sua lettera scrive: «Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). Questa è la grande promessa.

Se lo ami, seguilo. Tu dici: Lo amo, ma per quale via devo seguirlo? […] Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: «Io sono», disse «la via»! La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita... «Io sono la via, Io sono la verità, Io sono la vita». Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via.

Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita; non ti vien detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina! […] Tu replichi: Sì, ho i piedi sani, ma non vedo la strada. Ebbene, sappi che egli ha illuminato perfino i ciechi.





Festa di San Giuseppe, Sposo della B.V. Maria, Patrono della Chiesa Universale

Papa Francesco, Omelia, 19 marzo 2013

«Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa. […]

Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l'amore ogni momento.

In lui… vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire…è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. […]

Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!





«Se seguiremo Cristo potremo sentirci già ora negli atri della Gerusalemme celeste»

Dalle «Lettere pasquali» di sant'Atanasio, vescovo
(Lett. 14, 1-2; PG 26, 1419-1420)

Il Verbo, Cristo Signore, datosi a noi interamente ci fa dono della sua visita… Egli è pastore, sommo sacerdote, via e porta e come tale si rende presente nella celebrazione della solennità. […]

Un tempo era il sangue dei capri e la cenere di un vitello ad aspergere quanti erano immondi. Serviva però solo a purificare il corpo. Ora invece, per la grazia del Verbo di Dio, ognuno viene purificato in modo completo nello spirito.

Se seguiremo Cristo potremo sentirci già ora negli atri della Gerusalemme celeste e anticipare e pregustare anche la festa eterna. Così fecero gli apostoli, costituiti maestri della grazia per i loro coetanei ed anche per noi. Essi non fecero che seguire il Salvatore: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19, 27).

Seguiamo anche noi il Signore, cioè imitiamolo, e così avremo trovato il modo di celebrare la festa...non solo con le parole, ma anche con le opere.





«Dio da invisibile scelse di rendersi visibile nella nostra natura »

Dalle «Lettere» di san Leone Magno, papa
(Lett. 28 a Flaviano, 3-4; Pl. 54,763-767)

Vera, integra e perfetta fu la natura nella quale è nato Dio… In lui c'è tutto della sua divinità e tutto della nostra umanità. Per nostra natura intendiamo quella creata da Dio al principio e assunta dal Verbo per essere redenta. […] Sublimò l'umanità, ma non sminuì la divinità. Il suo annientamento rese visibile l'invisibile e mortale il creatore e il signore di tutte le cose. Ma il suo fu piuttosto un abbassarsi misericordioso, non la perdita di onnipotenza. […]

Il Figlio di Dio fece dunque il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scese dal suo trono celeste, senza lasciare la gloria del Padre. […] Entrò in una condizione nuova: da invisibile scelse di rendersi visibile nella nostra natura; infinito, si lasciò circoscrivere; esistente prima di tutti i tempi, cominciò a vivere nel tempo; Signore dell'universo, nascose la sua gloria infinita e assunse la natura di servo. Incapace di soffrire, in quanto Dio, non rifiutò di essere uomo capace di soffrire. Immortale, scelse di essere soggetto alle leggi della morte.

Colui che è vero Dio, è anche vero uomo. Non vi è nulla di fittizio in questa unità, in quanto l'umiltà della natura umana e la sublimità della natura divina coesistono in mutua relazione.

Così come Dio non subisce mutazione per la sua misericordia, così l'uomo non viene alterato per la dignità ricevuta. Ognuna delle nature opera in comunione con l'altra... Il Verbo opera ciò che spetta al Verbo, e l'umanità esegue ciò che è proprio della umanità. 
La prima di queste nature risplende per i miracoli che compie, l'altra soggiace agli oltraggi che subisce. E, come il Verbo non perde quella gloria che possiede in tutto uguale al Padre, così l'umanità non abbandona la natura propria della specie.

Non ci stancheremo di ripeterlo: L'unico e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente figlio dell'uomo. È Dio, perché «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1). È uomo, perché: «il Verbo si fece carnee venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).





«Cristo è al tempo stesso sacerdote, sacrificio, Dio e tempio»

Dal trattato «Sulla fede: a Pietro» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo.
(Cap. 22, 62; CCL 91a, 726. 750-751)

Nei sacrifici delle vittime materiali, che la stessa santissima Trinità, solo vero Dio del Nuovo e Vecchio Testamento, comandava venissero offerti dai nostri padri, veniva prefigurato il graditissimo dono di quel sacrificio con cui l'unico Figlio di Dio avrebbe offerto misericordiosamente se stesso per noi.

Egli, infatti, secondo l'insegnamento dell'Apostolo «ha dato se stesso per noi offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5, 2). Egli è vero Dio e vero pontefice, che è entrato per noi nel santuario non con il sangue di tori e di capri ma con il suo sangue. E questo stava a significare allora quel pontefice che ogni anno entrava nel Santo dei santi con il sangue delle vittime.

Questi è dunque colui che in sé solo offrì tutto quello che sapeva essere necessario per il compimento della nostra redenzione, egli che è al tempo stesso sacerdote, sacrificio, Dio e tempio: sacerdote, per mezzo del quale siamo riconciliati, sacrificio che ci riconcilia, Dio a cui siamo riconciliati, tempio in cui siamo riconciliati.





«È disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù»

Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 9 sulle Palme; PG 97, 990-994)

Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Betània e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza.

Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. È disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare» (Ef 1, 21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà.

Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d'olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere.





«Lasciamoci riconciliare con Dio»

Papa Francesco, Omelia, 18 febbraio 2015

Cari fratelli e sorelle, il Signore non si stanca mai di avere misericordia di noi, e vuole offrirci ancora una volta il suo perdono - tutti ne abbiamo bisogno - , invitandoci a tornare a Lui con un cuore nuovo, purificato dal male, purificato dalle lacrime, per prendere parte alla sua gioia. Come accogliere questo invito? Ce lo suggerisce san Paolo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor5,20).

Questo sforzo di conversione non è soltanto un’opera umana, è lasciarsi riconciliare. La riconciliazione tra noi e Dio è possibile grazie alla misericordia del Padre che, per amore verso di noi, non ha esitato a sacrificare il suo Figlio unigenito. Infatti il Cristo, che era giusto e senza peccato, per noi fu fatto peccato (v. 21) quando sulla croce fu caricato dei nostri peccati, e così ci ha riscattati e giustificati davanti a Dio. «In Lui» noi possiamo diventare giusti, in Lui possiamo cambiare, se accogliamo la grazia di Dio e non lasciamo passare invano questo «momento favorevole» (6,2).

Per favore, fermiamoci, fermiamoci un po’ e lasciamoci riconciliare con Dio. […] L’invito alla conversione è una spinta a tornare, come fece il figlio della parabola, tra le braccia di Dio, Padre tenero e misericordioso, a piangere in quell’abbraccio, a fidarsi di Lui e ad affidarsi a Lui.







[Modificato da Caterina63 16/05/2015 12:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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