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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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TESTI E COMMENTI UFFICIALI SINODO SULLA FAMIGLIA 2014

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2014 16:33
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15/10/2014 23:47
 
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   una pausa con un articolo illuminante di Padre Giovanni Cavalcoli O.P.

Accoglienza e prudenza

 
di padre Giovanni Cavalcoli O.P.

Il nostro dovere di operare il bene del prossimo sia sul piano dell’etica naturale che su quello della morale cristiana, comporta due orientamenti fondamentali: quello della giustizia e quello della misericordia. Essi sono giustificati dal fatto che l’uomo nella sua condotta alterna opere buone, dettate da retta intenzione, buona fede e buona volontà, meritevoli del premio, ad azioni cattive o malvagie, dettate da cattiva intenzione, mala fede e cattiva volontà: i peccati, meritevoli di castigo.

È falsa quindi la tesi luterana, secondo la quale tutte le nostre azioni sono peccati e quindi sarebbe ipocrisia credere di poter compiere o di aver compiuto un’azione buona, così come è falsa la tesi buonista, oggi molto diffusa, per la quale tutti in fondo (molto in fondo) siamo buoni, tendiamo verso Dio, almeno in modo “anonimo” e “atematico”  - anche gli atei, come dice Rahner - siamo in buona fede, abbiamo retta intenzione e buona volontà. 

Tutti quindi ci salviamo, perché Dio perdona a tutti, e il peccato come colpa o cattiva volontà non esiste. Tutt’al più esiste l’errore, l’ignoranza in buona fede, lo sbaglio o la debolezza, sempre meritevoli di comprensione, misericordia, tolleranza e perdono. Se si fa il male, lo si fa senza saperlo, per cui si è sempre scusati. 
Nessuno fa il male scientemente ed intenzionalmente. Ogni azione e ogni idea, quindi, anche le più opposte tra di loro, vanno accettate, lasciate libere e comprese come espressioni di pluralismo e differenti punti di vista o al massimo fenomeni di fragilità: più di così il soggetto non poteva fare. Ha fatto il male, se l’ha fatto, non perché ha voluto farlo, ma perché non è riuscito a fare il bene, non ce l’ha fatta. 
Condannare un’azione o un’idea altrui o rimproverare qualcuno o tentare di “correggerlo”, per i buonisti, vuol dire imporre all’altro il proprio punto di vista e ignorare il valore della diversità. L’unico vero peccato, creatore di soprusi, divisioni e inutili polemiche nella convivenza umana, è ammettere l’esistenza della falsità e del peccato. In realtà ogni idea è vera e ogni azione è buona. 

E comunque, così dicono certi predicatori, non esistono criteri oggettivi di giudizio, ma solo soggettivi. Io posso anche riconoscere d’aver fatto male, ma solo in base al mio criterio, non al tuo. Tu non sei in grado di giudicarmi, quindi non mi devi giudicare. La verità dipende dal punto di vista e dagli interessi propri di ciascuno. 
Nessuno, sempre per i buonisti, è spassionato nel giudicare o nel sostenere una data tesi, invocasse pure la Bibbia o il Magistero della Chiesa, ma parla sempre in base ai propri interessi, per farsi strada nella vita. La Chiesa stessa non è imparziale nei suoi insegnamenti, ma è sempre mossa dal desiderio di dominare le coscienze. La verità, quindi, non è una sola, uguale per tutti, ma varia da soggetto a soggetto e inoltre  muta con i tempi e i luoghi.
Occorre quindi accettare tutti - continuano questi predicatori, liberali e pieni di bontà - e non escludere nessuno. L’istituto tradizionale della scomunica o della condanna per eresia è ormai superato. La Chiesa non deve escludere o condannare nessuno, anzi deve accogliere i peccatori, come ha fatto Cristo.
 
Questi discorsi, pronunciati spesso con tono untuoso, li conosciamo da tempo nelle omelie, nelle riviste cattoliche, nelle catechesi, nelle conferenze, negli esercizi spirituali, forse anche tra gli stessi vescovi. Sanno di carità evangelica, eppure, a farci attenzione, sono falsi e ingannevoli. Dove sta l’inganno?

L’inganno, che suppone una terribile ingenuità o una raffinata astuzia, sta nel fatto che questi predicatori, che con tono ispirato o linguaggio mellifluo e falsamente umile e benevolo, amanti anzi dello scherzo e della battuta di spirito, hanno sempre sulla bocca il dialogo, la misericordia, l’apertura, il pluralismo e la diversità, non sanno o non vogliono distinguere nelle azioni che di fatto gli uomini compiono l’errore involontario dalla colpa, la debolezza dalla malizia, la buona dalla cattiva volontà, l’ignoranza involontaria da quella affettata, la buona fede o buona intenzione da quelle cattive.

È evidente per tutti i buoni educatori e pastori - basti pensare all’esempio di Cristo, degli Apostoli e dei santi - che la condotta nei confronti delle due categorie di persone non può essere la stessa, proprio per il loro bene e in nome di un’autentica carità. Non c’è dubbio peraltro che è difficile discernere caso per caso chi non vuole da chi non ce la fa, il malizioso dal debole, il consapevole dall’inconsapevole. 

Ma sta proprio qui l’arte dell’educazione e della guida delle anime: saper decidere quale medicina adottare a seconda delle malattie. A parte il dovere che abbiamo di ammirare e lodare i sani e i buoni, non tutti i malati possono essere curati con le stesse medicine. Il misericordioso è come un medico sapiente che davanti a un malato grave sa valorizzare le energie che gli restano. Invece il coraggioso è uno che difende se stesso e le persone a lui affidate dagli attacchi e dalle insidie dei nemici.

Il debole e pauroso va accostato con la dolcezza della compassione, parole di speranza e di conforto, sull’esempio del buon samaritano. Il buono dev’essere migliorato, l’incredulo condotto alla fede, il peccatore pentito va perdonato di tutto cuore, come fa il padre misericordioso verso il figliol prodigo, il peccatore va ammonito, come fa Cristo con l’adultera e in altre occasioni. L’ignorante va istruito, come ancora fa Cristo con gli Apostoli, il debole va aiutato, il sofferente va consolato, il dubbioso va consigliato come fa Cristo col giovane ricco, lo stolto va redarguito come fa il Signore con i discepoli di Emmaus, il petulante va sopportato, l’astuto va trattato con cautela, l’ipocrita o l’empio dev’essere rimproverato come fa Cristo con i farisei, il criminale va accusato, processato e segregato. 

Il tutto si può riassumere con il saggio programma morale di Virgilio: Parcere subiectis et debellare superbos o con il comando di Cristo: “Semplici come le colombe, prudenti come i serpenti”. O con quanto il Salmo dice della condotta di Dio nei nostri confronti: “Con l’uomo buono tu sei buono, con l’uomo integro tu sei integro, con l’uomo puro tu sei puro, con il perverso tu sei astuto” (Sal 17, 26-27).

Nella Chiesa certo c’è posto per tutti; dato che essa è l’arca della salvezza tutti sono chiamati alla salvezza. Ma non tutti vogliono appartenete alla Chiesa. C’è chi la disprezza, la odia, chi vorrebbe distruggerla. Esistono viceversa gradi di appartenenza alla Chiesa: un ateo, un incredulo, un apostata, un dannato dell’inferno non appartengono alla Chiesa, benchè siano anch’essi sotto il governo della Provvidenza e sottoposti alla regalità di Cristo, anche se contro voglia. 

Non tutti appartengono alla Chiesa coscientemente, ma c’è anche chi vi appartiene senza saperlo. Esistono comunque, come ho detto, gradi di appartenenza alla Chiesa. Un conto è il grado imperfetto e iniziale del catecumeno, un conto è la profonda comunione della quale godeva S. Teresa di Gesù Bambino nel “cuore” della Chiesa. Un conto è l’appartenenza del cattolico e un conto è l’appartenenza solo parziale dello scismatico e dell’eretico.
Anche chi è in stato di peccato mortale, purchè non sia un peccato contro la Chiesa, può appartenere alla Chiesa col corpo se non con l’anima. Esiste un’appartenenza finta, come quella del fariseo e un’appartenenza reale come quella del credente sincero. 

C’è chi può appartenente realmente e sinceramente alla Chiesa, come certi divorziati risposati, i quali, per vari motivi, non possono tornare all’unione precedente (che resta valida), per cui essi sono in una posizione irregolare e non possono ricevere i sacramenti, ma non è detto che con ciò essi siano privi della grazia, perché Dio può donarla anche senza i sacramenti. Ovviamente essi comunque devono fare penitenza dei loro peccati.

Cristo ha comandato di predicare il Vangelo in tutto il mondo. La nostra carità deve quindi estendersi a tutti gli uomini. Ma non tutti sono interessati al nostro appello, al nostro invito, alla nostra predicazione. L’ecumenismo e il dialogo interreligioso non escludono comunque affatto l’invito ad entrare nella Chiesa anche ad eretici, scismatici, atei, agnostici, increduli, grandi peccatori e fedeli di altre religioni purché si convertano a Cristo ed entrino nella Chiesa.

La Chiesa non è solo una comunione spirituale e invisibile, ma, come è noto, ha anche un aspetto umano, sociale visibile, giuridico, organizzativo, gerarchico. Ciò comporta il fatto che l’appartenenza visibile giuridica alla Chiesa richieda l’osservanza di certe norme esterne di giustizia fondate sul diritto, come si dà in ogni società normale e bene ordinata. Esiste pertanto un’amministrazione giudiziaria della giustizia, la quale non può essere sostituita dalla misericordia. Sarebbe cosa ingiusta e l’ingiustizia non va mai d’accordo con la misericordia.

La comunità umana è dunque governata da quattro ordini dirigenziali: l’ordine sacerdotale,  l’ordine governativo, l’ordine giudiziario e l’ordine militare. Il primo si trova solo nella Chiesa; il secondo e il terzo si trova sia nello Stato che nella Chiesa; il quarto appartiene esclusivamente allo Stato. Il primo ordine amministra la divina misericordia; gli altri tre amministrano la giustizia. Il secondo amministra la giustizia governativa nella Chiesa e nello Stato; il terzo la giustizia giudiziaria nella Chiesa e nello Stato; il quarto, la giustizia militare, esclusivamente nello Stato.

La confusione tra giustizia e misericordia o la riduzione di quella a questa è propria del buonismo, immerso nella nebbia ideologica ed emotiva di un perdonismo dolciastro e illusorio, che finisce in realtà per istituzionalizzare l’ingiustizia, vanificare la legge e il diritto e dare il permesso ai prepotenti di opprimere i deboli.

In base a quanto detto, appare evidente che il pastore del gregge di Cristo, sull’esempio di Cristo stesso, è chiamato ad esercitare sia la giustizia che la misericordia, a seconda delle necessità o delle opportunità. La fissazione unilaterale sulla misericordia, tipica di un certo buonismo di oggi, con l’idea falsa che la giustizia sia una negazione della misericordia, è un peccato non solo contro la giustizia, ma anche contro la stessa misericordia.

Che cosa è infatti la misericordia se non quella pietà fattiva ed efficace che induce a salvare il peccatore? E se questi si scuote dal suo torpore solo al forte richiamo del rimprovero, della minaccia o della severità, non è forse anche questa misericordia?

Vi sono dunque circostanze nelle quali occorre la misericordia, altre nelle quali è efficace la giustizia. Sempre e in ogni caso dev’essere al governo la carità, ma appunto questa, con saggezza e prudenza, può comandare ora l’una ora l’altra. Certo è peccato esigere, non transigere  o pretendere quando si deve essere misericordiosi, ma d’altra parte l’indulgenza laddove occorre un intervento energico, non risolve ma peggiora la situazione del peccatore, il quale diventa più spavaldo ed arrogante. “Il medico pietoso, dice il proverbio, incancrenisce la piaga”.

Qual è quel medico che si fissa solo sulle cure farmacologiche e rifiuta sistematicamente l’intervento chirurgico? Così il richiamo o il rimprovero è una cura chirurgica, senza la quale il malato non guarisce. Se quando occorre la giustizia, il superiore non la pratica pensando che basti la misericordia, in realtà pecca contro la giustizia. 

S. Tommaso fa notare come la pratica della giustizia nel superiore comporti una regolamentazione della passione dell’ira (Sum.Theol., I-II, q.46, a.7), la quale indubbiamente, se non è moderata dalla prudenza, può portare all’odio e alla violenza. In tal modo può esistere un’ira giusta (Sum.Theol., q.46, a.4) e doverosa, funzionale alla correzione del peccatore al fine di fargli evitare il peccato.
Ma è un grave errore dei buonisti, quello di confondere la giustizia punitiva o coercitiva o deterrente con la violenza, quando invece la giustizia è osservanza della legge e del diritto, mentre la violenza, in quanto espressione di un’ira incontrollata ed irrazionale, è offesa del diritto e violazione della legge.

Diversamente come potrebbero esistere le virtù e l’eroismo militari e come la Chiesa avrebbe potuto canonizzare santi che hanno guerreggiato, come S. Luigi IX di Francia, S. Venceslao o S. Giovanna d’Arco? Per questo S. Tommaso insegna che la giusta ira è espressione della virtù della fortezza (Sum.Theol., II-II, q.123, a.10).

Occorre con urgenza un’inversione di rotta nella linea dell’autentico Vangelo, delle esigenze della dignità della persona umana, e della legge morale naturale beffata da un buonismo che tutto è tranne che vera bontà e che si fa scudo della divina misericordia per favorire l’ipocrisia, infiacchire le energie morali dell’uomo e scusare ogni contravvenzione ai divini comandamenti.





CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

LETTERA
AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
CIRCA LA RECEZIONE
DELLA COMUNIONE EUCARISTICA
DA PARTE DI FEDELI DIVORZIATI
RISPOSATI

 

Eccellenza Reverendissima,

1. L'Anno Internazionale della Famiglia è un'occasione particolarmente importante per riscoprire le testimonianze dell'amore e della sollecitudine della Chiesa per la famiglia(1) e, nel contempo, per riproporre le inestimabili ricchezze del matrimonio cristiano che della famiglia costituisce il fondamento.

2. In questo contesto una speciale attenzione meritano le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari(2). I pastori sono chiamati a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della Chiesa; li accolgano con amore, esortandoli a confidare nella misericordia di Dio, e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione e di partecipazione alla vita della comunità eccesiale(3).

3. Consapevoli però che l'autentica comprensione e la genuina misericordia non sono mai disgiunti dalla verità(4), i pastori hanno il dovere di richiamare a questi fedeli la dottrina della Chiesa riguardante la celebrazione dei sacramenti e in particolare la recezione dell'Eucaristia. Su questo punto negli ultimi anni in varie regioni sono state proposte diverse soluzioni pastorali secondo cui certamente non sarebbe possibile un'ammissione generale dei divorziati risposati alla Comunione eucaristica, ma essi potrebbero accedervi in determinati casi, quando secondo il giudizio della loro coscienza si ritenessero a ciò autorizzati. Così, ad esempio, quando fossero stati abbandonati del tutto ingiustamente, sebbene si fossero sinceramente sforzati di salvare il precedente matrimonio, ovvero quando fossero convinti della nullità del precedente matrimonio, pur non potendola dimostrare nel foro esterno, oppure quando avessero già trascorso un lungo cammino di riflessione e di penitenza, o anche quando per motivi moralmente validi non potessero soddisfare l'obbligo della separazione.

Da alcune parti è stato anche proposto che, per esaminare oggettivamente la loro situazione effettiva, i divorziati risposati dovrebbero intessere un colloquio con un sacerdote prudente ed esperto. Questo sacerdote però sarebbe tenuto a rispettare la loro eventuale decisione di coscienza ad accedere all'Eucaristia, senza che ciò implichi una autorizzazione ufficiale.

In questi e simili casi si tratterebbe di una soluzione pastorale tollerante e benevola per poter rendere giustizia alle diverse situazioni dei divorziati risposati.

4. Anche se è noto che soluzioni pastorali analoghe furono proposte da alcuni Padri della Chiesa ed entrarono in qualche misura anche nella prassi, tuttavia esse non ottennero mai il consenso dei Padri e in nessun modo vennero a costituire la dottrina comune della Chiesa né a determinarne la disciplina. Spetta al Magistero universale della Chiesa, in fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione, insegnare ed interpretare autenticamente il «depositum fidei».

Di fronte alle nuove proposte pastorali sopra menzionate questa Congregazione ritiene pertanto doveroso richiamare la dottrina e la disciplina della Chiesa in materia. Fedele alla parola di Gesù Cristo(5), la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione(6).

Questa norma non ha affatto un carattere punitivo o comunque discriminatorio verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l'accesso alla Comunione eucaristica: «Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale; se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio»(7).

Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l'accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall'assoluzione sacramentale, che può essere data «solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, "assumano l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi"»(8). In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di evitare lo scandalo.

5. La dottrina e la disciplina della Chiesa su questa materia sono state ampiamente esposte nel periodo postconciliare dall'Esortazione Apostolica «Familiaris consortio». L'Esortazione, tra l'altro, ricorda ai pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le diverse situazioni e li esorta a incoraggiare la partecipazione dei divorziati risposati a diversi momenti della vita della Chiesa. Nello stesso tempo ribadisce la prassi costante e universale, «fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati»(9), indicandone i motivi. La struttura dell'Esortazione e il tenore delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni.

6. Il fedele che convive abitualmente «more uxorio» con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona(10) e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa(11). Devono anche ricordare questa dottrina nell'insegnamento a tutti i fedeli loro affidati.

Ciò non significa che la Chiesa non abbia a cuore la situazione di questi fedeli, che, del resto, non sono affatto esclusi dalla comunione ecclesiale. Essa si preoccupa di accompagnarli pastoralmente e di invitarli a partecipare alla vita ecclesiale nella misura in cui ciò è compatibile con le disposizioni del diritto divino, sulle quali la Chiesa non possiede alcun potere di dispensa(12). D'altra parte, è necessario illuminare i fedeli interessati affinché non ritengano che la loro partecipazione alla vita della Chiesa sia esclusivamente ridotta alla questione della recezione dell'Eucaristia. I fedeli devono essere aiutati ad approfondire la loro comprensione del valore della partecipazione al sacrificio di Cristo nella Messa, della comunione spirituale(13), della preghiera, della meditazione della Parola di Dio, delle opere di carità e di giustizia(14).

7. L'errata convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un divorziato risposato, presuppone normalmente che alla coscienza personale si attribuisca il potere di decidere in ultima analisi, sulla base della propria convinzione(15), dell'esistenza o meno del precedente matrimonio e del valore della nuova unione. Ma una tale attribuzione è inammissibile(16). Il matrimonio infatti, in quanto immagine dell'unione sponsale tra Cristo e la sua Chiesa, e nucleo di base e fattore importante nella vita della società civile, è essenzialmente una realtà pubblica.

8. É certamente vero che il giudizio sulle proprie disposizioni per l'accesso all'Eucaristia deve essere formulato dalla coscienza morale adeguatamente formata. Ma è altrettanto vero che il consenso, col quale è costituito il matrimonio, non è una semplice decisione privata, poiché crea per ciascuno dei coniugi e per la coppia una situazione specificamente ecclesiale e sociale. Pertanto il giudizio della coscienza sulla propria situazione matrimoniale non riguarda solo un rapporto immediato tra l'uomo e Dio, come se si potesse fare a meno di quella mediazione ecclesiale, che include anche le leggi canoniche obbliganti in coscienza. Non riconoscere questo essenziale aspetto significherebbe negare di fatto che il matrimonio esiste come realtà della Chiesa, vale a dire, come sacramento.

9. D'altronde l'Esortazione «Familiaris consortio», quando invita i pastori a ben distinguere le varie situazioni dei divorziati risposati, ricorda anche il caso di coloro che sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido(17). Si deve certamente discernere se attraverso la via di foro esterno stabilita dalla Chiesa vi sia oggettivamente una tale nullità di matrimonio. La disciplina della Chiesa, mentre conferma la competenza esclusiva dei tribunali ecclesiastici nell'esame della validità del matrimonio dei cattolici, offre anche nuove vie per dimostrare la nullità della precedente unione, allo scopo di escludere per quanto possibile ogni divario tra la verità verificabile nel processo e la verità oggettiva conosciuta dalla retta coscienza(18).

Attenersi al giudizio della Chiesa e osservare la vigente disciplina circa I obbligatorietà della forma canonica in quanto necessaria per la validità dei matrimoni dei cattolici, è ciò che veramente giova al bene spirituale dei fedeli interessati. Infatti, la Chiesa è il Corpo di Cristo e vivere nella comunione ecclesiale è vivere nel Corpo di Cristo e nutrirsi del Corpo di Cristo. Ricevendo il sacramento dell'Eucaristia, la comunione con Cristo Capo non può mai essere separata dalla comunione con i suoi membri, cioè con la sua Chiesa. Per questo il sacramento della nostra unione con Cristo è anche il sacramento dell'unità della Chiesa. Ricevere la Comunione eucaristica in contrasto con le norme della comunione ecclesiale è quindi una cosa in sé contraddittoria. La comunione sacramentale con Cristo include e presuppone l'osservanza, anche se talvolta difficile, dell'ordinamento della comunione ecclesiale, e non può essere retta e fruttifera se il fedele, volendo accostarsi direttamente a Cristo, non rispetta questo ordinamento.

10. In armonia con quanto sinora detto, è da realizzare pienamente il desiderio espresso dal Sinodo dei Vescovi, fatto proprio dal Santo Padre Giovanni Paolo II e attuato con impegno e con lodevoli iniziative da parte di Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici: con sollecita carità fare tutto quanto può fortificare nell'amore di Cristo e della Chiesa i fedeli che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. Solo così sarà possibile per loro accogliere pienamente il messaggio del matrimonio cristiano e sopportare nella fede la sofferenza della loro situazione. Nell'azione pastorale si dovrà compiere ogni sforzo perché venga compreso bene che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l'indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore. Sarà necessario che i pastori e la comunità dei fedeli soffrano e amino insieme con le persone interessate, perché possano riconoscere anche nel loro carico il giogo dolce e il carico leggero di Gesù(19). Il loro carico non è dolce e leggero in quanto piccolo o insignificante, ma diventa leggero perché il Signore - e insieme con lui tutta la Chiesa - lo condivide. É compito dell'azione pastorale che deve essere svolta con totale dedizione, offrire questo aiuto fondato nella verità e insieme nell'amore.

Uniti nell'impegno collegiale di far risplendere la verità di Gesù Cristo nella vita e nella prassi della Chiesa, mi è grato professarmi dell'Eccellenza Vostra Reverendissima dev.mo in Cristo

Joseph Card. Ratzinger
Prefetto

+ Alberto Bovone
Arcivescovo tit. di Cesarea di Numidia
Segretario

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 14 Settembre 1994, nella festa dell'Esaltazione della Santa Croce.


(1) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie (2 febbraio 1994), n. 3.

(2) Cf. Giovanni Paolo II, Esort. apost. Familiaris consortio, nn. 79-84: AAS 74 (1982) 180-186.

(3) Cf. Ibid., n. 84: AAS 74 (1982) 185; Lettera alle Famiglie, n. 5; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1651.

(4) Cf. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, n. 29: AAS 60 (1968) 501; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Reconciliatio et paenitentia, n. 34: AAS 77 (1985) 272; Lett. enc. Veritatis splendor, n. 95: AAS 85 (1993) 1208.

(5) Mc 10,11-12: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».

(6) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650; cf. anche n. 1640 e Concilio Tridentino, sess. XXIV: Denz.-Schoenm. 1797-1812.

(7) Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185-186.

(8) Ibid,. n. 84: AAS 74 (1982) 186; cf. Giovanni Paolo II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, n. 7: AAS 72 (1982) 1082.

(9) Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.

(10) Cf. 1 Cor 11,27-29.

(11) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 978 § 2.

(12) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1640.

(13) Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcune questioni concernenti il Ministro dell'Eucaristia, III/4: AAS 74 (1983) 1007; S. Teresa di Avila, Camino de perfección, 35, 1; S. Alfonso M. de' Liguori, Visite al SS. Sacramento e a Maria Santissima.

(14) Cf. Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.

(15) Cf. Lett. enc. Veritatis splendor, n. 55: AAS 85 (1993) 1178.

(16) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1085 § 2.

(17) Cf. Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.

(18) Cf. CIC, cann. 1536 § 2 e 1679 e CCEO, cann. 1217 § 2 e 1365 circa la forza probante delle dichiarazioni delle parti in tali processi.

(19) Cf. Mt 11,30.




[Modificato da Caterina63 16/10/2014 12:59]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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