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Magistero Cattolico in pillole, a piccole dosi ma indispensabile... (4)

Ultimo Aggiornamento: 12/12/2016 18:02
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21/04/2016 12:18
 
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DOSTOEVSKIJ/6
Dostoevskij
 

Il contenuto delle profezie di Dostoevskij è la certezza che «nel deserto della solitudine umana Cristo mai abbandonerà l’uomo». Dice Evdokimov: «Ci basterà dire che egli è attuale, che lo è oggi e che lo sarà domani di più, perché è un fenomeno escatologico del nostro tempo»

di Giovanni Moleri

Spesso si è detto a proposito di Dostoevskij che fu un profeta, più precisamente il profeta dei nostri tempi. Ancor più, di lui dice Evdokimov: «A che cosa ci servirebbe definire Dostoevskij? Ci basterà dire che egli è attuale, che lo è oggi e che lo sarà domani di più, perché è un fenomeno escatologico del nostro tempo, un commentario vivente dell'Apocalisse».

Il contenuto delle sue profezie è la certezza che «nel deserto della solitudine umana Cristo mai abbandonerà l’uomo». All’uomo che urla la sua angoscia del non senso, al disadattato che non trova ragioni esistenziali, all’uomo morto perché vuoto, Dostoevskij lancia la sua risposta, la sua sfida a quel mondo che apparentemente sta andando alla deriva, verso la sua fine. Il suo grido si alza ancora contro il desiderio umano dell’autodistruzione, dello scetticismo, dell’immanentismo, della noia demoniaca, che toglie vigore al rinnovamento e che sembra condurci nell’immobilità di una vita stanca e delusa della stessa esistenza. 

Dostoevskij parla con parole da innamorato, con le parole di colui che ha cercato di sedurre e di farsi sedurre dalla sua amata, parla con voce piena di emozione e di anelito al suo Dio, a quel Dio che non ha badato neppure alla sua vita per riabbracciare, nelle braccia tese della croce, la sua creatura. In quest’atto di abbandono all’umana stupidità, da parte di Dio, Dostoevskij ritrova e contempla quella bellezza di sé stesso e di tutti gli uomini, e del creato, perché ora anche lui guarda con gli stessi occhi del Risorto.

Mi piace così concludere con le parole di un maestro, Pavel Evdokimov, un uomo che ha cercato di contemplare la bellezza di Dio, contemplando quella dell’uomo; un uomo che per sensibilità si è stretto nell’intuizione e nella conoscenza che fu di Dostoevskji e che, parlando di lui, così scrive:

«… Non è l’esistenza di Dio che tormenta Dostoevskji bensì la sua Sapienza e i rapporti tra Dio e l’uomo: la coesistenza e l’interazione di Dio e dell’uomo nella storia. In definitiva è l’uomo, sono le sue origini, la sua radice celeste, a costituire l’unico tormento della sua anima. Nella cerchia dei rivoluzionari che hanno liquidato Dio, un vecchio ufficiale tentenna e dice: - Se Dio non esiste sono ancora capitano?. È a lui che Mitia risponde: - Viva Dio e la sua gioia divina. Sapere che Dio esiste, è già tutta la vita … io vincerò tutte le sofferenze per dire e ridire ad ogni istante: io sono, io esisto … . L’uomo è attaccato alla sorgente trascendente del suo essere, come l’amore di Dio alla croce. 
Gli occhi di Dostoevskij sono coperti da una mano, ma essa è forata, e gli occhi vedono attraverso i fori. Egli scorge il mondo attraverso la mano del Cristo crocefisso, ed è già il mondo visto alla luce del Risorto. La fede, per questo tipo di uomo non può essere credenza, abitudine, certezza, essa è sempre una lotta accanita, una follia, un’angoscia, un’estasi, una violenza dello spirito che si impadronisce dell’evidenza e che, infine, vinto, fa sgorgare questo grido di gioia (l'inno di San Giovanni Climako):  
Il tuo amore ha ferito la mia anima ed essa non può sopportare le sue fiamme; io avanzo cantando le tue lodi. 

È dunque facile capire che Dostoevskij … turba e non cessa di turbare le anime troppo impiantate nella comodità della tradizione o del conformismo. Egli parla della spiritualità di domani e della realtà dei tempi preapocalittici … non si può vivere secondo l’Apocalisse. Neppure si può vivere secondo Dostoevskij. Ma nessuna lettura della storia o dell’esistenza umana è illuminante al di fuori della sua visione. Egli getta nel mondo quel sale di cui parla il Vangelo e senza il quale tutto è insipido; egli suscita la Bellezza senza cui non ci sarebbe niente da fare su questa terra. La sua fede introduce Dio nell’anima, come il roveto ardente vi ha posto le radici. 

Dostoevskij ha cercato con passione, per tutta la vita, di decifrare l’uomo e, alla fine, ha saputo leggere in lui il nome di Cristo. Come San Giovanni Battista il violento, egli è sceso agli inferi e vi ha incontrato il Cristo e, come lui, ha indicato l’Agnello, sole immobile dell’amore. Con la croce, nella croce, egli ha afferrato la scala di Giobbe lungo la quale scendono incontro all’uomo gli angeli ed il Signore degli angeli. Ha disegnato l’icona della filantropia divina, ha disegnato il sorriso del padre. Tutto il mistero del Dio cristiano è racchiuso in questo sorriso e Dostoevskij ci fa capire che noi avremo tutta l’eternità per contemplare questo sorriso, sempre nuovo come il mattino del primo giorno della creazione … le ultime parole de I fratelli Karamazov con la quale lo scrittore si congeda da noi dicono, con la semplicità dei fanciulli, del regno: "Senza dubbio resusciteremo, senza dubbio ci rivedremo e con gioia, con allegrezza ci racconteremo tutto ciò che è stato”». 

 - VIDEO: L'ALBA DELL'OTTAVO GIORNO

 

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- DOSTOEVSKIJ/5   Contemplare l'uomo per scoprire il Mistero

 






Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva.
“Ma chi l’ha detto che ognuno deve portare la sua croce? Possibile che non esista un mezzo per evitarla? Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!”.

Il Buon Dio gli rispose con un sogno.

Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione. Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l’altro.
Anche lui era nell’interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale. Dopo un po’ si accorse che la sua croce era troppo lunga, per questo faceva tanta fatica ad avanzare.
“Sarebbe sufficiente accorciarla un po’ e tribolerei molto meno”, si disse.

Si sedette su un paracarro e, con un taglio deciso, accorciò d’un bel pezzo la sua croce. Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più spedito e leggero. E senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione degli uomini.

Era un burrone: una larga ferita nel terreno, oltre la quale però incominciava la “terra della felicità eterna”. Era una visione incantevole quella che si vedeva dall’altra parte del burrone.
Ma non c’erano ponti, né passerelle per attraversare.

Eppure gli uomini passavano con facilità.

Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l’appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra.
Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini del precipizio.
Passavano tutti. Ma non lui. Aveva accorciato la sua croce e ora essa era troppo corta e non arrivava dall’altra parte del baratro.
Si mise a piangere e a disperarsi: “Ah, se l’avessi saputo…”.

Ma, ormai, era troppo tardi e lamentarsi non serviva a niente.






CRISTO NON CI HA DETTO DI SPOSARE IL MONDO.
MA DI BATTEZZARLO.

Contestato a sua volta per queste affermazioni, Augusto del Noce ci tornava sopra, ostinato: «Il Cristo non ci ha detto di sposare il mondo, bensì di battezzarlo. La Chiesa ha il dovere di rispondere ai bisogni dell'uomo moderno ma senza diventare modernista, senza accettarne gli schemi interpretativi». Ripeteva: «Il neo illuminismo borghese - del quale anche gli ex comunisti sono una parte - ragiona in termini di"modernizzazione" e di "arretratezza".
Per esso, ciò che più è "arretrato" è la morale cattolica tradizionale, le sue prospettive sulla vita, la sessualità, la famiglia. Il permissivismo, la rivoluzione sessuale, la tolleranza per la pornografia sono momenti essenziali per liberarsi della Chiesa e, dunque, per "modernizzare" la società. Ed è drammatico che anche tanti cattolici giudichino "arretratezza" la disperata difesa papale dei fondamenti etici del cristianesimo"

* tratto da: Vittorio MESSORI, Pensare la storia

 


"Secondo le tradizioni giuridiche rabbiniche, un atto ripetuto tre volte diventa chazaqà, una consuetudine fissa"







"CONSIGLI" DI S.CATERINA AI POLITICI

- Fr. Giovanni Calcara OP - 

In un contesto socio politico in cui molti, ed indistintamente, fanno "proclami" per rivendicare primogeniture di autenticità e di fedeltà agli ideali cristiani, che poi è difficile vedere mettere in pratica, vale la pena richiamare un aspetto fondamentale dell'attività apostolica di Santa Caterina da Siena (1347-1380), che riguarda proprio la sua attività, volta ad evangelizzare la politica del suo tempo. Il suo valore rimane di estrema attualità per tutti coloro che sono già impegnati, o che sono disposti ad assumere l'impegno, nell'amministrare e promuovere il Bene Comune. La senese, Dottore della Chiesa, Patrona d'Italia (e dal I ° ottobre 1999) Patrona d'Europa, rimane un richiamo per tutti. Laica e donna del suo tempo, ha lottato tenacemente contro ogni pregiudizio e violenza, in un'opera di instancabile pacificazione tra le città italiane e gli stati europei. Offrì la sua vita per la riforma e l'unità della Chiesa, riuscendo grazie alla sua tenacia a portare a Roma la sede del papato, ponendo fine alta "cattività" avignonese.

È significativo considerare che Caterina da Siena è una mistica, la cui forza interiore riesce a darle una instancabile attività apostolica, che ha influito in maniera condizionante nella sua epoca storica. Questo per ricordarci, come da più parti viene sottolineato, di come sia necessario fondare il sociale e il politico, non solo sulla Dottrina Sociale della Chiesa, ma sulla spiritualizzazione e l'interiorizzazione della vita personale di chi, vuole porsi al servizio del Bene Comune. È la conversione del cuore la vera base, su cui innestare l'agire illuminato dalla morale, perché tutto sia posto al servizio dell'uomo e della sua crescita integrale.

In questa radicale crisi di valori, non è certo pensabile che delle semplici riforme di "struttura" possano consentire il recupero di una convivenza onesta e solidale. Ecco quindi alcune "massime politiche", tratte dalle sue Lettere, e che anche oggi possono orientare l'impegno sociale degli uomini in ogni epoca, dato che la parola di Caterina non è una ideologia, ma una parola di verità, essendo stata proclamata Dottore della Chiesa.

LA CITTÀ TERRENA non è un possesso di chi l'amministra, essa è una "città prestata". "Colui che signoreggia sé, la possederà con timore santo, con amore ordinato e non disordinato; come prestata e non come cosa sua... altro rimedio non hanno gli uomini del mondo a volere conservare lo stato spirituale e temporale, se non di vivere virtuosamente..." (Lettera 123).

La personalità dell'uomo deve avere un FONDAMENTO che gli consenta di orientarsi nella vita e di agire da uomo: "Pensa che sempre a cercare il fondamento di dura maggiore fatica: fatto il fondamento, agevolmente si fa l'edificio..." (L. 195). 

Ora tale fondamento è fatto solo nella carità di Dio e del prossimo: tutti gli altri esercizi sono strumenti e edifizi posti sopra questo fondamento" (L.316). 

Tuttavia, non ogni amore è fondamento, lo è solo quello che S.Agostino aveva chiamato "ordinato", cioè che supera la tentazione di credere solo alle cose che passano o che sono create come noi, perché "le cose create sensibili non possono saziare l'uomo, perché sono minori all'uomo" (L.67).

Ma la vita è milizia e lo stesso fondamento si logora e si indebolisce. Bisogna, dunque, restaurarlo e raffozzarlo e rafforzarlo ogni giorno, in un esercizio che dura tutta la vita.
UN GRANDE NEMICO: L'AMOR PROPRIO. 

L'amor proprio, cioè l'amore sensitivo per sé medesimo, avvelena l'anima e la rende incapace di tendere al vero bene. Caterina esprime, con accenti che ricordano il dramma delle due città di S.Agostino, la lotta tra questi due "amori": "Se l'animo nostro non è spogliato di ogni amore proprio e piacere di sé al mondo, non può mai pervenire al vero e perfetto legame di carità. Infatti l'uno è intralcio all'altro: è tanto è contrario, che l'amore proprio ti separa da Dio e dal prossimo; e quello ti unisce: questo ti da morte, e quello vita, questo tenebre e quello lume; questo guerra, e quello pace; questo ti stringe il cuore, che non vi trova più posto né tu né il tuo prossimo; e la divina carità lo dilata, ricevendo in sé amici, e ogni creatura che ha in sé ragione" (L.7).


VIRILITÀ' DEL POLITICO. Può far politica solo chi è adulto e non fanciullo, solo chi è sveglio e non addormentato. Il richiamo di Caterina alla "virilità" dell'uomo in genere e, soprattutto, del politico è una costante delle sue lettere (una virtù, la virilità, che non è caratteristica del maschio, ma di ogni uomo "forte" (vir deriva dalla stessa radice di virtus), tanto che la Santa la richiede anche alle donne.

CORAGGIO DEL POLITICO. Una virtù necessaria del politico è iI coraggio, che lo induce ad impegnarsi per la verità e per il bene. Il coraggio è il contrario del "timore servile", che produce il "sonno della negligenza" evitare la prova, rimandare la decisione, tollerare il male: "Il timore servile impedisce e avvilisce il cuore, e non lascia vivere né adoperare come a uomo ragionevole, ma come animale sena veruna ragione..." (L.123).

Ne viene fuori un vero identikit dell'uomo che dopo aver fatto sintesi della vita personale con quella pubblica sarà, solo allora, in grado di poter vivere la politica, come affermava Paolo VI "come la più alta forma di carità cristiana". La coerenza tra fede e vita, impegno sociale e lotta per i diritti della persona sono inseparabili, la credibilità di ogni "aggregazione sociale o politica" si gioca proprio in questi termini che, per Santa Caterina, sono irrinunciabili per poter vivere ogni tipo di impegno, come missione.

(da: Famiglia Domenicana n.2, marzo/maggio 2003)





[Modificato da Caterina63 06/08/2016 23:42]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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