Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

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ATTENZIONE Interpretare e trasmettere non sono la stessa cosa

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2014 09:30
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  INTERPRETARE E TRASMETTERE NON SONO LA STESSA COSA




La missione del discepolo di Cristo non è interpretare l’insegnamento del suo Maestro, ma metterlo in pratica in pienezza. Come Maria Santissima ricevette per puro dono divino la Parola-Verbo affinchè potesse essere incarnata e dunque nascere in mezzo a noi, così anche noi siamo nella medesima situazione: incarnare la Parola ricevuta, e non metterla in discussione. Per questo diciamo che il "fiat" di Maria diventa anche il nostro "fiat" se agiremo però come lei.
Per questo i Padri hanno insistito molto sulla virtù dell’obbedienza, facendone una dottrina: l’obbedienza è ciò che identifica il vero discepolo di Cristo da un “simpatizzante” qualsiasi.

«O Timoteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta gnosi, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede» (1Tm 6, 20).

 

In un articolo del 2009 così scriveva la rivista, oramai chiusa, 30Giorni:

«Da parecchi mesi l’espressione deposito della fede o il suo equivalente latinodepositum fidei campeggia in titoli e articoli di 30Giorni». Ma il copyright non è di 30Giorni.

«O Timoteo, custodisci il deposito» è la raccomandazione finale fatta da san Paolo nella prima Lettera indirizzata al suo discepolo prediletto. Ripetuta, poco prima di andare incontro al martirio, nella seconda Lettera. Prima di allora quell’espressione non era stata mai usata da san Paolo (e neanche dagli altri scrittori neotestamentari).
Proprio nel momento in cui il suo sangue stava per essere sparso, san Paolo avvertiva che poteva disperdersi il tesoro che, come un vaso fragile ma anche resistente, aveva custodito. Come avvertì quell’altro Paolo, cronologicamente più vicino a noi, quando scrisse il Credo del popolo di Dio (clicca qui).
«La grande alternativa – è stato scritto di recente – per la vita di un uomo e di un popolo è, infatti, tra ideologia e tradizione...» (1).

 

Facendo nostra quest’introduzione, vogliamo far notare un altro grande problema di questo tempo: l’interpretazione. Per mezzo dell’interpretazione – impregnata di ideologia – si sta squassando la Tradizione, il Depositum Fidei.

Cosa vogliamo dire? Si fa presto a spiegarlo.

Da circa cinquant’anni non trasmettiamo il Depositum Fidei, ma lo stiamo interpretando. Stiamo interpretando il Vangelo, tutta la Sacra Scrittura, secondo la mentalità dominante, secondo le mode immorali contemporanee. Stiamo interpretando ideologicamente i Sacramenti, il pensiero e il magistero dei Padri e dei Dottori della Chiesa, il magistero pontificio ed ecclesiastico in generale. Interpretiamo anche gli scritti dei Santi per accomodarli alla mentalità del mondo post-cristiano.

Qualche lettore potrebbe dire: “E allora? Cosa c’è di strano? Non è forse giusto interpretare la Sacra Scrittura, ciò che il Signore ci ha detto?”.

No, assolutamente no!

Nessun evangelista, nessun apostolo ha mai interpretato l’insegnamento di Gesù: lo hanno riportato totalmente affinché tutti i battezzati, senza se e senza ma, possano viverlo fedelmente.
Il Vangelo non lo si può interpretare: il discepolo di Gesù deve, in un certo senso, incarnarlo senza discussioni o compromessi.

L'atteggiamento da imitare è proprio quello della Beata Vergine Maria: quando non comprendeva, non stava li ad interpretare ideologicamente i fatti, ma "conservava tutto nel suo cuore", lo serbava per custodirlo ed attendere il momento della comprensione (Lc.2,19 e vv.51).

San Pietro, il principe degli apostoli, ammoniva: «La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina. Voi dunque, carissimi, essendo stati preavvisati, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall’errore degli empi; ma crescete nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo. A lui la gloria, ora e nel giorno dell’eternità. Amen!» (2Pt 3,15-18)

Questo è magistero infallibile del primo Vicario di Cristo!

Il beato apostolo Pietro è chiarissimo: “interpretare” (per giustificare le proprie ideologie) significa travisare la Parola di Dio – scritta dai profeti prima, dagli Apostoli dopo – che ci porterà alla rovina.

L’intenzione dell’Apostolo non è umiliare la ragione umana, ma far capire – e accettare – che la Parola di Dio non può essere soggetta a interpretazioni accomodanti che la rendano accettabile secondo le mentalità dominanti, oppure secondo i bisogni personali.

 











 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  È vero che, in alcuni casi, non è semplice comprendere ciò che il Signore ci dice, ma questo spetta alla sua Chiesa spiegarlo – senza ovviamente cadere nell’interpretazione del compromesso –, non certamente ai singoli fedeli, oppure ad alcuni teologi improvvisati. La ricerca teologica è approfondimento, non interpretazione personalistica di una certa scuola di pensiero filosofico, o peggio, dell'ideologia modernista.


Tradizione, etimologicamente, significa: consegna, trasmissione.


Dunque trasmettere il deposito ricevuto, è il metodo che Dio ci ha dato per evitare che le nozioni dottrinali difficili da comprendere alla mente umana – in quanto nozioni divine – vengano annacquate nelle discussioni interpretative. Questo impedisce di imporre le nostre visioni alla Parola di Dio. Purtroppo, però, il rischio dell’interpretazione ideologica – che già vi era ai tempi apostolici, come si deduce dalla Lettera di San Pietro – è più vivo che mai, soprattutto di questi tempi.


L’esempio più eclatante lo troviamo leggendo i versetti 1-19 del capitolo 19 di Matteo, riguardante la disputa sull’indissolubilità del matrimonio.


Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse:  Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?  Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?». Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così.  Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio». Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso...».


Domanda: c’è qualcosa da interpretare?


Per duemila anni, infatti, la Chiesa ha fondato su queste parole chiarissime il Sacramento del Matrimonio e dunque la sua indissolubilità. Non c’è nulla da interpretare: l’unica cosa da fare è trasmettere il comandamento ricevuto dal Divin Maestro.


Per quanto riguarda l’obiezione dei farisei sulla legge di Mosè, che permetteva il ripudio, la risposta di Gesù non lascia spazio a fraintendimenti o interpretazioni di qualsiasi genere. 



Fraternamente CaterinaLD

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Eppure, duemila anni dopo, vi sono troppi vescovi – i custodi e i maestri della fede – che pongono (pastoralmente) obiezioni alla Parola del Signore. Ormai ilDepositum Fidei non viene più tramandato, ma “aggiornato” (2) secondo il contesto storico e culturale. La Chiesa pare non sappia più come difendere il matrimonio e la famiglia dall’attacco diabolico e massonico. Addirittura il Romano Pontefice ha convocato due sinodi dei vescovi per discutere su come rispondere a queste “sfide pastorali”, come se non avesse mai avuto, dai tempi apostolici ad oggi, l’unica vera risposta: “Maschio e femmina lo creò… l’uomo e la donna saranno una sola carne…”.

Gli stessi apostoli, comprendendo pienamente la replica del Signore ai farisei, dissero al loro Maestro: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi».

Può sembrare persino una battuta spiritosa, quella dei discepoli, ma non lo è! E la risposta di Gesù è altrettanto seria: «Non tutti possono capirlo, ma solo ai quali è stato concesso». Un’altra risposta secca che non ammette obiezioni. Gesù non chiede ai dodici il loro parere, né la loro interpretazione, non dice loro di accomodare la sua Volontà a secondo dei tempi. Egli spiega loro che, per quanto possa essere incomprensibile, il Comandamento divino non è interpretabile: lo si accetta in toto oppure lo si rifiuta in toto. Non c’è una via di mezzo.

Qualche lettore potrebbe dire che anche i Padri della Chiesa hanno interpretato i passi oscuri della Sacra Scrittura, ma non è esatto. I Padri della Chiesa hanno fatto delle vere e proprie catechesi, della squisita apologetica, atte a spiegare – onde proprio ad evitare interpretazioni ideologiche – il contenuto della Rivelazione.

Ai tempi dei Padri della Chiesa, i primi secoli, era necessario chiarire ilDepositum Fidei per difenderlo dalle eresie più insidiose, in particolare quella ariana, che alterava, snaturava, l’identità del Figlio di Dio: non più perfectus Deus et perfectus homo, ma una specie di uomo semi-dio.

Il metodo patristico è proprio quello paolino. Lo conferma il fatto che il Signore abbia scelto questi Padri – per esempio Sant’Atanasio, colui che sconfisse l’arianesimo – per difendere, con l’assistenza indispensabile dello Spirito Santo, per difendere non le loro opinioni (o interpretazioni), la vera Fede cristiana, approfondendo e confermando ciò che avevano ricevuto. Non hanno interpretato nulla, hanno solo di-svelato ciò che già vi era nella Sacra Scrittura. Il corpus dottrinale – la Rivelazione – si è concluso con la morte dell’ultimo apostolo. I Padri della Chiesa, così come i Dottori della Chiesa, hanno reso ilDepositum Fidei più chiaro, affinché la Chiesa diffondesse il Vangelo senza ambiguità, spiegando ad ogni generazione ciò che è stato contemplato.

Spetta alla Chiesa trovare sempre modi nuovi – i famosi Carismi – attraverso i quali evangelizzare, istruire le nuove generazioni in ogni tempo; ma non può corrompere mai il corpus dottrinale rivelato, né metterlo da parte con certe strambe “nuove pastorali”. Oggi, invece, prevale l’imposizione delle opinioni, a volte di teologi, a volte di singoli vescovi, a volte di conferenze episcopali, e quant'altro...

In nome del Vaticano II – dello “spirito del concilio” di dossettiana memoria – di fatto la dottrina non viene cambiata nella teorica, ma resa nulla nella prassi, per mezzo della pastorale casistica sociale e culturale. Stiamo diventando schiavi dei nostri bisogni (capricci) personali. La Chiesa sta diventando un super-mercato in cui ognuno va a prendere (sottocosto) il “prodotto” desiderato: fideismo, coscienzialismo, sentimentalismo, razionalismo, insomma, trovare in ogni scaffale di questo strano supermarket pacchetti in offerta per portare dottrine e comandamenti ad essere sacrificati sugli altari del nuovo culto alla persona.

In un recente articolo, Alessandro Gnocchi (clicca qui) scrive:

Ma per imitare il Maestro, per prestargli la propria persona nel sacramento, serve un profondo e perfetto senso del peccato che, nella chiesa di oggi, è moneta sempre più rara. “Come mai”, chiedeva Cristina Campo in una lettera a María Zambrano nella III domenica d’Avvento del 1965, “si celebra ancora la festa dogmatica dell’Unica Immacolata, mentre implicitamente si nega, in mille modi, la maculazione di tutti gli altri? In un mondo dove non è più riconosciuto non dico il sacrilegio, l’eresia, la blasfemia, la predestinazione al male – ma il puro e semplice concetto di peccato?”. Privata di questo concetto, la confessione può solo diventare una chiacchiera, “ascolto e dialogo” che occuperanno un altare dopo l’altro, una cappella dopo l’altra, una chiesa dopo l’altra. Non è un caso se i confessionali sono ormai caduti in disuso. Reperti di una religione in cui molti si confessavano e pochi osavano presentarsi alla comunione, sono incomprensibili là dove si pratica una religione in cui quasi nessuno si confessa e tutti corrono a comunicarsi. Al cospetto di tale mutazione, bisogna avere il coraggio di chiedersi se si tratta sempre della stessa religione. E sorge più di un dubbio, a non voler parlare di certezza.





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  Un altro punto dolente del Vangelo, riguardante i Sacramenti, – anch’esso squassato dall’imposizione dell’interpretazione – è il capitolo 6 di Giovanni, quello in cui viene riportato il discorso del Signore sul cibarsi del suo stesso Corpo. Molti discepoli, anche tra quelli della prima ora, se ne vanno, perché non capiscono. Chissà forse qualcuno avrà addirittura pensato al cannibalismo… Gli apostoli, vedendo tanti abbandoni, fanno notare al Maestro che un linguaggio – una dottrina – così duro farà diminuire sempre di più i suoi seguaci. Gesù non ha risposto: “Non siate fiscali, non siate teologi da cattedra, cercate di interpretare, di andare incontro alla gente nelle periferie. Non prendetemi alla lettera, usate nuove pastorali per raggiare l’ostacolo della mia dottrina, affinché ognuno si senta a casa sua”.

La sua replica, invece, è stata ancora più decisa e radicale: “Volete andarvene anche voi?”.

Pietro è confuso, senza dubbio, non sa che pesci prendere, non ha certo capito il mistero che si cela nell’Eucaristia, ma si fida della Parola di Gesù: “Signore, da chi andremo? Solo tu hai parole di vita eterna”. Il non comprendere, l’essere in difficoltà, non comporta “addomesticare” il Comandamento del Signore a secondo della situazione storica, culturale, sociale o religiosa, ma accettarlo ancora più profondamente. I padri sinodali faranno così ai prossimi sinodi dedicati al sacramento del matrimonio e, indirettamente, a quello dell’Eucarestia? Si fideranno fino in fondo del Signore, oppure imporranno le proprie interpretazioni?

Ci sarà sempre qualche teologo, laico, catechista, parroco, suora o vescovo che proverà – c’è sempre un “diavoletto” che sussurra qualcosa alle nostre orecchie – a interpretare ciò che dice davvero il Signore, ma questo deve stimolarci a difendere e diffondere il Depositum Fidei – in particolare facendo conoscere il Catechismo della Chiesa – che abbiamo ricevuto dagli apostoli e dai Padri.

 





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I primi ad imporre la propria interpretazione al brano giovanneo sull’Eucarestia, furono i protestanti (3): le conseguenze le conosciamo tutti.


Possiamo dire, senza essere smentiti, che il danno maggiore di questi ultimi cinquant’anni, portando ad un ribaltamento della dottrina sui Sacramenti (4), è opera anche di questa imposizione dell’interpretare dogmi, dottrine e Scrittura, e pure gli scritti dei Padri e dei Santi, a seconda dell’andamento culturale del momento storico che stiamo vivendo. Le prediche e le omelie del parroco, del vescovo, dello stesso pontefice, non devono pilotare i fedeli ad “interpretare” il Vangelo, ma a sollecitarli più semplicemente al contenuto in quel «Fate quello che vi dirà» (cfr Gv 2,5); «Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15); «convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15).


La missione del discepolo di Cristo non è interpretare l’insegnamento del suo Maestro, ma metterlo in pratica in pienezza. Come Maria Santissima ricevette per puro dono divino la Parola-Verbo affinchè potesse essere incarnata e dunque nascere in mezzo a noi, così anche noi siamo nella medesima situazione: incarnare la Parola ricevuta, e non metterla in discussione. Per questo diciamo che il "fiat" di Maria diventa anche il nostro "fiat" se agiremo però come lei.


Per questo i Padri hanno insistito molto sulla virtù dell’obbedienza, facendone una dottrina: l’obbedienza è ciò che identifica il vero discepolo di Cristo da un “simpatizzante” qualsiasi.


Oggi invece l’obbedienza è imposta esclusivamente alla singola persona: si deve obbedire al superiore (parroco, vescovo, papa) – questa è una cosa buona e giusta – ma questa virtù viene usata, subdolamente, a spingere il discepolo non ad obbedire al Vangelo, ma all’interpretazione ideologica di parte della gerarchia ecclesiastica, oppure alla propria coscienza liberale e libertina.


Questa è la reale rottura con la Tradizione vivente della Chiesa!


I dogmi non sono stati inventati dalla Chiesa, oppure dall’interpretazioni dei pontefici e dei vescovi, ma sono stati maturati alla luce della Parola di Dio: «Io sono la Via, la Verità e la Vita». La morale (la Via), la dottrina (la Verità) e la santità (la Vita) non sono un optional, ma l’obbligo per l’autentica fede cristiana, per formare rettamente la coscienza. Per questo nessuno può modificarli o raggirarli. Il progresso dottrinale consiste – la Chiesa è un corpo vivo che va avanti – nell’approfondire la conoscenza della Rivelazione, non certamente nel mutamento, nello stravolgimento, dell’insegnamento del Magistero. Il dinamismo della Chiesa viene proprio dal Depositum fidei, dalla viva Tradizione che porta avanti le dottrine e le applica con la pastorale,  comprendendole sempre di più e meglio, ma non cambiandole.


Di fatto c’è una rottura con la Tradizione: non si trasmette quanto abbiamo ricevuto approfondendolo, ma modifichiamo il Depositum Fidei, col primato della prassi pastorale, secondo la mentalità del mondo moderno.


Un esempio chiarissimo ce lo offre padre Santiago Martin, lanciando rosso l’allarme su un grave scisma (vedi qui) che potrebbe rendersi manifesto presto, se continueremo su questa strada.


Ma lo scisma, di fatto, c’è già!


Scisma non è una parolaccia. Significa “fenditura, separazione, divido, separare”.


Quando preti e vescovi affermano tranquillamente che ammettere i divorziati-risposati alla Comunione non contraddice la dottrina bimillennaria della Chiesa, perché la Misericordia annienta la Giustizia, è la prova che lo scisma è già in atto. Pensare diversamente con la Tradizione della Chiesa, è già un dividere, è separare di fatto la mentalità dottrinale della Chiesa, modificandola, addomesticandola alla mentalità dominante. La Verità diventa una questione relativa e soggettiva.


Alle tante domande sul problema della Comunione ai divorziati-risposati, c’era e c’è una sola risposta da dare: “Volete andarvene anche voi?”.


La Comunione, così come gli altri Sacramenti, non sono un diritto! Sono un dono, perciò è il fedele che li riceve che deve adattarsi a Colui che li elargisce.


La Chiesa è custode di questi doni e può concederli solo a determinate condizioni non negoziabili. Non può modificare le condizioni a seconda delle richieste del mondo.


Nel momento in cui la Chiesa cedesse alle pretese delle maggioranze, lasciando i Sacramenti in balia delle voglie dei fedeli, tradirebbe il suo mandato, arriverebbe ad una vera rottura con la Tradizione e con il Depositum fidei. Da casta sposa senza macchia di Cristo, diventerebbe un’adultera senza pudore e senza vergogna.


Prestare “servizio” all’uomo – fa parte della missione della Chiesa – non significa diventare schiavi delle pretese o dei capricci del mondo, ma condurlo, anche con i “no”, alla piena adesione al Vangelo, i quali diventano e sono un vero "Sì-Fiat" al volere di Dio per il nostro vero bene.


Eppure la Chiesa appare oggi come una di quelle madri che, pur di non sentire il bambino piangere, gli danno tutto ciò che pretende. È incapace di combattere con suoi stessi figli, di educarli e correggerli. Vuole barattare i Sacramenti in cambio di una certa numerosa presenza alle Messe domenicali. Questo non è servizio, ma abiura del concetto stesso di servizio.


San Pio da Pietrelcina, confessore misericordioso, ma pure rigoroso, un giorno fu richiamato dal padre superiore perché se avesse continuato a negare l’assoluzione ai penitenti avrebbe svuotato la Chiesa. Padre Pio, senza scomporsi, rispose: «La Chiesa è meglio vuota che piena di diavoli».


In una intervista al teologo domenicano, padre Giovanni Cavalcoli (vedi qui) abbiamo fatto questa domanda alla quale segue una risposta chiarissima a riguardo di quanto abbiamo trattato fino a qui:


D. Recentemente, alcuni suoi confratelli americani, hanno pubblicato, nel mensile “Nova et Vetera”, un bellissimo studio (5) in risposta al cosiddetto “teorema Kasper” sulla famiglia, presentato dal cardinale tedesco al concistoro dello scorso febbraio. Qual è il suo giudizio, come teologo dogmatico, su quella famosa relazione?


R. Confesso di non aver studiato con la sufficiente attenzione quel documento, per cui non mi sento di esprimere un giudizio sicuro. Conosco però la cristologia di Kasper, la quale purtroppo non tiene sufficientemente conto dell’immutabilità della verità di fede, fino al punto di sostenere che Dio nell’incarnarsi è “mutato”, il che è una vera e propria eresia. Inoltre è scettico nei confronti di alcuni miracoli di Cristo, come per esempio quello della moltiplicazione dei pani e dei porci indemoniati. Non è cosa saggia. Inoltre, nella sua lunga attività di direzione delle attività ecumeniche della Chiesa, è sempre stato troppo indulgente verso i protestanti, come se le loro eresie non avessero più corso e il Concilio di Trento si fosse sbagliato nel condannarle. Il che è assolutamente falso e ha provocato la cripto-conversione di molti cattolici al protestantesimo, anziché condurre a Roma i protestanti. Per cui non mi meraviglierei di trovare, come mi è stato segnalato da amici, questo relativismo storicista anche nel suddetto documento.


Interpretare e trasmettere, perciò, non sono sinonimi.


Interpretare è tipico proprio del trattare, permutare, negoziare, farsi mediatore non di un medesimo pensiero, ma cambiandolo, negoziandolo.


Tramandare invece, sinonimo di trasmettere, è specifico proprio di colui che fa passare da una persona ad altra, da una generazione ad altra, lo stesso messaggio, lo stesso contenuto in modo inalterato. Scrive l’Apostolo delle genti: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11,23).


San Paolo non sta interpretando, ma trasmettendo. Così come quando ci rammenta che anche dire “Padre Nostro” non è interpretabile, ma è un dono che si riceve: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!” (Rm 8,15)»; oppure quando deve ribadire più volte:«L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!» (Gal 1,9).


 


L'anàtema non è una invenzione del Medioevo. È una grave affermazione principale della predicazione paolina, atta a frenare coloro che nelle comunità da lui generate, andavano a predicare un vangelo diverso da quello predicato dagli apostoli.


In tutta la prima predicazione apostolica c’è questo termine ricorrente: ricevere, ricevuto.


Se oggi, invece, ciò che riceviamo diventa nella sostanza non più quello che conoscevamo – cioè quello che abbiamo ricevuto dagli Apostoli in poi – ma un adattamento dottrinale alle richieste del mondo, rientriamo in quelle categorie denunciate da San Paolo. Neppure il Papa e il collegio episcopale possono – se pur con il sotterfugio della pastorale – modificare ciò che essi stessi hanno ricevuto e che hanno giurato di custodire. Interpretare, perciò, con un linguaggio adeguato e pure moderno per tramandare la sana dottrina ricevuta va bene, diversamente sarebbe la rottura con la Tradizione e il Depositum fidei, una dichiarazione di infedeltà nei confronti di Dio.


Vogliamo concludere queste nostre riflessioni con un’illuminante profezia di San Gregorio Magno, cui sembra si stia avverando in questi tempi.


In un testo di Padre Emmanuel Andrè, intitolato La Sainte Eglise (Clovis, 1997, pag. 296), si parla degli ultimi tempi della Chiesa e, riportando ampi stralci di parole pronunciate dal grande papa Gregorio I, scrive:


«La Chiesa sarà come Giobbe sofferente, esposto alle perfide insinuazioni di sua moglie e alle critiche amare dei suoi amici; egli, davanti al quale gli anziani si alzavano e i principi tacevano!


La Chiesa – dice più volte il grande Papa – verso la fine del suo pellegrinaggio, sarà privata del suo potere temporale; si cercherà di toglierle ogni punto d’appoggio sulla terra. Ma dice di più e dichiara che essa sarà spogliata dello sfarzo stesso che deriva dai doni soprannaturali.


Il potere dei miracoli – dice – sarà ritirato, la grazia delle guarigioni tolta, la profezia sarà scomparsa, il dono di una lunga astinenza sarà diminuito, gli insegnamenti della dottrina taceranno, i prodigi miracolosi cesseranno. Così dicendo non si vuole dire che non ci sarà più nulla di tutto questo; ma tutti questi segni non brilleranno più apertamente e sotto mille forme come nei primi secoli. Sarà anche l’occasione – spiega ancora il santo Pontefice – di un meraviglioso discernimento. In questo stato umiliato della Chiesa, aumenterà la ricompensa dei buoni, che aderiranno a lei unicamente in vista dei beni celesti; quanto ai malvagi, non vedendo più in lei alcuna attrattiva temporale, non avranno nulla da nascondere, si mostreranno quali sono (Moralia in Job, libro 35)»


«Che parola terribile: taceranno – conclude P. Andrè – gli insegnamenti della dottrina! San Gregorio proclamava altrove che la Chiesa preferisce morire che tacere. Dunque parlerà ancora, ma il suo insegnamento sarà ostacolato, la sua voce coperta; molti di coloro che dovrebbero gridare sopra i tetti non oseranno farlo per paura degli uomini»


Sia lodato Gesù Cristo.


Sempre sia lodato.


 


Note


 


1) O Timoteo custodisci il Deposito - rivista 30Giorni 1.2.2009


2) Quello che Gesù avrebbe dovuto dire, clicca qui....


3) Le origini del Protestantesimo nel soggettivismo di Lutero


4) invitiamo a leggere l'intervista al prof. Radaelli su La Chiesa ribaltata, vedi qui...


5) Divorziati-risposati, quando il gioco si fa duro, arrivano i Domenicani


 


   



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Aggiorniamo l'articolo con l'intervento del Santo Padre Francesco, tre giorni dopo averlo pubblicato,  che ci sembra riepilogare alla perfezione l'essenziale del nostro contributo, come ci avesse confermati, soprattutto là dove ribadiamo come Maria Santissima è il nostro modello per eccellenza.

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALL'ASSOCIAZIONE BIBLICA ITALIANA

Sala Clementina
Venerdì, 12 settembre 2014




 

Cari amici,

vi incontro al termine della Settimana Biblica Nazionale, promossa dall’Associazione Biblica Italiana. Questo vostro appuntamento inaugura le celebrazioni per il 50° anniversario della Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II. Dobbiamo essere grati per le aperture che, come frutto di una lunga fatica di ricerca, ci ha offerto il Concilio, come pure per l’abbondanza e la facilità di accesso alla Sacra Scrittura. Il cristiano ne ha bisogno oggi più che mai, sollecitato com’è da contrastanti provocazioni culturali. La fede, per rispondere, per non essere soffocata, dev’essere nutrita costantemente dalla Parola di Dio.

Vi esprimo la mia stima e la mia riconoscenza per il lavoro prezioso che svolgete nel vostro ministero di docenti e di studiosi della Bibbia. Inoltre, questo incontro mi offre l’opportunità di ribadire, in continuità con il Magistero della Chiesa, l’importanza dell’esegesi biblica per il Popolo di Dio. Possiamo ricordare quanto affermato dalla Pontificia Commissione Biblica: « L’esegesi biblica – cito – adempie, nella Chiesa e nel mondo, un compito indispensabile. Voler fare a meno di essa per comprendere la Bibbia sarebbe un’illusione e dimostrerebbe una mancanza di rispetto per la Scrittura ispirata […]

Per parlare agli uomini e alle donne, fin dal tempo dell’Antico Testamento, Dio ha sfruttato tutte le possibilità del linguaggio umano, ma nello stesso tempo ha dovuto sottomettere la sua Parola a tutti i condizionamenti di questo linguaggio. Il vero rispetto per la Scrittura ispirata esige che si compiano tutti gli sforzi necessari perché si possa cogliere bene il suo significato.  

Certo, non è possibile che ogni cristiano faccia personalmente le ricerche di ogni tipo che consentano di meglio comprendere i testi biblici. Questo compito è affidato agli esegeti, responsabili, in questo settore, del bene di tutti» (L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 15 aprile 1993, Conclusione).

Proprio incontrando i membri della Pontificia Commissione Biblica, in occasione della presentazione del Documento appena citato, san Giovanni Paolo II ricordò che « per rispettare la coerenza della fede della Chiesa e dell’ispirazione della Scrittura, l’esegesi cattolica deve essere attenta a non attenersi agli aspetti umani dei testi biblici. Occorre che essa, anche e soprattutto, aiuti il popolo cristiano a percepire in modo più nitido la parola di Dio in questi testi, in modo da accoglierla meglio, per vivere pienamente in comunione con Dio » (L’Osservatore Romano, 25 aprile 1993, p. 9). A tale scopo è necessario naturalmente che lo stesso esegeta sappia percepire nei testi la Parola divina, e questo è possibile solo se la sua vita spirituale è fervida, ricca di dialogo con il Signore; altrimenti la ricerca esegetica resta incompleta, perde di vista il suo obiettivo principale.

Nella Conclusione del Documento c’è un’espressione molto efficace: «L’esegesi cattolica non ha il diritto di somigliare a un corso d’acqua che si perde nelle sabbie di un’analisi ipercritica». 

Perciò, oltre alla competenza accademica, all’esegeta cattolico è richiesta anche e soprattutto la fede, ricevuta e condivisa con tutto il popolo credente, che nella sua totalità non può sbagliare. Mi rifaccio ancora alle parole di san Giovanni Paolo II: «Per arrivare ad un’interpretazione pienamente valida delle parole ispirate dallo Spirito Santo, dobbiamo noi stessi essere guidati dallo Spirito Santo, per questo bisogna pregare, pregare molto, chiedere nella preghiera la luce interiore dello Spirito e accogliere docilmente questa luce, chiedere l’amore, che solo rende capaci di comprendere il linguaggio di Dio, che è amore (1 Gv 4,8.16)» (Oss. Romano, 25 aprile 1993, p. 9).

Il modello è la Vergine Maria, della quale san Luca ci riferisce che meditava nel suo cuore le parole e gli avvenimenti che riguardavano il suo Figlio Gesù (cfr 2,19). La Madonna ci insegna ad accogliere pienamente la Parola di Dio, non solo attraverso la ricerca intellettuale, ma in tutta la nostra vita.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio ancora, benedico voi e il vostro lavoro, e vi chiedo per favore di pregare per me.

 
 






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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